Nella notte tra il 28 e il 29 ottobre 2018, l’intera
Penisola italiana venne flagellata da una ondata di maltempo. Venti fortissimi
e piogge alluvionali si abbatterono soprattutto lungo l’arco alpino. A pagare
le spese di quella che verrà ricordata come “Tempesta Vaia” furono in
particolare le regioni di Nord-Est.
A un anno dal passaggio del devastante ciclone, vari video e
uno Speciale di Raitre hanno raccontato, attraverso testimonianze e immagini
inedite, quella tragica notte.
Voci, forme e figure hanno descritto il mutare
irreversibile del paesaggio dolomitico al passaggio della tempesta, con
particolare riferimento al devastato territorio trentino. Come una guerra, come
dopo un uragano o uno tsunami
Le raffiche di scirocco oltre i 150 chilometri orari hanno
portato all’abbattimento di interi boschi tra Veneto, Trentino e Friuli. In 48
ore furono oltre 7 mila gli interventi messi in atto da 5.800 Vigili del Fuoco
per allagamenti, smottamenti e rimozione di alberi caduti, in particolare in
Toscana, Lazio, Veneto, Lombardia, Friuli e Liguria.
Nelle comunità colpite, furono consistenti i danni a case e
aziende, con alberi volati sui fili della corrente, tetti scoperchiati,
cascinali crollati, campi seminati allagati, frane, smottamenti, esondazioni,
interruzioni stradali, serre e tunnel distrutti e ricoveri per animali e
attrezzi rovinati: panorami totalmente alterati. Oltre ai tanti danni alla
viabilità e idrogeologici vari. Oltre ai tanti morti ed ai feriti: scene di
ordinaria distruzione.
Qualche giorno dopo il disastro, in un viaggio in pullman
con destinazione Tirano, dopo aver costeggiato a lungo il lago d’Iseo, abbiamo
incontrato vari comuni della provincia di Brescia e Sondrio, come Malonno,
Sonico, Edolo, Corteno Golgi, Aprica, che costituiscono l’area più settentrionale della
Lombardia, confinante con la Svizzera: la splendida Valtellina, ampia regione
alpina, che, con i suoi fiumi, laghi e torrenti, è l'ideale confine tra nord e
sud Europa, dalla Val Camonica e dalla Valchiavenna.
E dalle vetrate di quel nostro pullman, tra quei monti e
quei tornanti, abbiamo visto da molto vicino le conseguenze drammatiche della
furia naturale. Abbiamo assistito a uno scempio senza fine, che si era
consumato solo pochi giorni prima: migliaia e migliaia di alberi sradicati
dalla forza del vento, crollati l’uno sull’altro, come birilli impazziti, come
fiammiferi o come i sottili bastoncini dello Shangai. Interi boschi distrutti
dalla tempesta.
Si ritiene che siano stati 300 mila gli alberi ad alto
fusto schiantatisi a terra o spezzati dalle raffiche di vento violentissime, il
10% del patrimonio boschivo di Lombardia, Veneto e Trentino. Un disastro di
ingenti proporzioni, uno spettacolo umiliante che fa male agli occhi e al
cuore.
Non a caso, in quei giorni, nel bosco di Paneveggio, vicino
Trento, un gruppo di orchestrali si riunì per suonare una preghiera musicale
per quella terra boschiva martoriata, costituita da abeti rossi (quasi il 90%
degli alberi), associati all'abete bianco e al larice.
Si racconta che Antonio Stradivari, il più famoso
costruttore di violini del mondo, venisse sin quassù dalla sua Cremona, e con
lui tutti i più bravi maestri liutai, alla ricerca degli alberi più idonei alla
costruzione dei suoi strumenti: abeti rossi plurisecolari il cui legno, grazie
alla sua particolare capacità di "risonanza", forniva la materia
prima ideale per la costruzione delle casse armoniche: un legno,
particolarmente elastico, che trasmette meglio il suono, perché i suoi canali
linfatici sono come minuscole canne d'organo che creano risonanza.
Per questo gli alberi vengono abbattuti in luna calante,
tra ottobre e novembre, quando nel tronco c'è minor quantità di linfa.
Ma, stavolta, non è andata così, è stata una sorta di
nemesi naturale, un castigo che vendica le colpe, gli abusi e le ingiustizie di
cui si macchia l'uomo nei confronti della natura stessa.
E' stato un vento a 200 chilometri orari, che li ha
abbattuti, facendone una strage.
Uno sterminio di potenziali, pregiatissimi violini.