venerdì 27 aprile 2018

UNA SCELTA DISPERATA


Eutanasia di Stato o accanimento terapeutico? Tenerlo attaccato al respiratore o distaccarlo per non farlo continuare a soffrire ulteriormente e morire per soffocamento?
Impossibile pronunciarsi, schierarsi, scegliere da profano o giudicare sul piano etico ed umano, cosa sia meglio fare nella triste vicenda del piccolo Alfie, al di là del dramma che si sta consumando a Liverpool.
Il diritto alla vita da una parte, la cessazione del dolore dall’altra, in una lenta agonia inumana. Chi deve decidere: lo Stato, i medici o i genitori?
Si può credere o non credere nei miracoli, ma resta il fatto che il piccolo Alfie Evans - come dice Magdi C. Allam - ha sconfitto la certezza scientifica dei medici e ha umiliato la credibilità giuridica della Corte Suprema della Gran Bretagna, sopravvivendo per dieci ore dopo l’esecuzione della condanna a morte inflittagli separandolo da quella macchina.

Alfie, 23 mesi, colpito da una malattia neurodegenerativa, non diagnosticata e non curabile, ha sconvolto i medici continuando a respirare autonomamente, con il solo ausilio dei due giovani genitori, che gli hanno praticato la respirazione bocca a bocca.
I medici sono stati costretti a ridare l’ossigeno e ad alimentare la creatura.
È sorprendente. “Non importa cosa accadrà, ha già dimostrato che i medici si sbagliano", ha scritto sul Web la mamma Kate. "Dicevano che stava soffrendo, invece non soffre anche senza respiratore. Gli stessi medici sono rimasti "esterrefatti", ha detto il papà Tom.

La decisione dei giudici - sembra che l'ospedale abbia fatto causa ai genitori, facendo togliere loro la patria potestà (secondo alcuni, non per fini umanitari, ma unicamente per necessità di liberare posti letti) - è stata presa in base a due sostanziali elementi: l'impossibilità della guarigione (il bambino è cieco, sordo, non può parlare) ed il dolore.
I medici sostengono, infatti, che il bambino prova un dolore intensissimo: il suo cervello, il sistema nervoso continua a danneggiarsi sempre più, il dolore deve essere davvero insopportabile, anche se non lo può esternare. Il solo contatto provoca crisi epilettiche e dolore, dolore, dolore. L’accanimento terapeutico, in questo caso c'entrerebbe niente, se non altro perché di terapie non ce ne sono.
É per questo motivo che la Corte avrebbe deciso nell'esclusivo interesse del bambino e non di quello dei genitori.

Gli stessi genitori, consapevoli della situazione, non chiederebbero terapie curative, neanche sperimentali, ma soltanto, con comprensibile insistenza, che questo figlio potesse continuare a vivere i giorni che gli restano, circondato dalle cure essenziali che il personale sanitario e loro stessi possono dargli per tutto il tempo necessario.
Cioè, né più e né meno che una scelta semplicemente palliativa che accompagni il bambino all'inevitabile, secondo quel principio di amore e pietà umana, che consente di prendersi cura di un essere vivente fino alla fine, anche quando non è possibile garantire cure e guarigione.

Per rispetto del diritto di scegliere di ciascuno, non mi permetto di giudicare, come nessuno dovrebbe fare - neanche quella Corte inglese, che sentenzia e respinge ricorsi - ma solo quello di rispettare la tragedia di quel bimbo e di quei disperati genitori.
Nessuno discute la gravità delle condizioni del piccolo Alfie, ma è giusto che lo Stato si sostituisca alla volontà degli interessati, impedendo a quel padre e a quella madre di stargli accanto, di portarlo a casa o anche in Italia al Bambino Gesù, disponibile ad accoglierlo?
In nome di quale principio di libertà può decidere di far vivere o morire?
26 aprile 2018 (Alfredo Laurano)



mercoledì 25 aprile 2018

UN CONTO SALAHTISSIMO E INDIGESTO


Se le partite durassero venticinque minuti, la Roma sarebbe uscita indenne ad Anfield Road. Tanto ha resistito la banda DiFra allo strapotere del Liverpool, poi surclassata sul piano del ritmo, del gioco e completamente frastornata dalle verticalizzazioni alla velocità del suono del trio Manè-Firmino-Salah.
Soprattutto dai guizzi dell’imprendibile Salah (che ha ridicolizzato Juan Jesus), gioiello già di proprietà, svenduto per una quarantina di milioni. per esigenze di bilancio della Roma “americana”, per comprare, con la stessa cifra uno Schik, evanescente e inutile, e un manipolo di pippe e mezze pippe come Gonalons, Defrel, Moreno e uno sfasciato Karsdorp, che non ha giocato mai e non sappiamo nemmeno se cammina. 
Solo Pellegrini, Under e, a volte, Kolarov, hanno salvato, in parte, la faccia del mercato giallorosso, che aveva ceduto anche Rudiger, Szczesny, Paredes e Emerson Palmieri (dopo Pianic, l’anno prima alla Juventus), e che stava per privarsi anche di Dzeco e Manolas.

Roba da irresponsabili e incapaci, in una società che guarda solo al business e dove il calcio viene dopo o solo per giustificare la ragione sociale, anche se Pallotta fa il bagno nella fontana di Piazza del Popolo, par fare “ammuina” e ingannevole folclore, quanto basta, di fronte a ingenui e sfegatati fan che pagano il biglietto.
Il Liverpool ha messo a nudo tutto questo, che da tempo vo dicendo.
Ha strapazzato e anche graziato (sprecando almeno altre tre o quattro ghiottissime occasioni) una squadretta piccola e volenterosa, imprecisa e imbambolata, senza convinzione e atleticamente limitata e, per giunta, tatticamente suicida.

Ora, non illudiamo ancora la piazza e i tifosi - quelli veri, quelli che credono e che soffrono e non accoltellano nessuno - parlando di speranza, di ennesima, possibile rimonta.
I miracoli, già rari ed incredibili, non si ripetono, né si acquistano al market delle illusioni, come i tagliandi già comprati, a caro prezzo e dopo lunghe file, per l’inutile partita di ritorno.
Forse, solo con Salah dalla nostra parte avremmo potuto sperare nella finale.
Ma l’hanno, ignobilmente, svenduto, se non proprio regalato, per comprare il fenomeno ceco e le altre schiappe.
Oggi, è il 25 aprile: Liberiamocene!
(Alfredo Laurano)

martedì 24 aprile 2018

PEZZOPANE, AMORE E GELOSIA /1524


- Preferisco farmela beccà a sangue da dei corvi prima di darla a sto sgorbio ...bleahhh (Stefania Sapio)
- Sei una cac… fori dar cesso tu e quell’altra gnoma der ca… che te sfama, a limitato, ma che hai litigato co na seppia? (Luigi Pandolfi)
- L’aspetto fisico si commenta da solo ma vogliamo parlare delle donne che sono state con lui? Per me stanno male loro (Lorena Candiano)
- Pare che t'è scoppiato n'pacchetto de Bic addosso!
Ci vanno teneri: sono solo alcuni dei commenti che girano su Facebook in merito a Simone Coccia, ex muratore, ex spogliarellista, ex tronista dalla De Filippi, che racconta di aver conquistato migliaia di donne.

"Mamma mia, ma come fa a trombarsi quella là?", secondo Dagospia, è invece la domanda più postata in merito ad articoli e foto della coppia più scandalosa d’Italia, quella formata, appunto, da Simone Coccia Colaiuta, concorrente del nuovo Grande Fratello e Stefania Pezzopane, deputata PD.
Quella là è una donna di 58 anni, la Pezzopane, appunto, da quattro è fidanzata con Simone, 24 anni più giovane di lei.
Fa scandalo la differenza d’età, fa scandalo che lei sia un politico e lui un ex tronista, fa scandalo che lei sia alta 150 centimetri e lui 183, ma fa clamore il fatto che Stefania sia così poco "avvenente" (invece lui!), e sbandieri felice in tv e sui social, il suo status di donna innamorata e riamata da un uomo giovane e aitante.
È questo a destar chiacchiere: un amore esibito, paparazzato e apparentemente squilibrato, ma i loro corpi, pur agli antipodi, pare si incastrino perfettamente tra le nuvole e le lenzuola.

Quella tra Simo e Stefy – così si firmano su Instagram – è una storia che più pubblica non potrebbe essere: loro stessi si sono spesso e volentieri esibiti come piccioncini in tv, sui settimanali, e riempiono i loro profili di foto e video, in cui sono innamorati e raggianti, l’ultimo poco prima dell’entrata di Simone nella Casa del trash all’italiana.
Sono loro a informarci che si sono incontrati a L’Aquila, in un bar, che è stato lui a fare il primo passo e che, dopo due settimane di fiori e lettere d’amore, l’ha invitata a cena a casa sua, dove hanno fatto sesso: "l’ho buttata sul letto e daje tutta, e per tre volte! S’è sciolta come un ghiacciolo".
C’era Stefania ad applaudire Simone che sfilava a Mister Italia, ed è Simone ad accompagnare Stefania in Senato quando era senatrice, e alla Camera ora che è deputata.
La piccola onorevole ribadisce che chi la critica è invidioso della sua felicità.
Avrà sicuramente ragione, ma come farà a resistere lontano dal suo tatuatissimo bronzo aquilano, confinato ora in quella specie di bordello, tutta sola con la sua gelosia?
Senza, nemmeno, poterlo controllare nottetempo, perché quest’anno la Produzione ha deciso di interrompere la diretta in chiaro e streaming, sul più bello, ossia alle 2 di notte, quando il gioco si fa duro e tutto succede sotto le coperte?
Forse confida nelle stizzose proteste dell’inferocito popolo guardone, che si sta mobilitando, perché vuol vedere, vuol seguire, vuol spiare, con perversa passione, i peccati di ogni grande o piccolo o ignobile Fratello.
24 aprile 2018 (Alfredo Laurano)



SALAH QUEL CHE SALAH !


Era la Roma dei campioni. 
Era la Roma ragionata del Barone Liedholm che non perdeva mai la testa e mai la palla e che aveva appena vinto il suo secondo tricolore.
Era la Roma della fantasia di Conti, della forza dei Pruzzo e dei Cerezo, della potenza di Di Agostino Bartolomei, della sicurezza di Tancredi.
Era la Roma ragionata dei Falcao, colui che quella notte fece per viltade il gran rifiuto.
Era la Roma magica, indomita, scudettata, abituata a vincere e a divertire i suoi tifosi, ma anche mezza Europa.
Ma quel 30 maggio del 1984 fu però la Roma della più grande delusione, che perse la storica partita con il Liverpool, buttando i calci di rigore oltre l’Olimpico, ancora a cielo aperto e pieno zeppo di folla straripante. Un’occasione in vero unica e irripetibile: disputare la finale di Coppa dei Campioni nel proprio stadio, alla sua prima partecipazione.
L’attesa, in tutta la città addobbata a festa da giorni, si era consumata in una splendida giornata di sole, attraversata da una palpabile tensione nell'aria, come un uniforme manto di nebbia.
Traffico festoso, macchine che sventolavano bandiere, tifosi in panni giallorossi che cantavano, si abbracciavano e sfilavano in ogni angolo di strada, facendo milioni di fotografie. E non c’erano telefonini e selfie.
Un clima etereo e quasi irreale, pieno di profumi, di colori ed emozioni che erano molto più di una speranza. Che erano quasi una certezza. Fin dalle prime ore del pomeriggio lo stadio aveva iniziato a riempirsi.

Ma la magia s'infranse proprio su quel prato dedicato al monte Olimpo, dov'è “la sede sempre serena dei numi: non da venti è squassata, mai dalla pioggia è bagnata, dove non cade la neve, ma l’etere sempre si stende privo di nubi, candida scorre la luce. Là il giorno intero godono i numi beati” (Omero, Odissea). 
Si infranse proprio quella notte, in cui non fu più dimora degli dei, distratti e indifferenti, e nel modo più crudele: a soli undici metri da quel sogno.
Tutti uscirono (uscimmo) traditi, increduli e piangenti, uniti nel comune sconforto collettivo.

Stasera, 34 anni dopo, le due squadre si ritrovano in semifinale di Champions League.
Per la prima volta ad Anfield, contro l’imprendibile ex Salah - che mai avrebbe dovuto cedere - un’altra Roma si gioca il primo atto di una difficile rivincita, attesa quasi come una vendetta di quei maledetti rigori, che fecero scorrere copiose lacrime in quasi tutta una città, bagnata quella volta non solo dal suo Tevere.
24 aprile 2018 (Alfredo Laurano)





domenica 22 aprile 2018

MAZZE, ACIDO E PANELLE


Continua l’allarme bullismo: da Lucca a Venezia, da Chieti a Velletri, si moltiplicano le vittime dei violenti. Studenti adolescenti si trasformano in classe in aguzzini dei loro compagni e dei loro insegnanti derisi e umiliati. Spesso, per postare poi le loro "imprese" in rete. 
Un nuovo episodio è venuto ora alla luce, dopo il caso del docente di Lucca minacciato: "Prof, mi metta sei e non mi faccia incazzare… si inginocchi ... chi comanda qui? - dice il bullo, ma con educazione, dando del Lei.
A Velletri, "te faccio scioglie in mezzo all'acido, te mando all'ospedale professorè", ha detto un altro miserabile di un Istituto Tecnico all'insegnante, sempre riprendendo tutto col telefonino e condividendo sui social, con tantissime visualizzazioni.

Forse è ora di dire basta, di farla finita con queste continue vessazioni, angherie e maltrattamenti, che si propagano per emulazione.
E’ ora di intervenire con fermezza contro ogni forma di abuso e prevaricazione, di ridare valore alla scuola e restituire dignità e fierezza ai docenti, anche per mandare un chiaro segnale a tutta la società che prospera di violenza.
Se vogliamo arginare tale lunga spirale violenta che la attraversa in lungo, in largo e ad ogni livello, cominciamo a intervenire sulle famiglie, su quelle che, con inaudita spregiudicatezza, arrivano a dare il resto agli insegnanti, già bullizzati dai propri figli, solo per giustificare e difendere le loro maligne pulsioni adolescenziali.
Cominciamo a colmare quel vuoto culturale che tutto questo produce e che non aiuta a far crescere gli adulti di domani, quei ragazzi che oggi arrancano ai margini della normale convivenza e della civiltà, immersi in un disordine etico, mentale e valoriale, fatto di telefonini e brutalità, di azioni punitive, di risposte rabbiose e velenose, indotte da un presunto oltraggio al proprio prestigio: tutti sintomi di gretta ignoranza, di incompatibilità sociale e di esagerata autostima, che sconfina nell’insipienza e si traduce in arroganza e megalomania.

Cominciamo con lunghe sospensioni, con salutari bocciature, con punizioni esemplari (lavori sociali), col denunciare quegli incapaci genitori, veri responsabili della ineducazione e della violenza di questi mezzi uomini (e mezze donne), vili e prepotenti, falliti di oggi e, soprattutto, di domani.
Oppure, ripristiniamo le sane abitudini di una volta, quando tornati a casa dalla scuola, si prendevano sberle e resto dai genitori, per aver solo risposto con poco rispetto al maestro o al professore. E come fa questo mitico educatore.
 21 aprile 2018 (Alfredo Laurano)

https://www.facebook.com/noipoliziottipersempre/videos/1972338649445349/




giovedì 19 aprile 2018

TRIBUNALE IN PIAZZA

Capisco e condivido la rabbia, la delusione, lo sfogo, l’amarezza, l’insoddisfazione, la voglia infranta di giustizia. Tutto logico, tutto atteso e prevedibile, come reazione popolare a una eventuale sentenza troppo mite e insoddisfacente, quale, in effetti, è stata.
Ma, cari aderenti (solo alcuni, per fortuna) al Gruppo Vannini - che invoca giustizia e verità e predica solidarietà alla famiglia - vi rendete conto di cosa state scrivendo, dalle ore 15 di ieri, da quando si è concluso, per ora, il processo a carico dei Ciontoli?
Pensate di esser utili a quella causa e a quei genitori già disperati di loro?
Pensate veramente che sia questo il modo per esprimere vicinanza e affetto?
Con una montagna di minacce, di disprezzo, di insulti ai giudici e agli avvocati della difesa; con una caterva di accuse, di attacchi scurrili, di aggressioni verbali, di schifo dichiarato, di incitamento alla vendetta, che si traducono in una pericolosa forma di isteria collettiva?
Non è lecito, né utile, arrendersi agli impulsi emotivi e agli scatti d’ira, a cascata e a ripetizione, in una sorta di gara di emulazione a chi la spara più grande e più offensiva.
Sembrano caduti, all’improvviso, tutti i freni inibitori, i propositi di correttezza, la cautela, l’autocontrollo, la ragionevolezza, il senso dell’equilibrio e della misura: tutti sintomi di una reazione incontrollata che scivola nella patologia comportamentale.

E’ possibile scrivere eresie logiche ed espressioni assurde e insostenibili, come:
- Blocchiamo il Raccordo Anulare, scendiamo in piazza, organizziamo cortei…
- Gli assassini non sono 5, sono 6; il sesto è il giudice che ha emesso la sentenza...
- Un buchino in fronte te lo farei io, carissimo padre di famiglia, solo sentendo le tue bugie
- Quanto hanno dato alla giudice per emettere una sentenza schifosa tanto quanto lo è lei…non c è altra spiegazione a questo...la giudice si è venduta come giuda ai Ciontoli
- Se io fossi nei genitori, mi farei giustizia d a solo
- Auguro a questo giudice di merda che qualcuno sparì in testa a suo figlio...poi vediamo quanti anni di galera gli farà fare
- Lurido, schifoso, bastardo, pezzo di merda, che dio ti maledica, te e tutta la tua schifosa famiglia, dovete bruciare all inferno
- Auguro a tutti sti pezzi di merda le pene dell'inferno e una morte lenta e dolorosa
- Spero che la famiglia Ciontoli faccia la stessa fine, morte ammazzata
- Spero che queste persone non abbiano pace ed ovunque vadano siano emarginate al punto di non avere più il coraggio di andare in giro. Creiamola noi la loro galera!
- Dovranno scappare da Ladispoli, sono degli appestati. Nessuno vorrà stare dove sono loro, negozi, chiese, strade. Vanno allontanati dalla comunità: Ladispolani pensateci voi.

E la litania, irriverente e volgare, inutile e nociva al comune scopo, continua ad oltranza, come una lenta, monotona e fastidiosa filastrocca.
La rabbia offusca sempre la ragione e la violenza, anche parolaia, non trionfa mai.
La legge e il diritto, anche quando sbagliano perché opera dell’uomo, sono un irrinunciabile traguardo di civiltà. L’alternativa è la forca e il taglione, la tortura e la vendetta o il ritorno al Far West o alla Inquisizione.
Non è così, lanciando fatwe, ingiurie e improperi, che si reagisce a un’ingiustizia, che si manifesta dissenso e critica.
Così si rischia solo una denuncia e la sicura chiusura di uno spazio social, nato per esprimere sostegno, amore e solidarietà.
Prima di sparare col mouse, caricate cuore e cervello.
19 aprile 2018 (Alfredo Laurano)


GRAMMI DI GIUSTIZIA


In molti lo pensavamo, in molti lo temevamo. Ma speravamo tutti in un botta di giustizia.
L’avvocato Messina, uno dei difensori della famiglia Ciontoli, a fine udienza, aveva così concluso il suo intervento: “cinque incensurati e smarriti in quel momento. Non contemplabile che volessero la morte di Marco. Vi affidiamo il futuro degli imputati”.
E la Corte ha recepito e scelto la clemenza.
Sempre stamattina, in aula, prima che venisse pronunciata questa timidissima sentenza, gli avvocati di parte civile Gnazi e Coppi avevano replicato all’arringa della difesa della precedente udienza, spiegando che si può praticamente parlare di omicidio volontario, con dolo eventuale. Antonio Ciontoli, dopo lo sparo, si sarebbe assunto il rischio delle sue azioni non allertando subito i soccorsi.
Anche per gli altri familiari si può parlare di concorso con la stessa imputazione, perché, dopo essersi resi conto di quanto stava accadendo, non hanno fatto nulla per far soccorrere Marco. Non hanno poi detto niente agli infermieri e, invece di agire, si sono adeguati al capofamiglia, aderendo alla sua scelta.
Per la difesa non sarebbe affatto così. “Non c’è un elemento che dimostri che i presenti avessero consapevolezza di quanto successo”, per l’avvocato Miroli.
Ma allora, Ciontoli doveva rispondere di omicidio colposo o dolo eventuale?
La tesi principale della difesa sosteneva che l’evento è riconducibile alla volontà del soggetto agente, perché il dolo è innanzitutto volontà. Quindi anche il fatto di accettare le conseguenze del proprio agire. Se però accetta quello che non vuole che accada è dolo eventuale.
Nella sentenza, quindi, mi par di capire, non è stato riconosciuto il dolo e le aggravanti, ma le circostanze attenuanti generiche. Vedremo le motivazioni.

Secondo l’avvocato Gnazi - che, in apertura aveva parlato di ricostruzione irreale, basata sulle dichiarazioni degli imputati che hanno taciuto la verità, che hanno mentito in continuazione e costruito con il silenzio e sulle loro menzogne un’inaccettabile tesi difensiva, mentre Marco emetteva urla disumane - l'aver riconosciuto Ciontoli colpevole di omicidio volontario, al di là dell'aspetto emotivo, è comunque una scelta coraggiosa da parte della Corte d'Assise, che gli ha inflitto 14 anni, 3 anni invece ai familiari, con Viola assolta, riducendo di molto le richieste del PM.
Non è stata una battaglia facile, si è riaffermata però la volontarietà e l'impianto accusatorio, anche se ci possiamo lamentare della quantificazione della pena e del riconoscimento delle attenuanti”.

Dopo questo mite verdetto, cosa rimane della tragedia di Marco Vannini?
Intanto, il suo ricordo, il suo sorriso, i suoi capelli biondi e quegli occhi buoni da bravissimo e semplice ragazzo.
Poi, quello dei tanti momenti d’infanzia, di crescita e di vita, condivisi con i suoi genitori, i cugini, i parenti e gli amici, nella sua breve esistenza.
Rimane, pure e soprattutto, quel crudele tarlo che corrode l’anima, che non dà pace e mai la darà, per la perdita immotivata, assurda e incredibile di un figlio di vent’anni, ucciso da un gioco mortale, macabro e insensato.
Rimane un dolore immenso e il pianto disperato di una mamma, l’amore di tutta la sua famiglia, il conforto di 36mila amici e sostenitori e di milioni di italiani, turbati e delusi da una sentenza che ha un sapore di ingiustizia e avvilisce la speranza nella legge.
Rimangono anche una bella targa di marmo, sotto un albero in un fiorito giardinetto a lui dedicato e le struggenti parole di papà Valerio, che trafiggono l’anima: “quando vado in moto - passione che con Marco condividevo - e, perciò lo faccio spesso, l’ho sento vicino, come fosse con me, nel mio casco, che ci isola dal mondo. Ci parlo, lo accarezzo, scambio con lui i pensieri e le emozioni, fino a quando mi fermo, mi tolgo il casco e tutto purtroppo svanisce”.
Come la speranza di una giustizia giusta.
 18 aprile 2018 (Alfredo Laurano)



L'ATTESA


E' il giorno della sentenza del processo Vannini.
E' il momento della verità o, almeno, di quella processuale, quella presunta, quella che ci riveleranno, successivamente, le motivazioni della sentenza stessa.
La aspettano con ansia i genitori e i parenti di Marco, ucciso per presunto gioco a Ladispoli, i 36mila aderenti al Gruppo social che li sostiene e milioni di italiani, turbati dall'incredibile vicenda.
Ricordiamo che l’intera famiglia Ciontoli è accusata di omicidio volontario, anche se le richieste della PM Alessandra D’Amore alla Corte d’Assise di Roma ne differenziano i ruoli, rispetto a quello di Antonio Ciontoli, ritenuto esecutore materiale dello sparo. Gli altri avrebbero taciuto e avallato quanto stabilito dal capofamiglia.
Per Federico e Martina Ciontoli, insieme alla madre Maria Pezzillo, chiesta una condanna a 14 anni di reclusione, con attenuanti, mentre per il capofamiglia Antonio Ciontoli 21, anni di reclusione, senza il riconoscimento delle attenuanti generiche.
Per la fidanzata di Federico Ciontoli, Viola Giorgini, imputata per omissione di soccorso, una condanna pari 2 anni di reclusione.
Atteso fra poche ore il verdetto di primo grado.
 18 aprile 2018 (Alfredo Laurano)


VECCHIO SCARPONE

Si faceva la fila per il pane, per trovare una giornata di lavoro, per la visita in ambulatorio, per ritirare la pensione alla Posta o per iscrivere i figli a scuola.
Da alcuni anni, in mezza Italia, si passa la notte in fila davanti agli Apple Store, in attesa dell’apertura, per acquistare l’ultimo modello di iPhone.
Ora, si fa camp out, cioè si campeggia, si dorme in sacco a pelo o in macchina - molti arrivano da città lontane, dopo viaggi in auto o in treno - per una o più notti, per non perdere la cosiddetta priorità acquisita, per avanzare nella graduatoria, appello dopo appello, e accaparrarsi con certezza le Sneakers dei desideri.
Cioè le scarpe da ginnastica, così si chiamavano una volta, quando quelle calzature, non proprio comode e salutari, si usavano solo per lo sport e la palestra ed erano ben lontane dal diventare oggetto di culto e, anche, di facile guadagno per i marchi sportivi e le case di alta moda, che le fanno uscire in edizione limitata, in pochi selezionati negozi d’Italia.
Le notti passate all’aperto diventano poi video da postare in Internet e diventano virali su Youtube.

Il fenomeno si è ripetuto in questi giorni (e notti) davanti alle vetrine di Luisa in via Roma, a Firenze.
Tutti in coda quando è stata stilata la prima graduatoria e sono stati distribuiti i numeretti, lasciapassare indispensabile per l’acquisto di un paio di modello Off White (250 euro), che Nike ha destinato al negozio fiorentino in esclusiva.
Si può tentare il colpaccio anche su alcuni siti on line, dove parte un conto alla rovescia a caratteri cubitali che mette l’ansia, ma per avere accesso bisogna aver messo da parte almeno 2000 punti, con acquisti precedenti, per almeno duemila euro: un prerequisito necessario, ma non una garanzia di riuscita, per conquistare pezzi di plastica a forma di scarpetta, più agognata di quella di Cenerentola.
Poi, siccome gli affari sono affari, c’è chi ci specula e ci guadagna, anche tra i privati e gli acquirenti.
C’è qualcuno che riesce a comprarle per rivenderle a prezzi super maggiorati, come fanno i bagarini con i biglietti, davanti agli stadi.
Ma in fila, davanti al negozio, insieme ai ragazzini e ai collezionisti (che possiedono anche 3.000 paia di sneakers), ci sono i rivenditori di mestiere, che girano l’Italia e poi, se non riescono a bandire un’asta, si organizzano con una lotteria su Instagram: vendono centinaia di bigliettini da 10 euro, incassano migliaia di euro e poi estraggono a sorte il vincitore delle scarpe pagate 250 euro.

Insomma, tra bivacchi, sacchi a pelo e thermos, si consuma un rito quasi obbligatorio e di costume, per accaparrarsi l’ultimo simbolo di modernità, di status. Per conquistare una condizione di alto o superiore rango, che colmi un pauroso vuoto di valori e dia una parvenza di dignità e prestigio.
Così è la vita al tempo del dio consumo, così soffrono e si sacrificano i nuovi martiri delle mode e della tecnologia. Abbiate pietà per loro. 
17 aprile 2018 (Alfredo Laurano)


lunedì 16 aprile 2018

ERA LA NOTTE DI SAN LORENZO


I fratelli Taviani hanno scritto, in carriera, meravigliose pagine di cinema, da Padre Padrone a Kaos, da Cesare deve morire a Boccaccio, passando per La notte di San Lorenzo e tanti altri.
Un grande cinema che coglie la gente nella sua normalità, con i suoi limiti ed i suoi eccessi, con i suoi buoni sentimenti e con la sua malvagità, con il suo egoismo e le sue contraddizioni. Un’umanità genuina e vera, espressione di una cultura popolare radicata nella tradizione, ma sempre immersa in atmosfere poetiche e struggenti.

Ieri, a 88 anni, se n’è andato Vittorio, il fratello più grande di due anni di Paolo e, in suo onore, ho voluto rivedere La notte di S. Lorenzo (1982), un film epico e fiabesco nello stesso tempo, che ricorda, con stile definito di “realismo magico”, la fuga nelle campagne degli abitanti di San Miniato, in Toscana, per sottrarsi alla ferocia dei fascisti. 
E lo fa attraverso l'ottica drammatica e sognante di una bambina che partecipa agli eventi e li rievoca, molti anni dopo, davanti al figlioletto in fasce.
Nei suoi occhi - che poi son quelli dei due registi - emergono i ricordi personali.
Sono occhi, carichi di ingenuità, che raccontano uno dei tanti drammi della seconda guerra mondiale e l’atrocità di uno scontro fratricida, ma che guardano, però, anche alle tenerezze, alla buona volontà, alla solidarietà, agli eroismi e alla paura della gente comune: poveri contadini, che, tra pianti, lamenti e dolore, cercano di salvare la propria vita e quella dei loro cari, senza mai diventare eroi della Resistenza, né assurgere a martiri della ferocia nazifascista.
I suggestivi paesaggi della campagna toscana fanno da sfondo a questo conflitto di sentimenti e rivestono un'importanza fondamentale nell'articolarsi della vicenda.
Fra le varie sequenze, restano memorabili la selvaggia battaglia nei campi di grano fra contadini e fascisti, dove si ammazzano a bruciapelo, come se fosse normale, ex amici, parenti e odiosi ragazzini in camicia nera, di contrapposta fede, e l'immagine onirica e omerica del corpo del giovane fascista trafitto da tante lance, che la bambina immagina come quelle dei soldati romani.
La morte che si dà e si riceve con leggerezza e ineluttabilità, come fosse un gioco, uno scherzo, una finzione e non un tragico massacro.


Film capolavoro e di autentica poesia, raccolto in uno spicchio di tragedia di un intero popolo.
Corale, essenziale, asciutto, di grande forza narrativa e indubbia capacità evocativa, senza mai cedere all’enfasi e alla facile retorica o al compiacimento di descrivere la violenza.
Tra le diverse allegorie, le sfumate note di Bandiera rossa, l’inno antischiavista americano e le musiche di Piovani, l’opera dei fratelli Taviani immagina un mondo libero e giusto e lo traduce in favola, triste, cruda e seducente, ornata da un disperato richiamo alla giovinezza, alla nostalgia e alle stelle cadenti, dove la fitta pioggia finale, purificatrice e catartica, annuncia la speranza.
 (Alfredo Laurano)

FIORI BAGNATI E RECISI


Le impietose immagini di quei bambini di Douma, colpiti dai gas di Assad, che non riuscivano a respirare, che avevano la bava alla bocca e gli occhi sbarrati in una sorta di fissità smarrita, che venivano innaffiati con dei tubi, come fiori secchi e inariditi, hanno, ancora una volta, sconvolto il mondo.
Hanno aggiunto orrore su orrore ai tanti massacri, alle stragi, alle devastazioni di quella sporca guerra che da sette anni si combatte in Siria. Ora, anche con le armi chimiche.
Città e villaggi sono ridotti a cumuli di macerie, i morti non si contano, quelli ancora vivi non hanno cibo e farmaci e cercano di sopravvivere alle bombe, con i propri figli, nei rifugi improvvisati.

A una settimana da quell’aggressione con gas chimici, Donald Trump ha ordinato, assieme a Francia e Gran Bretagna, un lancio di missili su Damasco, per rispondere all’attacco "spregevole e malvagio, che non è stata l'azione di un uomo, ma il crimine di un mostro".
Annunciando l'avvio di raid di precisione contro obiettivi associati alle capacità di produzione di quelle armi, in diretta televisiva, ha aggiunto "Il nostro obiettivo è distruggere le capacità di usare armi chimiche del regime siriano e le operazioni proseguiranno il tempo necessario per distruggere le loro capacità".

La prima reazione di Mosca è stata dura: "le azioni degli americani e dei loro alleati in Siria non rimarranno senza conseguenze" – ha dichiarato l’ambasciatore russo in Usa e ha accusato l'Occidente di aver delineato "uno scenario precostituito".
Vladimir Putin ha definito l'attacco nei confronti di Damasco come un "atto di aggressione contro un Paese che sta combattendo il terrorismo sul suo territorio”.
Le forze aeree difensive russe sono state messe in stato di combattimento.
Uno scenario sempre più drammatico e oscuro che fa presagire conseguenze terribili sul piano internazionale.

Anche perché, le bombe e i missili non salvano le vite e non portano mai la pace, rischiano soltanto di aggravare un conflitto già devastante e di infiammare ulteriormente le tensioni.
Il regime siriano sta uccidendo il suo stesso popolo da sette anni - ad oggi si parla di oltre mezzo milioni di morti - con o senza l'uso di armi chimiche, che restano un crimine di guerra e contro l'umanità.
Ma gli Stati Uniti e i loro alleati non possono boicottare gli sforzi per il dialogo e la pace, non possono strumentalizzare l’Onu e il diritto internazionale, a proprio piacimento e allo scopo di giustificare, di fronte al mondo, il proprio non disinteressato interventismo. 
(Alfredo Laurano)