mercoledì 29 giugno 2016

RESTA CU ME

Crollo delle borse, panico nei mercati finanziari, sterlina a picco, dimissioni di Cameron, incertezza politica: la Brexit ha avuto subito effetti devastanti sull’Unione Europea e sulla Gran Bretagna.
Da comune e ignorante cittadino, penso che i britannici pagheranno sicuramente un certo prezzo per l’uscita dall’Europa. Molte tariffe aumenteranno per effetto della burocrazia e del rallentamento delle procedure dell’import-export, anche doganali, e ne risentiranno anche i tanti lavoratori stranieri, alle prese con permessi di residenza e di cittadinanza o giovani con visti di studio, di turismo e di lavoro, da trovare prima di partire per la City. Tutti i rapporti commerciali ed economici dovranno essere ridiscussi e varieranno molto nei prossimi mesi.

Ma, secondo molti esperti e convinti europeisti, la Brexit sarà una vera catastrofe economica e sociale, con gravi fattori di rischio per la stabilità, per il sistema bancario e per la tenuta dell'intera Eurozona: questa uscita, sancita dal 52% dei votanti, potrebbe rappresentare l'inizio della fine dell'integrazione europea e spingere altri Paesi a staccarsi dall'Unione stessa.
La nostra Costituzione, “la più bella del mondo", esclude tuttavia questa possibilità, attraverso l’art. 75:  “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali” 
Assieme all'Ue, ovviamente rischierebbe di disgregarsi presto anche  l'Unione Monetaria Europea.

I poteri finanziari e quasi tutto l'apparato dell'informazione “Remain” si stanno muovendo in questi giorni per delegittimare quella consultazione, adducendo la presunta difficoltà del tema: argomento troppo complesso per darlo in pasto al popolo ignorante “che va alle urne con la vanga e imbratta la scheda con le mani sporche di terra”.
Si stanno raccogliendo firme - soprattutto Scozia e Irlanda del Nord che non vogliono uscire - per un nuovo referendum.
E’ l’abuso populistico della democrazia.
Gli anziani sostenitori del “Leave” - sempre secondo la roccaforte europeista - dovrebbero sapere che solo i mercati finanziari , i banchieri, le grandi banche d'affari conoscono cos’è bene o cosa è male per il popolo, ma “voi, ignoranti contadini, come vi permettete di andare a votare, invece di lasciar decidere ai consigli di amministrazione e ai grandi finanzieri? Pensate ad arare i vostri campi”.

Proprio come una volta, quando votavano solo i maschi abbienti e poi i maschi che sapevano leggere e scrivere. Il suffragio universale da noi è arrivato settanta anni fa,  nel 1946: al referendum istituzionale, andarono alle urne per la prima volta anche le donne che, spaesate e un po’ confuse, votarono su indicazione di padri e mariti.
A loro e agli ignoranti contadini vennero mosse le stesse accuse di oggi, ignorando che spesso la saggezza contadina supera di gran lunga quella degli spocchiosi intellettuali che tronfi di superbia credono di possedere la verità rivelata.  
Questo voto “boomerang” va comunque accettato e rispettato, sempre che gli strumenti della democrazia diretta o partecipativa abbiano ancora un senso nell’affiancare (non sostituire) - dove e quando previsto - quella indiretta e rappresentativa dei suoi delegati, liberamente eletti, senza alcuna intermediazione e nell’esercizio diretto del potere sovrano del popolo.
(Alfredo Laurano)

venerdì 24 giugno 2016

BENVENUTA NELLA GIUNGLA

L’immagine della neo-sindaca di Roma Virginia Raggi, che dal balcone del Campidoglio guarda il Foro e piange per l’emozione, contrasta molto o forse fa il pari con l’assoluta indifferenza che, al giubileo degli uomini e delle donne delle istituzioni pubbliche, celebrato all’Università Lateranense, le hanno riservato alte cariche dello Stato e del governo.
Alla sua prima uscita pubblica e ufficiale, con fascia d’ordinanza, la Virginia non ha trovato un clima proprio sereno e cordiale, ma ha respirato subito una certa aria (da guerra) fredda, nonostante l’afa e il caldo.
Evidente il gelo della ministra Boschi che l’ha ignorata, come se non esistesse: di spalle, solo qualche occhiata fugace durante i canti liturgici e nulla più. Solo in uscita dalla cerimonia, pare le abbia dato la mano per formalità e per omaggiare stampa e telecamere.

Anche l’impettito Alfano, come fosse sempre in attesa di una qualche medaglia al (de)merito, il vicesegretario del Pd Guerini e il capogruppo dem Ettore Rosato le passano davanti senza degnarla di uno sguardo. Come fosse trasparente, eppure, è difficile non notarla con la fascia tricolore sulle spalle.
Gasparri conserva fieramente il suo normale sguardo da pesce lesso, legittimamente assente per ferie burocratico-amministrative.
L’unica a rivolgerle un saluto e a farle le congratulazioni è la botticelliana ministra Marianna Madia, in un momento di improvviso disgelo istituzionale, per l’occasione pubblica.
Più formali e cordiali il presidente della Regione Lazio, Zingaretti, e la ministra Lorenzin, che le stringono la mano e scambiano due chiacchiere, come si conviene in segno di pace e di rispetto e come suggerisce la buona educazione.
24 giugno 2016 (Alfredo Laurano)


mercoledì 22 giugno 2016

LA PASIONARIA

Con parole molto semplici, chiare e comprensibili a tutti, anche a quelli che non amano molto i linguaggi della politica, a volte astrusi e impenetrabili per il grande e annoiato pubblico, Sabrina Ferilli, nei panni di appassionata opinion leader ha confessato pubblicamente a “Di Martedì”, i suoi peccati elettorali. Senza tante sfumature, locuzioni e giochetti verbali. 
Ha votato Virginia Raggi, dopo una vita appesa all’area storica d’origine PCI, come hanno fatto tanti altri che in quella stessa condizione si riconoscono e ha detto, in pratica, quello che molta gente di Sinistra pensa di patron Renzi e del PD.

E' stata una schietta voce del popolo, che i professionisti della politica, soprattutto di una certa parte, non dovrebbero ignorare, ma ascoltare e metabolizzare. E non perché costituisca un’imperdibile riflessione o un brillante brano di fine politologia.
La sua analisi del voto, del renzismo e di un partito snaturato, che ha perso o è stato spogliato della sua identità e di quella dimensione romantica e sentimentale che ne aveva fatto la forza e la storia, è stata molto lucida ed elementare. Concetti essenziali e genuini, in barba ai grandi esperti e illuminati commentatori che imperversano sui media, che fanno discorsi complicati, retorici e strategici per poi dire poco o niente, per non inimicarsi nessuno e senza mai prendere una posizione netta.

Renzi si è rivelato la bruttissima copia di Berlusconi, ha fatto quello che lo stesso non è riuscito fare, ha cancellato l’anima autentica al Partito Democratico
“Ci si domanda se il voto è stato di protesta o di cambiamento: che differenza c'è?"
Dopo aver ammesso di aver votato i Cinque Stelle a Roma - “che stanno in piazza tutti i giorni, sei giorni a settimana, sono dei rivoluzionari" - la Sabrina ha mandato a dire a Renzi che "chi protesta è chiaro che vuole cambiare. E sarà anche un voto di protesta, se no continuavano a votare te". Lapalissiano.

Ha criticato il concetto di rottamazione messa in atto dal premier, anche per avere abolito cose ed elementi del patrimonio del partito, come i comizi, la passione sui palchi e gli incontri con le persone, concentrando tutto sulla Leopolda, su Twitter e sulle forme di comunicazione più chic e giovanili".
Sulle riforme poi, ha concluso la Ferilli, "Renzi dice che chi si oppone al referendum vota contro di lui. Ma è proprio lui che si mette costantemente al centro delle cose, in segno di sfida, e che personalizza tutto”. Dall’alto della sua megalomania, mi permetto di aggiungere.

E gli italiani sono preoccupati dalla Brexit, le domanda Floris. “Chi vive nel degrado delle periferie o è sotto la soglia della povertà e non ha nemmeno l’acqua potabile, pensa che gli possa interessare?
Un attacco violento e deciso, da tenace pasionaria, di cui si parlerà a lungo. E non mancheranno certo le polemiche.

22 giugno 2016 (Alfredo Laurano)

LA BELLA DI IMOLA

La frutta della stagione primaverile-estiva è senza dubbio quanto di meglio la natura possa regalarci, anche con il modesto contributo dell’uomo, soprattutto per la raccolta e la potatura.
Fragole, albicocche, pesche, ciliegie, susine, fichi, meloni e cocomeri sono un trionfo di colori, di forme e di sapori che anche l’arte, in particolare, la pittura ha magnificato nel tempo, pur non potendone esaltare e riprodurre i profumi e i sapori.
Sono un amante e consumatore compulsivo di fragole e in questo periodo ne ho divorato quantità industriali, scegliendo soprattutto le dolci varietà della zona di Terracina: un po’ di zucchero di canna e tanto limone, senza panna o gelato. Per fortuna non sono allergico a tale prelibato nettare.
In questi ultimi giorni, però, sono giunti a completa e quasi improvvisa maturazione i frutti dell’unico albero di mia proprietà: quello delle meravigliose albicocche.
In una settimana di mia assenza, i rami stracolmi, che reclamavano di essere spogliati, le hanno lanciate verso terra, lasciandole cadere - complice il vento - su un tappeto quasi melmoso di insopportabile spreco. 
Un vero peccato e un insulto alla natura.
Un buon cinquanta per cento, comunque, si sono salvate e sono state rapidamente colte con soddisfazione, mista a un pizzico di amarezza per le “perdite” subite.

Era sette o otto anni fa, quando un amico giardiniere mi portò una piantina di 60/70 centimetri, che pagai una decina di euro, e che misi in terra in una semplice buchetta, scavata con la paletta e innaffiata. 
La varietà - mi disse quell’esperto - portava un nome importante e significativo: “la Bella, o reale, di Imola”. 
Al momento, mi sembrò un tantino esagerato e pretenzioso.
Da quel giorno, il tenero fuscello ha fatto tutto da solo, con il solo aiuto del sole e della pioggia: è cresciuto a vista d’occhio, si è trasformato in arbusto, poi in arboscello, fino a diventare in pochi anni un albero di sei-sette metri. Ha goduto, forse, di un microclima eccezionale.
Dopo un paio d’anni, aveva già cominciato a riempire i suoi rami di delicati fiori in primavera e a donarmi poco dopo quelle delizie, gustose e succulenti, che rapiscono il palato, stuzzicando le papille.
Di grandi dimensioni, dall’ aspetto raffinato ed elegante, dal colore arancione vivo, con sfumature di sovra colore rosso su gran parte della buccia vellutata, dalla polpa compatta e croccante e spicca - cioè, si stacca facilmente dal nocciolo - dal profumo intenso e dal sapore dolce, delicato e persistente, come l’ambrosia, il cibo degli dei.

Tante le proprietà salutari e nutritive di questo frutto, simbolo d’estate, povero di calorie, ma ricco di vitamine, carotenoidi e di preziosi minerali che ne fanno un valido supporto in casi di anemia o spossatezza e, soprattutto, di potassio che aiuta anche nell’attività fisica, durante i mesi caldi.
E’ impossibile resistere al richiamo seducente delle mie “belle e nobili di Imola”, anche se nell’ampia gamma di varietà coltivate nel nostro bel Paese, ho scoperto che esiste una cultivar - altrettanto buona - che, con poco rispetto, è stata battezzata “la cafona”. Un’offesa intollerabile. (Alfredo Laurano)

L'ETERNO RITORNO

Vincitori e vinti ai ballottaggi.
C'è chi festeggia e chi si lecca le ferite.
C'è chi esulta, c'è chi piange e chi si duole. E chi si prepara alla prossima battaglia o a regolare i conti interni e le vendette.
Ma la vera notizia è un'altra e saporita, anche se passata sottogamba e un po' in sordina.
Ma lo sapete che Mastella è stato eletto sindaco di Benevento?
"Mi davano per finito, il successo mi ripaga di tante umiliazioni. Si tratta di un risultato entusiasmante, inimmaginabile fino a qualche tempo fa."
E si, proprio impensabile e incredibile, ma vero. 
(Alfredo Laurano)

lunedì 20 giugno 2016

AMMUTINAMENTO FEMMINILE

Virginia Raggi (Roma) e Chiara Appendino (Torino)
Quando i cittadini rottamano il rottamatore.
Rabbia e disgusto hanno premiato, a Roma e Torino, l’estraneità di due giovani donne, dalla faccia pulita, all’intrigo e alle clientele e, soprattutto, agli interessi e alle direttive di un potere consolidato e arrogante.
Come quando in un ammutinamento - racconta la metafora di Gramellini - l’equipaggio non affida il comando al secondo ufficiale, considerato troppo colluso col comandante, ma al mozzo che non ha mai tenuto in mano il timone e che proprio l’avere sempre vissuto sottocoperta mette al riparo dal rischio di essersi macchiato di particolari nefandezze.
 
Con buona pace di Fassino, fra i meno peggio, la cui nave a Torino, pur navigando meglio che altrove, rappresentava ormai da tempo, non tanto quel potere, quanto la spocchia e la superbia della Capitaneria nel mare del renzismo.
A Roma, invece, la questione di Mafia capitale e la gestione del caso Marino, il marziano - già simbolo di una diversità politica, cacciato in malo modo - sono state decisamente punite. La voglia di pulizia e di onestà ha prevalso sulla prepotenza e sconfitto la boria e l’insolenza dell’epuratore.
Mr. Kunt starà, sicuramente, gongolando dalla sua astronave, in volo fra le stelle (cinque, per l’esattezza).
20 giugno 2016 (Alfredo Laurano)



MIRACOLO SULL'ACQUA

Camminare sulle acque del Lago d'Iseo.
Fino ad oggi, era successo solo a Gesù Cristo.
Ora, invece, grazie alla passerella realizzata da un altro Christo, artista bulgaro di 81 anni, possono farlo tutti.

Ieri, all'inaugurazione, hanno passeggiato, a pelo d'acqua, 55.000 persone attratte da quella specie di miracolo ingegneristico: 
cinque chilometri di percorso, di cui tre sull'acqua, per sedici metri di larghezza.

La passerella inizia a snodarsi per le strade del centro, da Sulzano a Montisola, passando per l’isola di San Paolo.
È realizzata con un sistema modulare di pontili galleggianti composto da 200mila cubi in polietilene ad alta densità, interamente ricoperti da 70mila metri quadrati di un tessuto particolare, un tipo di nylon, fatto realizzare dall’artista, proprio perché diventa cangiante con l’acqua e l’umidità: dal giallo "dalia" diventa color oro acceso, fino a tendere al rosso, continuando a cambiare con la luce e creando un effetto dorato sul lago.
Attesi un milione di visitatori e forse anche chi sarà eletto sindaco ai ballottaggi odierni, per sfilare da trionfatore su quelle acque lacustri, "venuti dall'urna al lago a miracol mostrare".
19 giugno 2016 (Alfredo Laurano)


domenica 19 giugno 2016

GERUNDI DI COSCIENZA

I seggi sono aperti. Schede, matite e cabine pronte al ballottagio, dalle sette di stamattina.
Vado o non vado? Voto o non voto? Annullo o vado in bianco e poi mi pento?
Voto giusto, voto perso o voto inutile di protesta? Voto disperato, di rabbia, di esclusione, di condanna o di vendetta?
Troppe domande, troppa incertezza, troppo tormento.
E pensare che un sindaco democraticamente eletto - col 64% dei voti e con la panda rossa - ce l'avevamo, ma l'hanno cacciato con atto notarile, per candidare Topo Gigio con lo scooter.
Questi del PD hanno già scelto per me, per noi e per tutti i cittadini.
Stanno giocando sporco, con tre semplici gerundi: mentendo, inventando e diffamando, con telefonate, messaggi e metodi mafiosi
Sono "Giachetti" di potere da una parte e "Raggi" o lampi di speranza dall'altra.
Quasi, quasi voto Mafia Capitale o resto a casa.
Non ho detto "a caso".
(Alfredo Laurano)

sabato 18 giugno 2016

SILLOGISMO ELETTORALE

In effetti è vero, se i Cinquestelle vogliono governare il Paese e non solo vincere i ballottaggi dove domani sono in corsa, devono abbattere Renzi e, quindi, dove non hanno propri candidati, devono votare chiunque sia contro il suo Pd.
Se Renzi dovesse per caso perdere Milano, Torino, Bologna e probabilmente Roma - Napoli è già fuori discussione - sarebbe il principio della sua fine di aspirante statista.
A tale scopo, potrebbero votare Lega a Bologna e Parisi a Milano per farlo perdere in tutte, o quasi, le grandi città, Ovviamente, nessuno lo dirà apertamente, ma sembra una logica deduzione che condivido con il narciso Scansi.
Tutto ciò è paradossale e in evidente conflitto col buon senso, oltre ad essere una strategia politica dai contorni machiavellici.
Il rischio è che per raggiungere un fine superiore, ci si debba sporcare le mani, consegnando qualche grande Comune e i suoi cittadini nelle mani di Salvini e della Destra, per cinque anni.
Ma, poi, nemmeno tanto, visto che un riferimento, in quel caso, sarà proprio nel governo nazionale, dove operano anche Alfano e Verdini.
Così è, se vi pare o non vi pare, o non vi piace.
(Alfredo Laurano)

venerdì 17 giugno 2016

SBALLOTTATI DA LUCIFERO

Non appoggeremo e non sosterremo nessuno, non faremo apparentamenti, non faremo dichiarazioni per nessuno in vista dei ballottaggi: ogni cittadino sceglierà e voterà liberamente e senza indicazioni di partiti e movimenti. 
Questo abbiamo sentito ripetere fino alla noia in questi giorni, insieme ai tanti appelli, promesse, appoggi, aperture, corteggiamenti, endorsement, più o meno, confessati, palesi o indiretti.
E quelli che, come si diceva una volta, si riconoscono nei valori della Sinistra, quando i confini degli schieramenti erano piuttosto definiti e, anche, riconoscibili? 
Sono sicuramente sballottati e manco poco. 
E già, oggi, secondo le nuove visioni della cosa pubblica di molti commentatori e politicanti buoni per tutte le stagioni, dobbiamo "farci persuasi" - direbbe Montalbano di Camilleri - che sono caduti i paletti ideologici, le appartenenze per scelta e formazione, i riferimenti storici e certi valori obsoleti nei quali quasi più nessuno crede. Aggiornamenti assolutamente necessari per capire posizioni e strategie delle forze in campo.

Per lo scontro finale di domenica, i candidati stanno sparando le ultime cartucce, facendo peraltro precipitare, in qualche caso, il livello dello scontro. E tra la “casa abusiva” di Giachetti, la Raggi teleguidata e la Appendino “bocconiana” come Sara Tommasi, la disfida di Milano tra gli intercambiabili Sala e Parisi si distingue per eleganza e misura. Roba rara da guanti e fioretto, dietro il convento delle carmelitane scalze.

Bullizzata e presa in giro da uno spaventato Renzi per le magre percentuali raccolte al primo turno, la Sinistra si strugge, si arrovella e si dilania: cosa fare? Astensione, scheda bianca, scheda nulla, il meno peggio?
A Napoli, il problema non si pone, c’è “masaniello” De Magistris che si può votare senza troppi pentimenti, a Cagliari, isola unica e felice, già tutto fatto al primo turno. E in tutte le altri parti dell’Italia in bilico, incerta e frastornata?
“Per sperare di ricostruire un Centro Sinistra, sostiene Asor Rosa, occorre che il Pd - attualmente di Renzi, ma domani chissà - non si disgreghi letteralmente sotto il peso di una clamorosa sconfitta, prima di essere messo in grado di riprendere la strada violentemente interrotta”. 
Le aree di Civati e di Fassina oscillano tra l’astensione e la scelta personale che apre anche al Movimento, senza dirlo apertamente.

Personalmente, anch'io come tanti o come tutti, vivo il dilemma e, soprattutto, il tormento della scelta. 
Forse, sulla mia scheda scriverò "Salto un giro, ci vediamo alla prossima", come succede a Monopoli. Dopotutto, tra i giochi, non c'è molta differenza (case, alberghi, strade, parchi e prigioni). 
Poi, però, mi assale il dubbio: fino ad oggi, per coerenza e convinzione, non ho mai “saltato un giro”, non ho mai rinunciato a un diritto così importante, a un valore più o meno ideologico e rappresentativo che ci garantisce la possibilità di scegliere con coscienza. Per una cinquantina d'anni ho sempre votato e scelto con coerenza - a volte, il meno peggio - ma sempre da una sola parte.
E allora penso che stavolta, sempre per coerenza, deciderò non di preferire, ma di votare per punire chi - suo malgrado - esprime la politica dell'arroganza, chi rappresenta la dissoluzione della Sinistra, chi l'ha rinnegata e chi ha cacciato un sindaco marziano, democraticamente eletto con 670.000 voti (64%) di preferenze, convocando e ricattando i consiglieri comunali nello squallido studio di un notaio. Come avrebbero fatto mafiosi e camorristi, in cerca di formale, apparente legalità.
In fondo, pure D’Alema, altro disgregatore forse pentito, voterebbe la Raggi e anche Lucifero pur di cacciare Renzi. 
La tentazione di tapparsi il naso, di montanelliana memoria, si fa sempre più largo nell’Italia dai cattivi odori.
(Alfredo Laurano)

STRAGI DIVERSE

Bataclan di Parigi e Pulse di Orlando, cosa cambia? Ce lo siamo chiesto in molti. 
Che differenza c’è fra le tante stragi avvenute negli ultimi anni e quest’ultima americana che, da molti e dallo stesso mondo Lgbt, è stata definita “la strage dei froci”? 
Le precedenti erano di giovani, di persone, di bravi e normali ragazzi, senza precisare mai eterosessuali. Eppure, in entrambi i casi, in quei locali c’erano persone, c’era uno spicchio di umanità. Si faceva musica, ci si divertiva, si socializzava, si beveva un drink. E in entrambi si è consumato un vile massacro volontario e premeditato, si è seminato lo stesso clima di paura, di terrore e odio, sparando all'impazzata e sorridendo. Due forme uguali di follia umana, di intolleranza e di razzismo e integralismo. 

Fatto è che le reazioni di sdegno, di dolore, di cordoglio e solidarietà, per le cinquanta vittime di Orlando, oltre ai 53 feriti, non sono state proprio le stesse, rispetto a quelle per le vittime in Francia, a Bruxelles o di altri recenti carneficine: poche, distaccate, a volte tardive e un po’ formali, come anche scarse sono state le fiaccolate, i sit in, le spontanee manifestazioni di piazza e sul Web, anche da parte della politica, e il rilievo mediatico riservato alla tragedia da stampa e televisioni. 
Quanti hanno scritto sul proprio profilo “sono gay”, come quando eravamo tutti Charlie o tutti Bruxelles, o hanno sfumato la propria effigie con la bandierina americana? 
Solo la Tour Eiffel si è accesa dei colori arcobaleno e di coerenza. Forse, perché, come dice qualcuno, il femminicidio tira più del “frocicidio” e i morti parigini “empatizzano” più di quelli africani, orientali e di quelli gay o di colore. 
E’ evidente che a molti questa strage di froci poco interessa, anche perché per molti, in fondo, "se la sono cercata". Quei giovani della discoteca Pulse mica sono proprio uguali a quelli del Bataclan di Parigi, bravi eterosessuali che si gustavano un concerto conforme “alla normalità”! 

I morti causati dal fanatismo e dal terrorismo, quindi, non sono tutti uguali: c'è chi inerme e innocente subisce senza colpa la mattanza e c'è chi, con i suoi comportamenti equivoci o discutibili scelte di vita, un po’ la provoca e un po' lo deve mettere in conto. E allora si preferisce parlare di armi facili e omofobia latente: un americano qualunque può comperare un arsenale al supermercato e sparare all'impazzata in una scuola, in una chiesa, in un centro per disabili o in una discoteca gay. La colpa, allora, è delle armi e la coscienza collettiva si ristora. 
Meglio ignorare o far finta di non sapere che l’integralismo religioso, intriso di massiccia esaltazione e fondamentalismo, porta a odiare gli omosessuali e a condannare i diversi da sé, perché considerati un turbamento dell’ordine naturale delle cose. Per questo vengono tuttora emarginati come esseri inferiori o malati che devono cambiare, devono correggersi. 
Quindi “fatelo e siatelo di nascosto e non siatene orgogliosi”, come ironicamente suggerisce la filosofa Michela Marzano, anziché accettarci con tutte le differenze che ci caratterizzano come esseri umani, come dice il papa. Ne va della nostra identità di “normali”, certificati e collaudati.

La vera paura dell'omofono - come sembra sia anche nel caso di Orlando - è di essere o scoprirsi omosessuale. Spesso i più fanatici omofobi, religiosi e non, sono omosessuali repressi e frustrati che odiano la propria natura e che vorrebbero eliminare chiunque gli ricordi ciò che di sé non accettano e che non vogliono ammettere. 
Se a questo si aggiunge la visione aberrante di certe religioni monoteiste e delle società maschiliste e patriarcali – che ritengono il maschio superiore alla femmina e non ammettono che un uomo possa amare un altro uomo perché tradisce il suo ruolo di “inseminatore”, di creatore di famiglie e società, di responsabile del mantenimento della specie - abbiamo scoperto l’arcano della diversità. 
Le coppie gay, anche se si amano, non si riproducono, quindi non sono funzionali all'ordine della natura. Quindi hanno meno diritto di vivere. 
Quindi lo scempio nel depravato tempio di Sodoma fa un po’ meno orrore degli altri. (Alfredo Laurano)

TRAPPOLE E TOPOLINI

Una complicata trappola in cui i Con-fusi hanno rischiato di finire, ma da cui sono liberati egregiamente. Portare in scena (Teatro di Porta Portese a Roma) una commedia tinta di giallo come “Trappola per topi” di Agatha Christie, che dal 1952 è stata replicata per oltre sessant’ anni, ogni sera, tradotta in 24 lingue e rappresentata in tutto il mondo, con numeri da record ineguagliabile, è un esperienza da provare per chi ama quel genere di teatro, ma è una sfida per niente facile e molto impegnativa.
“Non è proprio un dramma, non è proprio uno spettacolo dell'orrore, non è proprio una commedia brillante, ma ha qualcosa di tutte e tre e così accontenta la gente dai gusti più disparati”. Così la stessa autrice tentava di spiegarsi un simile successo.

Suspense, thriller, intrigo e sprazzi di sottile ironia: gli ingredienti, infatti, ci sono tutti e tutti sapientemente shakerati e amalgamati da una regia essenziale e disinvolta che distribuisce spazi misurati e tempi scenici, gestisce pause, battute e movimenti, anche se appare arduo riprodurre perfettamente lo stile tipico da commedia inglese di quei tempi. Ma gli sforzi e la volontà sono premiati fino a ricreare quella giusta atmosfera, quel clima un po’ retrò, anche sotto il ricorrente profilo meteorologico - ci sono sempre forti nevicate, freddo, isolamento, strade interrotte, elementi tipici e immancabili - che le scenografia e, soprattutto, i bravi attori, per niente Con-fusi, sanno determinare con gesti e giochi di sguardi pieni di significato, alimentando la necessaria tensione psicologica. Anche l’uso di trucchi scenici, come la radio, la libreria, le porte lasciate aperte, le scale, aiutano nell'impresa e alleggeriscono il tono della rappresentazione, che si apre allo spettacolo di puro intrattenimento. 

Tutto si svolge nel salone della pensione Castello del Frate, una vecchia casa inglese, a qualche chilometro da Londra, adattata e ristrutturata a locanda: unico ambiente, unico scenario.
Sulla parete di fondo un’ampia finestra a vetri, il caminetto, di lato le scale che conducono alle camere da letto e il salottino.
A gestirla, due giovani sorelle (nell’originale due coniugi) Mollie e Julie, che si trovano a condividere una drammatica avventura con cinque eccentrici clienti che sembrano avere tutti qualcosa da nascondere e di misterioso, mentre la radio dà notizia di un misterioso omicidio compiuto nei sobborghi di Londra e stranamente collegato alla locanda: è stata strangolata una donna che sembra avere un legame con un fatto di cronaca, accaduto anni prima, relativo a tre poveri bambini, come recita un enigmatico biglietto lasciato dall'assassino: 'Tre topolini ciechi: il primo è caduto nella trappola...” 
Durante la serata, poi, nel buio, viene uccisa un’ospite della pensione, la signora Boyle. 
Proprio la morte di questa donna scatena il panico tra tutti i presenti della locanda, mettendoli l’uno contro l’altro e insinuando il dubbio e il sospetto su ogni minimo gesto compiuto. 

Ambientazione classica da thriller, linguaggio semplice e, soprattutto, un’impeccabile caratterizzazione dei personaggi in questo adattamento del regista Tonino Tosto. Gli attori sono bravi, non solo a interpretare figure che a volte possono sembrare macchiettistiche e ridicole, ma anche a sottolinearne le giuste sfumature, i tic, i contorni psicologici, le manie, con la dovuta credibilità e con superba identificazione teatrale con le stesse. 
A cominciare dalla misurata Irma Ricco (Molly), educata, cortese, disinvolta, ottima cuoca sempre alle prese con pasticci di carne e scatolette, sempre indaffarata ai fornelli. 
L’autentica e briosa Simona Lattes (Julie), spavalda, ironica, indaffarata e stanca, autoritaria quanto basta e irresistibilmente caustica e verace, nel manifestare la sua quasi tangibile insofferenza. 
La vicina, Rita Barbiero (Meddlesome), personaggio aggiunto, che prepara crostate per socializzare e sogna in segreto l’estasi d’amore. 
La sorprendente Ornella Petrucci (Christopher Wren), nel ruolo scomodo e improbabile della stravagante artista, vestita come una “tavolozza di colori”, esuberante, esagerata, nevrotica e dall'aria appena spiritata, che si muove scomposta, sospesa e librante, quasi danzando, con fare leggiadro e infantile. 
La vivace Giusi Martone - con un paio di baffi esagerati, bombetta, valigetta e papillon - nella difficile ed equivoca parte maschile del signor Paravicini, l’ospite inatteso, dal passo incerto e l’aria bizzarra e trasandata, che sa di tutto un po’, anche di antiquariato, antipatico, saccente e insopportabile. 
La precisa e pignola Daniela Quattrocolo (la Signora Boyle), dal malumore cronico, petulante e criticona, noiosa, fastidiosa ed invadente: infuriata col mondo e mai contenta, cerca difetti in chiunque le capiti davanti. Alberto Piccio, un aderente e credibilissimo Maggiore Metcalf, dal portamento militaresco, educato, gentile, attento e sempre a suo agio e molto naturale in quei panni, che gli son quasi cuciti addosso. 
La signorina Casewell, una sempre disinvolta Flaminia Scardaone, puntuale e veritiera negli abiti di una fanciulla bella e solitaria, determinata, intuitiva e dai modi decisi e un po’ scostanti. 
E per finire il Sergente Trotter, un enigmatico Andrea Scaramuzza, una specie di conte di Montecristo inglese, avveduto ed efficace, che si muove bene sulla scena e nulla lascia trasparire fino all'epilogo a sorpresa. 

Attori e personaggi si sovrappongono perfettamente nella narrazione scenica, sia negli aspetti comici e bizzarri, sia nelle situazioni drammatiche e imbarazzanti che riannodano una trama semplice, ma coinvolgente. Consapevoli di essere “intrappolati”, in tutti i sensi, ne fuggono con successo, fino alla resa dei conti finale, con tipica sorpresa - qualcuno scoprirà di essere fratello e sorella - come si addice a un giallo d’autore e come dimostra la convincente recitazione di tutta la compagnia che riesce a catturare agevolmente l’attenzione e gli applausi dell’affollatissima platea.
13 giugno 2016 (Alfredo Laurano)

domenica 12 giugno 2016

VUOTI A PERDERE

E li chiamano tifosi! In teoria e sulla carta e, soprattutto, nelle cronache dove, con molta fantasia, tutto si deve definire.
Cominciano a bere birra, venduta generosamente e senza limiti, e a fumare erba alle nove di mattina; poi, quando sono gonfi d’alcol e di sufficiente malvagità, ben carichi di ingiustificata follia collettiva, cominciano a colpire, a picchiare, a sfasciare tutto, a lanciare sassi, sedie, bottiglie e tavolini, a spaccare teste a chiunque venga a tiro.
Le strade, in un momento, si lastricano di sangue, di vetri e di rifiuti. La città devastata.
Il caldo afoso infiamma gli animi, alimenta e favorisce gli scontri e la voglia di colpire, di menar le mani e i piedi. 
Hooligans contro russi, francesi contro inglesi e russi, ma anche polacchi e irlandesi, per gradire, in “tutti contro tutti” e contro la polizia che usa manganelli, lacrimogeni e spray urticanti.
Si consuma l’ennesima battaglia a Marsiglia, a Nizza o dovunque sia. Non importa dove, basta ci sia un pretesto o un’occasione: lo sport, il calcio, gli Europei c’entrano poco, anzi per niente.
Ci si picchia per piacere, per vendetta, per rabbia repressa, per disadattamento sociale e deficit educativi, per inconsistenza culturale.
Ci si esalta nel gioco osceno della guerra, in terribili corpo a corpo, uomo contro uomo, gruppi contro gruppi o, vigliaccamente, tanti contro uno, per vincere l’ambita coppa dell’imbecillità.
Bestie umane contro bestie umane, senza nazione, né identità sportiva, né cittadinanza: delinquenti apolidi, rifiuti dell’umanità.

La storia si ripete sempre, da sempre.
E, forse, da sempre, c’è troppa tolleranza e troppa impunità. Se questi vandali amano così tanto la violenza e sono invasi da tanto fervore distruttivo, perché non li impacchettiamo, li riforniamo di ingenti casse di birra - vuoti a perdere, in ogni senso - e li mandiamo in Libia o in Iraq a fronteggiare l’Isis?
12 giugno 2016 (Alfredo Laurano)



sabato 11 giugno 2016

PALLONCINI

Anche Sara, o quel che ne restava dopo il rogo che le aveva riservato il suo assassino, ha lasciato in via definitiva questo brutto mondo. Un mondo che le sembrava normale e che viveva come tutte le ragazze della sua età, fatto di sentimenti familiari, di amicizie e amori, di studi, passioni e desideri.
Molta gente silenziosa e commossa le ha dato l’ultimo saluto ed alcuni suoi amici l’hanno ricordata con un poster pieno di sue fotografie: mentre gioca, mentre scherza, mentre danza, con quelle scarpette rosa, che la mamma ha posto tra le lacrime sul feretro.
Scene di ordinaria normalità in quel collage, momenti di quotidianità, di sorrisi e di allegria di una ragazza, come tante, che coltiva sogni, speranze e futuro e che non s’aspetta di finire la sua vita a 22 anni, solo perché un mostro che diceva di amarla, ma che non ne disponeva più, come proprio giocattolo da possedere, ha deciso che così doveva essere.
E quel “suo” giocattolo, che si chiamava Sara, l’ha smontato, l’ha rotto e bruciato.
Ai genitori, agli amici, alla comunità, all’opinione pubblica non resta, come sempre e come unico atto consolatorio, che chiedere e aspettare giustizia: un ritornello che ormai è diventato quasi un inno quotidiano, una specie di formula sacra che può donare un grammo di conforto, se visto, soprattutto, come obiettivo minimo e possibile, in funzione di preghiera e di meditazione.
Da quando è morta Sara, ci sono stati già altri quattro femminicidi a Trieste, a Padova, a Pordenone e a Taranto. Di quelli consumati prima di lei, abbiamo perso il conto.
La violenza nelle mura domestiche contro le donne è continua e incessabile.
È un'escalation di brutalità con la quale non si può convivere, non può essere la nostra normalità. E non parliamo di raptus, di attenuanti o di provocazioni, quasi a giustificare l’orrore: la maggior parte delle donne uccise aveva già subito molte minacce, spesso o quasi sempre sottovalutate.
Dobbiamo pretendere la giusta e certa punizione dei colpevoli, ma soprattutto prevenire.
Tutti - genitori, parenti, amici, vicini, insegnanti e datori di lavoro - abbiamo l’obbligo morale e civile di vigilare contro la violenza e i maltrattamenti, contro gli atti intimidatori e persecutori, i prodromi e gli indizi da cogliere per tempo. Abbiamo il dovere di denunciare per proteggere e salvare ragazze, bambini e madri di famiglia, non di partecipare con rassegnazione ai loro funerali.
Con ogni mezzo consentito e con responsabilità e iniziative, soprattutto istituzionali, vanno combattuti e cancellati i modelli che oggettivizzano e degradano le donne e represse con durezza e senza sconti le odiose forme sessismo e misoginia - palesi o camuffate - che dilagano sul Web e nella vita sociale quotidiana, anche politica.
Va rifondata la cultura del rispetto e della parità.
E, soprattutto in questo senso, la scuola e le famiglie devono imparare ad educare i maschi per farli diventare uomini.
Non basta esporre un drappo rosso contro il femminicidio.
10 giugno 2016 (Alfredo Laurano)

venerdì 10 giugno 2016

CINQUE CERCHI E CINQUE STELLE

Tra dieci giorni non si andrà al ballottaggio per scegliere il sindaco di Roma, si voterà, in pratica, sul referendum delle Olimpiadi del 2024. 
Di questo si parla, si scrive, si chiacchiera nei talk. Si intervista la gente per strada, si stilano sondaggi. La stampa è schierata e fa pressione.
I problemi antichi e gravi della città sono quasi dimenticati: degrado, ambiente, traffico, buche, spazzatura, sicurezza, casa, trasporti, debito, appalti e via dicendo. Anzi, non dicendo affatto.
E’ come se i romani dovessero scegliere il proprio sindaco sulla base del gradimento o meno, o parziale, che i due sfidanti - Raggi e Giachetti - esprimono su un tema, falsamente prioritario, che supera ogni altra esigenza, istanza o progetto: la candidatura ai possibili, futuri, lontani Giochi. 

Non saranno e non sarebbero a costo zero per la città e, al momento, ci sono ben altre priorità e urgenze per la capitale, ogni giorno ostaggio di emergenze. Comunque, valuteremo! Si dice da una parte.
Quanti posti di lavoro, quanto ritorno economico e utili nell’indotto, quante opportunità per gli investimenti! Dicono i sostenitori dell’altra.
Anzi, costoro, per orientare meglio l’elettore - che ritengono forse un po’ stupido e indeciso - cercano di strumentalizzare anche le ingenue parole, estorte a un personaggio dello sport come Francesco Totti, che non può non essere naturalmente favorevole a un grande evento olimpico. Infatti, il “capitano” si è subito intelligentemente sottratto al giochetto di qualche intrigante mestatore e dissociato da tale vile tentativo di speculazione.
Per completare i contorni dello squallido ricatto, interviene, da par suo, il puffo premier che minaccia con protervia: “se vince la Virginia Raggi, Roma non avrà mai le Olimpiadi”.
Su questi argomenti, così essenziali e cari ai cittadini stanchi, si tenta di polarizzare i dibattito, sbandierando slogan minacciosi e avvertimenti, per mendicare voti e recuperare lo svantaggio del docile Giachetti.
Intanto, restano le buche e la monnezza, e la metro funziona a giorni alterni.
9 giugno 2016 (Alfredo Laurano)








martedì 7 giugno 2016

MA PASSIAMO ALLE COMICHE ELETTORALI

Non so se qualcuno di voi ha visto il breve filmato di Silvio Berlusconi che, prima di entrare nel seggio, si intrattiene con un gruppetto esiguo di suoi sostenitori, pronunciando la solita serie di freddure alla “pierino”, che non fanno ridere nessuno se non quei quattro sfigati esibizionisti che ancora lo blandiscono.
E, per compiacenza, si sforzano di ridere alle sue insulse e squallide battute da osteria: “Invece di andare a donne, tre volte a settimana dovevo stare con gli avvocati” … “Così, sei completo, cappello occhiali… hai messo il preservativo?” … “Chi mi sta mettendo una mano sul culo?
Triste, volgare e patetico: poveretto, fa veramente pena. Ma più di lui, la fanno quei devoti leccaculo che, senza vergogna, l’hanno pregato di farsi un selfie per la storia.
Che tristezza! Il famoso capocomico in disgrazia, scivolato nel teatrino del ridicolo, in una stentata macchietta di se stesso.

Qualcuno, giustamente, osserva: ma questo povero vecchio non ha un parente, una badante o qualcuno che gli vuole bene e gli risparmia queste esibizioni, nelle quali ci rimette in dignità? E la Pascale che gli fa? Che gli dice?
Non dico di tutelarlo con l’interdizione, privandolo della capacità di compiere atti pregiudizievoli e lesivi nei confronti di se stesso e dei suoi stessi interessi o di togliergli il diritto di sproloquio, ma almeno evitare di esporlo a tali umilianti forme di cabaret stradale di cattivo gusto e farlo vivere in un modo più adatto alla sua età.

E pensare che per lungo tempo è stato ritenuto, da qualche esaltato estimatore, uno dei più importanti statisti di questo Paese.
Poi, finalmente ha abdicato, ma è stato pure peggio!
 (Alfredo Laurano)



lunedì 6 giugno 2016

HAI VISTO MAI!

Volevo aggiungere due semplici considerazioni a quanto ho scritto stamattina sulle elezioni di ieri. Solo qualche banale dubbio su decisioni logicamente discutibili e qualche domanda retorica e, forse, maliziosa su strane strategie suicide.
La prima riguarda la scelta berlusconiana di appoggiare Marchini, dopo aver archiviato l’inerme Bertolaso, che ha spaccato il fronte dei suoi potenziali elettori, abbandonando la Meloni nelle sole braccia di Salvini e dei suoi Fratelli d’Italia. Due aspiranti sindaci al posto di uno.
Tale assurda decisione ha indubbiamente favorito Renzi e il PD che sono arrivati, pur annaspando, al ballottaggio. Se la scelta fosse stata unitaria e indirizzata sulla sola candidata Giorgia, come la logica suggeriva, al secondo round sarebbe certamente andata lei. Basta contare i voti e le percentuali.
Sembra quasi fatto apposta! Ma sarà solo un caso, non pensiamo a complotti o ad altri patti segreti e nazareni.

A Napoli, invece, i Cinquestelle hanno proposto tale Matteo Brambilla.
Domanda semplice, semplice: ma come si fa a candidare uno che si chiama Brambilla, che è nato a Monza e tifa Juventus? E che di napoletano ha solo la moglie?
Ma bisogna essere molto matti o molto ingenui, come il selvaggio di Voltaire! Oppure perché si preferisce perdere prima ancora di giocare. Infatti, si è fermato al 9%. 
Dabbenaggine, imprudenza o candore disarmante?
6 giugno 2016 (Alfredo Laurano)