mercoledì 30 gennaio 2019

SENTENZE A SALDO

Impazzano i saldi di stagione, ma anche le sentenze.  
Ma si, sarebbero quattordici (anni) per il Ciontoli, ma facciamo cinque e non se ne parli più.
Invece se ne parla eccome e anche più di prima.
Non solo per le migliaia di espressioni di sdegno e di protesta, di amarezza e delusione, che questa ignobile sentenza, per molti pilotata, ha suscitato nella comunità, nel gruppo di sostegno alla famiglia Vannini e nel popolo italiano.
Tanti, tutti, in queste ore, continuano a scrivere e a urlare con forza e con furore: “vergogna… non in mio nome… è un’indecenza… è inconcepibile, è disgustoso, è umiliante… che schifo...” e anche di più e di peggio.
Sono partite spontaneamente e-mail e lettere di protesta ai giornali, alle Tv, alla magistratura, ai ministri e alle Istituzioni. Sono arrivate migliaia di notifiche sui social e nei messaggi dei telefonini.

Questo secondo verdetto, che ha derubricato il reato di omicidio da volontario a colposo anche per l'esecutore dello sparo - del tutto contrario alle attese e alle evidenze degli atti -ha scatenato, inevitabilmente, una naturale, logica, rabbiosa reazione popolare che, sempre inevitabilmente, finisce con l’invocare la pena di morte, la punizione dei giudici, la vendetta personale, la giustizia sommaria da Far West. Che, diciamolo apertis verbis, non è certo condivisibile, ma assai comprensibile.
E’ stato fatto un ulteriore oltraggio alla vittima, considerata sfortunato oggetto di percorso (o di gioco allucinante), alla famiglia, ai cittadini, alla realtà fattuale e oggettiva, abbondantemente emersa del dibattimento.

“C’è un ragazzo che si è sentito male, di botto è diventato tutto bianco, non respira più…”
Bastano, e sarebbero dovute bastare alla Corte, queste poche, semplici, chiarissime parole pronunciate da Federico nel corso della prima, ormai famosa, telefonata all’operatore del 118, per capire che la gravità della situazione non poteva non apparire ed essere percepita da tutti i presenti nella sua più totale, innegabile, palese evidenza.
Parole angosciate che svelano, e avrebbero svelato anche a un bambino, quanto fosse impossibile sostenere - come tutti gli imputati hanno invece fatto in aula - di non essersi resi conto del tragico frangente e dell’imminente pericolo di vita del povero Marco, che aveva, peraltro, già perso due litri di sangue.  Erano, quindi, tutti volontariamente consapevoli. 
E sono stati pure incredibilmente creduti.
Come nelle favole, nelle farse e nelle sceneggiate del compianto Merola.
30 gennaio 2019 (Alfredo Laurano)

martedì 29 gennaio 2019

L’UOMO DURO INDAGATO


Forse, per effetto della sua overdose di eccitazione da comando, nella sua esaltazione di ruolo dominante, nei suoi variabili panni carnevaleschi da poliziotto, pompiere, forestale, ruspante (con la ruspa) o con l’antica felpa regionale o secessionista, il duro e inflessibile Salvini non si rende del tutto conto di cosa potrebbe a breve capitargli.
Se il Senato darà il suo consenso – e ciò potrebbe accadere, considerando i numeri della maggioranza e dei possibili alleati, il segreto del voto, le assenze in aula, le ripicche e le possibili vendette personali e il benestare già annunciato da Di Maio, nel rispetto (interessato?) della la sua sbandierata e impavida volontà di giustizia – sarebbe in effetti processato, e quasi sicuramente condannato.
Il Tribunale dei Ministri (che non è una corte speciale, ma una sezione specializzata del tribunale ordinario) ha chiesto l’autorizzazione a procedere in giudizio nei suoi confronti, con le imputazioni di sequestro di persona aggravato, arresto illegale e abuso d’ufficio, per i reati connessi alla nave Diciotti, dell’agosto scorso.
La richiesta, che contraddice quella di archiviazione già avanzata dalla Procura di Catania, arrivata ai primi di novembre, lascia intendere chiaramente l’intento di perseguire le sue colpe, altrimenti non avrebbe senso, come lo stesso superamento dell’archiviazione.

L’ardito sceriffo dei porti chiusi ha sempre dichiarato: “processatemi, non ho bisogno dell’immunità”, ma forse ignora cosa significhi affrontare un regolare processo, con tutte le conseguenze che ne derivano: il rischio di una possibile condanna da 3 a 15 anni, la fine di una carriera da politico e da segretario di partito, l’addio al potere così faticosamente conquistato, un’immagine decisamente compromessa, anche sul piano internazionale, l’abbandono inevitabile di amici e compagni di Lega.
Comunque vada, dovrà necessariamente abbassare le penne della presunzione, spogliarsi delle corna celtiche e indossare forse un’inedita divisa a righe, che oggi ancor gli manca.
(Alfredo Laurano)


lunedì 28 gennaio 2019

L’APPELLO DI MARCO


E' verissimo, l'imminente sentenza d'appello - qualsiasi sarà - non chiarirà i tanti perchè di questa incredibile vicenda.
Non ci dirà dove è stato ucciso Marco, chi in realtà gli ha sparato, per sbaglio o convinzione, che ruolo abbiano avuto tutti i presenti, quanto abbia pesato la ferrea logica del clan, perchè non l'abbiano soccorso tempestivamente (non rendendosi conto - dicono tutti - della gravità della situazione), perché Marco continuava a chiedere scusa (a chi e di cosa?), perchè lo abbiano lasciato morire, nonostante le urla e il dolore che manifestava, sentite dai vicini e al telefono dagli operatori del 118.
Né ci dirà perché gli infermieri, al loro arrivo, abbiano trovato Marco per terra - non a letto, su una sedia o una poltrona - e con i capelli bagnati.
Faceva tutto parte della messinscena?

Non aspettiamoci quindi dalla sentenza alcuna rivelazione, alcuna nuova scoperta, sorpresa o spiegazione, mai emersa, peraltro, nel dibattimento.
La verità la sanno soltanto loro, i Ciontoli: è custodita nei segreti familiari, sotto un muro di complice silenzio e di consorteria, scolpita in un fitto velo di omertà mafiosa.
Oltre alla condanna, dovrebbero dare un oscar a tutto il clan, o almeno un ricco premio di consolazione, da accarezzare per ricordo e imperitura gloria tra le sbarre della galera. (Alfredo Laurano)


OSTAGGI DI MARE

“Prendiamo in affitto una barca, un'ora soltanto. Andiamo a cercare uno scoglio, li' si sta meglio. Andiamo a cercare un bagnino, il cielo è un incanto. Facciamoci dare un pattino, fino al tramonto. Un'ora potremo restare, un'ora potremo sognare fuori dal mondo.”
Così cantava Edoardo Vianello negli anni sessanta.
Così, più o meno, hanno fatto ieri tre parlamentari, Magi, Fratoianni e Prestigiacomo, uno psichiatra, una mediatrice culturale, un avvocato e il sindaco di Siracusa, per andare a vedere dal vivo e verificare le condizioni dei 47 naufraghi, salvati dalla Sea Watch, che da nove giorni sono ostaggio di Salvini e della sua barbara propaganda. Ostaggi in mare della nostra indifferenza, ostaggi dei governi europei che non riescono a mettersi d'accordo.

Hanno affittato un gommone, beffato il controllo della Capitaneria di porto, che ieri aveva impedito loro di raggiungere l’imbarcazione olandese a largo di Siracusa, e sono riusciti a salire sulla nave umanitaria.
A bordo - riferiscono i visitatori, che non hanno potato the e pasticcini, ma generi di conforto - c'è "una situazione difficile, soprattutto dal punto di vista igienico-sanitario, un solo gabinetto “esausto”, un solo stanzone dove dormono ammassati, scarseggiano le provviste alimentari”.  
A preoccupare sono soprattutto le condizioni dei 13 minori, 8 dei quali non accompagnati, che il ministro di polizia Salvini si rifiuta di far scendere, in un assurdo braccio di ferro che fa parte del suo personal show. Lasciarli in mare, come fu già per quelli della nave Diciotti...quanto voti vale?"
Alcuni migranti hanno raccontato agli ospiti le loro storie: provengono da torture, da anni di violenze incredibili di cui portano i segni sul loro corpo, cicatrici sul volto che vanno dall'orecchio alla gola, tagli impressionanti sull'addome.
Ma tutto questo è ormai noto e poco interessa l’Europa e lo sceriffo del mare che, alla prossima occasione, potrebbe sequestrare anche quelli che prendono in affitto una barca per portare ai prigionieri pane e solidarietà. 
(Alfredo Laurano)

domenica 27 gennaio 2019

ANTICORPI NELLA STORIA


Quell’orrore che non si può raccontare, che non si può descrivere, che non si può capire. Che non si potrà mai perdonare, ma solo ricordare come estrema vergogna dell’umanità.
Mantenere in vita la memoria delle persecuzioni e dello sterminio degli ebrei e dei diversi serve a impedire e a prevenire il rischio che quell’orrore che, ancora oggi a dispetto della ragione, continua ad affacciarsi - in altri modi e per altre vie - nelle nostre vite ed a generare altre “normali” mostruosità, si rinnovi e si diffonda, in futuro, come una letale epidemia del male e della violenza.

Anche se siamo vaccinati dalle prove agghiaccianti e sconvolgenti della Storia, è necessario ripetere sempre i “richiami” di quell’intervento profilattico, per tutelare la salute pubblica, del singolo cittadino e delle nuove generazioni.
La Giornata della Memoria, in questo senso, è una costante, inesauribile presa di coscienza collettiva. 
E’ una somministrazione utile a immunizzare le coscienze, attraverso la produzione di anticorpi protettivi e resistenti alle infezioni di follia umana e alla propagazione di nuovi virus di intolleranza e di razzismo. (Alfredo Laurano)

sabato 26 gennaio 2019

LA FAVOLA CONTINUA


Dopo il Duce, non abbiamo più avuto un uomo della Provvidenza o, meglio, l’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare, come disse allora Pio XI, visto che Mussolini pose le fondamenta del potere economico e finanziario del Vaticano.
Non lo furono De Gasperi, né tantomeno Togliatti o Berlinguer - per evidenti conflitti d’interesse – né i cattolicissimi Moro e Andreotti.
Lo fu per molti, o apparve tale, quando scese in campo nel 1994, Silvio Berlusconi, occupando i resti della strage partitica e politica che Mani Pulite aveva prodotto.
E facilmente, grazie soprattutto al suo potere finanziario e alle giuste amicizie dietro le quinte di casa nostra ed internazionali, nacque l’ultimo mito di fine secolo, il messia di Forza Italia, l’uomo dei miracoli, della resurrezione e della rinascita. L’unico capace di distruggere comunisti residuali e magistrati scomodi, che, guarda caso, iniziarono a perseguitarlo come un protomartire cristiano. E le piazze si riempirono di fans, di bandiere e barzellette.
Poi, per gli errori, per l’età, per l’abuso di potere, per le condanne, per le storie personali e il bunga-bunga, precipitò nel baratro politico dell’oblio
Ma, a differenza di altri casi più fragili e fittizi, l’ascesa e la caduta del suo mito, attraverso il tempo, non fu mai netta e definitiva: la sua parabola politica, a dispetto della Storia, non conosce ancora fine.
Dalla Sardegna e in video, arriva infatti l’annuncio che è costretto a intervenire ancora: “L'Italia è il Paese che amo. Con queste parole, 25 anni fa, mi rivolsi agli italiani per chiedere di unirsi a me per salvare l'Italia da una grande pericolo e costruire per tutti un futuro di benessere e di libertà. Allora scesi in campo per evitare che il Paese finisse in mano a una sinistra ancora comunista.  Oggi, esiste una nuova minaccia.”
Dalla solita scrivania, con le luci filtrate, i ritratti di famiglia alle spalle, il collaudato leader della Provvidenza fatta in casa comunica la sua ennesima discesa nell’agone.
Una scelta necessaria, compiuta, come sempre, per alto senso di responsabilità.
I nemici non sono più i comunisti (che non ci sono più fra quelli che contano) o i magistrati in toga rossa, né il sempre amico Salvini, cui affiderebbe, obtorto collo, un futuro governo. Ma sono quegli incapaci dei Cinque Stelle che vogliono smontare e demolire tutto, altro che le rottamazioni del renzismo e dello smarrito e disagiato PD, ancora in cerca d’autore e identità, dopo la batosta.
"Nei loro programmi c'è il peggio del Novecento, sono contro l'economia di mercato, contro le infrastrutture, contro la democrazia parlamentare, sono contro lo stato di diritto, contro le nostre garanzie di giustizia e di libertà che vogliono addirittura trasformare da feroci giustizialisti”.

In conclusione, secondo un antico copione, torna in campo perché il senso di responsabilità glielo impone, perché il Paese che ama lo merita, gli italiani lo meritano, i loro figli lo meritano.
Ma è proprio sicuro che anche lo vogliano?
26 gennaio 2019 (Alfredo Laurano)

martedì 22 gennaio 2019

CIAO PIEDONE


Fu un idolo del calcio romanista di tanti anni fa, soprattutto per quelli della mia generazione.
La Roma piange la scomparsa all'età di 83 anni di Pedro 'Piedone' Manfredini, italo-argentino, uno dei più grandi attaccanti della storia giallorossa, dal 1959 al 1965. Realizzò con la Roma 104 reti in 164 partite, quinto miglior marcatore della storia romanista, vincendo una Coppa delle Fiere e una Coppa Italia. Fu capocannoniere in Serie A nel 1962-63
Arrivò nella capitale nel 1959, acquistato dal Racing Avellaneda per la cifra record di 78 milioni, e divenne subito famoso per il particolare soprannome, ''Piedone''. In realtà aveva un piede assolutamente normale, ma quando scese dall’areo, a Ciampino, la prospettiva di una foto con grandangolo gli ingigantì il piede così da suggerire ad un cronista dell'epoca il nomignolo che lo accompagnò per tutta la vita.
La sua epoca è tuttavia legata anche uno dei periodi più bui della “Rometta”: il presidente Marini Dettina che dichiara di non avere più soldi nella società (in passivo di due miliardi dovuto a operazioni di mercato quantomeno discutibili: acquisto di nomi altosonanti come John Charles, ormai sul classico viale del classico tramonto, e Angelo Sormani, mister “Mezzo Miliardo”); l’allenatore Juan Carlos Lorenzo che lo annuncia in un’assemblea cittadina al Teatro Sistina, che si traduce in una colletta popolare, per affrontare la trasferta di Vicenza. Fu una delle pagine più buie e al contempo grottesche della storia giallorossa, con i tifosi romanisti, ancora una volta, pronti a un sacrificio che non ha precedenti nel mondo del calcio.
In quegli anni, comunque, Manfredini ebbe come compagni di squadra grandissimi campioni, come i portieri Panetti e Cudicini “il ragno nero”, “Picchio” De Sisti, Angelillo, Selmosson, Guarnacci, il gagliardo capitan Losi, che aprì un bar dopo il ritiro, in piazzale della Radio, come anche lui stesso fece a fine carriera, a piazzale Clodio.
Era un’altra Roma quella di Piedone, un altro calcio fatto di emozioni vere, di speranze e delusioni e, soprattutto di passione.
Noi ragazzi, la domenica, andavamo a Monte Mario, sopra lo stadio, a vedere o quasi la partita.  Ci arrampicavamo al primo o al secondo spiazzo insieme a tanti altri, lungo una specie di sentiero che col via vai si era formato. Alcuni, addirittura, salivano sugli alberi più alti.  Quando mancava un quarto d’ora circa alla fine dell’incontro, di corsa scendevamo, per non dire rotolavamo, per entrare nello stadio, che apriva per tempo i cancelli per l’uscita degli spettatori, per seguire da vicino le ultime fasi, ma soprattutto i nostri beniamini: Da Costa e Manfredini, Lojacono, Angelillo e tutti gli altri.
Sempre la stessa domenica, alle sette della sera, si aspettava di vedere alla TV il secondo tempo registrato di una partita di quella giornata, con la speranza che fosse la Roma,  ma quasi sempre, chissà perché …c’era la Juve!

Il lunedì, curavo il mio personale “giornale” sportivo. Una sorta di “Corriere dello sport” casareccio.
Quattro o sei pagine su un quadernone formato protocollo con titoli, occhielli, sommario, manchette e box grafici sui cui annotavo, sempre a mano, risultati, classifiche e marcatori e, soprattutto, scrivevo articoli e commenti tecnici, molto partigiani, sulle partite di calcio della domenica precedente.

In quegli anni, non c’erano tutti i quotidiani sportivi, le moviole, i replay infiniti da mille angolazioni e le tantissime trasmissioni di oggi. Né si parlava di calcio ogni momento.
Ma del mitico Piedone, al bar o con gli amici, si parlava sempre e tutti lo adoravano.
Addio campione e grazie dei sogni e delle gioie che ci hai regalato.
22 gennaio 2019 (Alfredo Laurano)

lunedì 21 gennaio 2019

UNA CURIOSA TEORIA ECONOMICA


Qualche anno fa, Marc Faber - analista di borsa, uomo d'affari, noto economista e imprenditore di successo - ha studiato un progetto per aiutare a rilanciare l'economia americana. Nel suo bollettino mensile scrisse un commento piuttosto umoristico:
"Il governo federale sta valutando di dare a ciascuno di noi una somma di 600 dollari. Miei cari connazionali, attenzione:
Se noi spendiamo quei soldi al Walt-Mart Supermarket, il denaro va in Cina.
Se noi spendiamo i soldi per la benzina, va agli arabi.
Se acquistiamo un computer, il denaro va in l'India.
Se acquistiamo frutta, i soldi vanno in Messico, Honduras e Guatemala.
Se compriamo una buona macchina, i soldi andranno a finire in Germania o in Giappone.
Se compriamo regalini, vanno a Taiwan e nessun centesimo di questo denaro aiuterà l'economia americana.
L'unico modo per mantenere quel denaro negli Stati Uniti è di spenderlo con birra e puttane, già che sono gli unici due beni che si producono ancora qui. Io sto già facendo la mia parte."

Risposta di un economista italiano, anche lui di buon umore:
"Carissimo Marc, la situazione la situazione degli Stati Uniti sta veramente precipitando.
Mi dispiace informarla, che la fabbrica di birra Budweiser recentemente è stata acquistata dalla multinazionale brasiliana AmBev.
Pertanto Vi restano solo le puttane.
Ora, se queste decidessero di inviare i loro guadagni ai propri figli, questi soldi arriverebbero direttamente al CONGRESSO DEI DEPUTATI ITALIANI qui a Roma, già che qui esiste la maggior concentrazione di figli di mignotta del mondo."


IDOLI O CAPORALI

Siamo all’idolatria, all’adorazione degli dei, dei santi, degli angeli, dei politici di ventura, travestiti da pompiere o poliziotto.
Applausi, selfie per immortalare il momento, abbracci, sorrisi e perfino il baciamano. Si, come già accadeva a Berlusconi a L’Aquila.
Ad aspettare Matteo Salvini ad Afragola - “cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare"- una folla eccitata e festante. Cercano di toccarlo, come si faceva con padre Pio o si fa col Papa e i boss mafiosi. Magari, porta bene, porta fortuna, manco fosse una reliquia viva e semovente.

Come nel Medioevo, si inchinano al potente per venerarlo, per baciargli la mano, si sottomettono e si indignano contro chi non l’apprezza o lo contesta.
Da sempre, l’uomo - in teoria sapiens - fabbrica idoli per rappresentarsi entità creatrici e soprannaturali, che assumono così caratteri antropomorfici: è più facile adorare un'immagine iconografica, una statua o un feticcio, in questo sempre nuovo paganesimo.
Non solo, quindi, le divinità del denaro, del consumismo e del mercato, attuale idolatria globale per eccellenza, ma sempre nuovi miti, nuovi idoli, nuovi eroi, anche falsi, di cartapesta o da operetta.
E’ un bisogno innato e insopprimibile, ma anche ambientale e culturale, che si rinnova nel tempo.
L’uomo ne fabbrica continuamente e ad essi, fatalmente, si consegna.
Ma perché lo fa, è forse così stupido?
Non proprio o non del tutto. 
Lo fa, forse, per trovare una risposta ai propri limiti e per dare un senso alla propria inquietudine esistenziale. 
19 gennaio 2019 (Alfredo Laurano)






venerdì 18 gennaio 2019

LA CENA DEI DIVERSI


Chissà se prima o poi qualcuno ci spiegherà il senso della spettacolare cena, che si è tenuta a Roma, poche sere fa, nella Lanterna panoramica progettata da Fuksas, sul terrazzo del prestigioso palazzo dell’Ex Unione Militare a via Tomacelli. Prezzo non proprio popolare: seimila euro a testa per risotto, champagne e poco altro.
Una serata benefica? Forse.
Un evento carico di significato particolare sul piano politico? Tutti dicono di no.
Una rimpatriata di multi-vip amanti del gourmet? Può darsi.
Intorno alle tavole imbandite, ridondanti di politici trasversali, quotati imprenditori, avvocati, esponenti delle istituzioni e magistrati, Annalisa Chirico ha organizzato la cena annuale della sua associazione "Fino a prova contraria", con l'intento dichiarato di riunire sotto la cupola di vetro molti nomi del garantismo più spinto.
Fra i 250 partecipanti gourmand, Elena Boschi, Bonifazi, Marco Carrai e tanti altri renziani, molti di Forza Italia, Cairo, Tronchetti Provera, Luca Cordero di Montezemolo, Giuliano Amato e il solito Briatore, ma anche un Salvini - “onorato di essere stato invitato” - disinvolto, senza felpa, senza divise: eppure erano nel terrazzo dello stabile dell’ex Unione Militare!
Avvicinamento, confronto, trattative, ipotesi di possibili accordi sottobanco fra avversari e antagonisti? 
Chissà: a me viene in mente il detto “Consiglio di volpi, strage di galline”.
Anche perché tutti invitati, tranne i Cinque Stelle. Perché?
Forse per preparare uno scenario post eventuale crisi di governo, sotto forma di ulteriore patto di sopravvivenza tra Lega, renziani e berlusconiani?
Ma non chiamatelo inciucio, sarebbe solo un accordo di super garanzia.
18 gennaio 2018 (Alfredo Laurano)

giovedì 17 gennaio 2019

UNO SPOT TI SALVA LA POLTRONA


La mia amica Anna G, ma non solo, mi rimprovera di non aver adeguatamente apprezzato l'ormai famoso video di Ciampino, sull'arrivo di Cesare Battisti. Eppure avevo cercato di esporre alcune mie valutazioni, forse poco chiare o poco convincenti.
Provo a spiegarle meglio, anche per tutti gli altri che la pensano allo stesso modo.

In realtà, cara Anna, sono io che mi stupisco del tuo stupore.
Come vuoi definire e, soprattutto, che senso ha la farsa di cui parliamo, ossia il video trionfale, musicato e celebrativo che ha trasformato l’aeroporto di Ciampino in Hollywood, che fa discutere mezza Italia e che ha già provocato imbarazzo nel governo e una denuncia degli avvocati penalisti della Camera Penale di Roma?
Una goffaggine allarmante da parvenu, tipica dei Romani che portavano in corteo i generali nemici catturati, come dice lo storico Luciano Canfora, o qualcosa di più preoccupante, di una ingenuità pericolosa e di sostanziale cattivo gusto?
Un video che rivela tutta l’esagerazione di un apparato in pompa magna, esibito senza pudore, con una pletora di ministri, cronisti, inviati e battaglioni di forze dell’ordine, solo per ricevere, non un capo di stato, un benefattore dell’umanità, un eroe popolare e mitico, ma un mediocre e vecchio terrorista latitante da una vita, ormai non più in grado di nuocere a nessuno, che deve solo scontare la sua giusta pena. Un comitato di accoglienza solo per celebrare se stessi: mancava solo la banda dei carabinieri e l’inno di Mameli.

Ormai tutto diventa uno show: disgrazie, incidenti, attentati, stragi, omicidi, calamità naturali. Tutto si spettacolarizza secondo i principi della nuova Comunicazione dominante.
Sta a noi valutare il confezionamento dei fatti proposti e delle notizie raccontate e distinguere, secondo criteri oggettivi e razionali, ciò che ci viene disinvoltamente imposto e propinato.
Occorre rifiutare questa logica riduttiva e ogni forma di cultura omogeneizzante e conformista, soprattutto quando e dove si evince facilmente la speculazione elettorale.
Non tutto può essere sempre e solo uno spot.
17 gennaio 2018 (Alfredo Laurano)

TUTTO BATTISTI, MINUTO PER MINUTO

Che magnifico film, quello postato dal ministro Bonafede, da mandare a reti unificate e nelle scuole, per diffondere il senso di legalità e un sano orgoglio nazionalista. Nemmeno Fellini o Sorrentino avrebbero fatto meglio, e Nino Rota per le musiche.
Quanta doverosa fierezza e retorica propaganda.
Manca, a mio avviso, solo il commento parlato in stile "Istituto Luce", per completare l'opera con l'enfasi, un po nasale, che merita: "oggi, negli azzurri cieli della città di Roma, si è profilato all'orizzonte il velivolo italiano che riportava nelle patrie galere il vile delinquente, finalmente assicurato alla giustizia, tardiva ma inflessibile..."
Una pagina di grande cinema e di Storia, da tramandare ai posteri.
17 gennaio 2019 (Alfredo Laurano)

http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2019/01/15/battisti-bonafede-posta-video-piovono-critiche-su-facebook-_8478c985-3afb-4bed-aeac-cbb5cfcf119b.html

https://www.facebook.com/Alfonso.Bonafede.M5S/videos/349177259003951/UzpfSTEwMDAwMDQ2NTUxODI5ODoyOTM4MDMwNDQ5NTU1Nzc3/

RICORDANDO DE ANDRE'








Nel 2009 per il decennale della morte di De Andrè, Mauro Biani disegnò 15 straordinarie tavole per altrettante canzoni. 
Iniziò da lì una mostra itinerante per molte librerie Feltrinelli (e non solo), diventando poi libro+cartoline per Stampa Alternativa.
Eccone alcune:











martedì 15 gennaio 2019

SCENEGGIATA DI STATO


Trentasette anni di latitanza, poi, all’improvviso, il coupe de theatre: in sole ventiquattro ore, Cesare Battisti, terrorista contumace condannato all’ergastolo, individuato, arrestato e già spedito in Italia: un’accelerazione che sorprende e che stupisce. Magari, fra un po’, poco prima delle prossime elezioni, sarà casualmente catturato anche il super mafioso Matteo Messina Denaro, desaparecido da venticinque anni.
Ad accoglierlo, all’aeroporto, due ministri della repubblica - uno, già plurifelpato, mascherato da poliziotto, manco fossimo a Carnevale - e una folla di cronisti, di inviati e di agenti veri, raccolti in una coreografia che intende lasciare un modesto segno nella Storia. E attribuirsi un merito, un riconoscimento e un plauso, che forse vanno più all’Intelligence, ai Servizi internazionali e a Bolsonaro, nuovo re del Brasile, nazionalista, omofobo, misogino e razzista quanto basta. Anzi di più.
Un trofeo da esibire e alzare al cielo come la coppa del mondo o dei campioni, la cui novella occupa le cronache e metà dei telegiornali da tre giorni.

Siamo alla farsa che tutto semplifica, magnifica e decanta. Al fuoco d’ artificio che infiamma i social e le piazze, che illude la gente, cui dà un contentino, al balletto istituzionale che celebra l’evento, che esagita gli animi e disegna un utile tassello elettorale. Dietro tanta propaganda, una sceneggiatura studiata, ornata da onde di infantile fanatismo, quasi pari a quello para-ideologico che sosteneva il presunto latitante e i terroristi di una volta.
Intendiamoci, nessuno vuole difendere il reo Battisti, che deve pagare le sue colpe, ma, come ha scritto quel cronista del “mattino” di Napoli: "Non so se oggi sia un pericoloso terrorista colui che ha ucciso per motivi politici negli anni Settanta o colui che da ministro dell'Interno fomenta tutti i giorni odio contro altri esseri umani poveri e del tutto innocenti".
Un parallelo che forse ci sta, visto che il Salvini vice-premier, travestito come i pupazzetti “Lego”, da Matteo pompiere, Matteo marinaio, Matteo carabiniere, crocerossino, portuale o vongolaro, non ha proprio la coscienza pulita. Chiude i porti e i centri di ricovero, sbatte i diseredati nella strada, è un pericolo per milioni di Italiani, di stranieri e per diverse migliaia di immigrati.
Come il suo nuovo amico brasiliano che, nostalgico dichiarato della dittatura militare e apripista all’ondata populista in Sud America, gli ha fatto quel regalo di nome Battisti, con la befana, ancora all’orizzonte.
Un vento estremista soffia forte in tutto il mondo: dagli USA di Trump, all’Ungheria, alla Turchia, all’Austria, alla Polonia e al nuovo Brasile dell’ex paracadutista. 
Un vento talmente radicale che spaventa anche la pioniera della rinascita della destra francese, Marine Le Pen, che non vede “cosa renda Bolsonaro un candidato di estrema destra, visto che propone un modello illegale di stare nelle istituzioni”.
Il semplice fatto che il nuovo sodale di Salvini sia troppo estremista anche per Marine Le Pen è la dimostrazione più evidente di quanto dovremmo essere preoccupati, più che felici per la cattura programmata di Battisti.
15 gennaio 2019 (Alfredo Laurano)

domenica 13 gennaio 2019

GUERRA ALLA PACE

Ai fasci vecchi o nuovi, l'idea della pace e la sua bandiera dà proprio fastidio. La vogliono eliminare, a dispetto della Costituzione. Grazie giovane sindaco di Cerveteri, Pascucci, per la tua determinazione, per la tua fermezza e per il messaggio che, con la tua convinta azione, trasmetti a tutti.
Disputa, ieri, a Cerveteri tra il sindaco, Alessio Pascucci, e Casapound per la bandiera della pace che da 6 anni sventola sul municipio.
Sotto la sede del palazzo comunale, mentre si svolgeva un'iniziativa dell'Anpi nella cittadina, si sono radunati una trentina di militanti di Casapound che hanno protestato per chiedere la rimozione della bandiera della Pace.
Il sindaco Pascucci è salito nel suo studio ed ha esposto un'altra bandiera della pace, poi è sceso consegnando copia della Costituzione ai militanti di Casapound e la lettera del Prefetto di Roma ricevuta pochi giorni fa in cui si afferma la legittimità della bandiera della Pace purchè questa, per motivi di cerimoniale, venga esposta in pennoni distanti da quelli istituzionali, cosa che avviene sulla facciata del comune di Cerveteri.
Capito fasci? Alla guerra giocateci tra voi. (A. La.)

https://video.repubblica.it/edizione/roma/cerveteri-la-guerra-di-casapound-alla-bandiera-della-pace-il-sindaco--leggete-la-costituzione/324375/324993

RICORDANDO FABER

Un grande manifesto contro la guerra!    
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Un testo complesso e non facile da decifrare. 
Come scrive Mauro Corso, "Volta la carta", a prima vista, sembra quasi un espediente per associare immagini apparentemente prive di legame logico. 
In questa canzone c’è una forte componente magica e non solo per l’aspetto divinatorio del gioco di carte. 
Angiolina cerca di risolvere le sue delusioni col pensiero magico, cioè una forma di intervento rituale che possa riparare e ritessere la trama del suo destino.“Angiolina alle sei di mattina si intreccia i capelli di foglie d’ortica. Ha una collana di ossi di pesca, la gira tre volte in mezzo alle dita“. E’ una scena molto vivace in cui ogni elemento viene menzionato in maniera molto precisa. Il pensiero magico non ammette errori e tutto deve essere realizzato con la massima precisione, all’ora giusta e con gli ingredienti adatti.La magia più grande De Andrè la tiene però per la fine. Il potere più grande è nell’imparare a raccontare la propria storia. Sapere descrivere a parole i fatti della propria vita vuol dire riappropriarsene, arrivare a una forma di comprensione di se stessi e della propria esistenza che una volta era esclusivo dominio dei santi e delle menti illuminate.
Angiolina che “chiama i ricordi col loro nome” è una persona che non subisce più il passato come una pressione insopportabile, ma che è in grado di dare un senso alla propria esistenza passata ed è per questo che “finisce in gloria”.

giovedì 10 gennaio 2019

SCATOLE PREZIOSE


Quella comune sensazione di rinnovata curiosità ed euforia che cresce nelle case, soprattutto con bambini, quando si tirano giù gli scatoloni con “le cose di Natale”, è almeno pari - ma forse molto più contenuta - rispetto al manto di tristezza che avvolge quando tutto dev’essere smontato. Dopo l’epifania, tutto si rimette via. 
In pratica, l’arrivo dei Re Magi coincide con la fine delle feste, i loro ricchi doni sono simbolici saluti, come quelli della stella cometa che spegne il suo sorriso e la sua scia.
Perché tutto finisce, tutto ha una scadenza, tutto si compie e si conclude e, dopo una vita breve torna nei bauli e nei cartoni, con l’attesa e la speranza di poterli riaprire dopo un anno. E’ forse una metafora?
Luci, palle colorate, montagne, prati, casette e statuine amiche ci hanno tenuto compagnia per un mese, creando un’intima atmosfera nelle nostre stanze, scandita dall’intermittenza. Hanno allietato quei giorni ancora magici e affascinanti, nonostante l’indifferenza del mondo esterno, le notizie dei TG, il caos del traffico, la frenesia degli acquisti più rituali. Anzi, hanno contribuito a rendere più caldo e desiderato ogni rientro tra le proprie mura, mai ospitali e calde come in quei momenti.
E’ come essersi ritagliata una piccola pausa dal tran tran quotidiano, dagli ingranaggi, dai ritmi e dagli obblighi sociali per rifugiarsi in una specie di antica favola smarrita, dove, incredibilmente, il bene vince sempre sul male.
Per tutto questo, ci dispiace riempir di nuovo quelle scatole preziose, lasciando scivolare in esse anche quei momenti di letizia, insieme ai dubbi, ai pensieri e a una certa ormai anacronistica commozione.
Si, forse è proprio una parabola, una narrazione metaforica che ci conforta, ci racconta e ci ricorda ciò che abbiamo vissuto e condiviso.
Quelle “cose di Natale”, custodite negli scatoloni, rappresentano il nostro presepe personale, i luoghi, le figure, i personaggi della nostra storia, le persone che abbiamo amato e perduto e che ci hanno accompagnato per lunghi tratti della nostra strada.
Sono l’allegoria fatata dell’esistenza, rivisitata nel tempo che scorre e nei modi che mutano veloci. Le sensazioni e i pensieri che non ci abbandonano mai, le gioie e i dolori che combattono in noi, rinnovando le nostre contraddizioni e il mistero della vita.
Sono un inno alla nostalgia, alla fanciullezza, ai tempi e alle cose perdute, a ciò che non ritorna, ma rimane nel cuore. 
Come in un incanto.  (Alfredo Laurano)