martedì 31 maggio 2016

MARO’, MARO’, RIDATECI I MARO'

E’ tornato, finalmente, anche il secondo Marò e tutti siamo contenti. Se non altro, perché almeno non sentiremo più recitare rosari quotidiani, non ascolteremo altri deliri irrefrenabili di nazionalismo ambiguo o invocazioni di spirituale patriottismo alla carbonara.
Quello dei Marò era diventato un mantra fastidioso, ben farcito di italica ipocrisia. Una litania quasi vespertina, una supplica da Madonna del Divino Amore, che si propagava tutti i giorni, fino a rompere i “maroni”.

Accolto all’aeroporto da due ministri, da un plotone di giornalisti, telecamere e microfoni, da autorità e militari, nonché da cerimonieri e addetti e dal solito drappello di curiosi e nostalgici nullafacenti, Salvatore Girone - in perfetta forma ed elegante divisa marinara - ha vissuto un particolare momento di emozione e celebrità, fra migliaia di flash e strette di mano. Prima o poi, avrà abbracciato con calma anche la famiglia.
Pochi giorni fa, appena si era diffusa la notizia del suo attesissimo rientro, più di qualcuno aveva proposto di farlo “sfilare alla parata” del Due Giugno per esibirlo al popolo sovrano, come un trofeo conquistato, dopo una lunghissima battaglia di formalità legali e normative. Poi, per fortuna, tutti hanno fatto marcia indietro - negando perfino ogni lontana intenzione - e un opportuno lampo di buon senso è prevalso su quella scelta inopportuna e di cattivo gusto, dal più che pacchiano sapore elettorale.

In fondo, con Massimiliano La Torre, l’altro fuciliere di marina, suo compagno di lotta e di cavilli - già rientrato da tempo per motivi di salute - era diventato, suo malgrado, un eroe nella fantasia popolare, un’icona dell’ingiustizia rigida e burocratica, anche se entrambi, a lungo trattenuti per essere giudicati dalla locale magistratura, avevano ammazzato per sbaglio due poveri pescatori indiani. Un dettaglio, assai poco significativo, che molti compatrioti avevano subito dimenticato.

Due simboli quasi santificati, quindi, elevati al rango di eroi e di mitiche figure.
Ma, forse, sarebbe bene ricordare che “eroe”, per definizione e per il vocabolario, è colui al quale si attribuiscono gesta prodigiose, virtù e meriti eccezionali, che dà prova di grande valore e coraggio, affrontando gravi pericoli e compiendo azioni straordinarie o chi si sacrifica per affermare un ideale o per proteggere il bene altrui.
Come, per esempio, chi salva tante vite umane in mare, chi aiuta, cura e si prodiga per gli altri, in condizione spesso difficili, con pochi mezzi e tanta fantasia. 
Chi fa scelte umanitarie, chi opera nel volontariato e nella solidarietà, lontano dalle vetrine e dai riflettori.
Non chiamiamoli eroi, martiri o paladini perché non hanno fatto nulla di eroico, di nobile e glorioso. Anzi!
Accontentiamoci per il momento di esibire i nostri marinai, valvole della nostra usurata coscienza, sui giornali, nei salotti e negli studi televisivi, per magari candidarli alle elezioni in un prossimo futuro, perché ora, pur volendo, non c’è più tempo.
Che autentico peccato!
 31 maggio 2016 (Alfredo Laurano)


LA COLPA DI ESSERE DONNA

Ascoltare le parole del capo della squadra mobile di Roma che afferma di non aver mai visto, in venticinque anni, un delitto così atroce e, ancora di più, quelle del sostituto procuratore che dichiara che Sara si sarebbe forse salvata, se solo uno degli automobilisti di passaggio l'avesse aiutata, anche solo fermandosi o chiamando la polizia, ferisce profondamente la coscienza di ognuno di noi.
Non valgono le banali giustificazioni della paura, della fretta, del “non avevo capito la gravità della situazione”, del “in piena notte e in una strada poco illuminata, con tutto quello che accade al giorno d'oggi e che si sente dire”.
Vale, conta e resta scolpito nella realtà dell’ordinaria quotidianità il primato dell’indifferenza e dell’egoismo che ormai deturpa e definisce questa nostra società malata. Pensiamo, per esempio, alla assuefazione collettiva che, ormai, produce la tragedia dei migranti.

Ci indigniamo, da sempre, ogni volta che una donna viene abusata, violentata, schiavizzata, massacrata e tutti diciamo “non deve succedere mai più", il colpevole deve pagare amaramente, bisogna prevenire e impedire ogni forma di violenza, anche contro gli anziani, i bambini e gli animali.
Le istituzioni, la scuola, le famiglie, i principi educativi devono impegnarsi di più e meglio, come se noi, che di quelle stesse cose siamo e facciamo parte, non c’entrassimo per niente.
Siamo tutti bravi a dire o a ricordare, che le donne non sono “cose” che ci appartengono e che possiamo trattare come oggetti da usare, sfruttare o rifiutare. Ma poi, passata l'indignazione, l’intensa emozione che l’ennesimo delitto ha suscitato, il momento di rabbia e di assoluta condanna, dimentichiamo tutto e pensiamo soprattutto ai nostri interessi e a tutelare nostra incolumità. Anche di fronte al fatto meno grave o più banale: una prepotenza, una minaccia verbale o scritta, un atto di bullismo, di discriminazione, un insulto razzista o omofobo.

Sara è stata bruciata viva dal suo ex. Perché anche Sara non era una donna, ma un oggetto da possedere. E se non lo aveva lui, non poteva averlo nessun altro. Come ai tempi del delitto d’onore.
E le conquiste delle donne, le lotte per l’emancipazione femminile, il ’68, i diritti civili? Come se nulla fosse successo.
Nel passato la donna era praticamente priva di tutto: non studiava, non lavorava, non votava e si occupava quasi esclusivamente della famiglia.
Oggi le donne hanno raggiunto l'emancipazione sociale, la parità civile, giuridica ed economica. Ma non il diritto di vivere serene, di scegliere dei propri sentimenti, dei propri desideri, del proprio futuro e di non essere perseguitate e ricattate. Di non essere quell'oggetto dell’uso e del desiderio, del piacere o del disprezzo del maschio sultano.

Al di là di certe culture religiose, integraliste e intransigenti - a noi storicamente lontane - che denunciano e ratificano una condizione femminile di estrema emarginazione e sottomissione, questa società “civile" è intrisa, tuttora, di atavico maschilismo, a cominciare dal linguaggio di certa politica, dall'ipocrisia perbenista, dal sessismo e dall'ironia che ogni giorno si accende e si propaga nei rapporti sociali e personali e anche sul Web. Come se tutto ciò fosse normale e lecito.
Molti continuano a pensare che in fondo la donna deve badare a casa e famiglia, che non deve provocare, che si deve vestire in un certo modo perché altrimenti se la cerca, che deve comportarsi come piace e pare a noi - obbediente e sottomessa - altrimenti è una poco di buono, se non una sgualdrina. E quando sbaglia e non si attiene a tutto ciò deve essere punita.
DEVE, DEVE, DEVE: la dittatura del dovere, imposta dal maschio primitivo.

Questa è quella parte di schifosa società dei pregiudizi e degli stereotipi, dove gli uomini ammazzano le donne e dove chi vede un auto in fiamme e riceve una richiesta d’aiuto nemmeno si ferma o avverte la polizia, lasciando morire una ragazza che si poteva salvare. Meglio girarsi dall'altra parte e proseguire dritto, perché non ci riguarda o finché non tocchi a noi. 
Finché continueremo a confondere il possesso con l’amore.
31 maggio 2016 (Alfredo Laurano)



MURALES E SALSICCE

Ancora una volta, l’arte ha rischiato di soccombere sotto il peso delle scelte commerciali.
Il grande Murale di William Kentridge, realizzato sulle sponde del Lungotevere, stava per essere fagocitato e nascosto dalle bancarelle dell'estate romana. Le stavano montando proprio davanti a Triumphs and Laments, un fregio lungo 550 metri, tra Ponte Sisto e Ponte Mazzini. Dalla street art allo street food.
C'erano voluti anni per progettare e realizzare l'opera, ottenuta attraverso la pulizia e la rimozione della patina biologica, lasciata dagli agenti atmosferici sul travertino dei muraglioni. Su quelle pietre, l'artista sudafricano ha disegnato o, meglio, “scoperto”, la Lupa, Romolo e Remo, Pasolini, Anita Ekberg nella Fontana di Trevi della Dolce Vita e i bombardamenti di San Lorenzo, per rendere omaggio alla città eterna. Ottanta le figure alte oltre 10 metri, ottenute con l'utilizzo dell'idropulitrice al posto della vernice, che ricostruiscono alcuni momenti della storia di Roma.

A seguito di un ripensamento delle preposte autorità comunali e di governo, gli stand di abbigliamento, oggettistica e gastronomia saranno per fortuna spostati, per lasciare campo libero all’artistico murale, organizzando in quell'area solo eventi culturali.
L’opera era stata inaugurata di recente, in occasione del Natale di Roma, con una performance itinerante di ombre cinesi, partita da ponte Sisto.
Una vera e propria processione di uomini, luci e colori su quello sfondo raffigurante animali e creature mitologiche, accompagnata da musiche e sonorità etniche, condite da un forte impiego di percussioni.
Più di 40 musicisti e vocalist di fama internazionale avevano partecipato all'esecuzione musicale e creato una magica atmosfera, che collanine, porchetta e salsicce hanno rischiato di deturpare.
(Alfredo Laurano)



domenica 29 maggio 2016

DUE RUOTE DI PASSIONE

Chi ama lo sport e ne apprezza i suoi valori, autentici e più limpidi, ieri ha vissuto una straordinaria pagina di emozioni, di confronto, di sfida, ma anche di vera umanità.
Il ciclismo è forza, fatica e sacrificio, soprattutto quando la strada sale, crescono i tornanti e la cima resta lontana. Nelle gambe ci sono già tanti chilometri, c’è la stanchezza, il calore del sole e il sudore, oppure c’è la pioggia, il freddo e il vento che taglia la faccia e segna ogni centimetro di pelle. Ma la testa, che quelle gambe comanda, decide di combattere, anche con se stessa, e di tenere duro, di affrontare quella primitiva lotta e quel cimento. E ti costringe a stringere i denti e pedalare.
L’impresa di Vincenzo Nibali, lo Squalo siciliano, resterà nella memoria e nelle più belle pagine della storia delle corse in bicicletta. Un’ impresa, la sua, che nessuno, in anni recenti, era riuscito a realizzare: recuperare e ribaltare un distacco così grande in due sole tappe. Roba d’altri tempi: soltanto quattro giorni prima era crollato ad Andalo, sprofondando a quasi cinque minuti di ritardo dalla maglia rosa di Kruijswijk. Tutti, ovviamente, speriamo e confidiamo nella sola forza vera del campione.
A duemila metri dal Colle della Lombardia, l’amico Scarponi che l’aveva aiutato ed incalzato, già nella tappa precedente, si scansa di lato, come a dargli il via: lui scatta sulla salita, in piedi sui pedali, parte con decisione e stacca tutti.
Il piccolo colombiano dal sorriso buono, che aveva appena conquistato il giorno prima quella maglia rosa, per un po' lo insegue, prova a resistere a quel caparbio strappo, poi inizia il tormento. I sogni di Esteban Chaves svaniscono come il suo primato, mentre lo Squalo affronta una discesa da paura, piegandosi in un tutt’uno con la sua bicicletta.


Nella salita finale quasi non avrebbe più bisogno di spingere: l'urlo del pubblico, dei tifosi e dei Can-nibali, assiepati verso Sant'Anna di Vinadio e sul traguardo, lo fa volare verso la vittoria del Giro.
Resta in tutti gli sportivi il dispiacere per quel ragazzo colombiano, dal viso simpatico e pulito, che torna secondo, a meno di un minuto. Anche lui ha lottato, ha sofferto e ce l'ha messa tutta e, pur sconfitto, non ha smesso di sorridere: merita ogni applauso e incoraggiamento.
Un’avventura, epica ed emozionante che ha avuto anche un risvolto non proprio secondario, un epilogo da avvincente romanzo popolare a lieto fine, un momento di grande commozione: i genitori di Chaves, per la prima volta in Europa, aspettavano il figlio Esteban in rosa per festeggiarlo, ma trovando Nibali - nuovo leader del Giro, che lo ha appena spodestato - sono comunque i primi ad abbracciarlo e a congratularsi, con genuina spontaneità.
Un gesto nobile e sincero, una pagina di rara umanità che solo lo sport, o forse solo il ciclismo, sa regalare.
29 maggio 2016 (Alfredo Laurano)

E TUTTI ROSARIAVANO IN CORO...

Tre anni fa, pochi giorni dopo Don Gallo, se ne andava, a 84 anni, anche Franca Rame. Con affetto e con dolore, la ricordavo e la ricordo così.

Addio Franca,
insieme a Dario, mi hai aiutato a crescere, a pensare, a capire, a scegliere, con orgoglio e consapevolezza, da che parte stare.
Con te, un' altra grande tessera del mosaico della mia vita se ne va e sottrae stabilità a ciò che resta.
Che è sempre meno!
Ciao Franca, nessuno dimenticherà le tue battaglie, la tua generosità e la tua indomita passione! Sulla scena e nelle piazze!

Invito a rileggere la tua straordinaria "lettera d'amore a Dario", di cinque mesi fa, sul "Fatto Quotidiano", di cui pubblico uno stralcio.
Ricordi, pensieri, immagini e tanta emozione in quelle parole.
E tutto l'amore per il caro Dario, a cui anch'io sono vicino, fin dai tempi del Teatro Tenda di Piazza Mancini, dove non ho mai perso un solo spettacolo di quella meravigliosa coppia di artisti, di persone eccezionali e di rara umanità. (Alfredo Laurano)

"Sono nata nel 1929.
Quando ero piccola, sette, otto anni, mi veniva in testa un pensiero che mi esaltava: morire.
Quando morirò?
Com'è quando si muore?
Come mi vestirò da morta?
Forse mamma mi metterà quel bel vestito che m’ha cucito lei di taffetà lilla pallido orlato da un bordino di pizzo d’oro.
“Sembri un angelo! Quanto è bella la mia bimba che compie gli anni!” mi diceva.
A volte mi stendevo sul lettone di mamma: vestito, calze, scarpe, velo bianco in testa, una corona del rosario tra le mani poste sul petto (tutta roba della Cresima), felice come una pasqua aspettavo che qualcuno mi venisse a cercare e si spaventasse…scoppiando in singhiozzi. “E’ mortaaa! Franchina è mortaaaaa?!”
E tutti a corrermi intorno piangendo…arrivavano i vicini, il prete e tutti rosariavano in coro.
Arrivasse un cane di un cane. Nessuno spuntava.
Nell’attesa, mi addormentavo......"

http://www.ilfattoquotidiano.it/…/lettera-damore-a-…/483928/

sabato 28 maggio 2016

QUANTO MI COSTI EUPALLA!

Per dormire a Milano questa sera, in occasione della finale di Champions, tra Atletico e Real Madrid, bisogna chiedere un mutuo: il costo degli alberghi è schizzato alle stelle. Del resto, la legge della domanda e dell'offerta, piaccia o non piaccia, vale da sempre e in tutti i paesi del mondo.
E ciò accade sempre, quando ci sono eventi di qualsiasi genere: concerti, fiere, congressi, grandi manifestazioni. Fino a che si trovano idioti disposti a sborsare certe somme, i numeri gli daranno sempre ragione, crisi permettendo.
Nella migliore delle ipotesi il prezzo è triplicato. Ma ci sono casi in cui per una stanza d'albergo si arriva a spendere dieci, venti volte tanto, rispetto alla normalità.
Prendiamo ad esempio uno degli hotel più prestigiosi di Milano, il Melia, cinque stelle (vi alloggia anche dell’Atletico Madrid): il solo pernottamento per le notti di venerdì e sabato viene a costare 4.873 euro.
La stessa camera, due settimane dopo, solo 294 euro. Sedici volte tanto.
Il fenomeno riguarda sia gli hotel di lusso che quelli più economici, a una o due stelle. Fino a 1800 euro, nel primo caso, oltre i 250 per una camera in un “due stelle” che, normalmente, costa 65-70 euro.

Ma tutto è relativo, perché questo è poco o niente se pensiamo allo scandalo del bagarinaggio: biglietti da 160 euro venduti da due a seimila euro, nei pressi dello stadio, o sui vari siti specializzati on line, tagliandi all’asta a oltre 19mila euro, quando il Pil pro capite dell’Italia (che misura il grado di benessere della popolazione), tanto per avere un metro di paragone, è di circa 27mila euro.
Roba per facoltosi e stravaganti appassionati e nuovi ricchi russi e asiatici, disposti a spendere una fortuna per vedere i novanta minuti della finale più attesa della stagione, che è pur sempre una partita di pallone.

E’ scandaloso, è assurdo, è immorale tutto questo?  
Certamente si, per chi specula e approfitta, come i rapaci bagarini o gli avidi albergatori. 
Ma è, soprattutto, la prova della colpevole scempiaggine e della inconsapevole follia di tanti allocchi travestiti da tifosi, che si trasforma in collettivo e patologico delirio, in nome della divina Eupalla.
Insomma, come dire? Una schifezza!
28 maggio 2016 (Alfredo Laurano)


venerdì 27 maggio 2016

PRIVILEGIATA

Non basta la tragedia quotidiana dei migranti, l’infamia dei trafficanti di umanità, le fughe impossibili nel deserto, i viaggi della speranza o della scommessa per la vita, i barconi che si capovolgono, i tanti che affogano e i dispersi, inghiottiti dall’acqua di un mare assassino, che non hanno mai visto prima, e che diventa tomba.
C’è anche di più, di più atroce, di più beffardo e cinico, nel crudele destino che segna questa larga genìa di figli di un dio minore.
Favour, la bellissima bimba nigeriana di nove mesi, è arrivata a Lampedusa da sola. La mamma, infatti, incinta del secondo figlio, è morta durante la traversata per gravi ustioni da carburante.
Smarrita e inconsapevole, Favour è stata amorevolmente accudita, visitata, abbracciata, rifocillata e rivestita con abiti nuovi. Ha bevuto latte, ma non quello della sua mamma che non sa di non avere più.
Come hanno raccontato i sopravvissuti dello sbarco, che i soccorritori hanno definito terribile per le pessime condizioni in cui sono arrivati i profughi, la piccola Favour – il cui nome in italiano significa “Privilegiata” - ha già una storia tragica alle spalle.
Sul gommone è stata salvata da una donna che l’ha protetta e tenuta stretta a sé, anche dopo che il barcone si è rovesciato e la sua mamma è morta, non annegata, ma imprigionata e bruciata nella stiva, a ridosso dei motori. E’ il posto che costa meno per viaggiare o per morire su quelle carrette fatiscenti.
Per tutto il giorno è stata curata e seguita da Pietro Bartolo, responsabile medico del Poliambulatorio di Lampedusa e protagonista dell'ultimo  film di Gianfranco Rosi, "Fuocoammare".  
È rimasta in ambulatorio per alcune ore, poi l'eroico medico l’ha accompagnata nel centro d'accoglienza per i più piccoli, consegnandola alla polizia femminile.


Sono passati non molti mesi da quando l’immagine simbolo del piccolo Aylan, trovato morto su una spiaggia turca, sconvolse tutto l’Occidente che gridò in coro “Mai più” e molti scrissero “Where is the world?”, su improvvisati cartelli, per inchiodare i potenti alle proprie responsabilità. Ma, da allora ad oggi, sono annegati almeno altri cinquecento bambini.
Le foto di quel bimbetto siriano di tre anni, con la maglietta rossa e le scarpine blu, fecero il giro del mondo e, oltre alla commozione collettiva, determinarono un certo rilancio delle politiche europee per l’accoglienza.

Adesso tocca alla piccola Favour, orfana fortunata e già definita nuova star della cattiva coscienza dell’Europa, smuovere l’indifferenza e tenere accese le luci su questo infinito esodo di migranti respinti e disperati.
C’è la fila di richieste per adottarla e sostenerla anche economicamente.
Ma per tutti gli altri, figli e genitori emarginati, vessati, maltrattati, diversi, meno fortunati e meno degni, non c’è nessuna fila.
(Alfredo Laurano)

mercoledì 25 maggio 2016

L’ASCENSORE GALEOTTO

Mentre una cinquantina di donne rivelano al New York Times di essere state molestate da Donald Trump, eccentrico, se non folle, candidato alle Presidenziali americane, L’Oca Del Santo - per gli amici Lory - che di uomini se ne intende e ci capisce, scende in campo in sua difesa.
Ma c’è qualche uomo ricco o potente con cui la l’ochetta paladina non abbia avuto uno straccetto di avventura? Un rapportino sessuale “tanto per gradire”, come quello che confessa di aver avuto col biondo repubblicano, accusato di essere "sessista" e di aver mosso avance e insulti verso il genere femminile?
A "Un giorno da pecora", il programma di Rai Radio2, la show girl ha ammesso di aver fatto “una sveltina” in ascensore con Trump, ma di non essere mai stata molestata.
“Le testimonianze raccolte dal noto giornale sono tutte stupidaggini”, ha dichiarato, "Donald è uno che rispetta le donne, ti fa capire che gli interessi, ma non ti mette le mani addosso".
Eppure alcune intervistate hanno parlato di vere e proprie umiliazioni ricevute da Trump, anche in campo lavorativo.
"Le umiliazioni - spiega sempre l’esperta - sono quelle che senti quando ti lascia: nel senso che poi tornerai a fare un tipo di vita diverso, meno sfarzoso. Tutte le donne vogliono stare con lui. Anche Carla Bruni ha voluto conoscerlo: erano sul Concorde, lei si alzata per andare in toilette e gli ha lasciato, sul sedile, il suo biglietto da visita. Lo so per certo, perché, quando c'è un uomo di un certo tipo, le donne lo vogliono conoscere”.

Fidatevi, è la voce della pratica e della competenza che ci illumina e ci spiega.
Ma allora si tratta di un complotto ai danni di Trump?
Si, sarebbero le donne ad essere aggressive con lui, in una vera congiura ai danni del magnate americano, visto che tali accuse vengono tirate fuori proprio in questo periodo di campagna elettorale.

Comunque, Donald è ormai dimenticato e fa parte della ricca collezione.
Ora la generosa mangiauomini veronese pare sia stata conquistata dall’aspirante sindaco Alfio Marchini, un altro noto poveraccio!
Viva la foca!... è un suo indimenticabile film del 1982.
25 maggio 2016 (Alfredo Laurano)

VIOLA, L’ANELLO DEBOLE

A lungo atteso dai familiari, dagli amici, dal gruppo di 35.000 sostenitori che chiedono giustizia e verità per Marco Vannini, è iniziato ieri il processo a carico della famiglia Ciontoli per la morte del ragazzo di 20 anni, ucciso a Ladispoli in casa della sua ragazza, Martina, la sera del 17 maggio di un anno fa.
Tantissime inchieste, servizi, articoli di stampa, collegamenti, inviati, dirette e trasmissioni televisive hanno fatto ben conoscere a tutt’Italia, e non solo, questo caso di forte impatto mediatico. Una tragedia che, per le assurde modalità in cui si è concretizzata, ha suscitato rabbia e indignazione, ha visto una vastissima partecipazione emotiva e popolare e alimentato legittime attese di giustizia. E anche una certa esasperazione, nei toni, nei giudizi e nelle reazioni, a volte ingiustificata, nei tanti che ossessivamente si chiedevano, e si chiedono, come mai nessuno è stato finora ristretto in custodia cautelare.

A giudizio, di fronte alla prima Corte d'Assise di Roma, tutta la famiglia di Martina accusata di concorso in omicidio, a cominciare dalla padre Antonio - che ha confessato di aver sparato involontariamente al giovane con una pistola, mentre si trovava sotto la doccia, uccidendolo - al fratello Federico, alla madre Maria e a lei stessa. Per Viola Giorgini, fidanzata di Federico, l’imputazione è di omissione di soccorso.
Secondo l'accusa, dopo quel colpo partito probabilmente per errore, durante un gioco finito male, si sarebbe elaborata una serie di omissioni e di coperture incrociate tra i membri della famiglia che, dopo aver tentato di lavare il sangue e le prove, hanno chiamato con molto ritardo il 118, provando poi a sostenere che Marco fosse caduto, infilzandosi con un pettine. Tutto ciò è emerso dalle sconvolgenti conversazioni intercettate in alcuni filmati, in sede di interrogatorio e diffusi nel corso di trasmissioni TV.
A parere dei medici e degli esperti, se avessero immediatamente chiesto soccorso e spiegato l’accaduto, ora Marco sarebbe ancora vivo. Invece, è stato lasciato morire con inaudita leggerezza o per inspiegabili, abietti motivi.

Quella di ieri è stata un’udienza tecnica, finalizzata principalmente all’ acquisizione dei documenti - consulenze medico-legali e balistiche - e della lista dei testi da parte dell’accusa, degli avvocati difensori e della famiglia Vannini. In aula erano presenti i genitori, i parenti e diversi amici di Marco, tutti assenti gli imputati.
La prossima sessione si terrà il 18 luglio e saranno ascoltati i primi testimoni: gli agenti di polizia e il personale sanitario intervenuti sul posto.
Prima che il processo entri nel vivo, vorrei rivolgermi ancora una volta - come ho fatto un paio di mesi fa - alla giovane Viola Giorgini, estranea alla famiglia Ciontoli e alla dinamica del delitto, ma presente nella casa del reato.
Oltre la logica, il buon senso e l’oscura realtà dei fatti, la ragazza ha confermato, fino ad oggi, le parole e le dichiarazioni di tutta la famiglia del suo fidanzato Federico, imputata di omicidio.
Vorrei ricordarle ancora che, in fase di dibattimento e di testimonianze, sarà sicuramente incalzata dal PM e dagli avvocati e cadrà inevitabilmente in contraddizione.
Dovrà fornire mille spiegazioni sulla sua "strana" uscita col fidanzato, dopo lo sparo, sul perché non si sia dissociata dalle gravissima condotta degli altri, soprattutto in merito ai mancati e tempestivi soccorsi.
Si può certo comprendere che le cose accadono in un attimo, che si rimanga attoniti, che si perda la capacità di ragionare e di reagire nella misura più giusta e responsabile, ma dopo un anno la Viola - anello debole di quella catena di menzogne e falsità e sicuramente mal consigliata, anche dai suoi stessi genitori - ha avuto tutto il tempo per riflettere e capire, al di là di ogni possibile pressione. Sempre che non sia completamente idiota o vittima di ricatto.
Non credo potrà resistere molto quando, in aula e fuori, sarà al centro dell'attenzione giuridica e mediatica e perseguitata da telecamere e microfoni.
Per il suo bene e prima di essere condannata, le consiglio di uscire da quel fortino di inerzia, di silenzi e di colpevole apatia e di arrendersi alla verità.  

24 maggio 2016 (Alfredo Laurano)

lunedì 23 maggio 2016

ISOLATI E CONNESSI

E’ lo strumento universale attraverso cui passano comunicazioni ed emozioni, ma anche giochi, foto, video, insulti, sfoghi, dolori, minacce e confessioni. Su cui transitano e si oggettivano stati d’animo e pensieri, ma anche atti di bullismo e di violenza, forme varie di discriminazioni, di raggiri, di truffe e di sessismo. Con un semplice messaggio, si organizza un viaggio, un incontro o un’avventura. Ci si innamora o ci si lascia con un click.
Insomma, nel bene e nel male, lo smartphone - telefono intelligente e multimediale dalle mille applicazioni - veicola e racconta buona parte della nostra storia individuale.
Pochi giorni fa, addirittura, una ragazza francese di 19 anni ha filmato il proprio suicidio, prima registrandone l’annuncio con parole e pensieri rivolti ai suoi amici su un social, poi lasciando acceso in funzione video il suo smartphone, mentre si lanciava sotto un treno.

Da bene di lusso è diventato subito un bene necessario, anzi insostituibile.
Da dispositivo mobile che serviva solo per telefonare dappertutto - una volta, ci stupivamo quando vedevamo qualche antesignano che parlava camminando, con quell’aggeggio in mano - è diventato un fedele compagno della nostra vita quotidiana, una protesi della nostra mano, con cui fare praticamente tutto. Dal raggiungere un luogo o un indirizzo con l’app navigatore, all'aggiornamento costante di informazioni e notizie, al controllo costante dei propri contatti sui social network, dei messaggi.
Alla posta, allo stadio, al ristorante, su treni e autobus o in qualsiasi altro luogo pubblico tutti sono impegnati, senza sosta, a smanettare con due dita su touch screen e tastiere illuminate, per avere il controllo totale su quello che ci circonda.
La tecnologia mobile ha del tutto permeato il nostro vivere quotidiano, dal risveglio al mattino, fino all'ora in cui si va a dormire. Molte persone non riescono a resistere nemmeno cinque minuti senza controllare quel magico schermo, perché ha paura di "rimanere disconnesso" dal mondo.

   Già i numeri del fenomeno sono impressionanti e dovrebbero far riflettere.
Lo guardiamo almeno 150 volte al giorno. Due terzi degli inglesi lo usano quando sono in bagno, il 41% dei giapponesi lo porta nella vasca, l'8% degli utenti controlla il proprio smartphone mentre guarda un film, al cinema, il 32% lo usa mentre è alla guida. L’11% degli under 25 americani interrompe un rapporto sessuale, se riceve una chiamata.
Nel 2009, gli italiani hanno parlato per ben 114 miliardi di minuti sul mobile, contro i 104 sul fisso, mentre le schede Sim nel mondo sono 5,2 miliardi.
Non solo: già dodici anni fa, uno studio dell’Università di Trieste mostrava che il 56% dei bambini di scuola elementare possedeva un cellulare e che solo il 32% lo spegneva per andare a dormire. Un comportamento ad alto rischio, perché il cervello dei bambini viene ancor più danneggiato dalle radiazioni dei telefonini di quello degli adulti.
L'uso di dispositivi mobili comporta l'esposizione continua alle onde radio che, secondo alcuni clinici, causerebbero danni al cervello e l'OMS ha ribadito che le radiazioni degli smartphone possono essere potenzialmente cancerogene.
Soprattutto i più giovani ne sono completamente assorbiti e spesso si isolano dal contesto reale in cui sono, solo fisicamente, presenti.

Se prima un certo stress veniva causato solo dallo squillo e dal suono dell'arrivo di un SMS dal cellulare, con gli smartphone il tutto si è amplificato a dismisura. Notifiche Facebook, MMS, WhatsApp, E-mail: una costante richiesta di attenzione, un continuo bip che obbliga a controllare, a rispondere, ad essere costante bersaglio di informazioni e scambi.
Con possibili conseguenze di dolori cronici, come la cosiddetta "tendinite da messaggio" o il rischio di problemi visivi, a causa dello sforzo dei nostri occhi, continuamente impegnati nella lettura del piccolo schermo.

Nelle indagini della polizia scientifica, i dispositivi mobili sono ormai assolutamente determinanti: si può scoprire esattamente dov'è o dov’è stata una persona (GPS), cosa ha mangiato, con chi è o con chi è stata, cosa ha fatto o chi ha cercato, cosa ha scritto, cosa ha pensato.
Oltre a celle, mappe e intercettazioni, foto, informazioni e dettagli, che noi stessi pubblichiamo ignorando la privacy, lo raccontano doviziosamente. Delitti e reati vengono ormai risolti grazie alle evidenti tracce o scie elettroniche che noi lasciamo ogni momento, segnalando, indirettamente, spostamenti e i nostri dati personali.

Siamo così social dipendenti da non poter fare a meno di giocare con le nostre protesi digitali, anche mentre camminiamo, a testa bassa. Le conseguenze sono: pali presi in pieno, come nei film, piedate che colpiscono con dolore i marciapiedi o, peggio ancora, scontri frontali con altri pedoni nella nostra stessa situazione.
In Svezia, dove il 70% della popolazione è attiva sui social, hanno pensato di avvisare del rischio chi si aggira per le strade con cartelli che segnalano tale pericolo, con la figura di un uomo e una donna che camminano a testa bassa guardando il proprio smartphone. Non essendo omologati dall’agenzia dei trasporti, con ogni probabilità dovranno essere rimossi.
E se può far sorridere, a Washington, per ovviare agli scontri fra pedoni, si è pensato di creare un’apposita corsia sul marciapiede dedicata a chi utilizza il cellulare mentre cammina.
Scherzi a parte, l’installazione di questi cartelli potrebbe essere utile, soprattutto, nelle stazioni della metro e ferroviarie: prestare attenzione nel salire o scendere dai mezzi, potrebbe evitare spiacevoli sorprese.
Distrarsi con il cellulare mentre si cammina per strada può essere fatale.
L'altro giorno, una ragazza milanese che ascoltava musica con le cuffiette è finita sotto un treno, che non aveva visto, né sentito arrivare, mentre attraversava i binari.

Non è, quindi, solo un tentativo di analisi e di costume, ma soprattutto un problema di sicurezza sociale, perché alcuni sono incidenti banali, altri, purtroppo, sono vere e proprie tragedie. Una vera e propria dipendenza, a volte anche molto pericolosa.
Gli smartphone sono quindi indispensabili?
No, per secoli il mondo è sopravvissuto e andato avanti senza, ma, come qualsiasi tecnologia di consumo, aiutano e possono essere molto utili.
Basta usarli con un minimo di saggezza e di equilibrio e ricordarsi ogni tanto di spegnerli per far riposare i nostri esauriti neuroni e per tornare a parlare guardando in faccia le persone.
23 maggio 2016 (Alfredo Laurano)


giovedì 19 maggio 2016

GIACINTO NON COMBATTE PIU'

Passione, impegno, diritti civili: una vita contro la casta e la partitocrazia, tra digiuni, scioperi e bavagli.
Nella lunga stagione della politica, un istrione laico e anticlericale, privo di schemi ideologici, a volte incoerente e opportunista. 
Liberista e libertario, progressista e pragmatico nelle scelte e nelle tante battaglie coraggiose, al limite della contraddizione e della teatrale provocazione, ma sempre determinato nella direzione della non violenza.
Anche quando si è abbandonato platealmente al fascino "fumoso" dell'esibizionismo. 
19 maggio 2016 (Alfredo Laurano)

mercoledì 18 maggio 2016

L’ARCA DI FRANCESCO

Da qualche giorno, le parole del papa su animali e pietà suscitano varie polemiche, critiche e reazioni. Ma soprattutto tante insopportabili strumentalizzazioni.
Sappiamo che da quando esiste il Web, quello di strumentalizzare è lo sport preferito di buona parte dei navigatori che non perdono occasione per criticare aspramente, inveire e sparare a zero su chi la pensa diversamente o esprime un concetto che non si condivide. Perché è facile farlo, perché è un diritto di tutti, perché nessuno lo vieta o lo limita, se non il senso della misura e della ragione, la propria educazione, il rispetto per gli altri e la propria onestà intellettuale.
Poi, secondo la prassi e i convenzionali sacri canoni che i social prevedono o, forse, impongono, segue tutto a cascata: escalation dei commenti, inasprimento degli attacchi, emulazione, protagonismo e tanti carichi da undici per essere sempre più spietati.

Nel caso di Francesco, papa largamente amato anche dai laici, tutto questo, peraltro, è stato molto contenuto e tutti i dissidenti lo hanno aspramente rimproverato per aver posto su piani diversi umani e animali, senza considerare, soprattutto, il valore morale, affettivo e sociale che gli amici animali esprimono e regalano all’uomo.
“Quante volte vediamo gente, tanto attaccata ai gatti e ai cani, che lascia senza aiuto il vicino che ha bisogno e fame. La pietà non va confusa con la compassione per gli animali che vivono con noi, quando si rimane indifferenti di fronte alle sofferenze delle persone”.
Queste, per molti animalisti integralisti, le sue blasfeme parole.

Secondo alcuni, questo papa si contraddistingue per un qualunquismo insopportabile.
“Questo ha veramente scocciato. Ora se la prende pure con cani e gatti. Vergogna. Invito tutti i cinofili a non destinare più l’otto per mille alla chiesa cattolica, non si meritano i nostri soldi.
Dicono altri: “Ecco, adesso Bergoglio se la prende pure con chi ama cani e gatti. Non sa che il più delle volte questi esseri sono migliori di quelli umani? Una gatta non si sognerebbe mai di abbandonare i suoi cuccioli, è capace di lottare fino alla morte per difenderli, mentre molte donne buttano i neonati nei cassonetti… un cane è capace di morire per salvare il proprio del padrone”.
“Spesso, ci si affeziona di più agli animali proprio per l’indifferenza o la cattiveria degli umani e per l'amore incondizionato che sanno darci, al contrario di molti umani”.
“Francesco si occupi dei problemi della Chiesa a partire dai sacerdoti che violentano i bambini e dei cardinali che vivono negli attici e certo non pensano né ai poveri né ai gatti ma solo a loro stessi prima di venire a fare lezioni a noi che amiamo sia uomini che animali come tutte le creature di Dio”.

Tutto vero, tutto giusto, tutto l’amore e il rispetto per i nostri amici a quattro zampe.
Ma, a parte le complesse sfumature nell’uso della lingua per uno straniero, il monito del papa non era certo quello di invogliare a maltrattare o a non amare gli animali, ma più semplicemente quello di non metterli al di sopra delle persone, umanizzarli oltre le leggi di natura, ignorando, magari, il grido d’aiuto di un fratello.
Cosa che tanti animalisti fingono di non capire, soprattutto, quando spendono tantissimo denaro per giochi, cappottini, accessori di lusso, diete da gourmet, per lo psicologo comportamentale e, ora, pure per le vasche idromassaggio.
Molte persone, per motivi psico-sociologici che qui non è il caso di indagare - carenze affettive, perdite, repressioni, delusioni ed emarginazione sociale, sublimazioni - vivono il rapporto e l'amore per un animale - oggi vanno di moda anche i conigli e i furetti, superati criceti e pappagalli, serpenti e iguane - in modo esclusivo, irrazionale, morboso e viscerale. Qualcuno dorme nello stesso letto, convive in stretta intimità, in totale dipendenza e anomala simbiosi. Pratica, inconsapevolmente, una forma di devozione, di ultra fanatismo, al limite dell'idolatria, fino alla creazione del feticcio, che altera ruoli e comportamenti, rompe l’equilibrio e compromette i rapporti umani. Fino ad ignorare il prossimo, gli altri, i bisognosi, come dice il papa.

Gli animali sono in grado di capire, hanno una forma di intelligenza, provano dolore, sofferenza, possono essere felici o terribilmente tristi, ma trattare cani e gatti scambiandoli per figli - capita spesso di sentir dire: vieni da mamma, dà un bacio a mamma! - può essere dannoso soprattutto per la salute degli stessi animali, che vengono sottratti alla loro natura.
Le mode, poi, impazzano in questo settore, dove le varie industrie alimentari, commerciali, farmaceutiche, fino a quelle funerarie, hanno scoperto da tempo un enorme business internazionale che alimentano, sfruttando la buona fede e speculando sui sentimenti di chi, per troppo amore, confonde, a volte, piani, specie, generi ed esseri senzienti.
 18 maggio 2016 (Alfredo Laurano)