venerdì 29 giugno 2018

FORTUNELLI D’ITALIA


È confermato: sono oltre 5 milioni i poveri assoluti in Italia, il numero più alto dal 2005. Crescono anche i poveri relativi, cioè coloro che, pur avendo un lavoro, arrivano con difficoltà alla fine del mese e non hanno da mangiare due o tre volte al giorno: quasi 10 milioni di persone.
Più si è giovani, under 35, più si è poveri. L’indigenza è aumentata soprattutto a Sud, nelle grandi città e nei centri fino a 50 mila abitanti. Il fenomeno è tuttavia presente anche nelle periferie delle aree metropolitane del Nord.
Tra costoro, ci sono i disoccupati, i pensionati al minimo, i separati che hanno perso famiglie, salari e sicurezze e, magari anche il lavoro, quelli che mangiano alla Caritas, che vivono in macchina o nelle roulotte.
Poi, ci sono i fortunelli, quelli che hanno vinto la speciale lotteria del santo amico. Sono quelli di una speciale casta - parlamentari e manager - che godono di immorali privilegi, catturati non proprio col sudore della fronte.

Le pensioni d’oro - da 6 a 90mila euro netti al mese - sono inaccettabili, ma sono figlie delle disuguaglianze del lavoro che, prima o poi, qualche governo (anche l’attuale) dovrà seriamente e organicamente riformare. Teniamo conto che la maggior parte dei pensionati italiani - il 75% - prende meno di 1.000 euro di pensione al mese,
I vitalizi di 6-7000 euro, riconosciuti anche a chi è stato solo tre giorni in Parlamento (i comuni cittadini devono lavorare fino a settant'anni), non sono diritti acquisiti, ma privilegi rubati, sonori schiaffi alla miseria.
Chi non è d’accordo su queste apodittiche affermazioni?
Tali squilibri attuali sono, in ogni caso, il frutto di forti differenze salariali, durante la vita lavorativa, tra super-stipendi di dirigenti pubblici, ad esempio, e paghe dei lavoratori a basso reddito, divisi tra salari da fame e contratti precari a intermittenza.
Le discriminazioni e i confronti sono evidenti e scandalosi.
Ma, tuttavia, per onestà intellettuale, per non gettare fumo agli occhi degli italiani già incazzati, per non cadere nella populistica trappola delle apparenze, dei titoloni dei giornali, delle sdegnate rivolte popolari, è bene ricordare che i vitalizi erogati a ex deputati dalla Camera sono in tutto 1.405 (per quelli in carica e quelli futuri, il vitalizio non c'è più), e nemmeno tutti dovrebbero essere ricalcolati e abbassati col sistema contributivo, per un presunto risparmio totale di 35-40 milioni per le casse dello Stato. Un’inezia, un segnale del tutto simbolico e morale, rispetto al pesante debito pubblico che ci portiamo sulle spalle.
Stesso discorso, più o meno, vale per le circa ventimila pensioni auree di felici paperoni.
L’eventuale sforbiciata (490 milioni, che per oltre la metà verrebbe annullata dal minor gettito Irpef) “non può violare il principio di affidamento perché, in corso d’opera, non si possono cambiare le regole del gioco in maniera significativa. Se una persona ha pensione da 4mila euro, non ci potrà essere un taglio a 1500 perché la sua vita ne verrebbe stravolta”.
Il legislatore può quindi effettuare solo interventi di carattere eccezionale, transitorio e non arbitrario allo scopo prefissato, per non cadere nell’incostituzionalità.
Per non parlare del fatto che eventuali tagli su vitalizi e pensioni d’oro rischiano di far scattare ricorsi a catena e class action (gli ex parlamentari già protestano: "chiederemo i danni ai membri dell'ufficio di presidenza della Camera") e di portare vantaggi economici assai risicati e del tutto insufficienti a finanziare misure come il reddito di cittadinanza o l’aumento delle pensioni minime.
A meno che tutto ciò non costituisca un diversivo cavallo di Troia per rimettere in discussione tutte le pensioni retributive degli italiani che, come il presidente dell'INPS Tito Boeri ha più volte suggerito, verrebbero ricalcolate con l'attuale metodo contributivo.

Quindi, non facciamoci illusioni, aboliamo i privilegi dove si può e accontentiamoci della pillola morale che rinfranca la coscienza e rispolvera il senso di giustizia e pulizia.
È opportuno, però, andare oltre, lavorare, progettare, disegnare e costruire una società più equilibrata, sotto il profilo del reddito lavorativo e di conseguenza di quello pensionistico, pur nei vincoli inalienabili del liberismo.
Anche per dare un segnale di fiducia ai delusi, ai giovani e alle nuove generazioni. (Alfredo Laurano)

mercoledì 27 giugno 2018

GIRA LA RUOTA


L’ennesima batosta incassata dal PD ai ballottaggi di domenica scorsa - dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 e dopo il voto del 4 marzo scorso - l’uomo di Rignano, già premier e già segretario del partito, sta riflettendo sul suo futuro.
Che fare? Come diceva e scriveva Lenin, ma senza alcuno accostamento blasfemo e irriverente al grande rivoluzionario.
Al momento, sembra essersi allontanato dalla politica attiva e non molto interessato all’analisi delle sconfitte e al congresso del partito devastato. 
È stato assente e piuttosto evanescente in quest’ultimo scorcio di campagna elettorale, anche perché al Nazareno, prima delle sfide, gli avevano chiesto di non fare comizi, di farsi un po’ da parte e di lasciare ad altri la vetrina del richiamo.
Ma anche così non ha funzionato, forse perché, anche se non appare o compare in prima persona, è ancora percepito come guida e padrone della banda.

Secondo alcuni, starebbe accarezzando l'idea di un partito tutto suo. Un progetto politico sul modello della macroniana En Marche, a quanto pare, naufragato in fieri perché, secondo i sondaggi, non andrebbe oltre il 4%.
Ecco, allora, l'idea del piccolo schermo, un contesto congeniale a Renzi che conosce il mezzo televisivo fin da giovanissimo: nel 1994 prese parte come concorrente a "La ruota della fortuna" di Mike Bongiorno.

È questa l'idea, non più molto segreta, che Matteo Renzi, ormai ai margini della scena politica italiana, custodisce nel cassetto dei suoi sogni? Se non un partito, almenoun programma TV tutto suo.
Altro che riformare l'irriformabile PD, che ormai ha snaturato, disintegrato e ridotto a movimento d’opinione e di rimpianti!
L'ex premier starebbe pensando di fare una trasmissione sulle bellezze di Firenze, nell'insolita veste di guida turistica, in cui esplorerà anche quelle del nostro Paese, partendo proprio dalla sua città, culla del Rinascimento. I primi ciack sarebbero stati già girati, ma non è stato ancora finalizzato un accordo per la messa in onda. Il destinatario non dovrebbe essere Netflix, come qualcuno ha ventilato, ma un canale in chiaro della televisione "tradizionale".
Se ciò fosse vero, dopo la Leopolda - la convention da cui nacque la sua gloria nell'ormai lontano 2010 - questa nuova sfida mediatica certificherebbe la fine ufficiale del Pd renziano e forse del Renzismo, meteora di un astro cadente.

E il povero partito, da lui sedotto e abbandonato, in bilico fra l’inconsistenza politica e il vuoto di potere, si avvicina alla scomparsa, dopo l'ennesima sconfitta elettorale e il "rompete le righe" che qualcuno già pronuncia, se non ritrova la voglia di rinascere e rifondarsi, anche sotto un altro nome, un altro simbolo, un’altra speranza, fondata sulla sua storia. Ma con chi, con Martina, con Orfini, con Del Rio o con Cuperlo e Zingaretti alla riscossa? 
Non c’è molto da scegliere.
Il momento è particolarmente delicato. Meglio cercar fortuna al circo, a Zelig o nei panni di valletto di Barbara D’Urso, sempre sensibile ai casi più pietosi.
Oppure darsi all’ippica o al pentimento mistico in convento.
Male che vada, c’è forse all’orizzonte anche il reddito di cittadinanza.
 (Alfredo Laurano)

lunedì 25 giugno 2018

IL RUSPANTE

...Regnando bastoni
Un personaggio più unico che raro. Un politico fai da te, ruspante come un galletto cresciuto razzolando nell’aia di famiglia.
Ministro dell’Interno, vice presidente del Consiglio, Capo della Lega, nonché della Padania, di cui non si parla quasi più.
Si sta impadronendo di un governo tutto fare, fagocitando il giovane Di Maio, e le altre stelle, esaurito dalla lunga e difficile trattativa per quell’accordo, che gli ha permesso di restare a galla, senza sprofondare nel fallimento di un obiettivo assai vicino, ma quasi evaporato. Un successo ottenuto nei tempi supplementari o di recupero, all’ultimo minuto, che oggi lo costringe a moderare, a frenare, a contenere e smussare dichiarazioni e proclami a tutto campo del masaniello padano, che ha la metà dei suoi parlamentari.
Anche il premier ufficiale Giuseppe Conte, ripescato nella lotteria dei passi perduti, è apparentemente telecomandato, si muove con discrezione, con fare istituzionale e senza far troppo rumore.
Insomma, il guascone Salvini, a dispetto dei suoi ruoli, è salito sul ponte di comando, ha scoperto e rilanciato con successo la politica dal basso, da bar, da stadio o da pizzeria. Quella facile, immediata, istintiva e malpancista che sfrutta gli umori popolari, la rabbia repressa, l’odio e la xenofobia, attraverso il linguaggio semplice e incisivo dei social e della contrapposizione. Quella che ama, capisce e apprezza il cosiddetto italiano medio, insieme alla ex casalinga di Voghera, ormai in pensione, che coltivano l’orticello proprio, perimetrato da interessi e tornaconto personale.
Parla, scrive, twitta come si fa fra amici ed avventori occasionali, tra un bicchiere e l’altro, e dice ciò che molti vogliono e si aspettano che dica: una battuta sul Milan e la campagna acquisti, una sui vaccini che son troppi e non tutti necessari, un’altra sulla sicurezza e la legittima difesa, una scelta minacciosa su Ong, su migranti e porti chiusi, su campi nomadi e censimenti, con o senza ruspe.
Nord, felpe, secessione, sacro Po, Roma ladrona e Alberto da Giussano sono rimasti solo nei ricordi dei più anziani e nelle spille, all’occhiello delle giacche dei leghisti più eleganti.
Gli va riconosciuta una grande capacità di comunicazione, un uso spericolato e chiaro del linguaggio, anche non verbale, unito a una presenza continua e pressante dappertutto, a un fare diretto e a un abbigliamento informale e familiare
Tutto ciò miete plausi e consensi e gli permette di ricattare, a suon di numeri e sondaggi, i suoi preoccupati coinquilini.
E, prima o poi, arriveranno, forse, pure i fatti.
Pregate, toccatevi, fate pegno o fate vobis.
 24 giugno 2018 (Alfredo Laurano)



mercoledì 20 giugno 2018

C’ERA UNA VOLTA UN ORCO


Al confronto, Salvini è un buonista, missionario di pace e di accoglienza.
Sui pianti dei bambini che invocano mamma e papà, Donald Trump, contestato pure dalla moglie succube Melania - “è odioso vedere bambini separati dalle loro famiglie" e, con toni ben più duri, anche da Laura Bush, da Michelle Obama e da Hillary Clinton - gioca la più cinica e redditizia delle campagne elettorali. Sta puntando tutto per indirizzare la collera degli americani verso i democratici e il Parlamento che non vuole accettare di passare le leggi del presidente.
All'orizzonte c'è il voto di novembre e l'enorme vuoto di una promessa mancata: il muro sul confine tra Stati Uniti e Messico, come ricorda Vittorio Zucconi.
Tolleranza zero, quindi, verso i migranti voluta dalla Amministrazione Trump.
Le azioni abusive devono avere conseguenze, perché la legge impone di fermare chi attraversa la frontiera in maniera illegale, portarlo dinanzi alla giustizia e dunque separare le famiglie: è scontato che i bambini non finiscano in carcere con i genitori, quando questi vengono arrestati o incappano in guai giudiziari.
In sei settimane, allora, duemila bambini provenienti dall’America centrale, sono stati allontanati dalle loro famiglie al confine tra i due stati, rinchiusi nelle gabbie, in attesa di un verdetto sulla possibilità o meno di restare negli Stati Uniti. 
Il loro disperato pianto, diffuso da un attivista per i diritti umani, è stato ascoltato ormai da tutto il mondo.
Ma la vicenda sta spaccando l'America e creando tensioni anche in campo repubblicano: lo strazio per quei pianti che si moltiplicano nei centri di detenzione, sta piegando il partito repubblicano. 
Contro la volontà dell’orco Trump, i leader della destra al Congresso sono pronti a votare nuove leggi che impediscano le separazioni dei nuclei familiari tra gli immigrati arrestati.
“Abbiamo bisogno di vivere in un Paese che governi con il cuore", ha aggiunto Melania. Chissà quanto pagherà certe sue autonome, improponibili riflessioni di donna e di madre (Alfredo Laurano)

martedì 19 giugno 2018

ALTRO CHE MANGANELLO!

Molto presto, gli agenti della Polizia italiana, oltre alla pistola d’ordinanza, saranno dotati di taser, la pistola elettrica resa celebre dall’uso di quella statunitense. 
E’ di colore giallo, ha dimensioni un po’ più grandi di una Beretta e può colpire il bersaglio fino a 7 metri di distanza. Ne è consentito l'utilizzo nel caso di interventi con soggetti particolarmente esagitati o per eseguire ordini di ricovero per pazienti cui debba essere somministrato il trattamento sanitario obbligatorio, ma il ricorso alla pistola elettrica potrebbe estendersi anche a casi di micro delinquenza. 
Un’alternativa alle armi da fuoco e, soprattutto, al manganello: nessun proiettile, ma una scarica elettrica ad alto voltaggio in grado di immobilizzare un essere umano. 
Il dispositivo è classificato tra le armi da difesa non letali, che usano l'elettricità per paralizzare i movimenti del soggetto colpito, facendone contrarre i muscoli. In italiano è anche noto come "storditore elettrico". Ma le sue scosse possono essere mortali. 
Come annunciato dal capo della polizia, Franco Gabrielli, la sperimentazione in Italia inizierà molto presto e dovrebbe riguardare sei città - Milano, Padova, Reggio Emilia, Caserta, Brindisi e Catania - e circa duecento agenti. Costa 1.200 dollari e si usa in 107 Paesi del mondo, fra cui: Stati Uniti, Canada, Australia, Brasile, Francia, Germania, Gran Bretagna e Finlandia. 

Gli effetti di quest’arma, quindi, non sono innocui e negli Stati Uniti hanno dato vita ad accesi dibattiti. Nel 2017 l’Onu ha classificato il taser come strumento di tortura, e Amnesty International ha denunciato centinaia di morti, causati dal suo utilizzo. 
Secondo queste organizzazioni, il Taser viene usato con troppa leggerezza e, a causa delle scariche elettriche, solo in America sono morte più di 800 persone, la quasi totalità disarmate. Morti dovute allo choc elettrico provocato in persone con problemi cardiaci o di tossicodipendenza o sofferenti di disturbi mentali o neurologici. Segno che la pistola viene usata principalmente contro chi, a causa di problemi psichici, reagisce al fermo di polizia e non regge l'impatto elettrico. 
Anche in Italia non mancano perplessità e polemiche circa l'utilizzo di quest'arma definita "non letale" ma che, in realtà, può esserlo davvero. 
(Alfredo Laurano)

lunedì 18 giugno 2018

CONCERTINAS


Finalmente, in un giorno di sole, fra canti, balli, lacrime, sorrisi e contrastanti emozioni, nave Aquarius è arrivata a Valencia, dopo un lungo e pericoloso pellegrinaggio nel Mediterraneo. È la fine di un incubo, almeno per ora, che si è trasformato in sogno reale per i 630 migranti raccolti in mare, nove giorni fa. 
Ad aspettare sul molo, un imponente spiegamento spagnolo: 2.300 persone tra cui mille volontari della Cruz Roja, 400 della Policia Nacional, cento della Guardia civil, 400 traduttori. Dopo la chiusura dei porti italiani decisa da Matteo Salvini, ora la politica spagnola mostra massima apertura nell’accoglienza ed ha voluto fare le cose in grande, organizzando un evento che nelle intenzioni vuole essere epocale, anche per mostrare al mondo il nuovo corso del governo Sanchez sul tema immigrazione, e non solo.
Ma la Spagna mantiene e nasconde, tuttavia, un grande vulnus, un dramma umanitario che si ripete quasi quotidianamente nelle sue due cittadine di Ceuta e Melilla, enclave spagnole nell’estremo nord del Marocco, proprio di fronte a Malaga, circondate su tre lati da gabbie alte e quasi invalicabili di filo spinato, il quarto lato è il mare. 
Si chiamano concertinas, una parola dal suono dolce e un po’ infantile che vuol dire “fisarmoniche”, ma che raccolgono e concentrano le angosce di molti. 
Sono strutture tubolari di acciaio, recinzione triple a fisarmonica, rigide, armate di lame affilate, fissate in cima alle barriere, praticamente insormontabili, controllate e sorvegliate di continuo, anche tecnologicamente, con telecamere e infrarossi.
Il neo ministro dell’Interno spagnolo ha detto che farà tutto il possibile per rimuoverle per rispetto della dignità delle persone e perchè causano gravi lesioni ai migranti che tentano di scavalcarle per raggiungere l’Europa. 

Affacciate sul Mediterraneo, a sud-est dallo Stretto di Gibilterra ‒ ponte tra due continenti, già definito “fine del mondo” ‒ Ceuta e Melilla, per la loro posizione strategica su un tratto di costa privilegiato, da decenni sono identificate dai migranti come possibili porte d’accesso all’Europa. 
Giorno dopo giorno, infatti, uomini, donne e bambini provenienti dai più svariati Paesi africani ed asiatici devastati da guerre, povertà e persecuzioni d’ogni tipo, lasciano famiglie, case e luoghi d’origine, attraversano interi Stati per provare a varcare, anche più volte e ferendosi spesso gravemente, la soglia sbarrata di quei fazzoletti di terra iberica nella vastità del continente africano. E’ l’alternativa al viaggio per mare verso le coste italiane, maltesi, greche o cipriote. 
Sfidano sorte e legislazioni, fame e sete, criminali e trafficanti, barriere naturali e artificiali, milizie e prigioni, al fine di giungere in Europa, superando quelle barriere alte sei metri e lunghe complessivamente 20 chilometri che segnano il confine con la speranza, in terra marocchina.
Nella notte e nella nebbia, si raccolgono i cadaveri nel mare, di quelli che non ce l’hanno fatta - la gente si è quasi abituata a veder galleggiare corpi di migranti, che affogano perché “los negros non sono capaci di nuotare” - e si cercano quelli che provano a "dar el salto", per sbucare finalmente nella terra promessa. 
Senza una corazza e senza saper volare, è assai difficile penetrare in una fortezza, soprattutto Ceuta, che vive come nel Medioevo, con i fossati, le torri di avvistamento, le pattuglie con i pitbull, pur a non molta distanza dai turisti al sole, che nemmeno sanno cosa succede lì vicino. 
Di recente, due migranti hanno tentato il salto e ci sono anche riusciti, sono scattate le sirene e i fari hanno illuminato la scena: uno aveva rotti tibia e perone, ma era anche pieno di tagli che schizzavano sangue. L'altro aveva i tendini delle mani recisi, cioè mani inservibili forse per sempre. Non bastano gli stracci con cui si coprono per salire, o le scale fatte di legni e di rami, come si usava nei combattimenti di tanti secoli fa. 

È un fenomeno che non si può fermare. Sono poveri, disperati, pronti a tutto pur di passare. Fuori Tangeri, ci sono accampamenti di migliaia di persone, che aspettano il momento giusto, via mare o via terra, per tentare la lotteria. Come anche vicino a Melilla, tremila migranti vivono o sopravvivono nella sierra di Nador, dove ogni tanto la polizia marocchina fa retate e distrugge le baracche nella foresta. 
Questi sono gli effetti delle poco armoniche e poco musicali “concertinas”, che suonano concerti di morte e repressione e che ora la Spagna, a guida socialista, cerca di eliminare dalla sua storia. 
17 giugno 2018 (Alfredo Laurano) 

domenica 17 giugno 2018

VENITE DONNE, È ARRIVATO L'ARROTINO-UNTORE...

Unge e arrota coltelli, forbici, forbicine, coltelli da prosciutto e componenti sessuali arrugginite!
Donne, è arrivato l'arrotino e l'ombrellaio; aggiustiamo gli ombrelli, ripariamo cucine a gasse e malattie d'amore: abbiamo tutti i pezzi di ricambio. Se avete perdite, noi le aggiustiamo, se la vostra topina fa fumo, noi togliamo il fumo della vostra topina. Lavoro subito ed immediato.
Ma non garantito!
Condivido le puntuali riflessioni dell'amica Giulia Bettini, ricordando che, circa un anno fa, un altro untore seriale, il sieropositivo Valentino Talluto è stato condannato a 24 anni di carcere.
La Procura aveva sollecitato l’ergastolo con due anni di isolamento diurno (più l’esclusione delle attenuanti generiche visto che il 33enne di Anzio «non ha mai dimostrato pentimento»), ma dopo 11 ore di camera di consiglio la terza Corte d’assise di Roma ha accolto la richiesta dell’accusa a metà: caduta l’accusa di epidemia dolosa, contestata per la prima volta in Italia, è rimasta solo quella, più lieve, di lesioni gravissime. La difesa, invece, durante il processo aveva cercato di ridimensionare le responsabilità dell’imputato attribuendole a una sorta di «superficialità».
Questo nuovo, cinico untore anconetano ha spiegato che "L'HIV non esiste, è una balla: sono i farmaci che ti ammazzano". 
(Alfredo Laurano)

Untori. Così venivano chiamati coloro che nel 1500/600 erano accusati di diffondere la peste. Una parola che non avremmo mai pensato di sentire pronunciare ai giorni nostri! E invece si pronuncia ancora.
Con la differenza che i moderni untori non diffondono più la peste, ma l’AIDS! È il caso di Claudio Pinti, 36 anni, sieropositivo da circa 10 anni, e perfettamente consapevole di esserlo. Nel dicembre dello scorso anno, era morta, di AIDS appunto, la moglie da lui contagiata. Ma questo criminale, nel corso degli anni, aveva avuto rapporti NON PROTETTI, con più di 200 donne, per lo più contattate in chat, e che ovviamente aveva tenuto all’oscuro della sua malattia. A denunciarlo è stata la sua ultima compagna che, dopo tre mesi che lo frequentava, si è ritrovata contagiata. E l’ha denunciato non tanto per vendetta, ma perché a nessun’altra donna potesse accadere ciò che era accaduto a lei. 
La polizia, dopo averlo arrestato, ha diffuso la fotografa di questo mostro, con la speranza di individuare tutte le eventuali donne, nonché potenziali vittime, che avessero avuto rapporti con lui.
Ora, non basta che quasi ogni giorno la cronaca ci informi di donne uccise, bruciate, massacrate, fatte a pezzi, violentate, sfigurate, sparite, sgozzate...no, ci mancavano giusto gli untori!
Ma BASTA, BASTA, BASTAAAAAAA!
È urgente, anzi urgentissimo, cambiare le pene per questi esseri che non sono degni di chiamarsi “uomini”!
Basta rito abbreviato, basta pochi anni di carcere, basta sconti di pena! Questi non sono individui che agiscono in preda ad un raptus, questi sono ASSASSINI che premeditano ogni cosa. Per costoro ci vuole l’ERGASTOLO! Ma un ergastolo vero, e forse questa carneficina finirà!
E guardatelo, l’untore, che aria da bravo ragazzo ha!
E questa è forse la cosa che fa più paura: che quasi sempre, poi, si sente dire: “eppure sembrava una così brava persona” ....

sabato 16 giugno 2018

AIUTIAMOLI A CASA LORO: NEI NUOVI LAGER

Tutti ormai sappiamo che in Libia si consumano violenze come nei campi nazisti. Ce lo hanno documentato varie inchieste e reportage, ce lo raccontano Viviano e Ziniti, in "Non lasciamoli soli", dove ci spiegano quanto sia atroce quello accade al di là del mare nostrum.
L’inferno esiste ed è proprio in Libia. 
Centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini vengono ogni giorno torturati nel fisico e annientati nella mente, proprio come nei campi di concentramento. Sepolti vivi e dimenticati in quell’enorme buco nero che è diventata la Libia dopo gli accordi dell’estate scorsa tra il governo italiano di Gentiloni-Minniti e quello di Fayez Al Sarraj. Quell’intesa, definita “disumana” dalle Nazioni Unite, ha trasformato il paese africano in una trappola mortale: i migranti che vogliono arrivare in Europa, ma anche quelli che sono stati respinti, vengono portati nei centri di detenzione, i nuovi lager.
In Libia attualmente ce ne sono 34, controllati dal Ministero dell’Interno di Tripoli e, di questi, solo una ventina sono quelli che le agenzie Onu, Oim e Unhcr hanno potuto visitare.

Quello che accade in quei luoghi è atroce. Da quando le partenze verso l’Italia sono rallentate, qui i tempi di permanenza dei migranti si sono notevolmente allungati.
Chi è riuscito a fuggire da quei lager, ha raccontato di donne e bambine violentate da decine di uomini, costrette a prostituirsi, e di ragazzi che, arrivati in Libia, dopo mille peripezie, per poi cercare di raggiungere l’Europa, hanno scelto di diventare loro stessi torturatori.
Poi ci sono quelli che vengono utilizzati per fare i becchini del mare, raccogliendo migliaia di corpi di uomini, donne e bambini, senza gambe, braccia, a volte senza testa e che tutti i giorni sono costretti a riempire le fosse comuni, sotto le dune di sabbia del deserto. In tre anni di corpi ne ha raccolti a migliaia.
Tutto questo mentre l’Italia ha deciso di addestrare, finanziare e dotare di motovedette la guardia costiera libica, che non fa altro che riportare quelle persone nei centri di detenzione. Hanno fatto il giro del mondo le immagini registrate dalle telecamere della nave della Ong Sea Watch in acque internazionali in cui si vedono i miliziani della guardia costiera libica maltrattare e gettare in mare i migranti che cercavano aiuto.
La strategia dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, che oggi critica il comportamento di Matteo Salvini, non sembra abbia fatto di meglio con i “respingimenti concordati” con questi trafficanti.
È stato un patto criminale quello stretto con Fayez Al Sarraj e alcune tribù del Sud della Libia?
Quando l’Onu l’ha denunciato, l’ex governo e la maggioranza sono rimasti in silenzio. Perché l’accordo (riccamente finanziato) tra Italia e Libia ha avuto come conseguenza quella di allungare i tempi di permanenza nei lager.
Certamente è stato un patto criminale, perché gli sbarchi sono stati ridotti, ma hanno intrappolato in Libia centinaia di migliaia di migranti, ridotti a schiavi e soggetti a ogni tipo di tortura.
La verità è che nessun accordo potrà arrestare il flusso migratorio epocale di questi ultimi anni, perché le cause sono da ricercare nelle drammatiche condizioni di vita di buona parte dei paesi dell’Africa. Dopo che li abbiamo sfruttati da sempre, non possiamo far finta che non esistano, ancora più perché oggi l’Africa è un nuovo campo di semina della jihad.
15 giugno 2018 (Alfredo Laurano)



SALTAFILA


Perché un turista, soprattutto in zona Vaticano o al Colosseo, vale oro! 
Da qualche settimana, l’area di Prati, intorno o vicina a S. Pietro, è letteralmente invasa e presidiata da truppe sparse di giovani accalappiatori di turisti, che arrivano prevalentemente in metropolitana.
Via Ottaviano e tutte quelle limitrofe, trasversali o parallele, sono oggetto d’incontro e di programmi di guide ed agenzie turistiche che propongono un vasto repertorio di servizi. In quella sola via ce ne sono almeno un centinaio in 150 metri. 
Il giro d’affari di guide e procacciatori abusivi è stimato in circa 300 mila euro al giorno.
Si parla di migliaia di persone, per lo più giovani, in almeno la metà dei casi, stranieri, che adescano il turista con la scusa, il più delle volte, di fargli saltare la fila ai Musei Vaticani e alla Cappella Sistina (spesso, la fila parte da via del Beato Angelico) e poi gli offrono biglietti per l'ingresso ai monumenti ad almeno il doppio del prezzo reale o imperdibili tour tra le meraviglie di Roma, che di meraviglioso non hanno proprio nulla. 
Il fenomeno è in continua crescita, nonostante i controlli, che comunque languono. 
Basta vedere cosa succede il mercoledì, ad esempio, quando c’è l’udienza del Papa: i turisti vengono intercettati alle uscite della metro di Ottaviano e non mollati più.
L’assedio da parte dei “saltafila” si estende fino a piazza Risorgimento, via della Conciliazione, Borgo Pio, Castel Sant'Angelo e attorno all’area archeologica del Colosseo e Fori imperiali, che sembra una specie di corte dei miracoli: guide, ambulanti, risciò e centurioni. 
Vengono proposti tour e visite guidate anche in pullman, in tutte le lingue e con entrata privilegiata, dei monumenti e della storia di Roma, sia attraverso itinerari classici, sia attraverso percorsi tematici e insoliti, dedicati alle bellezze più nascoste della città. Tutti assicurano al cliente un’esperienza rilassante ed una attenzione personalizzata.
Anche se, per un ignaro turista è sempre più difficile distinguere e scegliere fra un’improvvisata guida, munita di un approssimativo cartellino al collo e materiale illustrativo, e un serio tour operator in grado di assicurare visite didattiche, viaggi d’affari o di piacere, su misura, per gruppi, singoli e famiglie, nonché eventi congressuali. escursioni, passeggiate a cavallo e visite enogastronomiche. 
Ma quanto gli daranno a questi giovani procacciatori, quasi tutti in nero? 
13 giugno 2018 (Alfredo Laurano)


martedì 12 giugno 2018

E’ FINITA LA PACCHIA

Ma quando era iniziata? 
Una cosa è certa: la pacchia di cui parla Salvini non può finire, semplicemente perché non è mai cominciata. 
A meno che non si voglia assimilare un drammatico viaggio in mare di migranti su un gommone o una carretta, o nel fango e nel freddo dei Balcani, dopo la disperata scommessa di un attraversamento del deserto e una lunga, bestiale, disumana, permanenza nelle prigioni-bunker libiche, a una condizione di vita facile, spensierata, senza fatiche, problemi e preoccupazioni materiali, con il privilegio di avere da dormire, da mangiare e bere in abbondanza e pure un cesso per cento persone, in un ghetto che si chiama CIE (Centri di identificazione ed espulsione).


Un traguardo conquistato per caso da fortunati da fortunati sopravvissuti a mille occasioni di tragedia e di fine prematura. 
E, magari, anche con un piacevole lavoro di raccoglitore di meloni e pomodori, sotto il sole e a schiena curva, a ben due euro l’ora.
Che culo, che pacchia, che bel paese boccaccesco di Bengodi! 
Da quando ha giurato di fronte al capo dello Stato, il neoministro dell’Interno Matteo Salvini non fa che invocare più espulsioni e rimpatri dei migranti irregolari. Prende di mira le Ong, alcune delle quali non fanno volontariato, non salvano vite perché fanno affari, speculazioni e fungono da taxi. 
Il tutto non fa altro che accrescere l’imbarazzo dell’anima sinistra del Movimento Cinque Stelle, che fa riferimento al presidente della Camera Roberto Fico, la stessa che in fondo non ha mai digerito l’alleanza gialloverde. A questa corrente appartengono parlamentari come Nugnes, Gallo, fino ad arrivare ai senatori Morra e Taverna. 
Eppure i loro malumori restano sottotraccia per evitare lo scontro con i vertici, ma, assicurano di non voler cedere alle istanze leghiste che non fanno parte del “nostro programma”, perché: “il principio di solidarietà è la nostra bandiera e in aula faremo sentire il nostro pensiero”. 
E’ certamente un tema delicato da affrontare, una vicenda su cui si sono fatti anche soldi, si è lucrato e si è fatto business. Quello delle Ong è un lavoro indispensabile, anche se alcune sono state oggetto anche di questioni legali e giudiziarie. 
Intanto, mentre continua il braccio di ferro tra Italia e Malta, su dove debba attraccare la nave Aquarius di Sos Mediterranee, con il suo carico di vite strappate alla violenza del mare, Salvini tiene duro: “Salvare le vite è un dovere, trasformare l'Italia in un enorme campo profughi no. L'Italia ha smesso di chinare il capo e di ubbidire", scrive su Facebook, ribadendo la linea dell'intransigenza.
Il presidente Fico, invece, ha ricevuto a Montecitorio una delegazione di Medici senza Frontiere, l'Ong che lo scorso anno si è rifiutata di sottoscrivere il codice di condotta, redatto dal Viminale a firma Minniti, sottolineando che “chi fa solidarietà deve avere tutto il supporto dello Stato e non solo sul tema dei migranti, ma sulle sofferenze in generale e dei diritti”. 
La nave Aquarius, intanto, resta al largo col suo carico di 629 vite umane, che per il momento, scoprono e assaporano sul ponte l’irresistibile fascino della pacchia. 11 giugno 2018 (Alfredo Laurano)


                                       

lunedì 11 giugno 2018

CARO, CHE TE PARO?


E’ sempre tempo di riti e di parate: storiche, sportive, marziali, politiche, religiose e tradizionali. Tutte condotte con fierezza, con orgoglio e con qualche rivolo eccessivo di fluttuante vanità.
Dopo la rivista militare del due giugno, si è appena svolta a Roma quella del Gay Pride, per la rivendicazione dei diritti delle persone Lgbt - lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali: come sempre, da una ventina d’anni, un concentrato di allegria, provocazione e stravaganza, di musica e colori, tra bandiere, striscioni, parrucche, piume, costumi, nudità e carri allegorici.
Al centro dell’attenzione, non solo popolare, i valori di laicità, i diritti alla parità, alla salute e alla libertà di tutti, per contribuire a cambiare radicalmente la cultura omofoba, i pregiudizi morali e le discriminazioni sociali e di genere del nostro castigato Paese.

Stavolta, però, insieme alle chiappe al vento, alla sfilata dell’orgoglio gay di Roma c’erano anche i fazzoletti rossi dei vecchi partigiani.
“Brigata Arcobaleno, la liberazione continua”, questo il motto, con due testimonial d'eccezione: i giovanissimi partigiani Tina Costa di 93 anni e Modesto di 92, che hanno partecipato alla liberazione dell'Italia dal nazifascismo e che gli organizzatori hanno convinto ad aprire il corteo, cui hanno aderito anche il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il Pd, LeU e Amnesty International Italia.
Premesso che l’articolo 3 della Costituzione recita che ognuno è libero di vivere la propria vita come crede e che deve essere applicato a tutti, mi sembra che per gridare libertà, diritti e giustizia contro ogni repressione, discriminazione e fascismo, non sia politicamente e moralmente corretto sfruttare i nobili ideali della Resistenza. Anche perché, come è noto, non risulta che i partigiani abbiano combattuto per i diritti degli omosessuali (in verità, non potevano proprio sopportarli), che andassero sui monti, canticchiando “bello ciao” e sparando all' impazzata contro i nemici omofobi. Anzi, all’epoca, il Partito Comunista, a cui quei partigiani facevano riferimento, li perseguitava e li espelleva.
Ma sono dettagli, letture e preconcetti del passato, perché oggi, pur di raggiungere il proprio scopo, si modificano i giudizi, si rivisita la Storia, se ne racconta un’altra, si strumentalizza tutto: persone, simboli e ideali.
Dalla gogna deviante di una diffusa e odiosa omofobia - da denunciare e reprimere sempre e senza dubbio alcuno - si passa, con troppa insostenibile leggerezza, a promuovere un’onda piena e straripante di omofilia, elevata a norma comportamentale, a parametro di libertà e consenso, a standard di vita, a canone etico. Grazie, anche e soprattutto, all’entusiasmo irrefrenabile dei talk, del web e dei media televisivi che “rieducano” gli spettatori: perché gay è bello, fa spettacolo, fa discutere, fa moda, fa tendenza, fa ascolti e genera tanta pubblicità.

E tutto si trasforma in una esagerata messa in scena, o messa in strada, fra mito, leggenda, folclore e cultura dell’effimero, in un discutibile spettacolo di attrazioni circensi di scarsa qualità, dove l’appariscente sfoggio di culi, tette e di esibizionismo vario, si consacra in un folle, prosaico e caleidoscopico carnevale casareccio.
Che ricorda, vagamente, quello di Rio, ma senza la sua eleganza, la sua fantasmagoria e senza nemmeno le Scuole di Samba o le universali Frecce Tricolori.
Ma con i poveri, ornamentali partigiani a dar valore aggiunto e senso della Storia. (Alfredo Laurano)


MISERABILE FELTRI


"Chi di notte o di giorno si intrufola nelle proprietà altrui allo scopo di fare razzie, forse non merita di essere ammazzato, ma nemmeno di passare per una brava persona".
Chi scrive è Vittorio Feltri.
- La "reazione eccessiva" è sparare alla testa di un ragazzo di 29 anni.
- Il "gesto illegittimo" è quello di andare a raccogliere dei materiali di scarto ABBANDONATI per aiutare dei ragazzi a rendere un po' più confortevole la baracca di legno e lamiera in cui vivevano.
Ragazzi che lavorano a 2 euro all'ora per raccogliere quei pomodori e quelle arance che, poi, finiscono sulla tavola di Vittorio Feltri.
- Le "razzie" erano il gesto di prendere una lamiera di proprietà di nessuno.
- Quello che "non merita di passare per una brava persona" è Sacko Soumali, originario del Mali, sindacalista, lavoratore nei campi, che era lì solo per aiutare chi aveva meno di lui.
E lui aveva davvero pochissimo.
- Il "forse" della frase "forse non merita di essere ammazzato", invece, è solo l'ennesima prova che Vittorio Feltri è un patetico miserabile. 
Questo scrive Emiliano Rubbi, questo condivido e faccio mio. (5 giugno 2018)


lunedì 4 giugno 2018

SFILA IL GOVERNO


Con la benedizione delle Frecce Tricolori e della parata del 2 giugno, con tanto di bandierone nazionale di 400 metri quadri, spiegato in cielo e atterrato col paracadutista davanti alla tribuna autorità, è nato il soffertissimo governo del “cambiamento”.
Dopo tre mesi di prove, di manicomio, di accordi e disaccordi, di rilanci e minacce di soluzioni tecniche, di ultimatum e di opposizioni preventive al nulla (cioè, in assenza della reale materia cui opporsi), di bizze da Romanzo Quirinale, il semaforo della corrida politica ha visto finalmente la luce giallo-verde: ora si dovrebbe forse dire giallo-blu, viste le nuove scelte cromatiche della Lega che, dopo aver cassato il “nord”, pare abbia anche rinnegato il “verde padano”.
L’alternativa sarebbero state naturalmente, le elezioni molto anticipate, con cabine e seggi al mare e sulle spiagge e un virtuale governicchio balneare, privo di consenso alcuno, che ci avrebbero regalato - come ricordava anche Travaglio - un magnifico patto di governo Lega-Forza Italia, con un Salvini sicuro e unico Premier (e non come oggi solo ministro), alleato del vecchio Berlusconi riciclato.
Tra i due mali, forse si è scelto il minore o il meno peggio.
Anche perché, con il suo demenziale e preventivo Aventino, il PD, senza identità, senza progetti e in balia di leader confusi e improvvisati, ha continuato ad annaspare in una crisi senza fine, ha mostrato i segni di una sconfitta che non sa elaborare, ha preferito sgranocchiare pop corn al cinema Parlamento, parlando impunemente e a casaccio di Sinistra (?) e fronti repubblicani, consumandosi in un'intifada interna permanente.
Incapace di costituirsi alternativa credibile, è riuscito soltanto a farsi odiare dalla gente. Non ha lasciato spazio ad altre soluzioni e, visti i numeri scaturiti dalle urne il 4 marzo, non ha consentito un compromesso fra due culture e sensibilità diverse, ma non opposte, non antitetiche, nonostante le accuse e gli insulti reciproci. Un “contratto” tra quelle due forze - PD e Cinque Stelle - sarebbe stato comunque possibile e preferibile, con un partito però derenzizzato e un centrosinistra profondamente rinnovato.
Ora non resta che far prevalere il buonsenso e la ragione dopo tante sparate, contraddizioni, fallimenti, ripensamenti e imprevedibili colpi di teatro.
Abbiamo una soluzione di compromesso, non certo entusiasmante, ma nemmeno terrificante come l’hanno dipinta in molti, prim’ancora che nascesse. E’ un governo carico di aspettative e promesse che gode di un ampio consenso nel Paese, pur fra mille dubbi e incertezze. Tre mesi di difficile gestazione hanno rimescolato le carte e i valori in campo, che non sono più quelli del giorno del giudizio elettorale.
Ci sarà tempo e modo per giudicare il governo Conte, Di Maio, Salvini, guardando i fatti, le scelte e non solo le intenzioni. Intanto, tra i ministri, tecnici e politici, come osserva sempre Travaglio, non c’è neppure un inquisito o condannato, per la prima volta dal 1994, e nessun ministro puzza di berlusconismo.
Il programma prevede una serie di proposte e di riforme a lungo attese, come prescrizione, anticorruzione, carceri, manette agli evasori, conflitti d’interessi, Rai, Tav, acqua pubblica, green economy, vitalizi, Buona Scuola, reddito di cittadinanza, salario minimo, revisione della Fornero, flat tax o equa riduzione delle aliquote fiscali. 
I pericoli potrebbero arrivare dal Viminale, se il guascone Salvini - ormai padrone del linguaggio e della piazza - tornasse a rivestire i panni del Cazzaro Verde, xenofobo e cattivo, in campagna elettorale permanente, e, nell’euforia del fare tutto e subito, dal possibile sfascio dei conti pubblici, per attuare a tutti i costi le riforme.
E, mentre Berlusconi schiuma rabbia perché, per la prima volta, pare ridotto a “pelo superfluo della politica” (cit.), come i suoi compari renziani, il giovane Di Maio, tornato felice e sorridente, è salvo per miracolo. Se non fosse riuscito a portare il Movimento al governo, dopo impegni, sfide, forni, speranze e tormenti, avrebbe pagato un prezzo altissimo, forse la fine della sua carriera. Ne era consapevole e per questo ha ceduto all’ira che lo ha portato a fare errori clamorosi, generando imbarazzo e ilarità: ha pagato questi tre mesi di struggente passione, salvando la faccia e la parola, ma lasciando forse sul campo un bel pezzo di consenso.
Ora, comunque, ha il tempo di rifarsi e di recuperare, Salvini permettendo.
(Alfredo Laurano)