lunedì 27 novembre 2017

IO SONO MIA, VOI SIETE VOSTRE

Dopo lo stupro di Rimini, dopo quello dei carabinieri di Firenze, quello della medica violentata in un ambulatorio siciliano da un paziente, dopo la bambina di undici anni, abusata ripetutamente e messa incinta dall’amico di famiglia, dopo la donna sgozzata al parco di Milano alle sette di mattina, mentre conduceva il cane, dopo le troppe donne sfregiate dall’acido o pugnalate o arse vive o violentate in un cortile romano, dopo la tedesca di 57 anni, trovata nuda e legata ad un palo a Villa Borghese o la turista belga ventenne che ha denunciato un tentativo di stupro, perfino sulla scalinata della Basilica di Santa Maria in Aracoeli, stiamo ancora a chiederci che razza di Paese siamo, che specie di società malata è questa, in che mondo assurdo viviamo, come già dicevano, incredibilmente, i nostri genitori e i nostri avi.

Secondo l’Istat, ogni due, tre giorni, in Italia, si uccide una donna, viene commesso un femminicidio. Abusi e violenze sono ormai fuori concorso.
Stupratori, stalker, maschi deviati, sfruttatori brutali e prepotenti, assassini - quasi sempre ex mariti, ex fidanzati, parenti, amici o conoscenti - continuano ad esercitare la propria volontà bestiale sulle donne, a dispetto di celebrazioni di giornate internazionali contro la violenza, come quella di ieri.
Riti consueti e obbligatori per ricordare o sottolineare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’oppressione costante e insopprimibile su giovani, mature, anziane, bambine o madri di famiglia.
Per la prima volta, la Camera è stata aperta alle sole donne. Sugli scranni e nelle sale del palazzo ce ne sono 1.300: vittime di stupro, violenza domestica e stalking. Ma anche madri di ragazze che non ci sono più. Tante storie e testimonianze di botte e umiliazioni, risuonano dell’aula, per dire no e denunciare, perché il silenzio divide, isola, uccide.

Ma tutto questo inverso caleidoscopio che riflette il mondo femminile in immagini oscure e lugubri, ormai scontate e ricorrenti, mutevoli, confusamente asimmetriche e variabili nella forma, ma non nella sostanza, è prima di tutto un problema di uomini, di maschi repressi, di femmine concepite come prede. Ma, soprattutto, di ignoranza, di possesso, di potere, di dominio e di controllo. Un problema di inciviltà, di ineducazione, di malsano senso del confronto e del rispetto, di ginofobia latente e conflittuale.
Oltre la retorica, occorre superare gli stereotipi di genere che ancora abbondano nella nostra società e nei media, fare un salto in avanti, uscire da una cultura che ha ridotto per millenni una donna a una proprietà, a un oggetto di piacere e di trastullo, per bestie proclamatesi padroni.
26 novembre 2017 (Alfredo Laurano)


domenica 26 novembre 2017

PACCO, DOPPIO PACCO E CONTROPACCOTTO

Black Friday per clienti e grandi consumatori ma, stavolta, non nello stesso senso e significato, anche per il colosso americano Amazon: da ieri mattina i lavoratori di Amazon Italia, e di altre sei città tedesche, sono entrati in sciopero per chiedere aumenti di stipendio e migliori condizioni di lavoro.

Amazon è la più grande Internet company al mondo, un'azienda di commercio elettronico statunitense, con sede a Seattle, tra le prime a vendere merci su Internet. Fattura oltre 136 miliardi $ (2016), con utile netto di 2,4 miliardi, conta 341.400 dipendenti.
Il suo stile prettamente yankee, fatto di sorrisi, applausi e pacche sulle spalle, di porte aperte al piano superiore, per chi chiede di parlare con un responsabile, è la costante nel rapporto di lavoro, anche nello sterminato magazzino italiano di Castel San Giovanni, nel piacentino, equivalente a 10 campi da calcio, più di 70mila metri quadri, per 2.200 assunti e 2.000 interinali per i periodi di picco. Si lavora su tre turni da otto ore, l’ultimo comincia alle 22.30 e termina alle 6. Si prendono circa 1.100 euro al mese.
C’è, insomma, un’atmosfera di cordialità esibita o ostentata, come se si fosse tutti amici, a consolidare, con una certa dose di paternalismo, lo slogan dipinto dalla scritta Work hard Have Fun Make history (Lavora duro, divertiti e fa la storia) che sovrasta l’enorme edificio, dove per la prima volta ieri, 24 novembre, i lavoratori hanno incrociato le braccia.

Le contestazioni riguardano in particolare l’intensità dei ritmi di lavoro, con i dipendenti costretti a fare fino a 20 chilometri ogni giorno per prendere o spostare i vari pacchi da un punto all’altro del grande stabilimento, inserirli negli scaffali o consegnarli per la confezione e la spedizione. Ritmi e ripetitività dei movimenti che procurerebbero infortuni e patologie varie (problemi alla schiena, alle articolazioni, stress e attacchi di panico).
Secondo dipendenti e sindacati, i manager e i capi reparto esercitano un controllo molto rigido sui tempi impiegati per svolgere le varie mansioni e sulle pause, comprese quelle per andare al bagno. Chi perde tempo o è lento rischia richiami disciplinari e altre sanzioni, come il trasferimento in reparti dove il lavoro è più disagevole.

Nello stabilimento, vengono macinati 447 milioni di ordini al giorno e, ad ogni nuovo traguardo, i manager entusiasti gridano: “Abbiamo battuto un altro record, ora facciamoci un applauso”, ovviamente, tutti, meno quelli che hanno contratto il tunnel carpale che non riescano ad applaudire. Un entusiasmo un po’ guidato, un po’ studiato, un po’ forzato.
Solo l’anno scorso, nel Black Friday, Amazon Italia ha dovuto smaltire 1 milione e 100 mila ordini, uno ogni 12 secondi.
Difficilmente – secondo i numeri del sindacato – molti lavoratori resistono in azienda per più di tre anni, nonostante la paga buona.

Ma noi consumatori tutto questo non lo sappiamo: in pochi clic, e a prezzi imbattibili e scontati, facciamo shopping senza pensare che tanta efficienza ha un costo umano.
Anzi, molti clienti vanno in visita all’enorme padiglione (tour previsti su appuntamento, una volta al mese), per vedere da vicino come funziona questa gigantesca macchina che macina miliardi di dollari e si fanno i selfie all’esterno, inviando in tempo reale un ordine.
Vittime dell’eccitazione scomposta del Black Friday di tutti giorni, siamo all’apoteosi del consumismo, al superamento dei bisogni voluttuari, alla consacrazione del superfluo, al trionfo dell’edonismo non solo reaganiano.
25 novembre 2017 (Alfredo Laurano)


venerdì 24 novembre 2017

ACCOMODAMENTI ALLA ROMANA

SOTTO ER CIELO DE ROMA è una commedia leggera, brillante e divertente, come quelle di una volta. Come quelle che, a ragione e a pieno titolo, si inseriscono nella felice tradizione del teatro in romanesco che va da Ettore Petrolini a Fiorenzo Fiorentini, da Aldo Fabrizi a Checco Durante e Alfiero Alfieri.
La messa in scena - luci, arredi, ambiente, oggettistica e costumi - è particolarmente gradevole nella sua essenzialità e tutti gli attori, ancorché amatoriali - e su questo ci sarebbe da discutere - esprimono talento e professionalità, senza tradire l’emozione, pur forte e presente, della prima (ieri, 23 novembre 2017). Tutti, al massimo delle loro possibilità, assecondano una regia misurata ed efficace.

A Roma, nel 1927, Cecco e Nannì Vencioni, una coppia di “borgatari” che si arrangia per sopravvivere, abita una modesta casa di periferia, tra mille difficoltà economiche. 
La casalinga Nannì (Lucilla Muciaccia, vivace, disinvolta, brillante e assai spontanea), riceve la visita di sora Ghituccia (Serena Zamboni, perfetta ed espressiva nella parte e nelle movenze), la pettegola di quartiere, che le riferisce di “aver sentito dire” di alcune avventure amorose di “uno che se la farebbe con una bella signora ricca”
L’arrivo improvviso dell’emancipato ufficiale giudiziario Gustavo Pecoretti (uno straordinario, disinibito e adeguatamente ambiguo Andrea Scaramuzza), incaricato di riscuotere i debiti che la coppia Vencioni ha maturato nei confronti dello Stato, complica le chiacchiere e le cose, ingarbuglia la vicenda e dà luogo a una serie di momenti paradossali ed esilaranti.
L’ingresso del pigro Cecco, un fannullone che pensa solo a giocare a carte e a bere in osteria con gli amici, (Mauro Mammarella, sfacciatamente bravo, sciolto, sfrontato e scanzonato, che, più che recitare una parte, sembra vivere se stesso), salva o rimanda, almeno al momento, l’incresciosa situazione.
In realtà, nessuno sospetta che le accuse di Ghituccia sono vere e che la povera Nannì, per pagare l’affitto, è costretta a concedersi all’allupatissimo padrone di casa, il commendatore (Vito Garofalo, l’elegante beautiful de Noantri), che non perde occasione per approfittarsi di lei e per venerare il suo lato B.
Siamo nella piena attualità, del tutto in linea con la cronaca che dibatte di molestie e ricatti sessuali, con mediatico fervore.
Come nessuno sospetta che l’integerrimo Pecoretti…Pecorini...Pecorecci, ma anche generale, colonnello, ufficiale e gentiluomo… (storpiature esilaranti alla maniera di Totò) aneli ad “altre grazie” e “accomodamenti” da parte del debosciato Cecco che, nel frattempo - si scopre, con sorpresa - gratifica e apprezza le grazie della bella moglie del commenda, una sorprendente Ornella Petrucci, negli inconsueti panni di una ricca maliarda, spregiudicata ammaliatrice quanto basta.
Un sobrio Guido Padrono, nei panni di un moderno Sor Capanna, cantastorie e stornellatore popolare della Roma umbertina, introduce e chiude questo brioso romanzo popolare, senza tempo, improvvisando strofe e melodia di “Chi ce l’ha fatto fa”.

Con molto equilibrio, calibrata comicità e misurata enfasi, gli attori interpretano alla grande i propri ruoli, confezionati su misura e calati sulla pelle da un abilissimo stilista (Gianni Quinto) e, attraverso un incalzante susseguirsi di gag, battute, tormentoni reiterati e siparietti, danno vita a personaggi ben delineati, capaci di rappresentare icasticamente il quotidiano vivere, fatto di intrighi, sogni, debolezze e necessità di gente qualunque, che vive alla giornata. Anche il linguaggio è aderente, semplice, musicale e mai volgare, anche quando si fa complice e allusivo.

Ognuno indossa, con estrema disinvoltura, una specie di maschera pirandelliana, colorata però di pungente e irriverente ironia, come quella che molti sono costretti a usare per sopravvivere alla disperazione o per difesa esistenziale dalle forme di discriminazione e indifferenza, che spesso la società impone.

Tra pettegolezzi di comari e confusi intrecci d’amore e pane quotidiano, emergono prepotentemente tante sfumature dell’animo umano, che, grazie all’ energia espressiva di tutti i protagonisti, catturano l’attenzione del pubblico che esplode in applausi e sonore, spontanee risate.  
Perché l'umorismo è la capacità intelligente e sottile di saper cogliere e rappresentare l'aspetto comico della realtà.
Perché far ridere è una cosa estremamente seria.
24 novembre 2017 (Alfredo Laurano)


In scena al Teatro Petrolini, via Rubattino, 5 Roma (Testaccio) dal 23 al 26 novembre e dal 30 novembre al 3 dicembre 2017





giovedì 23 novembre 2017

CI CRESCERÀ’ LA GOBBA

In principio era il telefono: del posto pubblico, di casa, della prenotazione, del duplex, del bar, della cabina, dei gettoni. “Che fa, continua…raddoppia?
Poi, l’oggetto del desiderio divenne piccolo e portatile, vibrante e luminoso e si trasformò in telefonino cellulare. E tutti scoprirono la comodità e il fascino indiscreto di parlare in auto, al mare, sul tram, sui treni, in strada, camminando, e di urlare i fatti propri a chi passava, per esaltare il proprio esibizionismo.
Venne, in breve, però, anche il tempo dei mini computer da tasca e da passeggio, come fossero gelati, che qualcuno ha battezzato smartphone, telefono intelligente, con capacità di calcolo, di memoria e di connessione dati, basato su un sistema operativo per dispositivi mobili, arricchito da funzionalità multimediali e in grado di caricare pagine e siti web, di installare attività aggiuntive attraverso le cosiddette App.

Da un po’ di tempo, diciamo da una decina d’ anni, parliamo e scriviamo, inevitabilmente e continuamente, di Internet, delle nuove tecnologie, di quanto la nostra vita quotidiana sia cambiata e di come non sia più la stessa dopo l’avvento degli smartphone, attorno ai quale ruota quasi ogni momento della nostra giornata e la gestione delle interazioni sociali. 

Di quanto la Rete possa essere pericolosa, del fatto che i giovani siano sempre più alienati e dipendenti, affetti dalla cosiddetta sindrome della testa china - nell’arco di qualche decennio, secondo la scienza, potremmo diventare un popolo di gobbi - a guardare lo smartphone, anche quando mangiano, escono, guidano, camminano, amoreggiano.

Intanto, ricordiamo che con un semplice smartphone è possibile portarsi Internet, e la sua globalità di contenuti on line, sempre dietro e ovunque. 
E’ un po’ come provare lo stupore dei presocratici, prima, e di Platone e Aristotele, poi, che cercavano, agli albori della filosofia, l’arché (il principio originario di tutte  le cose), che affrontavano, superando il mito, il problema ontologico (che cosa esiste?) e dibattevano all'infinito il tema gnoseologico della conoscenza. Per noi, è come avere la verità e il mondo in tasca, col principio dell'essere e del divenire.

Il web, inoltre, ha fatto entrare nella nostra vita quelle persone che prima incontravamo solo in giro, alle poste, al parco, al mercato o sui mezzi pubblici. Di cui ignoravamo vizi e virtù, le opinioni su politica, sport e società o su ciò che accade nel mondo. Adesso sappiamo esattamente come la pensano, senza nemmeno avere il piacere o il fastidio di conoscerle.
Ma ha anche contribuito a rendere sempre più rarefatto il dialogo, quello vero, quello fatto da uomini e donne che si guardano negli occhi e non tramite un display. I social, WhatsApp, Twitter e le tante altre app di questo tipo, cui accediamo non appena abbiamo un momento libero, hanno alterato profondamente i rapporti umani, la comunicazione, il modo, la gestualità e il linguaggio. Basta osservare un gruppo di amici al ristorante: prima si parlavano e ridevano per ore, oggi sono tutti intenti a postare foto e messaggini o a spulciare le ultime notifiche di Facebook.

Nel corso degli anni Internet ha portato molti grandi benefici nella nostra vita e, ad esempio, oggi non abbiamo più bisogno di uscire da casa ogni mattina per andare a prendere il giornale, non è più necessario andare in banca per sapere quanti soldi abbiamo o per fare un bonifico o per pagare le tasse. Non abbiamo nemmeno più bisogno di ricordare una data, un appuntamento, un compleanno, una scadenza, un numero di telefono o come si scrive correttamente una certa parola.
Internet fa tutto questo per noi on line, a qualsiasi ora del giorno e della notte, rendendo obsolete cose che un tempo necessitavano di oggetti o apparecchi specifici. Oggi si fanno velocemente davanti al computer o con uno smartphone.
In pochi centimetri, si concentra una quantità virtualmente infinita di funzioni.

Ce lo diciamo e ripetiamo quando ci incontriamo, quando facciamo quattro chiacchiere in salotto, quando confessiamo le nostre debolezze e critichiamo la nostra nuova dipendenza.
Ma non sempre riflettiamo su tutto ciò che questa rivoluzione ha di fatto sostituito, cancellato o compromesso fra cose, riferimenti e abitudini, che prima sembravano indispensabili o irrinunciabili.

- I telefoni pubblici e le cabine non esistono più.
- Le cassette audio e i dischi sono state uccisi dai CD, i CD dai lettori MP3, i lettori MP3 dalla musica online in streaming. Si scarica o si compra a piacimento.
- C’è qualcuno che compra ancora un'enciclopedia, quando su internet c’è Wikipedia e si può cercare qualsiasi informazione in un secondo? Oggi le enciclopedie cartacee non esistono più, se non per fare antiquariato o arredamento.
- I giornali ancora vivono, ma vendono poco e sempre meno. I quotidiani guadagnano di più con la versione online che con quella cartacea e se non ci fossero sovvenzioni pubbliche, la metà di loro chiuderebbe.
- Lo stesso vale per le macchine fotografiche e rullini, per cineprese e pellicole che ci hanno insegnato a fotografare: non hanno più senso visto che foto e video possono essere fatti da un qualsiasi smartphone, con lenti di buona qualità. E tutto si conserva rigorosamente in digitale e si condivide facilmente.
- I mercatini dell'usato esistono ancora, ma il canale di vendita predominante è e sarà sempre di più quello online, a partire da Ebay e da tanti altri simili. Anche l’e-commerce va alla grande (perché è comodo, veloce e si risparmia), basti pensare allo strapotere di Amazon.
- A parte quelle ufficiali della burocrazia, lettere e cartoline (resistono quelle da viaggio) non si scrivono più a penna e sono sostituite dalle più comode ed economiche Email. Solo qualche ultimo romantico stila a mano e con l’inchiostro i suoi tormenti d’amore.
- Trovare oggi qualcuno che usa una spiegazzatissima cartina stradale, magari aperta sul cofano della macchina, per cercare un luogo o una destinazione, è come vedere i mitici Totò e Peppino a Milano: ”Noio, volevan savuair…” Ogni smartphone ha anche il suo bravo GPS ed il navigatore con mappa incorporata e voce guida.
- Anche le Pagine Utili, Gialle, Bianche o altrimenti colorate continuano a essere stampate e distribuite, con grande spreco di carta e di denaro, ma oggi nessuno le consulta più.
- Segreterie telefoniche, stazioni meteo e sveglie non stanno più sul comodino, ma sono incorporate nei magici telefonini, come pure gli archivi musicali e i registratori vocali.
- I libri sono diventati e-book o si leggono sul telefonino, senza portare pesi e ingombri.
- I negozi di musica e videonoleggio sono ormai un residuo degli anni ‘90 e sono quasi spariti in tutte le città.
- Orologi, torce, giochi in alta definizione e telecomandi, che possono comandare a distanza una smart TV, un condizionatore, le tapparelle, la lavatrice, la caldaia o l’impianto dall’allarme, coesistono felicemente sempre nei magici cellulari intelligenti che, almeno da una parte, ci semplificano la vita.

Insomma, è come avere nel palmo della mano tantissimi oggetti che svolgono molte, diverse e importanti funzioni. Ed averli contemporaneamente, con buona pace di tutti quelli che, senza pietà, hanno soppiantato. 

Senza dimenticare anche la mansione gossip, la classica attitudine a spettegolare di questo o quello, seduti al bar o dove capitava, assorbita anch’essa dai Social e da WhatsApp.
E pensare che fino a poco tempo fa, ci accontentavamo di chiamare, di inviare un breve sms, a pagamento, di scattare qualche orribile foto, di fare una divisione con l’utile calcolatrice, per pagare il conto in pizzeria.
In realtà, i colpevoli che hanno ucciso più tecnologie sono proprio i cinici smartphone, non il solito imputato Internet. E non finisce certo qui. 
(Alfredo Laurano)

GLOBAL WARMING

Secondo alcuni studi, pubblicati sulle più prestigiose riviste scientifiche, la catastrofe climatica permanente è vicina e comincerà proprio ai Tropici, nei pressi dell'Equatore, che, causa povertà, hanno contribuito quasi per niente al riscaldamento globale, circa nel 2020. Nei paesi più freddi delle medie latitudini, come Nord America ed Europa, il periodo disastroso comincerà intorno al 2050.
La ragione di ciò è che i Paesi vicino all'Equatore hanno di gran lunga meno variabilità nella loro meteorologia di quella delle zone a clima moderato, dove le specie che costituiscono gli ecosistemi non possono tollerare temperature al di fuori della norma.

Per migliaia di anni, il nostro pianeta è stato abitato da meno di mezzo milione di persone. Ottomila anni fa ha raggiunto i dieci milioni; duemila anni fa i duecento milioni. Un miliardo nel 1800, fino ai sette miliardi attuali di esseri umani che hanno consumato negli ultimi cento anni gran parte delle risorse naturali, a cominciare dal petrolio, fin quasi all’esaurimento; hanno incrementato i consumi, fino all’eccesso, producendo e accumulando un mare di rifiuti; hanno cementato e asfaltato la terra, decimato gli animali selvatici da una parte e allevato molto intensivamente altri.
Hanno sprecato, sfruttato e inquinato e continuano a farlo. A dispetto di uno stile di vita ecologico e consapevole.

Tutto questo ha comportato e comporta spaventose variazioni climatiche che ci avviano al riscaldamento globale, non riconducibile a cause naturali, fino alla possibile catastrofe. Anche se nei secoli dell’esistenza umana, almeno dall’età del bronzo in poi, tali variazioni ci sono sempre state, alternando climi caldi o più temperati a piccole ere glaciali e carestie. Anche se non c’era ancora l’effetto serra, il clima era già bizzarro di per sé, già prima dell’esplosione demografica e della rivoluzione industriale.

Occorre, tuttavia, fare una doverosa riflessione anche sui veri costi del modello economico e sociale basato sugli idrocarburi che ha dominato l’ultimo secolo e sul relativo mutamento del clima terrestre sviluppatosi, tuttora in corso. Tale mutamento è attribuito in larga misura alle emissioni nell'atmosfera terrestre di crescenti quantità di gas, in particolare dell'anidride carbonica, con conseguente incremento dell'effetto serra, e ad altri fattori che la comunità scientifica ha rilevato come imputabili all'attività umana: generazione di energia per mezzo di combustibili fossili e della deforestazione, scioglimento e ritiro dei ghiacciai, inquinamento e alterazione dell’ambiente (particolato, pulviscolo atmosferico, polveri sottili e totali sospese  in aria e relative patologie mediche), siccità diffusa, agricoltura e allevamenti senza acqua, fiumi secchi, campi bruciati.

L'aumento antropico delle temperature sta causando anche l'aumento del livello del mare e la variabile intensità delle precipitazioni, spesso disastrose.
Considerato che i cambiamenti recenti del clima sono stati analizzati, più in dettaglio, solo a partire dagli ultimi 50 anni, cioè da quando le attività umane sono cresciute esponenzialmente, resta comunque il fatto che - al di là di ogni pur legittima riflessione anti-catastrofista - il nostro pianeta è fragile e abbiamo il dovere di preservarlo e di agire in modo più ecologico, indipendentemente da tutto e da possibili sciagure e calamità climatiche.
Rendiamoci conto che la terra può finire, che l’uomo può estinguersi.
Magari sommerso dalla plastica. (Alfredo Laurano)


lunedì 20 novembre 2017

PIG

Anche Charles Manson, un altro genio del male, condannato a sette ergastoli, se n’è andato nell’indifferenza generale. Del mondo, della gente, delle tante persone che, come il sottoscritto, quel il 9 agosto 1969, restarono sconvolte e inorridite da tanta ferocia. Ricordo ancora quelle sensazioni e quel senso di incredulità di quei momenti.
All’epoca, non eravamo ancora abituati, anche per la giovane età, a tanta malvagità.

Sulla stessa scia delle canzoni dei Beatles e dei Beach Boys che accendevano le nostre passioni musicali, un guru sanguinario, uno psicopatico demoniaco perso nel delirio, di grande carisma e con gli occhi da pazzo, capace di attirare intorno a sé uomini e donne di tutti i tipi - fricchettoni, incoscienti, esaltati intellettuali, ragazzine dello sballo, attori, musicisti falliti come lui - era diventato una icona popolare, una figura paterna e di riferimento, il mentore di una folle “famiglia” che amava l’ Lsd e la violenza. Che credeva in Scientology e in Satana e che odiava i neri. Che uccidevano in nome di una cultura rock nel confronto delle razze e punitiva.

Per ripulire il mondo e ogni comunità, un gruppo di giovani armati, membri della Charles Manson's Family, entrarono a Cielo Drive di Los Angeles, nella casa di Sharon Tate, 26 anni, modella, attrice e moglie di Roman Polanski, incinta all’ottavo mese, e la ammazzarono selvaggiamente a coltellate sulla pancia, insieme agli altri quattro amici che si trovavano in quella villa del peccato.
Con uno straccio intriso del suo sangue, una delle assassine scrisse sulla porta da cui avevano fatto irruzione “Pig”, maiale.

Intanto, dall’altra parte del Paese, sulla costa Est, quattrocentomila (per alcuni un milione) giovani alternativi si radunavano per celebrare la cultura hippie, nei tre giorni di pace, amore e musica del festival di Woodstock.
Manson, in nome di quella stessa cultura, preferiva uccidere.
(Alfredo Laurano)

SAPERI E SAPORI DI SERRA

Esprimere un giudizio, il più obiettivo possibile, sul recente pranzo alla Serra dei Sapori non è proprio semplice, se non si vuol cadere nella superficialità di un commento sbrigativo. Personalmente, non amo criticare per il gusto di farlo o per denigrare il lavoro altrui, soprattutto quando si coglie alla base la buona fede e una volontà propositiva e lodevole, anche a fronte di qualche leggerezza di troppo o di qualche impennata di improvvisazione, che mal si addice a un locale così gradevole e ospitale. Comodi spazi articolati, soppalco, gazebo esterno, arredo rustico-moderno, come di tendenza, un bel camino a mattoncini che scalda la già piacevole atmosfera familiare.
Per questo desidero sottolineare, intanto, il modo e il garbo con cui la simpatica titolare ci ha illustrato i piatti, la provenienza dei prodotti usati, i vini dell’azienda, ma anche tutto quello che non era disponibile, perché finito la sera precedente: niente porcini, niente orecchiette alle cime di rapa, niente vaccinara, né altre voci del menu. Una tribù di affamati avventori aveva, di fatto, svuotato le dispense e i frigoriferi. Ovviamente, ci siamo adeguati, scherzosamente, allo stato delle cose.

La cucina è classica e punta prevalentemente sulle carni: fiorentine, buttere, filetti, arrosticini e tagliate (da 21 a 25 €) e sui primi romani della tradizione: una gustosa matriciana, anche se molto, molto al dente, un discreta e poco cremosa cacio e pepe, una essenziale gricia.
Tra gli antipasti, tagliere di formaggi e affettati (non provati), bruschettine miste e non proprio indimenticabili fagioli in umido - piuttosto asciutti, freddi e con rari scampoli di ricordi di salsiccia - e assaggi di ben riuscita trippa alla romana.
Poi, una sapida scamorza, tagliata ad ostie assai sottili, impreziosita con pasta di tartufo (12 €), misticanza, ottime patate a disco con pangrattato e cicoria ripassata che, inspiegabilmente, tra lo stupore generale, è stata servita assolutamente fredda (poi, su richiesta, rivisitata).
Tra i dolci, molto buone le crostate, la panna cotta ai vari gusti e il tiramisù. Morbido ed equilibrato il merlot-cabernet della casa (10 euro per 0,75 l.) e la grappa barricata.

Insomma, luci ed ombre, non tanto nella qualità delle proposte e della materia prima di livello, quanto nell’elaborazione dei piatti, con qualche scivolone di troppo che va velocemente superato, anche nel servizio, cortese, ma eccessivamente “riflessivo” e un po’ approssimativo.
Come anche i prezzi, complessivamente nella media, con qualche punta di troppo nelle carni. Apprezzabile e gradito lo sconto gentilmente applicato sulla “dolorosa”.
Certamente possibili ampi margini di miglioramento, che consentiranno a questa Serra di esaltare maggiormente i suoi saperi e i suoi amabili sapori. (Alfredo Laurano) 

sabato 18 novembre 2017

L'ULTIMA CONDANNA

"Non gioisco, ma non perdono. Da parte sua, mai nessun segno di redenzione", ha detto Maria Falcone, sorella di Giovanni, ucciso a Capaci, mentre Salvatore Borsellino aggiunge: "Scompare altra cassaforte della verità".
Anche il capo dei capi, Totò 'u curto', il boss che fece la guerra allo Stato, uno dei capi più feroci e spietati di Cosa nostra, è morto. 
Se ne è andato con i suoi 87 anni, i suoi 26 ergastoli e con il suo 41 bis, dopo 24 anni latitanza e 24 di carcere. Dopo aver trascorso una vita a togliere quella degli altri, di tanti altri.

Diventato il Capo della Mafia ufficiale, la sua furia omicida si è abbattuta inesorabilmente sui magistrati, sui politici siciliani, sui giornalisti, sulle forze dell’ordine e su inermi cittadini.
Non si è mai pentito, anzi ha continuato anche in carcere a comandare e a minacciare.
La belva lascia come testamento, una lunghissima scia di sangue e l'uccisione di almeno cento persone, con cui ha macchiato la Storia di questo Paese.

Anche se sui Social, qualche selvaggio ha il coraggio di scrivere: "Totò sempre nel mio cuore, un grande uomo d’onore… come lui oggi non esistono più, l'unico in grado di gestire veramente l'Italia per anni", nessuno lo perdona, nessuno lo piange, né lo rimpiangerà, perché la morte, al di là della legge e dei sentimenti, è democratica e fa sempre giustizia nel mondo degli umani e dei disumani.
17 novembre 2017 (Alfredo Laurano)

venerdì 17 novembre 2017

CAVALLI PAZZI

Nel gioco degli scacchi, il Cavallo è il pezzo più caratteristico perché ha un movimento molto particolare: può fare cioè, una specie di mossa ad L, senza tornare indietro, avendo la possibilità di saltare pezzi del proprio schieramento e di quello avversario. Tutti gli altri pezzi - pedone, torre, alfiere, re e regina - muovono secondo una linea retta, in orizzontale, verticale o diagonale.

Forse è per questo che Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa, con non comune coraggio e sprezzo del ridicolo, hanno deciso di chiamare proprio così - La mossa del Cavallo - il loro nuovo movimento politico, l’ennesimo, di cui non sentivamo certo la mancanza.
Non è un nuovo partito, né l'ennesimo tentativo di unire la Sinistra - dicono - o di ripartire da nostalgie del passato. 
E’ una proposta che si rivolge, in maniera trasversale, ai cittadini che, da tempo, hanno disertato le urne, a causa del collasso delle principali forze politiche, l'incostituzionalità delle leggi elettorali, la crisi economica e sociale che investe lavoratori, pensionati, giovani e famiglie. 

Secondo il duo delle infinite meraviglie, o dei nuovi giocolieri a cavallo, per tutti quelli che non sanno più per chi votare, si apre una nuova prospettiva: la società civile che si organizza, secondo un impegno politico forte, concreto, realistico, per salvare l'Italia dal degrado in cui si trova. Un programma di donne e uomini competenti, onesti, coraggiosi che si rivolge a tutti coloro che vogliono risorgere, individualmente e collettivamente. 
Per questo - dicono, ancora - lo abbiamo chiamato "Mossa del Cavallo" per far capire che bisogna scavalcare i partiti inetti o corrotti. (Questo aspetto, in particolare, potrà sicuramente interessare il mio amico Giovanni Carbone e il suo progetto “Vedere il Futuro”).

Tra il comico, una buona fetta di fantasia e una discreta dose di delirio, nasce insomma, un’altra pirotecnica avventura para-politica, molto simile ad altre che l‘hanno preceduta. 
Sullo sfondo dello scacchiere istituzionale italiano, già affollato e inquinato di partitelli, gruppetti, cricche, correnti e fazioni che fanno soprattutto numeri e folclore, per contare meno del due a briscola, mi permetto di consigliare a Giulietto e Antonio, di non cercare un minimo straccetto di potere, ma di darsi e dedicarsi alla sana ippica, nel gioco degli scacchi, visto che, nella partita della vita e nella società civile, può risultare decisivo saper usare bene i Cavalli, per diventare grandi giocatori.
(Alfredo Laurano)


giovedì 16 novembre 2017

CHE GRAN FICO!

Il più creativo e, certamente, capace imprenditore dell’agro-alimentare cresce ancora, allarga la sua sfera produttiva, i suoi orizzonti professionali e diventa proprio Fico.
Dopo aver fondato la catena commerciale Eataly, specializzata nella vendita di generi alimentari italiani di alta qualità - che vanta oggi una forte diffusione a livello mondiale, con 38 sedi, di cui 16 all’estero (Europa, Giappone, Stati Uniti, Emirati Arabi) - Oscar Farinetti, è partner strategico del progetto Fico (Fabbrica italiana contadina), il più grande parco tematico del mondo, riferito al cibo, che ha aperto i battenti proprio ieri a Bologna.
Fico Eataly World è un grande centro commerciale dedicato a tutto ciò che si mangia, si beve e si produce, tipo Expo2015, ma anche luogo che ambisce a formare le coscienze di grandi e di piccini. Un progetto, anche di comunicazione sociale, indubbiamente unico e affascinante, che intende anche rafforzare, nel panorama internazionale, la reputazione del made in Italy.
Educare, divertendo, imparare, passeggiando.
Scoprire la filiera articolata (risorse, tecnologie, trasformazione, distribuzione, fornitura) che è alla base di un prodotto finito e all’origine del nostro nutrimento: questa la filosofia della innovativa fabbrica rurale.
Qui, si potrà assaggiare, vedere, fare, capire tutta la meraviglia della biodiversità italiana, in un unico luogo, lasciandosi semplicemente guidare dalla natura, dai profumi, dalla bellezza e dal racconto di una storia che viene dal passato e dalle tradizioni e che costituisce un patrimonio tutto italiano.

Su centomila mq, con ingresso gratuito, la nuova Disneyland del cibo comprende:
- due ettari di campi e stalle all’aria aperta con più di 200 animali e 2000 cultivar, per capire l’agricoltura italiana; 
- otto ettari coperti che ospitano 40 fabbriche contadine, per capire la trasformazione alimentare e vedere da vicino come si fa il formaggio o la mortadella, la pasta o l’olio, la, birra, il pane o come è fatta una capretta;
- oltre quaranta luoghi di ristoro per degustare cibo, botteghe e mercato, aree dedicate allo sport, alla lettura e ai servizi;
- sei aule didattiche, sei grandi “giostre” educative, dedicate al fuoco, alla terra, al mare, agli animali, al vino e al futuro;
- cinema, teatro e spazi didattici;
- un centro congressi modulabile da 50 a 1000 persone, una Fondazione con 3 università.

E’ uno schema che assomiglia molto a uno dei punti Eataly, ma con una superficie di 50-100 volte maggiore, che il geniale e furbo Natale Farinetti, detto Oscar, ha pensato di arricchire inserendo nuovi elementi, come appunto le fabbriche, le stalle, i campi – visto che i bambini d’oggi credono che polli, vitelli, suini e verdure nascano nei supermercati, già affettati e impacchettati – ed altre novità, come le biciclette a tre ruote, dotate di cestino, che si possono prendere gratuitamente per esplorare tutta l’area fieristica, pedalando e fischiettando con famiglia al seguito.
Sarà certamente un successo, perché al gusto del mangiare e dei sapori, Fico unisce il piacere del sapere. (Alfredo Laurano)