domenica 31 luglio 2016

COL CORANO E COL ROSARIO

Commentando l’assassinio di padre Jacques a Rouen, papa Francesco, in Polonia per la Giornata mondiale della gioventù, ha condannato, con durezza , ogni istigazione all’odio. “Quando parlo di guerra, parlo di guerra sul serio, non di guerre di religione. Non c’è guerra di religione, c’è guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio dei popoli.”

Come ci fa notare il Manifesto, di fronte all’uccisione in chiesa dell’anziano sacerdote, padre Jacques, il Giornale e Libero, fogli razzisti del populismo italiano, hanno titolato: «Hanno sgozzato dio», «Occhio, ti sgozzano in chiesa». Chiamando l’opinione pubblica, non al dolore ma all’odio. All’occhio per occhio, all’istigazione secondo l’equazione: arrivano i migranti, arrivano i terroristi.
Non sanno, costoro, o hanno forse dimenticato, che i preti ammazzati in chiesa o sull’altare non sono pochi e non sempre e non proprio per opera dei criminali dello jihadismo?
Ogni atto di terrorismo non può essere confuso con l’idea di una guerra in nome di dio.

Per esempio, don Diana venne ucciso dalla camorra in una sacrestia a Casal del Principe; don Puglisi, dalla mafia a Palermo; padre Romero, il giorno dopo l’omelia - pronunciata  contro il governo di El Salvador, che mandava i bambini a scandagliare i campi minati, restandone squarciati dalle esplosioni - fu assassinato dagli squadroni della morte, legati agli interessi statunitensi in Salvador. Ai suoi funerali, poi, fecero un’ulteriore strage di fedeli.
Sono tanti i preti e i missionari uccisi nelle Flippine, in Turchia, in Africa, nell’America Latina, negli ultimi decenni, anche per odio personale, per strategie di potere o tentativi di rapina. 
Ce lo dicono, chiaramente, anche  i grandi boss della nostra Mafia, tutti feroci assassini, ma  nel contempo osservanti, devoti, bigotti e timorati di Dio e col rosario in mano.

Crimini, comunque, non sempre dovuti a intolleranza e fanatismo religioso.
O che non escludono eccidi e stragi non di matrice islamica, ma di terrorismo cristiano  e  interetnico, come il genocidio in Ruanda, del 1994, dove gli Hutu, prevalentemente di fede cattolica e con la cooperazione diretta di vescovi e preti locali,  sterminarono l’etnia Tutsi. 
O come i massacri ugandesi dell’Esercito di Resistenza del Signore, guerriglieri ultra-cattolici responsabili direttamente di migliaia di omicidi, rapimenti, mutilazioni, torture, stupri e crimini contro l’umanità. 
O quello del 1982 a Sabra e Shatila, perpetrato dalle falangi cristiano-maronite libanesi,  con la complicità di Israele, che trucidarono 3500 civili inermi, rifugiati palestinesi, brandendo crocifissi,  durante il massacro.
Sono sempre d’accordo con le pagine del Manifesto, che nella storia cristiana non mancano certo le guerre di fede o esercizi di violenza pura: dalle Crociate, in nome di Cristo, che giustiziarono migliaia di ''infedeli'' e distrussero città e luoghi santi, alla Santa Inquisizione che ha bruciato, seviziato, torturato milioni di eretici.

Non c’è dubbio che dietro ogni religione si nascondano altri interessi: economici, geopolitici e di potere: un intreccio perverso tra culto, fervore mistico e lotta politica.
I massacri quotidiani dell’Isis sono atroci e il loro fanatismo raggiunge obiettivi mai toccati prima dal terrorismo islamico, anche grazie all’aiuto della stampa e, soprattutto, della tv che ne amplifica la propaganda, con dirette e speciali interminabili, appena arriva la notizia di un attentato. Tutto viene attribuito subito all’Isis, che del resto se ne appropria a titolo gratuito, rivendicando ogni azione sanguinaria di chiunque, anche quando le prime vittime sono i musulmani.
“Allah Akbar” è ormai il filo conduttore del nostro terrore. Lo slogan che identifica ogni sciagura, ogni pericolo e paura, e che alimenta la psicosi collettiva.
Ma è pur sempre una guerra di pochi contro tanti. E non sempre “santa”, di religione o di civiltà.
Nelle Sure (versetti) del Corano si legge: “Combattete, dunque, per la causa di Dio, vendendo la vita di quaggiù per comprare quella dell’Aldilà.”
Ma non per questo, tutti gli islamici - unmiliardoseicentomilioni islamici - si fanno esplodere nelle piazze e nei mercati. E non tutti quelli che pregano, automaticamente sparano o sgozzano infedeli.
Anche perché gli ideali incarnati dalla filosofia dei Lumi e dalla rivoluzione francese hanno posto le basi indelebili della società moderna, oltre ogni fondamentalismo, introducendo il concetto di laicità e delle idee razionali, la separazione della religione dalla politica, del fanatismo dai valori universali.
(Alfredo Laurano)



ADDIO LIBELLULA E BELLA FIGHEIRA

Se ne sono andate quasi insieme.
Esuberante, estroversa,  signora dei salotti, dall'arte, della politica e della moda, Marta Vacondio, figlia di un casellante delle ferrovie, nata povera, lavoro da mondina, sarta e modella fino al matrimonio fiabesco con il conte del tessile Marzotto. 
E poi l'amore per Guttuso, di cui fu musa ispiratrice (“dolce libellula d'oro”), e per Lucio Magri, politico e intellettuale.
Ironia, allegria e frivolezza  in una donna che ha cavalcato a lungo le scene della mondanità e  della bella vita - pur con il dolore per la prematura morte di una figlia - dimenticando le sue umili origini.


E con lei, è uscita di scena anche la moglie "cecata", alias, la signorina Carlo (che siccome che sono cecata… precipitandovicisi), la sessuologa Merope Generosa, la monaca di Ponza, la Lucia dei Promessi Sposi, la "Bella Figheira" e tanti altri incredibili personaggi: le tante facce intelligenti ed esilaranti di Anna Marchesini, straordinaria attrice dal talento comico, di grande personalità e duttilità, diventata celebre negli anni ‘80 in trio con Massimo Lopez e Tullio Solenghi.
Una comicità fondata sulla parodia, sull’imitazione e l’attualità, per un genere popolare e immediato, tanto amato dal pubblico.
Malata da tempo di artrite reumatoide, questa grande artista, ma anche grande donna, nonostante la sofferenza, ha continuato ad esprimere la sua forza e la sua sensibilità e se n'è andata in punta di piedi, a soli 62 anni, tra gli applausi di ogni spettatore, nell'olimpo dei comici più amati.
30 luglio 2016 (Alfredo Laurano)

venerdì 29 luglio 2016

LO SCONTO

Avete pagato il canone in bolletta?
Certo che si, in questi giorni di luglio ci sono stati addebitati i primi settanta euro di quella odiosa tassa, oltre i normali consumi elettrici.
Allora, diciamo grazie a Renzi, che ci fa l’onore di poter compensare, profumatamente, con i nostri risparmi, i meritevoli dirigenti e paperoni della RAI pubblica, di recente sua nomina.
Altro che gli 80 euro ai pensionati e i 500  ai diciottenni: i veri beneficiari della iniqua legge di stabilità sono i lottizzati responsabili del Servizio Pubblico, premiati - al di là e ben oltre i limiti che il Parlamento aveva fissato e che, per sottile magia, sono stati aggirati  - per la loro devozione ed il loro servilismo al potere politico.
Al baraccone del gossip quotidiano e della disinformazione si pagano stipendi folli e faraonici che superano la media di trecento milioni di euro per presidente, direttori di Rete e di Tg, anche parcheggiati - cioè disoccupati e senza incarico - fino al DG che ne prende soltanto 650.000.
Tanto per confrontare, considerando il livello di responsabilità di stato, Obama ne prende 290.ooo, la Merkel 220.000,  Hollande 179.000, Putin 120.000.

Vorrei ricordare che l’obbligo del canone è passato nel capitolo dell’ultima legge, che prima si chiamava finanziaria, con l’ingannevole titolo di “Riduzione del canone Rai (da 113 a 100 euro: le gentili annunciatrici ci hanno fatto due palle, per mesi e settimane), per cui, in ogni caso, dovremmo essere contenti, perché ci ha fatto pure lo sconto!
Cornuti e mazziati! Una bella porcata, una surrettizia presa per il culo per gli ignari cittadini, una trovata degna del celebre gioco delle tre carte.
Ma cìè un’altra chicca in questo ennesimo paradosso all’italiana: sapete chi ha sollevato quest’ennesimo scandalo delle remunerazioni, chi è stato a protestare, a informare e fare incazzare l’opinione pubblica per cotanti privilegi?
E’ stato il disastrato PD, spaccato e dilaniato, come ormai da tempo, nel suo vuoto storico, schiacciato nella sua attuale dimensione evanescente, priva di forza e credibilità, e senza identità.
Lo stesso partito dell’untore generoso, di cui è ancora Segretario, che ha scelto e fatto le nomine di fiducia di quegli straordinari servitori dell’Etere, dello Stato e dei padroni.
Schizofrenia al potere, molto lontana dall’auspicata fantasia sessantottina.
Se a me la Rai fa schifo - salve pochissime eccezioni - perché devo essere obbligato a sovvenzionarla? A ingrassare copiosamente quelli che scelgono chi, come e perché di tale schifo?
Alla Leopolda di qualche anno fa (2011), il seriale mentitore diceva: “L’obiettivo è tenere i partiti politici fuori dalla gestione della televisione pubblica”.
(Alfredo Laurano)




mercoledì 27 luglio 2016

MISOGINI PADANI

Una squallida esibizione di sessismo e volgarità, che si aggiunge ai continui incitamenti all'odio e alle discriminazioni da parte di certi rozzi personaggi che appartengono alla mediocrità politica di questo Paese.
"Sul palco c'è una sosia della Boldrini!". E sul palco del comizio di Salvini, a Soncino (Cremona), appare una bambola gonfiabile. Piovono insulti, risate e commenti da ubriaconi d'osteria.
Non è uno scherzo da colpo di calore o una trovata goliardica, come qualcuno dice, Non è la critica a ciò che fa o dice la Presidente della Camera. 
Il punto è che quando si arriva a paragonare una donna, qualsiasi donna, a un oggetto di plastica coi buchi, che qualche misogino, affetto da turbe maniaco-sessuali, usa come feticcio o come giocattolo sessuale con cui masturbarsi a piacimento, significa che si è superato lo schifo e la vergogna. 
Posso solo immaginare cosa avrebbe risposto un'altra presidente del passato, che si chiamava Nilde Jotti, a un ciarlatano padano, distinto da tanta pochezza intellettuale, umana e culturale come il razzista legaiolo.
 (Alfredo Laurano)


INUTILI COCCARDE

Ora basta, non se ne può più!
La Sinistra non è semplicemente un brand, un marchio, una firma in ciclostile, come qualcuno afferma, con sospetta determinazione e tracotanza, forse per accattivarsi le simpatie di un potere trasversale, che conta e che decide.
Anche questa è ormai una moda che dilaga sul web, sui social, nei media, nei talk: tutti, o quasi, ci vogliono convincere che con esistono più Destra e Sinistra, che è finita e archiviata l’era dell’idealismo e delle battaglie utopico-sentimentali per le idee: roba da nostalgici antiquati, da parrucconi giacobini, da depressi e delusi sessantottini. Roba da soffitta, datata, superata e anacronistica. Roba scaduta e ammuffita, come uno yogurt andato a male.
Troppo facile e troppo comodo dichiararlo e lanciarlo come un sasso nella torbida palude del qualunquismo e dello straripante populismo.

I nuovi profeti dell’utilitarismo pretendono di liquidare fondamentali capitoli di Storia umana, con sentenze apodittiche, con disinvoltura e con colpevole sufficienza. E, in questa fase, fanno facilmente presa sulla collettività, senza peraltro generare nulla di costruttivo e significativo.
Come se le idee e i valori  possano essere dimenticati, repressi, ignorati, derisi e calpestati. Come se l'eredità storico-politica, le idee e gli uomini possano essere rottamati, al pari delle macchine, in nome di una necessaria palingenesi sociale e antropologica.
Come se la tracce, il senso, il significato che la vicenda umana lascia nel suo divenire, comprese le speranze, le battaglie e le esperienze, non avessero un incisivo peso nel legame tra le generazioni e le comunità. Rappresentano la trasmissione della conoscenza e del sapere.
Non si può cancellare tutto questo con un tratto di penna, di gomma o con un click, solo per compiacere e giustificare le proprie ambizioni, la propria immoralità, il proprio egoismo.
Quelle idee, quei valori si rinnovano nelle coscienze e non muoiono mai.
Finiscono con noi, ma rimangono nella storia dei luoghi e delle genti, come riferimenti culturali e formativi, a disposizione di chi li coltiva e li raccoglie.
E diventano ideali, che non sono coccarde da appuntare sul petto o parolacce da trivio, ma l’anima collettiva dei popoli.

E’ vero che non si può essere di destra o di sinistra come lo si era nel secolo scorso, ma non è affatto vero - errore ancor più grave per quei qualunquisti della domenica o per quei populisti del bar dello sport - pensare che non esistano Destra e Sinistra, come categorie di riferimento.
Le  idee socialiste che per decenni hanno disegnato e contrapposto la nostra società - oggi fagocitata dall’individualismo e dal contagioso vento razzista e neo-fascista - non sono sparite o si sono estinte, solo perché prevale uno spietato livello di ingiustizia, di diseguaglianza e di intolleranza, o solo perché il mondo è dominato dalla precarietà e dalla paura.
Anche se per quei ferventi rottamatori in malafede, animati da libido compulsiva di semplificazione acuta indotta dal pragmatismo liberista, Destra e Sinistra non esistono più nella geografia politica, resta una visione del mondo e dell'umanità che fa una certa differenza e non supera quelle contrapposizioni, anche nell'attualità. E questo a prescindere dalle etichette, dalle bandierine e dall’aggiornamento post ideologico di chi prefigura una società asettica, fondata sull’individualismo e sul menefreghismo.

Le nostre reazioni, le nostre scelte e i nostri comportamenti, privati e collettivi, sono dettati da ciò che percepiamo e interpretiamo, dal nostro patrimonio genetico e culturale e da quel che abbiamo nella testa e tramandiamo: cioè idee e valori come solidarietà, giustizia sociale, onestà, uguaglianza, rispetto e tolleranza, da una parte, o, in alternativa, da violenza, intolleranza, discriminazione e sfruttamento, dall’altra. Tutto ben oltre la simbologia e l’ufficialità formale dei partiti.
Anche se quella società conflittuale, in cui nuotavano le spinte ideali del social-comunismo, è cambiata e andata in crisi per effetto di nuove pressanti realtà, come migrazioni, guerre e terrorismo, non è finita la missione storica della Sinistra: quella di essere giustizia sociale, equità, opportunità, diritti,  ancorata nella società reale e nei bisogni della gente.
Con buona pace di tutti i mestatori, i guitti, i cortigiani e i politicanti accattoni, che si affacciano alla moderna ribalta futurista, ricca solo di egoismo, corruzione e disvalori.
 24 luglio 2016 (Alfredo Laurano)


PERVERSO FLIPPER

Assurdo, tremendo, incredibile, allucinante. 
Si, forse è solo un’allucinazione, un abbaglio, una percezione psichica e morbosa di qualcosa che non è reale. Come un incubo della fantasia alterata, che si crea per l’effetto di una pesante droga.
Questo mondo è in overdose di violenza, di pazzia e di terrore.
Questo mondo è in preda al vaneggiamento e alla psicosi collettiva: corre, rimbalza, travolge e colpisce a caso, tra magiche luci, suoni e colori, come la pallina impazzita di un flipper che non riconosciamo. Una biglia d’acciaio che non fa punti, non accende special e musichette varie, ma sparge solo apprensione, timore, paura, sangue, morte e distruzione.
Non si vince mai a questo folle gioco, si perde sempre e si paga con la vita e col dolore.
E paga, soprattutto, chi, coinvolto direttamente, perde un affetto, un amore, una sicurezza, un riferimento o un bimbo che guardava il cielo e le sue mille stelle.
Tutto questo, senza un perché, senza sapere per quale colpa si deve pagare, se non per il semplice dovere, obbligatorio, di partecipare al gioco di quel flipper.

In pochissime ore, la sciagura dei treni in Puglia, l’ennesima strage di innocenti a Nizza, Il tentato golpe in Turchia, con i suoi buoni 200 ammazzati.
E’ la notizia che insegue  la notizia, il bilancio che rincorre il bilancio dei caduti.
Questa società impazzita non fa più in tempo a piangere, a contare i morti, a celebrare un funerale, a dare sepoltura alle vittime dell’orrore. C’è da soccorrere altri feriti, da operare in fretta, da ricomporre altri cadaveri, da lavare il sangue sulle strade per cancellare le tracce del male, della cattiveria e  dell’aberrazione umana.
La cronaca non fa più in tempo a raccontare la realtà perché da essa è incalzata e sovrastata.
Non c’è più spazio per la banalissima normalità, per la convivenza e per la pace. Siamo tutti sconvolti e inebetiti perché dobbiamo fare i conti con la tragedia quotidiana, con quel flipper sballato che ci lusinga con i suoi abbagli, con questo mondo delirante e dissennato.
Ma, forse, come dicevo e come speriamo, è solo un’ossessione, uno stravagante paradosso!
 16 luglio 2016 (Alfredo Laurano)


sabato 23 luglio 2016

CHI DICE D'ANNA DICE DANNO

Ha cambiato più casacche politiche dello straordinario trasformista Arturo Brachetti che, però, lo fa per mestiere. E con successo.
Ex berlusconiano, verdiniano, ora renziano, ex democristiano autoproclamatosi liberale, cosentiniano e quindi “garantista”, Vincenzo D’Anna è quel senatore che qualche tempo fa, all’Osteria-Senato, mimò un rapporto orale alla Barbara Lezzi e  indicò, con entrambe le mani, le proprie parti intime, per solidarietà col suo compare Lucio Barani.
Fu anche quello che definì Saviano farlocco e che gli si doveva togliere la scorta. Magari per assegnarla a salvaguardia delle sue stupide e ignobili cazzate, che di solito recita e pronuncia. Anche se non è certamente il solo, in quel forbito e fluente eloquio.

Ieri, ha dato vita a un ennesimo siparietto che ha creato non poche polemiche in  quell’Aula, ormai diventata osteria del trivio o bar dello sport.
Stavolta, ha avuto un attacco di goliardite acuta: ha infatti definito i Cinque Stelle "vergini dai candidi manti, rotte di dietro, ma sane davanti", rifacendosi alla famosa "Ifigonia in Culide", poemetto ironico, capolavoro post sessantottino della goliardia, che fa il verso alla tragedia di Euripide "Ifigenia in Aulide", che tutti abbiamo letto con piacere ai tempi dell’università. Personalmente, all’epoca, ne avevo preparato un adattamento per rappresentarlo in teatro, con amici.
La senatrice Pd Guerra, gli si è rivoltata subito contro, accusandolo di "maschilismo e sessismo becero". Poi è stato attaccato da altri e, perfino, richiamato da Gasparri, presidente di turno!
Con i suoi commenti volgari, violenti, offensivi, cinici e misogini, il verdiniano senatore è anche il prototipo dei nuovi Padri della Patria, quelli che hanno contribuito a scrivere la nuova Costituzione, che sarà sottoposta a referendum.
22 luglio 2016 (Alfredo Laurano)


martedì 19 luglio 2016

I GELATI DI MOMO

"Amava divertirsi e fare festa, era ossessionato dal sesso, non parlava mai di religione. Andavamo a ballare insieme, abbiamo fatto lo stesso corso di Salsa per imparare e continuavamo a frequentarci nelle serate".

Lo dichiara James Kone, 29 anni, amico nizzardo del killer stragista di Nizza, tale Mohamed Lahouaiej, che ha falciato con un grosso camion, come in un criminale gioco di ruolo online, 85 vite umane. Una personalità, sicuramente, complessa e indecifrabile.
Insomma, per farla breve, quel mostro che ha inorridito il mondo non era certo un martire jihadista, un devoto di Allah e di Maometto, un uomo bomba pronto a farsi saltare in aria per la fede. 
  
Era, al contrario, un gaudente vitaiolo, un depravato, un gran libertino ammaliatore e anche un bel ragazzo, che aveva successo: poteva sedurre sia ragazzine, che donne mature: alcol, droga e molti amanti, in una vita dissoluta da vizioso, anche secondo gli inquirenti di Parigi.
Un vero edonista - per gli amici Momo - quello raccontato, nel dettaglio, dal compagno di rimorchio e d’avventura, che non si faceva mancare niente. Nemmeno vari problemi psichiatrici e familiari, con moglie e tre figli a carico.

Si fa, allora, più forte la domanda: ma uno così, con tale fama e ritratto di bon viveur, che faceva palestra, che amava le donne e la bella vita, che mangiava carne di maiale, che non aveva nulla del musulmano praticante, penitente e integralista, perché mai avrebbe dovuto compiere quella assurda carneficina? Sapendo, peraltro, che non l’avrebbe fatta franca, che sarebbe stato certamente ucciso?
Perché chiudere e far cessare quella sua vivace vita da playboy impenitente e quella dei tanti innocenti che ha massacrato?
Perché passare, all’improvviso, dalla Salsa in discoteca alla Jihad sulla promenade, con un camion vuoto di gelati? Per distribuire ad altri la propria latente rabbia esistenziale e la segreta infelicità di fondo, prima di suicidarsi o farsi ammazzare?
Pazzia, delirio, paranoia, schizofrenia? O il perverso effetto di pesanti droghe, con tanto di allucinazioni collaterali, dovute anche a un lontano e poco ardente fanatismo religioso di  falso venditore di gelati?
 (Alfredo Laurano)

UNA SCURE A MEZZA LUNA

La mannaia del sultano, prepotentemente risorto grazie al golpe, non tarda ad abbattersi sui "traditori": golpisti, gulenisti, magistrati, giornalisti, intellettuali. Chi non si consegna, viene scovato e portato via in manette, sotto l’occhio delle telecamere.
 "Ci sono circa 6 mila arresti", ha detto il ministro della Giustizia,  e "ce ne saranno altri 6 mila. Continuiamo a fare pulizia, elimineremo il virus da tutte le istituzioni pubbliche" ".
Sta per cominciare una nuova era nel Paese della mezza luna: altro giro di vite, altra repressione del dissenso, controllo di internet, destituzioni, accentramento del potere, annientamento dell'opposizione. Tutto in nome dell' emergenza e per la sicurezza.

Purghe ed epurazioni, quindi, mentre già si profila, all’orizzonte la Repubblica presidenziale - che Erdogan sogna da tempo - e  la cui carta sta per giocare.
Una riforma per legittimare gli ampi poteri di cui già dispone ed esercita, ma di cui non è costituzionalmente investito. Ora può ottenerla, ce l’ha a portata di mano.
Gli basta indire un referendum e il Paese, prima riluttante,  esaudirà la sua ambizioni. Pena di morte compresa.
Come si legge e si osserva nei vari forum sulla stampa e su internet, quasi il mondo intero ha tifato contro Erdogan e, forse per la prima volta, in molti abbiamo approvato un golpe militare.
Come si può simpatizzare per chi uccide donne e bambini curdi, per chi appoggia l'Isis in cambio del petrolio ed è alleato dell'Arabia Saudita (lo stato più canaglia del mondo), per chi consente un regime carcerario fra i più disumani del pianeta. Per chi ha ricevuto un finanziamento del fondo europeo da 3 miliardi di euro per i bisogni immediati dei profughi siriani in Turchia, in cambio della promessa  di bloccare il flusso verso l'Europa. E che lo fa, sparando loro a vista.

L'esercito turco, da sempre guardiano della democrazia laica voluta da Kemal Ataturk  -padre della  Turchia moderna, che laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale e depenalizzò l'omosessualità - è ora sfiduciato e decimato, cosa succederà?
Sarà ancora garantita la continuità di quelle riforme kemaliste che assicurano la natura  repubblicana e democratica delle Istituzioni?
Si potranno evitare derive autoritarie e la restaurazione da Nouveau Régime, con ricadute di matrice islamica, in un altro stato "coranico" a due passi da casa nostra, e con quella forza militare?

18 luglio 2016 (Alfredo Laurano)

domenica 17 luglio 2016

COSE TURCHE

Non sono un esperto di cose turche, né, tanto meno, un analista politologo, ma sentir parlare di “democrazia salvata e legalità ripristinata”, in Turchia, dopo 265 morti, centinaia di feriti, oltre 2.800 militari arrestati, 2.745 giudici rimossi e una decina di magistrati fermati, mi suona strano nella testa. Tutto fatto e disfatto in poche ore.
Sembra essere più una resa dei conti che un improvviso e inverosimile tentativo di colpo di stato.
Questo golpe, così poco convincente e dai contorni quasi amatoriali, che ha visto occupare e, quasi subito, liberare i centri del potere e della comunicazione - mentre Erdogan era in gita aerea precauzionale - sembra più un’operazione studiata, organizzata e messa in atto dallo stesso presidente e dal suo entourage.
Una manovra sanguinaria che gli ha consentito di fare subito quelle "pulizie" che non avrebbe mai potuto fare, senza doverle spiegare, anche ai paesi alleati e alla EU. Ora non ha bisogno di spiegare niente. Ora non c'è più nessuno a contrapporsi alla sua ulteriore deriva autoritaria.
Sul fronte interno, le inclinazioni dispotiche e antidemocratiche di Erdogan ora avranno piena legittimazione - già si parla di ripristino della pena di morte per i golpisti che, forse, spariranno e noi non ne sapremo nulla -  e molti temono una ulteriore spinta verso l'islamizzazione della Turchia, paese laico con il 98% di musulmani.

Quasi tutti condannano l’azione tentata dell'esercito, immediatamente repressa dal popolo democratico e dalla fedelissima polizia, ma continuano a tacere sul golpe che Erdogan continua a portare avanti.
Vende armi al califfo in cambio di petrolio, fa incarcerare come traditori i giornalisti che documentano tale accordo, con l’accusa di spionaggio e terrorismo e chiude tre giornali. 
Soffoca manifestazioni pacifiche di piazza con l'uso della forza. 
Spara a vista ai profughi siriani, lungo il confine. Rompe la tregua con i curdi, arsi vivi, bombardando le postazioni in Iraq e in Siria, da cui cercano di combattere l'Isis e con una serie di leggi liberticide  massacra tutto il Kurdistan. 
Sospende l'immunità parlamentare, mettendo i deputati delle opposizioni sotto il ricatto dell'arresto.

Erdogan - l'uomo della repressione - rivendica il suo stato di premier liberamente eletto.
La democrazia vale all'occorrenza, tra un'oppressione e un'altra. E’ un'altra prova del regime che vige in quel Paese. Il potere esecutivo e quello giudiziario sono già nelle sue mani manca solamente quello legislativo.
La situazione è confusa, ma il fallimento del colpo di stato e il suo ritorno dalla passeggiata nei cieli della mezza luna, dopo i fatti della notte, non sono una buona notizia per la stessa democrazia e per i suoi oppositori. Tutto sembra contribuire a  rafforzare e blindare il suo potere.

17 luglio 2016 (Alfredo Laurano)

venerdì 15 luglio 2016

VENDETTA A COLAZIONE

E’ un orrore la mattina prendere il caffè, con il cornetto e la strage quotidiana, accanto, come osserva, con la consueta sensibilità, l’amica Rosaria Renna, la stupenda voce della compagnia in radio.
Scoprirla al computer, al TG e sul giornale. Quasi come il meteo o le notizie del traffico stradale.
Da sempre sappiamo e diciamo che molte cause del terrorismo nascono da scelte scellerate, come le guerre in Iraq, i bombardamenti in Libia, in Siria e Afghanistan, le responsabilità, le ipocrisie, il doppiogiochismo, gli interessi commerciali e le dubbie strategie dell’Occidente che hanno prodotto un’altissima onda d’odio che crea e alimenta altro odio. E tutto si trasforma in terrorismo e si fa strage. 
Quell'odio, unito alla miseria e al fanatismo religioso, si realizza nel massacro e nell'eccidio quotidiano, sempre più diffuso e imprevedibile.

Ma resta un’accademica, superflua considerazione: a rimetterci sono sempre innocenti, civili, donne, bambini, come negli stessi paesi bombardati.
Non pagano mai quei politici che hanno quell’ odio hanno determinato, con le loro scelte sbagliate e irresponsabili.
Qualcuno ha scritto: “isolare l'Islam, sotto ogni sua forma, dalla civiltà, questo è l'unico passo sensato verso la sicurezza”. Come se un miliardo e seicento milioni di musulmani potessero essere ignorati, dimenticati o cancellati dal pianeta.

Siamo, forse, di fronte a un sintomo individuale di un impazzimento collettivo. Infatti stiamo impazzendo tutti.
Statisticamente, sostiene Giulietto Chiesa, quello di Nizza è un attentato, ma ha l'aria di una mostruosa individuale vendetta contro il mondo. Almeno, stando alle circostanze che ora chiunque può vedere su you tube, con tanto di spari, di urla, di sangue e di immagini in diretta.
Sembra la "spiegazione" più logica. La logica di un pazzo.
Gli altri attentati avevano un aspetto un minimo "organizzato", questo sembra qualcosa di diverso, di incredibile, anche se sarà rivendicato e sarà usato come gli altri.

Integralismo e fondamentalismo islamico o meno, al grido di Allah Akbar in tutte le salse, francesi, piccanti e occidentali, siamo entrati in una fase oscura in cui tutti i gatti, di notte, tendono a diventare bigi.
In fondo, rivendicazione viene dal latino vindĭcta, che significa vendetta, liberazione e castigo. E la follia dell’esaltato, del fanatico, di chi vive nel delirio, religioso o meno, quasi sempre la infiamma, l’accompagna e la confonde.
(Alfredo Laurano)

STAVOLTA, BIRILLI

Da dove, stavolta, dalla terra, dal mare, dal cielo?
Come, stavolta, con kalashnikov, con coltelli, con bombe o con granate?
Dove, stavolta, in aeroporto, al teatro, al ristorante o nel metro?
Quando, stavolta, di giorno, di notte o di festa?
Perché e chi, stavolta, ancora una volta, l’ennesima volta? E senza una vaga, impalpabile, possibile ragione?

No, stavolta, è diverso, cambia la scena, il teatro e l’attore, ma il copione e la regia sono gli stessi.
Il terrore viene dalla strada, sulla Promenade, in una sera di festa nazionale - la presa della Bastiglia - su un bellissimo lungomare, con le palme, tra le famiglie che guardano serene i fuochi artificiali.
Un grosso camion bianco si lancia sul pubblico e lo falcia correndo all’impazzata, a 80 all’ora, zigzagando per colpirne di più, per due lunghissimi chilometri. Gli spari della polizia si confondono con i fuochi ed i bengala, le urla coperte dalla musica. Tutti corrono inseguiti da un killer tir, come in un famoso film.
Tanti birilli umani volano in aria e cadono in quel folle strike della spietatezza. E il bowling della Promenade diventa un cimitero, a cielo aperto, sotto l’impotente luna.
Su quei duemila metri insanguinati del celebre lungomare di Nizza restano oltre ottanta morti, compresi bambole e tanti bambini - con ancora negli occhi stelle, girandole e scintille pirotecniche - e centinaia di feriti.
Una folla impazzita e inconsapevole scappa, si rifugia dappertutto, si accalca in preda al panico e non si rende conto di quel accade e del perché di tanta ferocia e crudeltà.

Non c’è più intervallo, ormai, tra stragi e sciagure, tra attentati e crimini devastanti, tra umani e disumani.
Non c’è più tempo per pensare e per comprendere. Per la pietà. Per trovare una risposta a tanto orrore.
Mentre si consuma l’ennesima sconfitta dell’umanità.
(Alfredo Laurano)



mercoledì 13 luglio 2016

BINARIO, TRISTE E SOLITARIO

Come sempre e come al solito, dopo il disastro, partono le polemiche, le inchieste, le ricerche di responsabilità, le commissioni, le chiacchiere infinite. Le ragioni, da raccontare all’opinione pubblica turbata, che possano spiegare, o far digerire, l’ennesima sciagura. Non certo giustificarla.
E arrivano, al tempo stesso, le solenni dichiarazioni, le promesse, la ferma volontà delle istituzioni e del governo: “cercheremo i colpevoli… chi ha sbagliato pagherà… non ci fermeremo… mai più queste catastrofi!”. Esattamente, come dopo il naufragio della Costa Concordia, il rogo della Tyssen, la strage di Viareggio e via ricordando.
E tutti noi, sconcertati e costernati, esprimiamo solidarietà, commozione, partecipazione e doniamo sangue. E’ un rito ormai consolidato che fa parte della quasi quotidianità e dell’assuefazione alla tragedia. Come fosse una calamità naturale.

A Corato, due treni impennati, sbriciolati e accartocciati su un binario unico.  Nascondono centinaia di persone e di corpi altrettanto incastrati. Quelli lontani dalle vetture di testa sono stati fortunati e, in qualche modo, sono riusciti a uscire indenni dai quei vagoni maledetti.
Scene spaventose e allucinanti raccontate, fra lacrime e sudore, dai soccorritori che, per lunghissime ore e in condizioni impossibili (tute, caschi e misure di sicurezza), hanno scavato e cercato, fra i detriti, i rottami e le lamiere arroventate da una temperatura di 40 gradi, superstiti e persone ferite e sanguinanti, tra tanti morti, che chiedevano aiuto, che piangevano terrorizzate.
Su quel binario solitario non c'è automatizzazione, ma è previsto un sistema a chiamata tra le stazioni: il cosiddetto “blocco telefonico”. Le stazioni avvisano dell'arrivo dei treni e trasmettono con dispaccio le informazioni ai macchinisti: una delle due stazioni potrebbe non aver bloccato uno dei due treni o uno dei due non ha ricevuto o rispettato il blocco.

Uno scontro frontale fra due treni locali che viaggiano su rotaia unica e dimenticata, oggi, non si riesce proprio a concepire: le automobili si guidano da sole, i robot esplorano campi e luoghi d’ogni tipo e pericolo, i droni riescono a colpire con precisione chirurgica obiettivi a migliaia di chilometri di distanza. Solo in campo ferroviario si usano ancora sistemi arcaici di segnalazioni di sessant’anni fa e non si riesce ad impedire che due convogli si scontrino su un binario solo, triste e solitario, che ancora, largamente esiste nel sud d’Italia e in buona parte della Puglia.
In quel profondo Sud ma, in qualche caso, anche nel profondo Nord, scopriamo che non esistono tecnologie, quasi elementari, e automatismi che possano prescindere da una dimenticanza, da una leggerezza  o dall’errore umano ed evitare catastrofi e disgrazie.
E vogliono ancora realizzare il Tav! Un'opera costosissima di alta velocità, inutile e superflua, quando una parte dell’Italia, soprattutto il Mezzogiorno -  terra di sprechi, di mafie e clientelismo - si ritrova con infrastrutture ferroviarie da paesi del terzo mondo.
13 luglio 2016 (Alfredo Laurano)




lunedì 11 luglio 2016

UNDICI LUGLIO

Tappe, cicli, scadenze, ricorrenze: nella nostra esistenza, ce ne sono sempre e tanti, in ogni stagione, ad ogni festa comandata. Anzi, ne scandiscono i ritmi stagionali: dalla primavera della giovinezza, all’inverno della maturità, passando attraverso le mezze stagioni dell’infanzia, del dubbio, delle paure, dei desideri. 
Sono, in effetti, bilanci, estratti conto scadenzati del nostro provvisorio mestiere di vivere. 
Sono pagine e riflessioni che il nostro grande archivio personale ci obbliga a visitare, a rileggere, a ricordare, ad indagare, senza sconti per nessuno.
Sono i saldi del confronto, della coscienza, dei valori che ci portiamo dentro, sempre in bilico e a rischio di precarietà.
Dalle aste e le vocali, abbiamo avuto il privilegio o la sventura di scoprire, a tarda età, le lusinghe della tecnologia che hanno cambiato tanti aspetti della vita quotidiana, che ci hanno svelato un mondo nuovo e sconosciuto, attraente e misterioso, senza però riuscire a cancellare del tutto i confini della nostra specificità, nella difficile battaglia culturale per l’autonomia del pensiero e degli affetti. 

Arriva, però, un momento in cui scopriamo il privilegio del non dover mentire a noi stessi, del non dover e non voler fare ciò che non ci va di fare. Che ci consente di decidere, di scegliere, di preferire, di selezionare le cose e le persone, i piaceri e i sentimenti e tutto ciò che amiamo, con una punta di sano egoismo primordiale. 
Non possiamo, in quell’attimo, fermare il tempo, né le mode, né gli obblighi sociali, morali o collettivi, ma possiamo rifiutare i sofisticati totem di certa modernità, come le forme ibride di nuove chiese e religioni, fatte di santi, santini, allegorie, miti fasulli,  arroganti predicatori, anarchici peccatori e brutte figurine, da adorare con ogni possibile riserva e con tutto lo scetticismo dell'eretico convinto.

È bello, tuttavia, dal palchetto del proprio teatrino laico e artigianale, scostare un po' il sipario che ci veste e che ci avvolge, guardarsi dentro e riscoprire ancora emozioni, quasi giovanili o dimenticate. Sono l’altra nostra vera ricchezza: siamo quello che abbiamo pensato, amato, realizzato e condiviso con un altro pezzo di umanità. E siamo, soprattutto, quello che di tutto questo, con commozione, ci rimane. 
Ma ci ricordano, soprattutto, che non dobbiamo inseguire l’esistenza, ma solo viverla fino alla fine del romanzo. 
Non da spettatori, ma da protagonisti consapevoli della tragicomica commedia della vita! 

Auguri. (Alfredo)

MATADOR

E i tori cominciano a correre. E corrono più veloci dei tremila bipedi umani che vogliono con essi competere, ognuno con la propria giornaliera overdose di adrenalina.
Ma la corsa non è un gioco, è una recita per molti emozionante. E’ anche una sfida per la gloria, per il business, per la tradizione e per la vita. E, a mio avviso, per la stupidità.
Sport, arte nobile, folclore, mito o tradizione popolare? 
O spettacolo di esibizionismo, orribile, pittoresco e sanguinario?
La violenza sugli animali, ancor più se istituzionalizzata, aggrava ed esalta i comportamenti aggressivi dell’uomo e la tendenza alla crudeltà nei confronti di umani e non umani.

A Pedreguer, vicino Valencia, un ventottenne ha perso la vita durante una "vaquilla", una sorta di gara con giovani tori nella quale è tradizione che gli uomini dimostrino il loro coraggio sfidando le corna degli animali. Il giovane è stato colpito da una cornata a un polmone.
Un giovane e quotato torero è morto - in diretta TV - durante una corrida in Aragona,  incornato al torace da un toro di oltre 500 chili nell'arena di Teruel.
 Due persone sono rimaste ferite alla festa di San Firmino a Pamplona, nelle corse con i tori che per i nove giorni della "fiesta"- tanto cara ad Hemingway - si svolgono lungo le stradine della città e che attirano ogni anno migliaia di turisti. Molti sono entusiasti, eccitati, ma osservano tutto, in sicurezza, dai balconi.

Altre dodici persone hanno riportato danni lievi in questa festa, tra le più controverse e famose dell’intera Spagna, che continuerà fino al  14 luglio, mescolando cerimonie religiose con quelle profane, iniziative pubbliche con il clamore popolare. 
Tra fiumi di cibo, vino e sofferenze di animali umiliati, strapazzati, impazziti e torturati da una folla di esaltati, c’è chi vive questa violenza atroce, senza nemmeno rendersene conto, in nome di una barbara tradizione. E c’è pure l’idiota chi si fa un selfie, sicuramente mosso, inseguito da uno sbuffante toro.

Come non provare rabbia e ripugnanza?
Le tradizioni nascono e sono importanti nella storia dei popoli. Vanno difese e tutelate, ma possono anche morire quando sono stupide, o quando mettono a rischio la salute e la vita di persone ed animali, distinguendole da quelle che hanno valore culturale, di costume e di testimonianza e che non nuocciono ad alcuno. Altrimenti, avremmo ancora i combattimenti al Colosseo.
Tutto questo si chiama civiltà.

(Alfredo Laurano)


domenica 10 luglio 2016

MARE NUDO

La Gioconda di Leonardo, la Primavera del Botticelli, il Giudizio Universale di Michelangelo, il Guernica di Picasso, i dipinti di Piero della Francesca, di Raffaello, Tiziano, Caravaggio, Monet e Van Gogh, le sculture di Canova e Bernini: tutto questo, e tanto altro ancora, viene in mente quando si parla o si pensa all’arte visiva. All’arte classica, storica, tradizionale, che si conserva, si ammira e si protegge nei musei o nelle chiese. Opere incredibili, di genio e ingegno, senza prezzo, senza tempo e senza scadenza culturale. Sono patrimonio e orgoglio dell’umanità.
Poi, c’è l’arte moderna e, soprattutto, contemporanea: quella, per esempio, delle Installazioni. 
Per Installazione si intende un genere di arte visiva sviluppatosi nella sua forma attuale, a partire dagli anni settanta. 
E’ una rappresentazione in genere tridimensionale che comprende vari elementi: strumenti, oggetti e forme espressive di qualsiasi tipo, collocati in un determinato contesto e che si integra con l’ambiente in cui l’uomo vive.
E’ il confronto tra spazio estetico e spazio sociale - dicono gli esperti - la possibilità, cioè, che l'arte possa configurarsi come una dimensione della storia, mirando a stabilire una certa equivalenza con il mondo che la circonda.

L’installazione, di solito monumentale, poliedrica e composta, è in grado di far vivere allo spettatore un'esperienza surreale e multi-sensoriale, facendolo diventare tutt'uno con le componenti artistiche di cui si forma. 
E’ divenuta occasione di sintesi di linguaggi e mezzi espressivi diversi, dai più tradizionali a quelli tecnologicamente più avanzati, comprendendo materiali grezzi o manipolati, elementi meccanici o elettrici, video, componenti sonore o musicali, immagini computerizzate interattive.
Può essere creata o riproposta in spazi espositivi differenti e particolari, sia permanenti che temporanei, all’interno di una galleria, in un parco o in una piazza, subendo eventuali adattamenti, che non alterino, però, le relazioni tra le varie parti e il senso generale dell’opera.
Partendo da lì, l'installazione è uno dei mezzi più originali di espressione per l'arte contemporanea, attraverso l'opera di molti artisti che, con tecniche diverse e per vie differenti, propongono una loro visione del mondo.
Qualche esempio? La celebre ruota di bicicletta, il tetto di ombrelli colorati sulla strada in Portogallo, l’enorme maglia d’acciaio sospesa di  tre tonnellate, la facciata di palazzo che scivola, lo scolabottiglie, l'orinatoio o la recentissima passerella di Christo sul Lago d’Iseo.

Più di 3mila persone si sono riunite ieri, 9 luglio, e hanno posato nude e completamente dipinte di blu per le strade in una cittadina del nord del Regno Unito, per l'ultima installazione dell'artista americano Spencer Tunick, dal titolo “Mare di Hull”. 
Tutti i partecipanti sono stati colorati con una speciale vernice di colore bluastro per ricordare le diverse tonalità del mare.
Anche questa è arte. Dicono.
10 luglio 2016 (Alfredo Laurano)

sabato 9 luglio 2016

L’AGGUATO NERO

Il presidente nero non è bastato. La società americana, patria del diritto e dell’integrazione, la più grande democrazia del mondo, multi-razziale, multi etnica, e che quella democrazia esporta dappertutto e dove serve - magari con le bombe - resta una società violenta e contraddittoria e la polizia non è che una delle sue espressioni. 
Se l'estrema, cieca brutalità della polizia è quella che si manifesta quasi tutti i giorni, non c'è da stupirsi che la reazione sia altrettanto cruenta!
La strategia della tensione porta solo sangue, da sempre e da ogni parte. 
Fermenti e tumulti razziali, ma anche di più: siamo alla guerra vera. Ma contro quella polizia che brutalizza e ammazza con facilità e, preferibilmente, i neri.

La strage di Dallas, 5 agenti uccisi e 7 feriti, a pochi passi dai luoghi dell’attentato a Kennedy nel 1963, si è consumata durante la marcia di protesta degli afroamericani.
Il cecchino-killer, un govane di 25 anni, incensurato, riservista dell’esercito e simpatizzante delle Pantere Nere, è stato a sua volta eliminato da un robot. 
Negli ultimi due giorni, due persone di colore erano state uccise dagli agenti: Philando Castile, 32 anni, ucciso nel Minnesota, mentre stava prendendo i documenti da mostrare, dopo essere stato fermato perché un fanalino della sua auto era rotto e Alton Sterling, 37 anni, in Lousiana, sparato da due agenti mentre altri lo tenevano immobilizzato a terra, come dimostra un video registrato da un passante.
Sono le ultime di una lunga e documentata catena - su internet ci sono centinaia di filmati di abusi, barbarie e ordinaria crudeltà - che hanno riacceso la rabbia degli afroamericani e scosso le coscienze, con manifestazioni in varie parti degli Stati Uniti, compresa una grande marcia a Washington verso la Casa Bianca.

Per molti, quella strage di Dallas, è stata legittima difesa, organizzata dai membri di una comunità che, da lungo, tempo subisce discriminazioni, attacchi e altrettante uccisioni da parte della popolazione bianca. E vili sono gli attacchi dei poliziotti che uccidono i neri ogni giorno. Nel 97% dei casi nessun agente viene incriminato.
“Tutti noi americani, aveva appena detto Obama, siamo turbati da queste sparatorie, che non sono incidenti isolati, ma sono sintomatici delle disparità razziali".

532 uomini uccisi dalla polizia: compresi alcuni bianchi, nei primi sei mesi dell’anno. L'odio ribolle di nuovo nelle strade americane. Lo scontro assume i peggiori contorni rabbiosi e spietati.
Nei liberi Stati Uniti, la gente ha paura della polizia razzista, gli afroamericani ne hanno, ovviamente, di più.
(Alfredo Laurano)