lunedì 2 gennaio 2023

STELLATI /2487


Guai a chiamarli cuochi! E’ umiliante e riduttivo, quasi un’offesa: come dire lavapiatti, bracciante, manovale o zappatore, nel velato dizionario del razzismo.
Sono gli chef stellati, i numi tutelari dell’altissima cucina, gli scienziati della gastronomia che stupisce con effetti speciali e scenografici, come quando ricorre all’azoto liquido, tipico dell'alimentazione molecolare e di tendenza. Sono gli artisti della tavolozza che non cucinano, ma creano e spennellano sui piatti, come pregiatissime ceramiche. Tutto secondo le mode e il proprio estro, rivisitando o rinnegando la tradizione, Pellegrino Artusi e la sua scienza infusa.
Ogni loro portata rifugge, per statuto e per principio, dalla banalità e dalla semplicità.
Solo piatti sofisticati e creativi, quindi, niente cofane di Matriciana, niente zuppe toscane - se non del tutto rivisitate - niente frittatone di cipolle o ridondanti parmigiane.
Ogni piatto deve essere “inventato” e composto, non solo nei sapori, nei profumi e negli accostamenti, ma esaltato dalle immancabili note di dolcezza, di croccantezza, di freschezza, sapidità e dalle indispensabili punte di acidità. Guai se non ci sono!
Richiede soprattutto un’accurata preparazione da sala operatoria, con tanto di pinza e bisturi: ogni pacchero o fusillo o frutto di mare viene collocato singolarmente nel piatto, come un tassello nel mosaico, fra sfumature di colore, grattatine di agrumi, schizzetti e sporcature varie di salse e riduzioni.
Come fossero quadri di Picasso o di Guttuso.

Siamo al colmo del ridicolo.
Questa nuova Casta di Stellati, che opera e produce per pochi fortunati eletti, rivela come dietro il fantastico mondo della cucina d’arte ci sia in realtà un gioco delle parti, di regole e ricatti, e un intreccio promiscuo tra cuochi, fornitori e critici delle più prestigiose guide. Un indotto che porta soldi e notorietà a pochi e che crea un sogno irrealizzabile per molti:
Una stella Michelin cambia la vita a un ristorante e allo chef, ma anche le forchette del Gambero Rosso e i cappelli dell’Espresso possono fare la sua fortuna, perché da quel momento, incassa anche dalle attività extra, raddoppia il suo fatturato, ha la possibilità di partecipare a trasmissioni televisive come opinionista, a eventi culinari nazionali e internazionali, realizzare spot commerciali, pubblicazioni, avere sponsor, fondare scuole, diventare docente, consulente, ambasciatore del gusto.
Sono 378 i ristoranti stellati Michelin in Italia, che fatturano complessivamente 260 milioni: da Bottura a Cracco, da Bastianich a Cannavacciuolo e a Heinz Beck.

Dietro quei rinomati chef griffati, si alimentano le speranze di tanti giovani stagisti, corsisti e aiuti di cucina, che sopportano orari massacranti e si sacrificano in doppi turni di lavoro - pagati (pochissimo) soltanto per uno o per metà a nero - senza tutele sindacali e nemmeno sanitarie: “se qualcuno si taglia, finisce il turno e poi va in ospedale”.
Ma tutto questo, per loro, non è sfruttamento, è un ruolo ambito e ricercato, un bacino di esperienza che fa curriculum, mentre gli stellati cucinieri - arroganti, presuntuosi e spesso anche assai ignoranti - a volte, non si sporcano nemmeno le mani e la candida divisa di prestigio.
Godono di assoluti privilegi, giudicano con disprezzo e maltrattano gli aspiranti chef, anche quando partecipano a programmi di cucina - oggi così odiosi e inflazionati - e pretendono due, trecento euro, per qualche micragnoso assaggio di cibo, per gli occhi e per gli illusi.
Io vado in trattoria e preferisco la “marchisciana” Benedetta, tutta fatta in casa.
1 aprile 2022 (Alfredo Laurano)

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