mercoledì 28 giugno 2017

FRATE FAZIO E CONFRATELLI

Il caso della povera donna che ieri si è auto-incendiata nella sede Inps di Torino non è né il primo, né l’unico, né certamente l’ultimo. Tanti l’hanno preceduta in questo gesto di autolesionismo per sopravvenuta disperazione, in questa ennesima storia di ordinaria emarginazione e di menefreghismo sociale nel terzo millennio.
Ustionata nel 70% del corpo, è un’altra vittima di un mondo del lavoro sempre più brutale e precario, senza regole certe e solidarietà.
“Mi hanno licenziata di punto in bianco, non mi danno l’indennità di disoccupazione, non ce la faccio più”, ha urlato in mezzo alla gente, in fila allo sportello, prima di cospargersi il corpo di alcol e darsi fuoco con un accendino.

Ma quello che più sconvolge di questo nuovo dramma della miseria è l’incredibile, inevitabile confronto da cui non ci si può sottrarre, in ordine ai tempi e alle avvilenti circostanze di una insopportabile attualità.
Mentre la poveretta reclamava una giusta risposta dalle istituzioni solo per mangiare e sopravvivere, fino a compiere un gesto così estremo ed eclatante, altri contemporanei lamentavano “analoghi” problemi di possibile ricchezza a rischio di intollerabile quasi povertà.

Senza scivolare nel facile qualunquismo, nell’ira popolare di troppa gente, offesa nella dignità e mortificata nella conta settimanale dei centesimi per sbarcare il lunario, non è giusto ignorare il caso del giovanissimo portiere del Milan, tale Donnarumma, che, a diciotto anni, appena affacciato sulla vetrina dei nababbi del calcio, rifiuta un ingaggio di soli quattro milioni di euro dalla sua società e minaccia di andarsene in più generosi lidi e fra più prodighi sceicchi.
O i tanti altri personaggetti del piccolo schermo Giletti, Clerici, Conti), pronti a decollare altrove, non potendo accettare tetti miseri e offensivi di 240mila schifosissimi euro, l’anno, imposti dalla nuova normativa sull'editoria.

Ricatti nell’etere, estorsioni legali in mondo vacuo, debole e amorale che costringono la Rai nazionale a scegliere una deroga per l’avido frate Fabio Fazio, a cui hanno offerto un contrattino di circa dodici milioni di euro in quattro anni, pur di non perderlo, di non lasciarlo andare nella nuova valle promessa dell’Eden televisivo della prorompente La Sette.
 “Siamo costretti a votare la sua conferma, altrimenti andrebbe alla concorrenza. Qualcuno ci avrebbe chiamato a rispondere del possibile danno per i conti del servizio pubblico, in termini di ascolti e di minori entrate pubblicitarie”, dice un Consigliere Rai.
“Sono certa che la perdita di Fazio avrebbe portato uno scossone ai nostri ascolti, con effetti seri, non so se la Rai avrebbe retto senza Fazio: possibile impatto sistemico, occupazione a rischio che non ci siamo sentiti di affrontare, avendo tredicimila dipendenti", aggiunge la presidente Maggioni.

Se non è ricatto questo, siamo al paradosso, alla conditio sine qua non, per garantire occupazione e stabilità. O chiamatela, se volete, emozione, scelta pro bono pacis, o per fare di necessità virtù e salvare capra e cavoli dell’etere.
I tredicimila ringraziano sentitamente il benefattore che, spudoratamente, amministra su Raitre.
Eppure, una ventina d’anni fa, Fazio non era così avido.
Ho fatto con lui due o tre cose di TV: una convention allo Sheraton Hotel di Roma e un paio di spot sull’uso del bancomat. Era un giovane capace, serio, attento, professionale e anche geniale.
Poi, deve essersi guastato col crescere.
Come tanti altri che usano il mondo del lavoro, dello sport, dello spettacolo e dell’informazione, come un incessante bancomat di uno sconclusionato mondo dell’effimero.
Datevi fuoco, in senso metaforico. E vergognatevi quanto basta.
 (Alfredo Laurano)


martedì 27 giugno 2017

LA RIVOLUZIONE NON RUSSA PIU’

Anche la Stalingrado d'Italia è caduta.
Nel silenzio e nell’oblio.
Sesto San Giovanni, città operaia e di grande tradizione comunista, al ballottaggio ha visto la vittoria del centrodestra: Roberto Di Stefano -sostenuto dalla lista Sesto nel Cuore, da Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia - ha vinto con il 58,6% la sfida con la candidata del centrosinistra e sindaca uscente Monica Luigia Chitto', che si è fermata al 41,4%.
Dopo settant’anni, per la prima volta dal dopoguerra, a Sesto vince il centrodestra. Qualcosa vorrà dire.
"Siamo riusciti ad espugnare la Stalingrado d'Italia, ha detto il neo sindaco di Forza Italia, ha vinto la gente di Sesto, ha vinto il cambiamento. Ancora non mi rendo conto di essere nella storia di questa città”.
Manco avesse vinto una guerra o una battaglia!
Ed è subito festa, che va in scena - guarda un po’ - in piazza della Resistenza: spumante, trombette, sirene, canti, slogan, brindisi, per ore e ore nella notte.

Ma il PD, nell’era triste del liberal-renzismo, dove tramontano miti e tradizioni, dove non c’è più spazio per valori e per passioni, dove la colpevole indifferenza distingue e forma un’inetta classa dirigente, dove tutto si rottama e si trasforma in nulla, dove si allontana il popolo dal voto e dal consenso, se ne è forse accorto?
O è votato all’estinzione, rassegnato nel suo solipsismo pernicioso e involutivo?
(Alfredo Laurano)

SENZA LIMITI

Un altro gentiluomo se n’è andato stamattina: era il narrator cortese. 
Autore, conduttore, storico della televisione, del mondo musicale e cinematografico, profondo conoscitore delle dinamiche e dei segreti dello spettacolo in generale, nonché appassionato cantastorie e divulgatore di storie popolari, Paolo Limiti è stato per anni un vero “signore” della TV, molto amato e condiviso, un uomo d’altri tempi, una figura romantica e gentile. 

Conosceva tutto di tutti, ha collaborato con tutti, da Mina in poi, fino ai giorni d’oggi.
Sapeva di miti e di canzoni (che scriveva pure con successo), di lirica, di operetta, di dive e personaggi celebri che raccontava nell’intimità, con rispetto ed eleganza, senza mai scadere nel facile gossip quotidiano.
Misurato e coinvolgente, sapeva intrattenere, e spesso incantare, qualunque pubblico, come pochi, con le sue storie vere e dettagliate, con il suo stile sobrio, con la sua naturale capacità di rievocare il passato con garbo, precisione e competenza, di giocare con i ricordi e la nostalgia, arricchiti di aneddoti e curiosità.
Interprete di una TV pulita, ben lontana dalla banalità e dal diffuso trash che spesso l’inquina e la corrode, Limiti è stato un sincero amico di famiglia, un custode genuino della memoria collettiva, un affabulatore delicato, che amava e faceva amare le straordinarie favole che narrava.

(Alfredo Laurano)

lunedì 26 giugno 2017

GUIDARE NON E’ UN FILM

L’arroganza al volante, la strafottenza, la mancanza di senso civico e di responsabilità. Oltre al menefreghismo nei confronti delle norme e delle leggi e, soprattutto, della vita altrui.
Guidare senza patente, senza giudizio e sotto gli effetti di fumo pesante e droghe varie è di per sé una condizione di rischio e di pericolo.
Quando si corre su una strada, si è nella realtà, non si viaggia in una fiction dove tutto si può gestire, inventare o modificare.

Qualcuno, forse, avrebbe dovuto ricordarlo al giovane Domenico Diele, volto emergente del cinema e della tv, che dovrà rispondere di omicidio stradale aggravato per aver investito e ucciso l’altra notte una donna di 48 anni nei pressi dell'uscita autostradale di Montecorvino Pugliano, nel Salernitano.
L'attore, impegnato nelle riprese di “Una vita spericolata”, ha forse confuso una scena cinematografica del film che stava girando, dal titolo tristemente evocativo e simbolico, con una sequenza tragica di morte.
È stato arrestato e le successive analisi, cui è stato sottoposto, hanno accertato, che guidava sotto l'effetto di sostanze stupefacenti.
È emerso, inoltre, che il giovane non potesse usare l’auto, in quanto la sua patente era stata sospesa nel 2016, anche allora per uso di stupefacenti.

Per queste ragioni, a mio avviso, il reato andrebbe derubricato da omicidio stradale a premeditato o volontario.
Chi guida sotto l’effetto di droghe o di alcol sa di non essere lucido, razionale e totalmente consapevole, sa di essere appannato, alterato nella visibilità e nelle percezioni sensoriali. Sa che può uccidere.
  (Alfredo Laurano)


ROMAGNA IN ROSA


Due piccole frazioni, un unico Comune, unite in un solo magnifico colore.
Bagno di Romagna - nota località termale e piccolo borgo di epoca romana e medievale - e S. Piero in Bagno, lì a due passi, hanno vissuto, un mese fa, un evento collettivo, che ha coinvolto cittadini, comunità e istituzioni locali: in questo straordinario pezzo di Romagna, verde e solatia, è arrivato il Giro e tutto si è eccezionalmente vestito di rosa.
Tra questi monti, queste valli, questi boschi si è corsa, infatti, una importante tappa della centesima Corsa d’Italia, con arrivo, appunto, a Bagno, tra l’entusiasmo di una folla felice e festante.
Per accogliere la lunga carovana e la complessa macchina organizzativa della grande manifestazione sportiva, tutti i cittadini hanno dipinto di quel magico colore ogni angolo dei paesi, hanno addobbato abitazioni, facciate, strade, balconi e vetrine, con centinaia di biciclette, di fioriere, di striscioni, di nastri e di ombrelli sospesi come luminarie: tutto rigorosamente in rosa, come “la Vie” di Edith Piaf.
Una coreografia quasi danzante, una scenografia a quadri di ricca fantasia per uno spettacolo cromatico, ancora oggi sotto gli occhi di tutti e per tutti, di turisti e villeggianti, a testimoniare la passione viva per le biciclette che, da queste parti, cresce fino al Monte Fumaiolo, fino alla sorgente del Tevere, nelle foreste casentinesi, fino a tutta la regione.
Mai tanto entusiasmo aveva coinvolto tappe, tornanti e arrivi, sotto i traguardi in maglia rosa del seducente Giro.

23.6.2017 (Alfredo Laurano)






sabato 24 giugno 2017

ADDIO RODOTA'


Poteva essere il nostro presidente, ma quelli del PD e il "nemico" Berlusconi non l'hanno voluto. 
Strenuo difensore della Costituzione e della libertà, perdiamo un raffinato intellettuale dal linguaggio chiaro e semplice, un docente galantuomo e un giurista di grande valore.
Scompare uno dei più grandi pensatori laici italiani che per tutta la vita si è battuto per i diritti di tutti. Un uomo onesto e pulito, un uomo di sinistra attento e critico.

Una grande perdita per tutti. 
Soprattutto per l'attuale classe politica, sempre più squallida, volgare e di scarsa qualità.
Addio Stefano Rodotà.
(Alfredo Laurano)


mercoledì 21 giugno 2017

SALTO DI PENA

Nessuna condanna, nessuna pena, ergastolo compreso, avrebbe potuto fare giustizia vera a un crimine così crudele e raccapricciante, come la morte di Luca Varani, seviziato, torturato, abusato, martellato e strangolato dai suoi due aguzzini.
Una belva umana (Foffo) se l’è cavata con i trent’anni inflitti dal rito abbreviato. L’altra (Prato), con il suicidio in carcere, la notte prima del processo.
Ha scelto di non soffrire, di non consumare una lunga agonia dietro le sbarre di una certa approssimativa giustizia.

Come ci ricorda la pagina di “Giustizia per Luca”, il male è sempre esistito e di mostri la storia è piena.
Ma per la prima volta si è sentito qualcuno ammettere di aver “cercato qualcuno da uccidere”, di aver dato volontariamente la morte a un povero ragazzo innocente, con atroci torture, solo per provare fino in fondo l'effetto che questo atto faceva: il "salto di qualità" è questo.
Marco Prato e il suo compare sono il parto di una società che si è imposta di essere trasgressiva per stupire e per piacere di più. La loro vita è stata il miglior manifesto alla depravazione e alla soppressione dei valori, non solo morali, ma anche civili.
La morte di Prato - per suicidio contro la “pressione mediatica”, ma senza alcun pentimento, rimorso o scuse alla famiglia della vittima - è l'unico epilogo possibile di uno stato di cose che fa orrore, ma che circonda ormai purtroppo i nostri figli e con il quale dovranno fare i conti le prossime generazioni.
Questo qualcosa è il ripudio del bene e l'asservimento al male, il crollo della ragione e dei valori umani e, per i credenti, la cacciata di Dio, non solo dai muri delle scuole e degli ospedali, ma soprattutto dalle coscienze degli uomini.
Si porta nella tomba un pezzo del suo squallido mondo fatto di eccessi, di orge gay estreme, di droghe, di violenza, di noia di vivere, di nichilismo
Pochi proveranno una minima compassione per questo deviato subumano, capace di tanta efferatezza. Non molti sentiranno la sua mancanza.
Sempre che non sia stato suicidato, come qualcuno insinua, per non farlo parlare al processo di nomi e di vip che lo frequentavano e ne condividevano gusti e perversioni.
(Alfredo Laurano)



lunedì 19 giugno 2017

IL MALE DI VIVERE

È come se, ogni tanto, la Natura volesse riappropriarsi del suo ruolo, cinico e indifferente al dolore umano, grazie anche e soprattutto alla determinante stoltezza dell’animale più sapiens, erectus e intelligente che la affronta, la offende, la violenta, cercando da sempre di dominarla. Pur facendone parte, pur essendone componente integrante, espressione preminente.
In pochissimi giorni, ci ha regalato lo spaventoso incendio del grattacielo londinese, con un centinaio di vittime volanti nel vuoto tra le fiamme, e, poche ore fa, il rogo infinito e selvaggio della foresta portoghese, a duecento chilometri da Lisbona, che ha carbonizzato e soffocato altrettante persone intrappolate e affumicate.
È come se quella Natura volesse ricordarci che non si vive e non si muore di sole guerre, malattie e terrorismo, di attentati d’ogni tipo e scelta, in una spirale di fantasia malata che si propaga dagli stadi ai concerti, dalle strade alle manifestazioni, dai mercati, ai college, ai ristoranti. E l’orribile lista degli obiettivi di ogni fondamentalismo si rinnova e cambia ad ogni nuovo, esecrando capitolo, infame, spietato e spiazzante, come e più del precedente.

Non sarà che quella Natura “matrigna” e beffarda voglia vendicarsi delle prepotenze cui l’uomo la sottopone di continuo, a suo piacimento e per puro egoismo?
Non sarà che tra l’evento che all’apparenza definiamo “naturale” (terremoto, alluvioni, tsunami, valanghe, disastri ambientali…) e quelli premeditati dall’uomo, in fondo - visto il suo ruolo comunque attivo - non ci sia una gran differenza, e non solo formale?

Forse il male riempie quel vuoto che non può esistere in Natura e nella natura umana, come antitesi del bene.
O, forse, è sciolto in essa sotto varie forme che si camuffano in mille modi e aspetti, velati in maschera, surrettiziamente. Che si propongono come realtà, anche abituali, ma non sempre e non immediatamente riconoscibili, alle quali siamo assuefatti: guerre umanitarie e di religione, bombe intelligenti, pane, tecnologia e nuove schiavitù, o le ripetute stragi dei padroni del mondo che esportano democrazia, cultura e libertà, in cambio di un po’ di semplice business.
Il male, come nemico che combatte il bene, abita la stessa coscienza umana e l'uomo che quel male compie, ha un limite morale assai ridotto o inesistente. Ha un Io debole che non è capace di gestire, di dominare questa eterna contrapposizione e scegliere secondo il suo libero arbitrio.

Da sempre - da Platone ad Aristotele, da Agostino a Kant, da Hobbes alle teorie marxiane e rivoluzionarie e fino ai giorni nostri - si discute di come interpretare la violenza, se nasce con l'uomo o se è un prodotto accidentale e culturale dello stesso. Un vizio genetico, evolutivo, ambientale.
O se, come pensa Leopardi, la natura "matrigna" è la sola colpevole dei mali dell'umanità, perché persegue, ostinata, incessante e noncurante, il suo compito di prosecuzione della specie, di selezione razziale e di conservazione del mondo, in quanto meccanismo del tutto indifferente alle scelte e ai bisogni del singolo, destinato alla sofferenza. E a soccombere come gazzella nei confronti del leone.
In natura, la vita è assicurata e ritmata proprio dalla violenza e dall'egoismo, dal rapporto ineluttabile fra preda e predatore. E lì che si realizza il suo equilibrio, il suo ecosistema.
Tutto il resto fa salotto.
(Alfredo Laurano)

venerdì 16 giugno 2017

BOMBA O NON BOMBA

La povera Erika, morta ieri a Torino, dopo dodici giorni di agonia, non è stata uccisa dalla stupida folla in preda al panico, ma dal comportamento sicuramente irresponsabile e imperdonabile di qualcuno.
La Procura sta lavorando sull’evento che ha scatenato il panico e la fuga dei 30mila tifosi, durante la proiezione della finale di Champions, fra Juve e Real Madrid. Il fascicolo è a carico di ignoti.
Tra i vari testimoni, c’è chi pensa di aver sentito un boato, chi avrebbe sentito gridare, come da prassi, “Allah Akbar”. Per altri, l’isteria collettiva sarebbe stata provocata da una sostanza urticante, perché molti hanno raccontato di aver avuto difficoltà a respirare.
Secondo altre ipotesi, qualcuno potrebbe aver letto sullo smarthphone la notizia dell'attentato a Londra e capito, invece, che stava succedendo lì, a Torino, lanciando l’incauto allarme nella piazza. Un colpevole fraintendimento.
O qualche idiota, più idiota del lecito, avrebbe potuto simulare un attacco terroristico “per vedere l’effetto che fa”.
È abbastanza ovvio capire che un gesto, una frase, un movimento anomalo di un normale cretino o di un pazzo esaltato o brillo, in un certo contesto di tensione e di timore, possa scatenare un putiferio, determinare una possibile strage.

La vittima di tanta follia, originaria di Domodossola, non era nemmeno tifosa della Juventus: era in quella piazza San Carlo per far compagnia al fidanzato.
Travolta dalla gente in fuga, intrappolata tra la folla che la schiacciava contro un muro, aveva avuto un arresto cardiaco a causa della compressione della cassa toracica.
Il suo cuore si è fermato per diversi minuti e quando sono arrivati i soccorsi la donna aveva ormai riportato gravissimi danni neurologici, a quanto pare irreversibili.
E quella che doveva essere una festa dello sport si è trasformata in tragedia, che avrebbe potuto avere esiti ben più gravi.
“Una bolgia umana, dove tutto era disorganizzato, spazi compressi, nessun controllo, venditori abusivi, bottiglie dappertutto. Siamo un Paese così” - dice il fidanzato, cui, durante le lunghe veglie al capezzale di Erika, hanno rubato anche il telefonino in cui c'erano le ultime foto scattate insieme, gli ultimi messaggi, gli ultimi ricordi - “non abbiamo imparato nulla: bastava copiare quello che avevano fatto gli spagnoli con la proiezione della partita dentro lo stadio”.

Fa veramente rabbia pensare che si possa perdere la vita per colpa di qualche pazzo irresponsabile che ha provocato la fuga irrazionale di una folla impazzita di paura, che pensa soltanto a salvarsi, travolgendo e calpestando chiunque o camminando sugli altri caduti.
In quei momenti, prevale l’egoismo, sparisce il senso di solidarietà e non si pensa ad aiutare nessuno. Salve alcune lodevoli eccezioni, come quei pochi che hanno salvato il bimbo cinese, ricoverato in rianimazione e poi dimesso, e qualcun altro schiacciato dalla mandria umana.
Bomba o non bomba, un procurato allarme c’è comunque stato.
E qualcuno quel panico l’ha causato. 
E quel qualcuno quella giovane donna l’ha ammazzata. (Alfredo Laurano)

giovedì 15 giugno 2017

SOTTO L’ALTRO OMBRELLONE

- Tanto va la gatta AL LARGO che ci lascia lo zampino! 
- Come si dice: “A caval DANNATO non si guarda in bocca”. Sai, lui è un tipo sui GENESIS, ha un modo di parlare FURBITO ed è cascato LATERALMENTE dalle nuvole.
 
- Deve esserci stato un QUI QUO QUA, anche perché non ha il dono DELL’OBLIQUITA’ e aveva una grande MOLA di lavoro e una spada di SOCLOFE sulla testa.
- Non sono molto AFFERRATA in materia, ma so che ha rischiato lo Shock PROFILATTICO: lì c’erano tanti animali allo stato BRADIPO e la sua ferita non si era ancora EMARGINATA.
- Io so che aveva un’ernia FATALE, doveva fare una GASTROFOBIA, una LANCIA PLASTICA e un KETCHUP completo.  
Soffriva pure di STEREOPOROSI e aveva i COGNATI di vomito.

- Hai mai usato i farmaci ONOMATOPEICI?
- No, io soffro di VAGINA PECTORIS e prendo solo la TAPIRINA, l’Aspirina EVANESCENTE e una pomata contro l’IRPEF. A volte uso anche supposte alla NITROGLICERINA e ho anche un’unghia CARNIVORA.
- Mio nonno, invece, ha il morbo di PAKISTAN e la cirrosi APATICA.
- Comunque io sono a dieta e non mangio IDROCARBURI. Non bevo perché sono ASTIGMATICA, vado pazza per le alici MARINAIE e prendo solo latte PAZZAMENTE scremato.
- Siamo sempre nell'occhio del CICLOPE e l’occasione fa l’uomo RAGNO. Ora, però, facciamoci la solita CHETICHELLA pomeridiana!
Anche se ho perso un po’ la GUARNIZIONE del tempo!"

- Aveva fatto i conti senza l’HOSTESS, poverino!
- No, era evidentemente il CAPO espiatorio di tutto.
- È inutile che lo difendi a SPADARA, come fosse una pietra EMILIANA, faceva sempre il BASTON contrario.
- Senti da che PALPITO arriva la predica…
- Sei proprio ignorante, i Latini dicevano: DO TU DANCE! 
- Vabbè, stendiamo un velo PELOSO!




mercoledì 14 giugno 2017

DOLCE FLEBO

Che cosa avreste pensato, detto, fatto se quella donna fosse stata vostra madre, vostra sorella, un’amica o la vostra compagna. Se, entrando in quella stanza dell’Ospedale S. Paolo di Napoli, l’aveste trovata su quel letto, attaccata a una flebo e cosparsa, invasa e aggredita da centinaia di fameliche formiche?
Forse avreste preso il primo medico, la prima infermiera di passaggio e l’avreste sbattuti al muro o premuti con la faccia sul letto, contro le formiche stesse.
Quella foto, diffusa da Consigliere regionale dei Verdi, non si può proprio guardare.
È un insulto alla medicina, al concetto di sanità pubblica, alla dignità di una persona.
È un costoso ticket che tutti paghiamo alla pubblica inciviltà, un vergognoso biglietto da visita da mostrare, senza pudore e con normale indifferenza, al mondo della salute, dell’assistenza e della scienza medica.

Per quanto tempo quella paziente in cura per choc settico post frattura e sotto antibiotici è stata abbandonata a sé stessa? Quanto tempo hanno impiegato le formiche per arrivare a ricoprirla e per cercare di “mangiarsela”, insieme a qualche possibile goccia, caduta dalla soluzione zuccherina?
Nessuno ha visto, nessuna sa, nessuno sa spiegarlo. E, come sempre, nessuno è responsabile di questo ennesimo, assurdo episodio di degrado, di sciatteria e malasanità da terzo mondo, manco fossimo nella savana tropicale.
Sarà colpa della camorra e delle criminalità organizzata che, da quelle parti, tutto controlla, tutto decide, tutto inquina (appalti, servizi, manutenzione), secondo le proprie scelte e condizioni, fottendosene di quelle dei pazienti?

In passato, avevamo già visto qualche scarafaggio passeggiare nelle corsie di qualche altro ospedale (non voglio osare pensare alle cucine e ai magazzini), qualche topo nei sotterranei degli impianti e qualche malato curato a terra, su una coperta di fortuna. Ma le mandrie di formiche d’assalto su quella carta moschicida umana ancora no.
Il direttore sanitario, di fresca nomina, dichiara di essere esterrefatto e incredulo, come tutti gli altri operatori sanitari dell’ospedale, che non sanno spiegare l’accaduto, viste le “regolari pulizie e il continuo controllo dei degenti”.
Vuol dire, allora, che quelle formiche evidentemente sono da corsa o da “gran premio”, per essere arrivate in massa dall’incolto giardino esterno, in pochissimi minuti.
E ne devono aver fatto di strada, visto che la stanza in questione, pare, fosse al quinto piano!
(Alfredo Laurano)

SOTTO L’OMBRELLONE

- Oggi, so’ MORE!
- Arrivano certe ZAMPATE di caldo…
- Si, proprio, non se TRASPIRA.
- Hai sentito il TG? Parlavano ancora degli AMBIENTALISTI islamici
- Di fronte a certe cose rimango PUTREFATTO.
- A me ha fatto venì il PATÉ d’animo, so’ fatta così: SODOMIZZO tutto.


- Oh, guarda che fisico: quello di sicuro fa BIDI BINDI!
- Non lo vedo bene da lontano, anche se da vicino sono LESBICA e mi manca una DIATRIBA all’occhio sinistro
- A me mancano quattro DOTTRINE
- …A forza di DROPPARSI, gli sarà venuto l’ADSL
- Io, intanto, mi SPARGO la crema che protegge dai raggi ULTRAVIOLENTI.

- Hai fatto colazione?
- Ho mangiato un BUONDIO e tre biscotti al PLASMA, anche se ho il POLISTROLO alto e la GLICERINA sballata: ma non piango sul latte MACCHIATO!
- Io, invece, ho i TRICICLI fuori norma e qualche vena VANITOSA…
- Chi è causa del suo mal pianga LO STESSO!
- Ma dai, spezziamo UN’ARANCIA in nostro favore, senza darci la ZUPPA sui piedi…
- Vabbè, uniamo l’UTERO al dilettevole, riposiamoci che c’è PELURIA di forze e diamoci una bella RIFUCILATA. (A. La.)

domenica 11 giugno 2017

DOVE TUTTI ABITIAMO

Tutti sappiamo cosa sia un luogo: una parte di spazio materialmente determinata, che un corpo può occupare. Quindi, una strada, una piazza, una casa, una città, un prato, un teatro, una montagna: tutto ciò che abitualmente frequentiamo, occupiamo, percorriamo.
Ma esistono anche i luoghi ideali, i luoghi dell’anima?
Certamente sì. 
E sono quelli più vicini a noi, sconosciuti e invisibili agli altri che, a volte, li visitano come comparse o spettatori. O li condividono in un ruolo attivo e coinvolgente.

Sono quelli non raggiungibili a piedi, in auto o con altri mezzi, ma solo con la bicicletta dei ricordi e dei pensieri, pedalando con passione e sentimento.
Sono quelli sospesi nel tempo e nello spazio, nel sogno e nella fantasia e che vivono in una dimensione propria, apparentemente eterea e irreale.
Sono quelli che veramente ci appartengono.
Che servono a raccontare e a raccontarci la nostra storia, le nostre scelte, i paletti importanti del nostro vissuto.
Hanno forme, tratti, colori, odori e speciali sensazioni legate soprattutto alla nostra infanzia, alla giovinezza, alla nostra crescita e alle persone care e fondamentali della nostra vita.
Sono luoghi carichi di emozioni, di eventi e di relazioni importanti, depositari di affetti, di segreti e di momenti ben presenti nella nostra memoria.
Sono le pietre miliari del nostro cammino che hanno scandito un percorso, a volte agevole, a volte difficile e complesso, fino al punto in cui ci soffermiamo a rievocarli, a riviverli, intasando la mente di pensieri forti e pressanti, struggenti e pieni di nostalgia. E spesso li riscopriamo attraverso tanti inspiegabili “dejà vu”.

Quei luoghi sono impressi nella memoria e sono legati indissolubilmente alla nostra storia, che si incrocia con quella di altri, come in un groviglio di strade trafficate e confuse. 
Sono a volte fonte di felice rievocazione, ma più spesso sono la rappresentazione triste di una serenità perduta, di cui abbiamo forte nostalgia. E il dolore si rinnova, perché il ricordo della felicità non è più felicità, ma il ricordo del dolore è ancora dolore.
Che siano i luoghi della fanciullezza, delle nostre origini, del paese, della scuola o del primo batticuore, essi assumono caratteri ben più profondi della loro apparente consistenza e diventano simboli importanti, totem venerati della nostra antropologia personale.

Letteratura, poesia, pittura, musica e tutte le varie forme d’arte hanno sempre espresso i luoghi dell'anima, sin da tempi remotissimi.
Ascoltando Mozart o Beethoven, per esempio, si percepisce il loro vivere, drammatico o leggero, tra quelle sole sette note in mirabile successione. Come succede anche osservando le pennellate, i colori e le luci di Van Gogh o Caravaggio.
O leggendo Leopardi che descrive il luogo natio come un immenso spazio da ammirare, che gli dà conforto e quiete. Quel "ermo colle" che, con la sua siepe, ha scatenato la curiosità del mondo e la ricerca del significato profondo dell'esistenza.
Sono proprio quei luoghi dell'anima che permettono all'animo del poeta e di ciascuno di elevarsi, portatori di una realtà diversa, metafisica e filosofica. Fino a diventare pretesto di ciò che si vede e di ciò che è oltre, in una metafora in bilico tra passato e futuro, aggrappata al noto, ma protesa verso l'ignoto.

Un cinema, un bar, una siepe o una panchina: lì ci si rifugia, quando occorre, per trovare sollievo e sicurezza nelle nostre radici, in ciò che siamo stati.
In fondo, il ruolo dei luoghi che restano nel nostro cuore è proprio questo, pur velato forse da un po' di malinconia.
Soprattutto oggi che viviamo in un ambiente snaturato, spesso ostile e sempre meno umano. 
Che abitiamo spazi anonimi e impersonali che non favoriscono la capacità di appartenenza e di condivisione e che non sanno dare un significato all’esistenza. 
Che non sono più luoghi di incontro, ma somma di solitudini e di esclusioni, di dilapidazione del passato, di distruzione della natura e dei valori universali. 
  
Da qui l’esigenza di ritornare alle radici della propria identità, di rintracciare i fili che legano il presente al passato, di crescere nella consapevolezza, vincendo squallore e indifferenza.
Quei luoghi dell’anima che ciascuno custodisce e rievoca ci svelano la via e possono aiutarci a comprendere e a confortarci oggi.
Basta ritrovare la chiave giusta. (Alfredo Laurano)






IN PARATA

In Italia, e anche nel mondo, è sempre tempo di riti e di parate: storiche, sportive, marziali, politiche, religiose, di folclore e tradizione. Tutte condotte con fierezza, con orgoglio e con qualche rivolo di fluttuante vanità.
Pochi giorni dopo la rivista militare del due giugno, è in corso a Roma quella del Gay Pride. E’ la storica parata per la rivendicazione dei diritti delle persone Lgbt - lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali.

Nel lungo percorso, sfila un concentrato di allegria, musica e colori tra bandiere, striscioni, parrucche, costumi e carri allegorici.
Da Piazza della Repubblica si arriva a Piazza della Madonna di Loreto, dove il bus inglese a due piani del coordinamento Roma Pride si trasforma in palco per gli interventi politici.

La manifestazione da oltre venti anni porta al centro dell’agenda politica e all’attenzione popolare i valori di laicità, i diritti alla parità, alla salute e alla libertà di tutti, per contribuire a cambiare radicalmente la cultura omofoba, i pregiudizi morali e le discriminazioni sociali e di genere del nostro castigato Paese.
L’unica cosa, però, che ancora non capisco è perché tutto questo debba trasformarsi in una esagerata messa in scena, in un discutibile spettacolo di attrazioni circensi di scarsa qualità e in un appariscente sfoggio di chiappe e di esibizionismo: ossia in un folle, prosaico Carnevale.
Come quello di Rio, ma senza la sua eleganza, la sua fantasmagoria.
E senza nemmeno le Scuole di Samba o le nostrane Frecce Tricolori.
 10 giugno 2017 (Alfredo Laurano)

sabato 10 giugno 2017

L’ONOREVOLE ANNARELLA

Montecitorio ha perso la sua nonnina “incazzosa” e popolare.
Annarella, genuina pasionaria, saggia, semplice e ruspante, se n’è andata a 91 anni.
La “pensionata comunista” trasteverina – così amava definirsi – era più celebre dei tanti politici che contestava puntualmente davanti al Palazzo del Potere. Tutti, in qualche modo, la temevano per sue battute caustiche e pungenti, per sue critiche dirette e senza sconti, per la sua schiettezza trasparente e popolare. Il suo bersaglio preferito era Silvio Berlusconi, che per anni ha sbeffeggiato.

Era diventata, col tempo, anche idolo del web, perché incarnava la vena ironica e schietta dei romani, una specie di novello “Pasquino”, sempre in diretta voce, che “non te le mannava a dì”.
I suoi ultimi anni li ha passati lì, davanti a quel Palazzo, e a volte, anche al Senato, con il sole e con la pioggia, a commentare le cazzate dei politici, a modo suo, tra un "vaffa" e "li mortacci", ma anche con consigli e abbracci con alcuni.

La conoscevano tutti, deputati, cronisti, operatori e comuni cittadini.
Con l'"onorevole Annarella", parlamentare aggiunta e simbolo pacifico della piazza non violenta, se ne va un personaggio autentico, folcloristico e verace, un pezzo di anima popolare, e liberamente populista, che solo un certo cinema avrebbe saputo e potuto raccontare.
E’ giusto dedicarle un semplice pensiero, come hanno fatto in molti in queste ore, sul Web e sulla stampa.
Non a caso, davanti a Montecitorio, sono apparsi dei manifesti per ricordarla.

Ciao piccola Annarè, nonnina impertinente dello sberleffo e della presa in giro, la tua ironia senza pretese mancherà a quella grande piazza.
E mancherà quel “Movimento 5 litri”, che volevi fondare, perché "per sopportà i politici incapaci bisogna solo 'mbriacasse".
Quanto c’hai ragione!
 (Alfredo Laurano)



IL DISTURBATO…RE

Di professione nullafacente col vizio di apparire, di fatto, pedofilo convinto, il disturbatore seriale, ma soprattutto mentale, Gabriele Paolini è stato condannato a cinque anni di carcere per avere avuto rapporti sessuali con tre minorenni, nel 2013, in cambio di denaro e regalini vari, convincendoli anche a filmare i rapporti. 
Nei suoi confronti le accuse sono di induzione alla prostituzione minorile, produzione di materiale pedopornografico e tentata violenza sessuale.
Per questa vicenda, già nel novembre di quell’anno, era finito nel carcere di Regina Coeli, ma dopo qualche mese tornò libero con l'obbligo di portare il braccialetto elettronico.
Malato cronico di esibizionismo, dall'indole deviata, si è proposto e imposto a lungo con smorfie, corna, boccacce, battute, frizzi, lazzi e cotillons. 
E' il suo vasto repertorio, esibito alle spalle dell'inviato di turno, cui rubava un po' di spazio e di mediatica attenzione.
Dopo aver preso calci, schiaffi e botte, più o meno in diretta TV, ora l'idiota presenzialista-disturbatore Gabriele Paolini, nomade della casareccia truculenza, alla continua ricerca di un’identità mai posseduta, esprimerà finalmente la sua mimica e la raffinata gestualità di vanesio e inutile artista di strada, dietro le sbarre di Rebibbia.
Coerente e fedele al suo personaggio: sempre dietro qualcuno o qualcosa.
Mai davanti, minori a parte.
9 giugno 2017 (Alfredo Laurano)