martedì 30 giugno 2015

RIECCOLA

Un maggiore formato e l’apostrofo verde, una veste rinnovata e un costo di 1 euro e 40 centesimi: undici mesi dopo la chiusura, è tornata oggi in edicola l’Unità, diretta da Erasmo D’Angelis.
Il quotidiano fondato dal povero Gramsci - c’è ancora scritto così! - rinasce per sostenere, come quasi tutti gli altri, il bulletto fiorentino premier, un po’ a corto di consensi, che gli dà il benvenuto augurandosi che sia “uno spazio di libertà per raccontare l’Italia bella”. Di quella brutta, di quella reale, di quella che lotta, che soffre, che critica, che contesta, non se ne dovrà parlare.
Un’altra grancassa nella sua grande orchestra trasversale, che racconterà i programmi, gli annunci, il gossip i Twitter e le promesse.
Dello storico giornale rivoluzionario di una volta e delle idee gramsciane che lo crearono non ci sarà sicuramente traccia.
30 giugno 2015  (Alfredo Laurano)


lunedì 29 giugno 2015

TERRORISMO FINANZIARIO: PRENDERE O LASCIARE

La Grecia, antica culla di cultura e civiltà, è quasi fuori dall’Europa.
Come scrive Marco Revelli sul Manifesto, non si era mai visto un creditore, per stupido che  sia, cercare di uccidere il proprio debitore, come invece il Fmi sta facendo con i greci. Ci deve essere qualcosa di più: la costruzione scientifica del “nemico”.
Un sacrificio esemplare, quindi, per ammonire ed educare tutti gli altri Paesi membri, per ribadire le regole di chi comanda e decide milioni di destini umani.
E’ l’economia che uccide, di cui parla il papa, e la vediamo all’opera in que­sti giorni, in diretta, da Bru­xel­les. Ed è uno spet­ta­colo umi­liante.
Non taglia le gole, non spara raffiche di kalashnikov, non ha l’odore del san­gue e della polvere da sparo (per ora). Opera in stanze asettiche e cli­ma­tiz­zate, ma ha la stessa impu­dica fero­cia della guerra. Della peg­giore delle guerre: quella dichia­rata dai ric­chi glo­bali ai poveri dei paesi più fra­gili.
E’ pur sempre terrorismo: per quello che determina con le sue scelte repressive, per le devastazioni sociali ed economiche che provoca nei suoi sudditi. 
Que­sta è la cinica volontà dei ver­tici dell’Unione euro­pea, della Bce e, soprat­tutto, del Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale: ribadire con ogni mezzo, che chi sta sotto bagno mai e poi mai potrà spe­rare di far sen­tire le pro­prie ragioni.
L’Europa delle banche se ne fotte allegramente dei propri popoli, perché rende conto unicamente ai Mercati e al Capitale.
La trat­ta­tiva sulla Gre­cia, nelle ultime set­ti­mane, è ormai lontana da un nor­male, per quanto duro, con­fronto diplo­ma­tico, perché  ha assu­nto i carat­teri di una prova di forza, un vile braccio di ferro contro un soggetto debole, denutrito e già molto provato.
E’ evidente la volontà dei ver­tici dell’Unione di sosti­tuire al carat­tere tutto poli­tico del voto popo­lare dato a quel governo, la logica arit­me­tica del conto pro­fitti e per­dite, come se non si trat­tasse di Stati sovrani, ma di Imprese o di Società commerciali.
I ricatti e gli ultimatum imposti al popolo greco portano Tsi­pras e Varou­fa­kis a non essere più inter­lo­cu­tori poli­tici, ma debitori “nemici” di onni­po­tenti creditori, e devono essere schiacciati, offesi ed umiliati.
Perché continuare a spremere un Paese che ha dato tutto quello che poteva e molto di più?
Forse perché vogliono far fuori quel ribelle governo dei sinistri rappresentanti di Syriza, ritenuto assai pericoloso e ostile per gli equilibri e le logiche di mercato e sostituirlo con uno di altri interlocutori moderati, più proni e accondiscendenti - magari di Alba Dorata - dopo eventuali nuove elezioni.
Quello che si sta con­sumando in Europa in que­sti giorni, sia sul ver­sante greco che su quello dei migranti (noi non prendiamo nessuno), è un segnale di volgare egoismo e di forte insensibilità sociale e costituisce la prova di una manifesta incapacità politica  di affrontare e gestire difficili situazioni internazionali.
L’eventuale default di Atene sarà il fallimento dell’Europa, come lo è già nella non gestione dei flussi migratori.
Tsipras non ha accettato l’ennesimo diktat, non ha firmato alcun accordo, non ha tradito nessuno, come qualcuno ha scioccamente titolato. 
Ha risposto con un messaggio di dignità, rivolto ai Greci e al mondo.

(In sintesi)
Cari amici Greci, da tempo il governo greco combatte una battaglia in condizioni di soffocamento economico senza precedenti.
Dopo cinque mesi di dure contrattazioni, i nostri partner, sfortunatamente, hanno rilanciato un ultimatum al popolo greco, che è contrario ai principi fondanti ed ai valori dell’Europa.
Ci hanno chiesto di accettare una proposta che accumula un nuovo insostenibile peso sul popolo ellenico e colpisce profondamente le possibilità di recupero dell’economia e della società. 
Una proposta che non soltanto perpetua lo stato di incertezza, ma accentua persino le disuguaglianze sociali: misure per un’ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro, tagli alle pensioni, ulteriori riduzioni nel salario minimo del settore pubblico e incremento dell’IVA su cibo, ristorazione e turismo, eliminando inoltre le agevolazioni fiscali per le isole greche.
Queste proposte violano direttamente fondamentali diritti europei, mostrano che riguardo a lavoro, uguaglianza e dignità, lo scopo di alcuni partners e istituzioni non è il raggiungimento di un buon accordo per tutte le parti, ma l’umiliazione dell’intero popolo greco.
In questo momento, pesa sulle nostre spalle, attraverso le lotte e i sacrifici, la responsabilità storica del popolo greco per il consolidamento della democrazia e della sovranità nazionale.
E la nostra responsabilità ci richiede di rispondere all’ultimatum, per il futuro del nostro paese. Ho proposto, quindi, l’organizzazione di un referendum, perché il popolo possa decidere in maniera sovrana.
Al ricatto dell’ultimatum che ci chiede di accettare una severa e degradante austerità senza fine e senza prospettive di ripresa economica, vi chiedo di rispondere in maniera orgogliosa, come la nostra storia ci chiede.
Ad una austerità autoritaria e violenta, risponderemo con la democrazia, con calma e decisione. La Grecia, il luogo di nascita della democrazia, manderà una forte e sonora risposta all’Europa ed al mondo.

E’ quello che speriamo tutti noi, o quasi, che siamo vicini al popolo greco e che possiamo aiutare, almeno col turismo e con gli acquisti, e facendo sentire la nostra voce di protesta e la nostra solidarietà.
Altrimenti, se vor­remo restare umani, dice infatti Revelli, prevarrà la vergogna di essere europei.
28 giugno 2015 (Alfredo Laurano)

sabato 27 giugno 2015

FANATISMO SENZA FINE

Ma che schifo di mondo è diventato! 
L’asticella dell’orrore massimo, che credevamo ormai fissata fra le orrende pagine di decapitazioni collettive, di uomini arsi vivi o affogati in gabbia nelle piscine o centrati da razzi di bazooka nelle auto o di teste legate l’un l’altra con le micce e spappolate in fila, non basta più, deve salire ancora.
Dopo Charlie, dopo il Pardo, dopo il market di Parigi, dopo gli stupri collettivi, le fosse comuni, le bambine kamikaze, le stragi nei mercati, ieri, il terrore è sbarcato sulla calda sabbia delle vacanze in Tunisia, in un venerdì di Ramadan segnato anche da attentati a Lione - fabbrica di gas con relativa decapitazione - in Kuwait, nella moschea sciita, con 26 morti ammazzati.
Uomini armati sono arrivati dal mare su un gommone, come Sandokan o il Corsaro Nero, sono sbarcati e hanno attaccato la spiaggia di due resort di lusso a Sousse, nel golfo di Hammamet, a 140 km. da Tunisi.
Tra i lettini e gli ombrelloni, tra i secchielli e le palette hanno sparato ai bagnanti, alla gente che prendeva il sole, che leggeva giornali, che parlava col vicino, che si spalmava l’olio o che faceva il bagno. Scene di panico e turisti barricati nelle camere dell'hotel. Hanno inseguito gli stranieri fino alla hall e alla piscina interna, sparando all’impazzata. Un terrorista aveva nascosto il kalashnikov in un ombrellone che aveva in mano e ha lanciato varie granate. 38 le vittime di nazionalità britannica, tedesca, belga, francese, centinaia i feriti.

Di fronte a tale, ennesimo scempio, abbiamo finito le parole: di stupore, di rabbia, di indignazione, di condanna, di paura. Ci sentiamo tutti vittime e impotenti.
Smarriti, sconvolti, abbandonati, insicuri e sbigottiti attendiamo con ansia e con timore il prossimo, inevitabile evento, che ci colpirà da molto più vicino. I segnali sono eloquenti, le minacce molto più che reali, checché ne dica Alfano e i suoi Servizi di Sicurezza.
Il mondo occidentale è sotto attacco, è in guerra, a sua insaputa, ma unilateralmente dichiarata, con l’integralismo islamico e non sa come difendersi dalle forme di terrorismo e dalla guerriglia fondamentalista, che irresponsabilmente ha suscitato.
Sta lentamente, ma inesorabilmente, pagando il prezzo delle sue colpe per aver raso al suolo l'Iraq, l'Afghanistan, la Libia, per aver scatenato guerre per succhiare petrolio, per aver sfruttato e colonizzato popoli africani, per aver inventato la bufala delle armi chimiche di Saddam, per aver finanziato e sostenuto i terroristi che sparavano ai cattivissimi russi, per aver ucciso centinaia di migliaia di persone - anche quando si arrendevano e si ritiravano - per “portare la democrazia e la libertà” in quei  "barbari" paesi.

L' Italia è nel mirino dell'Isis. 
Molti attentati, pare, siano stati già sventati per il rotto della cuffia tra Milano, Roma e Firenze. 
Quella spiaggia tunisina della strage vacanziera poteva essere quella di Fregene, di Riccione o di Puntala. 
Quella moschea di Kuvait City, saltata in aria, poteva essere il Pantheon o il Vaticano, perché, come sostengono quegli invasati, sono tante "le tane della fornicazione, del vizio e dell'apostasia di quell'alleanza crociata che combatte il Califfato".
Il gruppo di Al Baghdadi accarezza il sogno delirante di conquistare e abbattere i simboli della cristianità: il perfetto jihadista vuol marciare sul Vaticano “per spezzare le croci con la benedizione di Allah” e issare la sua bandiera nera.
Filtrano voci poco rassicuranti su blitz, pianificati nei minimi dettagli, di cellule pronte a colpire nella metropolitana di Milano, così come nella basilica di Sant'Antonio a Padova e in quella di Bologna.
Il fanatismo è l’esercito più difficile da combattere, da prevenire, da estirpare, soprattutto, quando nasce, è provocato o alimentato da abusi, prepotenze e dal nostro deprecabile dispotismo.
L'idea dell'ISIS forse è nata, non a caso, nelle carceri irachene tra i prigionieri degli americani....
27 giugno 2015   (Alfredo Laurano)

UNA GIOVANE VECCHIAIA

Raccontare i film di Sorrentino, senza rischiare di cadere nella verbosità, nel descrittivo, nel didascalico, è impresa ardua e difficile. Sono talmente tanti gli aspetti, le prospettive e le angolazioni che si intrecciano sullo schermo e che coinvolgono il frastornato spettatore, fra mille sfumature di suoni, dialoghi e colori, che non si possono eludere, né parzialmente trascurare, senza compromettere lo stile della narrazione e la costruzione di un genere del tutto personale.
Anche in Youth, la giovinezza - come nella Grande Bellezza e nei precedenti film - ogni passaggio, ogni stacco, ogni immagine non si sottrae all’impatto con un’asettica e spesso bizzarra realtà, ma si stempera e si dissolve nella naturale retorica dei sentimenti, dove trova un senso, un significato profondo e imprescindibile.
Dal prologo, asciutto ed incisivo, fino all’epilogo, accademico e sorprendente, scorre in forma aulica un mirabile affresco che si compone di un circostanziato presente, di ricordi e allegorie del passato, di dettagliati voli della fantasia. Fra due gocce di difficile pipì, un massaggio e qualche riservata confessione, si compie l’opera che, con la vecchiaia, corona una intensa esistenza.

Ricorda un po’ il “De senectute” di Cicerone o l’omonima lectio magistralis di Norberto Bobbio, secondo il quale la vecchiaia non è scissa dal resto della vita precedente, ma è la continuazione dell’adolescenza, della giovinezza, della maturità.
Rispecchia la visione della vita e cambia l’atteggiamento verso di essa, a seconda di come ognuno ha concepito la vita: come una montagna impervia da scalare, o come una fiumana in cui sei immerso, o come una selva in cui ti aggiri incerto sulla via da seguire.
Il mondo di tutti i vecchi è il mondo della memoria: alla fine tu sei quello che hai pensato, amato, compiuto. E quello che ricordi.
Sono una tua ricchezza, oltre gli affetti che hai alimentato, i pensieri che hai pensato, le azioni che hai compiuto, i ricordi che hai conservato e non hai lasciato cancellare e di cui tu sei rimasto il solo custode.

Non è un film per giovanissimi, che forse troveranno anche noioso, perché, come dice in una scena il regista Mick (Harvey Keitel) ai suoi giovani collaboratori, guardando in un cannocchiale, "Questo è quello che si vede da giovani: tutto vicinissimo, quello è il futuro... E questo - girandolo al contrario - è quello che si vede da vecchi: tutto lontanissimo, quello è il passato". Ma è un film per tutti perché riflette la vita e le età dell’esistenza di ciascuno.
Siamo in Svizzera, Fred e Mick, due vecchi amici, più o meno coscienti delle proprie attuali forze fisiche e intellettuali, sono in vacanza in un lussuoso albergo-benessere ai piedi delle Alpi, in compagnia di Leda, figlia di Fred.
Mick, un famoso regista, sta ancora preparando il suo film testamento. Fred, un compositore e direttore d'orchestra, è ora in pensione e fa suonare a tempo tra le dita una cartina rossa delle famose caramelle "Rossana".
Mentre Mick s'impegna per finire la sceneggiatura, Fred non ha alcuna intenzione di riprendere la sua carriera musicale e dirige, nella serena valle, un bucolico e immaginifico concerto di mucche, muggiti, tintinnii e campanacci, che da solo vale il biglietto.
Ma un emissario della regina vuole a tutti i costi convincerlo a tenere un concerto delle sue celebri “canzoni semplici” a Buckingham Palace, in occasione del compleanno del principe Filippo. Ma lui rifiuta.

Mentre sua figlia viene mollata dal marito (che è il figlio di Mick), una serie di fugaci apparizioni di personaggi stravaganti, esagerati, grotteschi e sicuramente felliniani (Otto e mezzo), popola quel luogo: un gruppo musicale vintage, un attore triste perché ricordato solo come robot; una miss Universo, straordinariamente bella e sinuosa, ma anche intelligente, che attenta alle coronarie dei due anziani amici, entrando nuda in piscina; una specie di folgorante, obeso e tatuato Maradona che esce dall’acqua, torna alla bombola d’ossigeno, ma esibisce il mancino che ha incantato il mondo e palleggia con un palla da tennis.
E ancora, il monaco tibetano che non levita; una coppia che non parla, ma poi urla nel boschivo orgasmo; la giovane massaggiatrice che discetta sul piacere del contatto; la grande attrice Brenda, una feroce e irresistibile Jane Fonda, e l’onirica carrellata di comparse, sempre molto felliniane, in costume di scena sulla collina.
Molte immagini del film sono di abbagliante bellezza, le sue atmosfere, le sue profonde battute, i freeze frame nell’immobilità dei corpi e la straordinaria fotografia, con tagli di luce alla Caravaggio, accompagnano lo spettatore e lo toccano nell’intimità.
La macchina da presa si muove sempre lentamente cercando ossessivamente primissimi piani, che rivelino crudamente la natura delle cose, la sofferenza, il dubbio, l’incertezza.
E poi, gli effetti pirotecnici e barocchi, con colori e movimenti che esplodono davanti allo spettatore, in una serie di fantasmagoriche invenzioni.
Ogni inquadratura è studiata e tende all’originalità, ad essere assolutamente unica e autentica. A volte, anche troppo ricercata.

In Youth, ci si confronta con il senso della vita e della morte.
La giovinezza è lo scorrere del tempo, dove la tristezza, la gioia, il successo sono visti nella prospettiva di chi ha già molto vissuto.
I due anziani amici, fra le magnifiche montagne alpine e i prati verdi, si interrogano sulle loro angosce, sulle loro attese, con i loro segreti e, soprattutto, con la consapevolezza di un ricordo destinato a perdersi nel tempo.
Le emozioni si liberano senza timore: “Tu hai detto che le emozioni sono sopravvalutate, ma è una vera stronzata, le emozioni sono tutto quello che abbiamo!" dice Mick Boyle all’amico Fred.

La Giovinezza di Sorrentino appartiene a quel tipo di film, prevalentemente narrativo e dettagliatamente sceneggiato, che crea emozioni estetiche e induce al turbamento, solo con l'accostamento di immagini e musica solenne, come nella sequenza di Piazza San Marco allagata. Emozioni che scavano dentro e cercano uno spazio nell’anima.
Più che della vecchiaia, si parla quindi di memoria viva e vitale. Di rapporti umani, di passato e di futuro e di sensazioni: tutto orchestrato con maestria su spartiti umani e musicali di altissimo livello.
In tutti i film di Sorrentino c'è sempre qualcuno che fa i conti col proprio passato e con le proprie scelte: che si chiami Pisapia, o Andreotti o Jep Gambardella che, a 60 anni, non vuole fare più le cose che non gli va di fare.
Proprio, come i due protagonisti Fred e Mick.

Secondo alcuni critici, la vecchiaia nel film è un pretesto occasionale, dominato dal conformismo biologico e mentale e i vecchi di Sorrentino sono marionette di ricchi che si piangono addosso, noiosi come la morte, e che sparano sentenze a raffica da baci Perugina, l’una più consunta dell’altra.
Io lo trovo geniale e commovente, profondo e spiritoso perché scruta, con rispetto e con pudore, le varie fasi dell’esperienza umana nel tempo che, inesorabilmente, scorre fra infiniti dubbi e perché, senza risposta. 
Ma, è anche una dichiarazione d’amore per la vita, dove volontà, immaginazione e speranza sono seminate a piene mani e i desideri e le passioni, pur affievoliti, prevalgono sull’apatica realtà. “Sei ostaggio della tua apatia”, dice la figlia a Fred che, dopo il gesto estremo dell’amico, riesce finalmente ad accettare di dirigere il concerto tanto voluto dalla regina d’Inghilterra.
"Io capisco solo la musica - dice M. Caine - E sai perché la capisco? Perché la musica non ha bisogno delle parole, né dell'esperienza. La musica c'è..."
E Sorrentino pure c’è! Forse perché ama Bobbio e Cicerone.
26 giugno 2015   (Alfredo Laurano)


venerdì 26 giugno 2015

VEDI CHI ERANO I BEATLES

Hanno segnato un’epoca nella musica, nel costume, nella moda. 
Sono diventati un mito, una leggenda, un fenomeno di comunicazione di massa di proporzioni mondiali. Hanno venduto oltre un miliardo di dischi. 
I Beatles contano ancora oggi su un enorme seguito e numerosi sono i loro fan club, esistenti in ogni parte del mondo.
Le loro sonorità pulite e naturali, la loro musica semplice, accattivante e coinvolgente, le loro voci carezzevoli e garbate sono sempre di attualità e le loro canzoni sono eseguite e amate anche dalle giovani generazioni.
Un repertorio vastissimo e intramontabile: da Please please me a Twist & shout, da A Hard Day's Night ad Help!, da Day Tripper e We Can Work It Out, da Yellow submarine a Ticket to ride, da Let it be a Come together, a  Michelle, Norwegian Wood, Hey Jude, Eleanor Rigby,  Yesterday e tantissime altre.

I Beatles sono stati uno spartiacque nel mondo della musica pop e rock, come alcuni grandi lo sono stati nella classica e sinfonica.
Tutti li amavano, molti li adoravano, li imitavano nell’abbigliamento, nel look, nel taglio di capelli, negli stivaletti. Le ragazze impazzivano e urlavano da ossesse, al solo immaginarli.
Con loro nacquero le prime manifestazioni socio-psicologiche di devozione di massa, di estasi e di isteria collettiva.
Ispirarono e fecero nascere migliaia di band e gruppi musicali, compreso il mio.

Nei desolati e spogli palinsesti estivi della televisione pubblica e privata e parafrasando la nota canzone degli Stadio “Chiedi chi erano i Beatles”, Raitre ieri sera ci ha fatto un regalo: ha mandato in onda un programma a cavallo fra storia, costume e società, per celebrare i cinquant’anni della memorabile tournee in Italia dei Beatles.
Nel giugno del 1965, suonarono a Genova, Milano e il 27 giugno a Roma, al Teatro Adriano, accolti da migliaia di giovani in delirio, che erano riusciti a comprare i carissimi biglietti. Traffico impazzito, città blindata.

Racconti, documenti, brani musicali, testimonianze, aneddoti, filmati amatoriali, o “rubati” in qualche modo, per ricostruire le atmosfere di quei momenti e di quegli anni.
E tanti personaggi che con i baronetti hanno avuto un contatto, un incontro, un’avventura: Gianni Minà, l’amico confidenziale, Fausto Leali e Peppino di Capri, che si esibirono con loro, Amanda Lear, Catherine Spaak, il figlio del lor sarto personale, l’ingegnere del suono Ken Scott. Ma anche Gianni Bisiach, Furio Colombo e altri che in quel giorno erano presenti.
Molte attuali cover band del mitico quartetto hanno eseguito alcuni tra i più noti brani.
Una valanga di ricordi legati a quei favolosi quattro “scarafaggi” che, a colpi di chitarra e batteria, cominciarono a cambiare il mondo.
La musica e la vita scorreva sotto i piedi. Tutto non sarebbe più stato uguale a prima.
26 giugno 2015     (Alfredo Laurano)

LA GRADISCA


Ha dato corpo alle fantasie onirico-sessuali di Fellini nei panni della sensuale Gradisca di Amarcord, ma aveva già lavorato con il regista romagnolo anche ne La dolce vita e in Fellini Satyricon.  
Poche ore dopo la Antonelli, anche Magali Noël, cantante e attrice francese - un altro sex-symbol di quegli anni, con la Girardot, la Bardot, la Moreau, la Fenech - si è spenta nella notte a 83 anni.
Chi non ricorda la procace e ingenua romagnola che, sull’elegante letto a baldacchino e il cappellino rosso in testa, pronuncia un invito seducente, un semplice verbo al congiuntivo che darà il nome al suo celebre personaggio: “signor principe, gradisca…”
23 giugno 2015               (Alfredo Laurano)




martedì 23 giugno 2015

ADDIO DIVINA CREATURA

Troppo bella, troppo sensuale, troppo passionale per essere vera: una divina creatura, vagheggiata nell'immaginario collettivo del maschio latino, ma non solo, che, con il suo sguardo complice e innocente e con le sue morbidezze seducenti, ha rappresentato il sogno proibito e ideale di più generazioni di italiani.
Amata, sognata, desiderata.

Un’icona del cinema dell’erotismo anni settanta, sano e naturale, dove la rappresentazione del piacere e della voluttà si tuffava e si scioglieva in un miscuglio di sensazioni languide e piccanti, suscitando un’attrazione irresistibilmente maliziosa. Era espressione di una femminilità carnale e provocante, ma mai volgare ed immorale.

Troppo bella per essere considerata anche altro, tutti oggi la piangono nel ricordo di età e di desideri lontani, ma in realtà Laura Antonelli era, da molto, dimenticata da tutti e viveva in una casa isolatissima a Ladispoli.
Un’ attrice già uccisa da tempo dai suoi personaggi e dall’accanimento mediatico acceso sulle sue tante sventure che facevano notizia - dall'amore tempestoso con Jean Paul Belmondo che la picchiava, ai problemi giudiziari per la cocaina (assolta dieci anni dopo), all'intervento estetico mal riuscito che le deturpò il viso, la mente e i lineamenti - fino ad essere del tutto cancellata, non appena i riflettori del circo dell’ipocrisia furono spenti.

Nessuno si occupò più di lei, pur conoscendo le condizioni di emarginazione in cui era finita. Solo Banfi provò a farle avere un contributo dalla legge Bacchelli e i giornali locali ogni tanto scrivevano due righe.
So che qualcuno della sua parrocchia cercava d’aiutarla nel suo esilio di donna fragile, segnata e abbandonata, morta a 73 anni di tristezza e solitudine.
Da conturbante oggetto di desiderio, di imbarazzante splendore, alla totale indifferenza di un mondo falso, cinico e crudele che l’ha lasciata uscire dalla vita che non era più sua. 

“Voglio essere dimenticata - aveva detto anni fa - e cercare di vivere il più serenamente possibile, senza vedere la televisione.”
Non la guardava da più di vent'anni, ma neppure la magica scatola delle illusioni guardava lei.
23 giugno 2015   (Alfredo Laurano)

lunedì 22 giugno 2015

ERA DOLCE E SOLATIA…

I DIV son tornati a casa.
La gita si è velocemente consumata tra i verdi boschi e le piogge di Romagna, all’aria fresca o proprio fredda di un inizio estate villano e dispettoso, attraverso odori d’erba e sapidi gusti di tortelli e cappellacci, di Sangiovese e di pungenti aromi di formaggio di fossa, di porcini e confetture di pere cocomerine. E tra i bei casali in pietra della Valbonella, tra prati curati e giardini officinali, tra liberi pavoni e scolaresche vivaci e scatenate.
Ma anche incrociando passeggiate e shopping fra terme e negozietti, con “imperdibili” occasioni per acquistare maglie, costumi e giubbetti, alla volè.
O paesaggi bucolici e sereni, popolati da Elfi, fatine e gnomi Mentini, rilassanti dormite e luoghi suggestivi, sorgenti tiberine o città plautine, tra mille risa e fragorose chiacchiere vibranti, tra ululati festosi, trilli, gorgheggi d’animo e di gola e gorgoglii di pancia che gradisce.
Tra goliardici schiamazzi, a volte maliziosi, e fotografie, tra messaggi WhatsApp e telefonini a ferire e violentare… “sovrumani silenzi e profondissima quiete”, dal sapore universalmente leopardiano.
E su quello sfondo, gaio e scanzonato, un clima gioioso di allegria, schietto e spumeggiante come il sangue romagnolo che si attacca e ti contagia.

Quante voglie, quante proposte, quanti programmi e possibili iniziative, ma il tempo è poco e la pioggia tanta. Bisogna scegliere, sfruttare al massimo quel poco che ci è riservato, sfidando il meteo e gli elementi avversi.
E allora, all'eremo fra i tigli del santuario di Corzano, magico e seducente nella sua oasi di pace e sobrietà; al Monte Fumaiolo a scoprire un gelido zampillo che diventa Tevere; lo strudel del rifugio per premiar la gola e la fatica; la bella Sarsina che diede i natali a Tito Maccio e alla sua commedia degli equivoci e degli scambi di persona, dove l’ilarità nasce dagli intrecci e dagli amori ostacolati: l’azione si fa gioco creativo e diventa liricamente comico, in una ridda di battute, digressioni esilaranti e dialoghi scoppiettanti.
Un po’ come i nostri, casuali, spontanei, beffardi e macchiettistici, zigzagando, con un po' di nostalgia, tra i sentieri dei ricordi e dell'oblio: una sorta di puro cazzeggio plautino, da contaminazione storico-locale, più gastro-comica, direi, che poetica o teatrale. Come, per esempio, “e allora, faccela vedè” …’sta fotografia!
Inevitabile: siamo in Romagna, dove si balla, si ride, si beve e ben se magna!

Sfoderate coltelli e forchette e gambe sotto al tavolino: al Primo Maggio di S. Piero in Bagno, da Lia a Montecoronaro, all’Antica Osteria di Sarsina e, per non privarci del sapor di mare, un lungo e un po’ insensato giro a degustar le delizie marinare della Rustita, in quel di Fano.
E dopo cozze, fettuccine, alici, sogliole e calamari, la classica “moretta” che fa digerire, l’attesa in fila per la pipì, fraterna e collettiva, e tutti in macchina per tornare a casa, stanchi ma felici, come nelle belle favole dei diversamente giovani.
22 giugno 2015     (Alfredo Laurano)

mercoledì 17 giugno 2015

CHE MONDO SAREBBE SENZA…

La ministra dell’ecologia francese Ségolène Royal, ex compagna del presidente Holland, ha invitato i concittadini a non consumare la Nutella perché contiene olio di palma e perché la sua produzione comporta notevoli danni ambientali e alla salute e contribuisce alla deforestazione massiccia e, di conseguenza, anche al riscaldamento climatico.
La Nutella è fatta con prevalenza di olio di palma e zucchero al 70%, nocciole (13%), cacao (7%), siero di latte in polvere, emulsionanti come lecitine di soia e vanillina.

Questo appagante miscuglio, prodotto da cinquant’anni in migliaia di tonnellate e sostenuto da una martellante pubblicità, vanta milioni di estimatori nel mondo e crea una certa dipendenza: ce lo racconta il cinema, la letteratura, la cronaca.
Col tempo, è diventato un mito, un fenomeno di costume, come la Coca Cola. E’ la crema più amata, a tutte le ore, da bambini, da adulti e da persone di ogni età, ma altera le cellule del pancreas e favorisce il diabete e l’obesità.

Per piantare palme da olio, alcuni Stati come l’Indonesia stanno deforestando tutto il loro territorio e parte di quello del Borneo. Migliaia di specie vegetali rare distrutte, l'habitat di milioni di animali cancellato.
Tutto questo per fornire olio da cucina per cinesi mangiacani? O per fornire olio da cucina a cuochi e pizzaioli del terzo mondo?
O per preparare la mitica Nutella, zuccheroso trash-food all’italiana.

L’uso dell'olio di palma è micidiale per la salute, al pari dei grassi idrogenati di altrettanta pessima tradizione, ma è ormai ingrediente diffuso e presente in quasi tutti i biscotti, le merendine, le creme e i dolci industriali, perché costa poco, anche se le aziende produttrici, come appunto la Ferrero, parlano di prodotto certificato.
Prima che lo dicesse la Royal, Report di Milena Gabanelli, a fronte di studi e documentate indagini, ci aveva già informato su quell’olio e sul valore della sua certificazione. Per la salute e la nutrizione, è una porcheria pericolosa, peggio di qualsiasi altro grasso.

Avete mai provato a lasciare un barattolo di deliziosa spalmabile Nutella sul cruscotto della macchina per tre o quattro ore?
Osserverete scindersi in due distinte zone la massa solida e quella assolutamente liquida, giallastra e oleosa.
In commercio, ci sono valide alternative, prive di questa zozzeria.
Leggete le etichette e informate il golosissimo Nanni Moretti.
17 giugno 2016   (Alfredo Laurano)


lunedì 15 giugno 2015

NETIQUETTE

Le critiche che Umberto Eco ha rivolto al mondo dei social, nel suo intervento all'Università di Torino - dove ha ricevuto la laurea honoris causa in Comunicazione e cultura dei media - hanno suscitato un mare di polemiche, di commenti e anche di condivisioni.
In effetti, non ha detto nulla di nuovo o di particolarmente eretico, ha solo ribadito dal suo pulpito privilegiato e autorevole le stesse cose che un po’ tutti noi pensiamo e scriviamo da tempo: internet è una sconfinata palestra internazionale di libertà che favorisce la comunicazione, il dialogo, la conoscenza, la diffusione delle idee, ma che dà diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima chiacchieravano al bar, dopo due bicchieri rosso, e ora hanno lo stesso diritto di dissertare di un premio nobel. E diventa difficile poi distinguere. 

Nel grande contenitore anarchico della Rete, ognuno scarica i suoi pensieri, le sue riflessioni, le sue emozioni, ma anche malvagità, ansie, ossessioni, frustrazioni e limiti. E lo fa con gli strumenti culturali di cui dispone.
Non credo che Eco, come qualcuno banalmente afferma, voglia impedire la libertà di espressione, forse osserva e denuncia la dilagante corsa al volgare strillo quotidiano, all’ottusità, al colpevole preconcetto, al raglio del citrullo telematico e segnala la necessità di individuare ed emarginare il nuovo scemo del villaggio globale, che non è innocuo come il tradizionale, ma fa gravi danni alla comunità.
Tutto questo, ripeto, è sotto i nostri occhi e lo cogliamo ogni momento e ne discutiamo, anche molto vivacemente, frequentando quelle vie informatiche.

Fermo restando il prezioso, irrinunciabile ruolo di circolazione del pensiero e dei principi in ogni luogo, anche dove diritti e libertà non sono sempre acquisiti o garantiti, la struttura comunicativa di internet e dei social network, ovviamente, favorisce anche gli esibizionisti, gli imbecilli, gli ignoranti, i repressi, i malintenzionati, i truffatori e un’altra infinita serie di categorie di variegatissima umanità: che c’è da stupirsi? Constatarlo e rappresentarlo mi sembra elementare, fa parte del semplice buon senso.
Si parla spesso di netiquette, il galateo di internet, cioè di quell’ insieme di regole che disciplinano il comportamento di un utente nel rapportarsi agli altri utenti, attraverso siti, pagine, forum, blog o email, con rispetto, educazione e non come barbari incivili. Ma, troppo spesso questa essenziale esigenza di bon ton viene ignorata e quel fantastico strumento di scambio e apprendimento si svilisce e diventa sfogatoio di pulsioni o vetrina di odiosi pregiudizi. Grettezza, meschinità e cecità della ragione trovano così diritto di esistenza e costante ospitalità.
Non è solo una questione di educazione, di valori, di etica civile e di coscienza critica, ma di possibili forme di manipolazione e mistificazione che, dietro il paravento dell'anonimato usurpano un malinteso senso di autonomia e democrazia.

Non va dimenticato che quelli che usano impropriamente la rete, e si distinguono per la loro miseria culturale e per pochezza e tracotanza, sono gli stessi che poi hanno diritto al voto come gli altri e scelgono non sulla base di convinzioni, confronti o di scambi di opinioni, ma di facili stimoli, slogan e messaggi che i media ed il Potere fanno loro strumentalmente arrivare.
La libertà di parola e di espressione è un diritto di tutti, ma non di coloro che insultano, provocano, offendono, aggrediscono, calpestano il rispetto e la realtà, e diffondono impunemente la propria imbecillità.
L'antidoto contro gli idioti del web dovrebbe essere il silenzio, l’indifferenza, lo scetticismo, non la replica o la censura.
Ma non sempre è possibile o non sempre ci riusciamo.
12 giugno 2015   (Alfredo Laurano)

giovedì 11 giugno 2015

SCUSI, DOV’E’ IL POZZO?

Ci sono ricordi collettivi stampati indelebilmente nella nostra mente.
Quando si parla di Alfredino Rampi e della sua tragica vicenda è impossibile non sentirsi coinvolti emotivamente, anche dopo trentaquattro anni.
Aveva solo sei anni quando, la sera del 10 giugno 1981, cadde in un pozzo artesiano a Vermicino, vicino a Roma. Quel mercoledì pomeriggio aveva fatto una passeggiata in campagna con il papà e aveva chiesto di poter tornare a casa da solo, attraversando i campi: nessuno lo vedrà più vivo.
Secondo una sconvolgente ipotesi vagliata dalla magistratura, qualche anno dopo, su modalità e contraddizioni del fatto (due operai testimoniarono che l’imboccatura del pozzo era stata da loro chiusa con una grossa lastra di ferro, coperta con grosse pietre e con due palanche di legno e che un bambino non era in grado di aprire), Alfredino non scivolò per caso in quel pozzo: la sua fine non fu dovuta a una disgrazia, ma al disegno di un criminale che avrebbe imbracato il bambino alla vita, lo avrebbe calato nel pozzo con una corda e lasciato cadere.  
La magistratura, però, non riuscì a raccogliere prove univoche sufficienti per suffragare l’ipotesi di reato, cosicché lo stesso pubblico ministero chiese l'archiviazione.

Si tentò l’impossibile per salvare Alfredino, il tutto per tutto: dal pompiere eroico al magrissimo facchino sardo; dal canale parallelo costruito in tempi da record alla corda con un possibile aggancio; dal gruppo di speleologi al muratore coraggioso.
Nulla. La tragedia si stava consumando, nonostante la fiducia e la speranza, dinnanzi a diecimila persone intorno al maledetto pozzo e a milioni di italiani, in ansia, davanti alla Tv.
Quando quel corpicino rannicchiato sembrava ormai a portata di mano, con manette o cappi di fortuna, il fango, il buio e un attimo che sembrò eterno, non risparmiò la caduta di altri venti metri in profondità.
In quello stretto cunicolo, largo pochi centimetri, rimase incastrato a sessanta metri e i coraggiosi soccorritori, calatisi nel maledetto pozzo, a testa in giù, riuscirono a toccarlo, ma non ad afferrarlo.
Tre giorni di diretta Tv non stop che fecero piangere l'Italia. Nasceva la Tv del dolore.
Seguii le prime ore della vicenda a una radiolina, perché stavo viaggiando in treno. All'arrivo, mi incollai subito davanti al televisore, anch’io, come tutti, pieno di speranza, fino al tragico epilogo.
Il dolore fu profondo e devastante. Fu uno struggente e intenso momento di coesione nazionale, di commozione assoluta e di straordinaria partecipazione. Tutti eravamo presi e non si parlava d'altro.
Quel piccolo bambino era come il figlio di ogni italiano e attorno a lui si coagulò un vero, grande sentimento che, oggi, forse - vaccinati dall'indifferenza e dall'abitudine al dolore e alla violenza - non si verificherebbe più.
Anche se, già allora, diffusa la terribile notizia, arrivarono nei pressi del pozzo, oltre ai soccorritori, ai vigili, alla stampa e al verace Pertini, frotte di persone, di comuni cittadini e di curiosi, oltre agli immancabili venditori ambulanti di bibite e panini.
Via di Vermicino divenne nota a tutti e per lunghi mesi e anni fu strada super trafficata e luogo di pellegrinaggio.
Ne ho testimonianza diretta e personale.
11 giugno 2015           (Alfredo Laurano)