lunedì 30 settembre 2019

MONUMENTO AL MIGRANTE /1870


Un monumento per ricordare il dramma delle migrazioni è stato inaugurato da Papa Francesco in piazza San Pietro in occasione della 105esima giornata del migrante.
Si tratta di una zattera in bronzo e argilla dell'artista canadese Timothy Schmalz con a bordo riprodotti 140 migranti di varie epoche e luoghi, dagli indigeni sudamericani, agli ebrei perseguitati dal nazismo, fino agli africani che fuggono la fame e la guerra.
“È un gruppo di migranti di varie culture e diversi periodi storici", ha spiegato il Pontefice all'Angelus, "ho voluto questa opera artistica qui in piazza San Pietro, affinché ricordi a tutti la sfida evangelica dell'accoglienza".
L'opera sarà poi collocata in Vaticano.
“Angels Unwares”, realizzata a grandezza naturale, raffigura appunto un gruppo di migranti e rifugiati, provenienti da diversi contesti culturali e razziali e anche da diversi periodi storici. Sono messi vicini, stretti, spalla a spalla, in piedi su una zattera, coi volti segnati dal dramma della fuga, del pericolo, del futuro incerto. All’interno di questa folla eterogenea di persone, spiccano al centro le ali di un angelo, come a suggerire la presenza del sacro tra di loro.

Inevitabilmente, ho letto, su vari siti e pagine di social, commenti assurdi e deliranti contro l’opera - “monumento agli spacciatori, a stupratori e accattoni; in pratica è un monumento agli scafisti; favoreggiamento all’immigrazione clandestina – e contro lo stesso Francesco: “speriamo che affondi con papa Francesco dentro; maledetto argentino; l’anticristo; il giorno che morirà farò un party; sto papa è marcio dentro…..
Qualcuno spieghi a questi barbari razzisti e incivili, incapaci di capire ma di suscitare guerriglie retoriche, insane e inconcludenti - il significato di un'opera altamente simbolica, rappresentativa di una avvilente condizione umana e di una terribile realtà storica.
Fate pena. (Alfredo Laurano)


I CRIMINI DI MARZABOTTO /1869


Ieri è stato l’anniversario dell’orrore, uno dei tanti.
Dopo il massacro di civili compiuto un mese prima a Sant'Anna di Stazzema, la mattina del 29 settembre 1944 ebbe inizio quella che verrà ricordata come la "strage di Marzabotto", anche se in realtà i comuni interessati furono molti.
Le SS accerchiano numerosi paesi e in località Caviglia, irrompono in una chiesa durante la recita del rosario e sterminano tutti i presenti (195 persone, tra cui 50 bambini) a colpi di mitraglia e bombe a mano.
A Castellano uccidono una donna e i suoi sette figli, a Tagliadazza vengono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara le persone uccise sono 108.
Le truppe naziste si avvicinano ai centri abitati più grandi, Marzabotto, Grizzano e Vado di Monzuno e sulla strada ogni casolare, ogni frazione, ogni località vengono rastrellate, nessuno viene risparmiato.

Lo sterminio continua senza sosta: sono distrutte ottocento abitazioni, una cartiera, un risificio, strade, ponti, scuole, cimiteri, chiese, oratori, e tutti coloro che sono sequestrati vengono messi in gruppo, spesso legati, e bersagliati da raffiche di mitra, che vengono sparate in basso per avere la certezza di colpire anche i bambini.
L'azione procede per sei giorni, fino al 5 ottobre.
I partigiani della Stella Rossa tentano invano di contrastare la ferocia nazista, ma perdono il proprio comandante durante uno dei primi combattimenti, e comunque non dispongono delle armi e dei mezzi necessari per far fronte alle attrezzatissime truppe dei nazisti.
Al termine dell’eccidio si contano, in tutta la zona del Monte Sole, circa 1830 morti, mentre pochissimi sono i sopravvissuti, che sono riusciti a nascondersi, o che sono rimasti per giorni sepolti sotto i corpi dei propri vicini, dei propri familiari.
Oggi, settantacinque anni dopo, non possiamo che inginocchiarci davanti alla Storia e davanti a quei morti.
Su quei monti e in quel sacrario, ci sono stato anch’io, qualche anno fa, con una mia cara amica prof, con i suoi studenti e altri docenti, in una significativa gita scolastica di liceo, che fa pensare, capire e riflettere più di mille parole.
Dovrebbero farlo tutte le scuole e tutti gli insegnanti.
Una giornata della memoria, emozionante e preziosa, nel ricordo commosso dei valori, che quei luoghi ancora custodiscono e trasmettono, e delle tante vittime dell’orrore, morte perché noi fossimo liberi.
Per tenerla viva quella memoria, per tramandarla ai giovani, per non dimenticare.
30 settembre 2019 (Alfredo Laurano)



OTIUM E NEGOTIUM /1868


Quella dei cazzari è una categoria vasta, articolata e in continua evoluzione-crescita.
E' molto simile e vicina a quella dei fancazzisti, fannulloni e perdigiorno - che, al contrario, non sparano minchiate, frottole e falsità ma dormono, vegetano e non fanno niente - alla quale contende il primato, il successo popolare e l’attenzione mediatica. Vedi i social, i salotti TV, i talk spazzatura che ospitano esemplari pagliacci circensi, nani e ballerine, oche e maggiorate rifatte e strafatte, che affollano abusivamente l’etere e sottraggono ossigeno prezioso e vitale al pianeta.
Comunque, tra spacconi, fanfaroni e nullafacenti, tuffati nel vuoto esistenziale, esiste una sottospecie che si lascia apprezzare per originalità e intraprendenza: quella dei cazzari a reddito, capaci di sfruttare il dolce ozio come professione autonoma o lavoro di circostanza, che non produce forma alcuna di fatica, di sudore e di stanchezza, in piena libertà, senza padroni, senza contratti o sindacati.

"Pay me to do nothing" (Pagami per non fare niente), è con questo cartello che tale Carlo Farina, sconosciuto cantante della band Hawaiki e improvvisato artista di strada a Roma, con relativa licenza, invita i passanti della centralissima via del Corso a donargli qualche euro. Si lascia fotografare seduto su una sdraio e scambia battute con persone incuriosite.
Arriva ogni giorno verso le 15, si siede, pacifico e sereno, si rilassa, beve un succo di frutta; poggia a terra il suo messaggio, scritto a pennarello, e aspetta che i turisti e i passanti romani, tra una risata, un “anvedi sto paraculo” e qualche “malimortaccitua”, gli lascino qualche monetina.
Intanto, l’artista (de che?) continua a non fare una benamata mazza e continua a galleggiare beato nel suo nulla cosmico.

Provocatore concettuale, genio o parassita?
"E' una trovata per fare un po' di soldi, quelli che di solito mi mancano. Capitalizzo al massimo in un breve lasso di tempo, per averne poi per fare altro", racconta, "le persone rispondono bene, faccio dai 40 ai 70 euro al giorno. Sui social invece sono più arrabbiati. Mi danno del parassita, lo sono? Semplicemente voglio trovare il tempo per fare le mie cose, le mie passioni”.

Non ci fa una piega, deve pur sopravvivere. Ha comunque trovato il modo di dimostrare a se stesso e agli altri che il non far nulla è la cosa più difficile e la più intellettuale, come sosteneva Oscar Wilde.
Forse dobbiamo noi rivedere principi, dottrine, formule e motivazioni sul lavoro, sulle attività produttive e sui bisogni primari, in virtù degli schemi elaborati e studiati dall'uomo, da Marx, dalla società industriale, dai padroni del vapore e dalle raccapriccianti teorie economiche dello sfruttamento.
E smetterla di denigrare cazzari e fancazzisti.
Anche perché l’otium, al contrario del negotium, per Quinto Orazio Flacco, rende liberi dalle ambizioni che rincorre chi si affanna a svolgerli entrambi.
Dunque l’otium è la sola via che conduce alla felicità.
 29 settembre 2019 (Alfredo Laurano)





NELLA INDIFFERENZIATA O NELLA PLASTICA? /1867


Anche la gallina dalle supertette nuove e rifatte dice la sua sulla politica: “Questo nuovo governo non mi piace. Non mi piace che abbiano riaperto i porti e che la delinquenza stia aumentando sempre di più”.
Francesca Cipriani, una settima sprecata e finta, ospite di Un Giorno da Pecora - dopo aver abusato a lungo del salottino-pollaio della sempre più oscena Madonna D’Urso, regina del trash in TV - è tornata nuovamente a parlare del leader politico che apprezza di più, Matteo Salvini, e di quello che, nel nuovo corso politico, proprio non le va giù.
L'esecutivo 'giallorosso' sta pensando, pare, anche ad una tassa sulle merendine per destinare nuovi fondi alla scuola: “No, assolutamente, no. Io mangio tante merendine e dico assolutamente no, le merendine sono il profumo della vita. Salvini deve tornare, sicuramente, altrimenti l'Italia farà una brutta fine. Si deve imporre”.
Ma come? “Ci vorrebbe una rivoluzione, le persone dovrebbero scendere in piazza, e io sono pronta a farlo”.
Con le tette al vento, come faceva Cicciolina.
Ma le oche giulive hanno ancora qualche neurone e mangiano pure le merendine?
Abbandonatela su qualche isola lontana, dei famosi o degli sfigati non importa, magari insieme alla sua tutor Barbarella a farle da badante.
 29 settembre 2019 (A. La.)

MOLTI GRETINI, MA TROPPI CRETINI /1866


Esistono esseri umani che criticano Greta Thunberg, senza un minimo di pudore e dignità. Ormai non ci meraviglia più la superficialità umana e il cinismo bieco di alcune persone. Che andrebbero curate.
C’è chi la critica a prescindere, chi per il suo aspetto e la sua malattia, manco fosse una propria colpa grave. Altri, perché ha i genitori ricchi, che la sfruttano. Altri ancora, perché non è una scienziata, ma una marionetta manovrata dall’alta Finanza e dai soliti poteri forti e, in ultimo, ci sono quelli che l’attaccano per farsi notare, per provocare e per ottenere visibilità. Insomma uno schifo: “ma non vi vergognate”, scrive un blog del Fatto Quotidiano.

“Non vedo l’ora che Greta si sgretoli”, blatera l’ubriacone Vittorio Feltri, fondatore di Libero (di sparare cazzate), in una sua consueta uscita dissacrante e odiosa.
Ma, come sempre, come d’uso, non è il solo a fare ironia gratuita e sarcasmo di bassa lega, tra titoli, battute, insulse parodie, bufale e fake news.
C’è il grillo parlante e benpensante Sallusti del Giornale; c’è l’antipatico per definizione Filippo Facci, a cui la “bambina dell’esorcista” provoca fastidio fisico; c’è il capro logorroico Sgarbi; c’è il riccioluto filosofetto col ditino alzato Diego Fusaro, che parla in loop e non respira mai. Oltre alla riesumata Maria Giovanna Maglie, all’uomo inutile Capezzone e a Rita Pavone, senza più preziose piume, e gli innumerevoli leoni da tastiera, ignoranti e incompetenti, che sentenziano e deridono, con inaudita malignità, la giovane ambientalista svedese. Perfino Radio Maria si è pronunciata con un post-santino esilarante e comico.
Insomma, sempre grazie alla degenerazione propria e tipica dei social, tutti sanno tutto, tutti giudicano e straparlano, senza cognizione di causa, dall’alto della propria imbecillità. Ah, Umberto Eco!

E ora, fresco di giornata, si aggiunge anche il vescovo-opinionista della Chiesa Ortodossa, Alessandro Meluzzi, incontinente psichiatra, di dubbia credibilità e dal rutilante passato politico (oggi vicino a Casa Pound), che ha detto la sua sullo sciopero contro i cambiamenti climatici, che ha avuto luogo ieri in 160 città italiane.
Il solito trombone massone, uso a parlarsi addosso nei salotti televisivi, ha affidato il proprio nobile pensiero sul delicato tema in un video tweet dai toni decisamente retrivi e qualunquisti:: “Siamo qui bloccati in un traffico impazzito, le macchine generano una quantità enorme di inquinamento”, riferendosi al traffico paralizzato per via delle manifestazioni di “gretini” in corso. “Ci sono un po’ di ragazzini che bevono mojito e si fanno qualche canna dei pressi di Piazza Vittorio: questa sarebbe la manifestazione di Greta, dei gretini, dell’ambiente. Hanno fatto sega da scuola e sono tutti contenti per questo, anche perché il ministro e i professori hanno detto che lo dovevano fare, sennò sarebbero stati politicamente scorretti”.
Il saccente tuttologo, già incline di suo a privilegiare posizioni xenofobe e integraliste, aggiunge al suo delirio: “Il panorama è desolante: non c’è un megafono, non c’è una parola, non c’è un discorso, non c’è niente. Ci sono solo gli stessi ragazzi che ci saranno qui domani sera, sabato a bere cocktail e sonnecchiare con la stessa sonnacchiosità, ma oggi lo fanno con la benedizione di una “gretinata” senza senso, priva di valore, priva di concetto. Chi cerca di lavorare è disperato, chi cerca di muoversi per la città fare il medico, l’infermiere, l’ingegnere è in enorme difficoltà. Questa è la fesseria del mondo in cui viviamo”, conclude l’esaltato crociato dalle chiome fluenti, “un’ideologia fatta per rilanciare il potere delle banche e della solita finanza, usando una ragazzina disabile affetta da autismo. È un mondo impazzito ed intollerabile. È ora di ribellarsi alla cretineria”.

Che meschinità, che inutile ossessione, che fanatismo, mistificato da una maschera in cerca di una credibile identità.
Che vile attacco a una ragazzina di sedici anni che, invece di giocare senza tregua con i telefonini, di inseguire mode e consumi e vivere una realtà virtuale, riesce a dire al mondo che siamo una massa di rincoglioniti, indifferenti e menefreghisti, che stanno distruggendo il pianeta.
Compreso tu, talebano Meluzzi, travestito da impalpabile psichiatra. 
Si, fate veramente schifo.
28 settembre 2019 (Alfredo Laurano)




sabato 28 settembre 2019

GRETA, L'ATIPICA INFLUENZER




Dedicato ai tanti detrattori a tempo perso, che l'attaccano per darsi un ruolo e un'apparenza.
Esibizionisti idioti del bastian contrario.




Pierdomenico Memeo  26 settembre

Allora, facciamola semplice semplice. Ci sono mille sfaccettature di questa questione, ma io mi voglio concentrare nello specifico su una sola, che mi tocca professionalmente. Quindi, sarò semplice. Ma non sarò breve.
Divulgazione scientifica significa usare gli strumenti della comunicazione per trasmettere efficacemente le conoscenze scientifiche al pubblico, elevare la consapevolezza riguardo i temi e i metodi della scienza nella cittadinanza, innalzare la cultura scientifica all'interno della società, allo scopo di dirigere e supportare le scelte della collettività verso decisioni basate sulla scienza.
Siamo d'accordo? Bene.

Ora, se una ragazza di 16 anni contribuisce, in qualunque modo, ad ognuno degli scopi sopra citati della divulgazione scientifica, riguardo un problema di portata globale, mi dite qual è esattamente il problema? Perché io le critiche davvero non le capisco. Voglio dire, capisco quelle di Feltri su Libero, lui è quello che è. Ma quelle dei miei colleghi divulgatori proprio no.
"Dice quello che gli scienziati dicono da anni!" Lo so, ma è proprio questo il punto: noi lo diciamo da anni, ma sono molto pochi quelli che ci ascoltano. Quindi, se una giovane portavoce riesce dove noi non siamo riusciti, qual è esattamente il problema?
"Non propone soluzioni!" È vero, ma perché non ci sono "soluzioni", ci sono solo interventi complessi che devono essere bilanciati tra questioni economiche ed equilibri strategici. Ma, se una giovane portavoce riesce a rimettere il problema al centro del dibattito globale, qual è esattamente il problema?
"È una marionetta nelle mani dei poteri forti!" Vabbè, raga, qui mi fermo perché pure io ho dei limiti di pazienza.
"È solo una bambina!" Ah. Ecco. Magari è proprio questo esattamente il problema. Una bambina. Una bambina con una buona storia.

Mettiamo in chiaro una cosa. Sono uno scienziato. Ho una venerazione quasi patologica per i dati. I dati sono la pietra di paragone con la quale cerco di misurare le mie idee, ogni giorno.
Ma sono anche un divulgatore. E questo vuol dire che passo praticamente tutte le mie ore di veglia pensando a quale sia il modo migliore per rendere efficace la comunicazione della scienza. E mi spiace per i colleghi che pensano che si possa comunicare con le persone con i grafici a torta, ma non tutti sono scienziati. Non tutti hanno un brivido di eccitazione quasi sensuale per i grafici cartesiani. Le persone (Sì, anche gli scienziati, eccetto rari momenti di illuminazione epistemologica) funzionano con le narrazioni. Le storie che raccontiamo sono il modo in cui interpretiamo la realtà.
E se una bambina con una buona storia è quello che serve per comunicare la scienza, se una ragazza di 16 anni riesce dove altri hanno fallito, mi dite qual è esattamente il problema?
Sarebbe facile puntare il dito: sul sessismo, sul paternalismo, sulla condiscendenza. Non sarebbe nemmeno sbagliato farlo, perché sono convinto che una larga percentuale delle critiche provenga proprio da lì. Ma non lo farò, perché avevo detto che volevo focalizzarmi su altro.

Io credo che per noi, scienziati e divulgatori, Greta Thunberg così come altri personaggi simbolo, ci metta di fronte ad una questione di fondo del nostro lavoro. Perché per quanto robusti siano i nostri dati, per quanto siamo bravi a comunicarli, ci saranno sempre delle storie più efficaci, che minacciano di spazzare via anni di lavoro. E questo ci spaventa da morire. E allora ci trinceriamo nella nostra nicchia, al sicuro, puntando il dito all'esterno contro le persone che non capiscono, che si fa trascinare da storie e simboli. Ma le persone sono persone. Funzionano così. Beato il mondo che non ha bisogno di eroi. Ma non è questo il nostro mondo.
Abbiamo passato anni a mettere in guardia dai pericoli del cambiamento climatico antropogenico. Abbiamo raccolto dati, abbiamo fatto analisi. Abbiamo elaborato ipotesi e testato teorie. Abbiamo preparato il terreno. Abbiamo arato e seminato. Abbiamo difeso il campo dalle infestanti, abbiamo protetto i semi dai topi, e guardato i germogli dai corvi. E ora è arrivata una nuova generazione, che raccoglierà i frutti del nostro lavoro. È davvero questo il problema? È davvero questa la cosa peggiore che potesse succedere?

Siamo scienziati? Bene, questi sono i fatti. Possiamo ignorarli, e continuare come abbiamo sempre fatto, e deprecare il mondo perché non si adegua alle nostre idee. Oppure possiamo raccogliere la sfida della realtà, adeguare i nostri strumenti senza tradire i nostri ideali, e cercare di fare il nostro lavoro il meglio possibile. Cercando di governare il cambiamento invece di rifiutarlo.
La divulgazione della scienza ha molti volti. 
Sarebbe davvero un peccato se perdessimo di vista l'obiettivo perché non riusciamo ad accettare che il volto in prima fila non sarà quello che avevamo immaginato.

PRIMA O POI


Prima o poi, ti verrò a trovare. E sono passati anni, tanti anni.
Perché il tempo non tiene conto di promesse, intenzioni o volontà dichiarate, sia pure in buona fede. “Tempus fugit” e tutto travolge, tutto consuma e, assai spesso, tutto cancella.
Ma stavolta, no. Stavolta, abbiamo vinto noi, perché non abbiamo mai dimenticato di volerci bene e l’impietosa pendola dell’esistenza ha dovuto abbozzare, ha dovuto tenerne conto e concederci uno spazio, infinitesimale, ma intenso, di affetto, ricordi e sensazioni antiche, che ci ha donato gioia e felicità.

Ci siamo rincontrati, dopo oltre vent’anni, a Magliano in Toscana, un luogo magico che seduce a prima vista e invita lo spirito a guardar profondo un pezzetto di infinito, soprattutto, dalle poderose mura che incorniciano il borgo antico: la Maremma toscana, la costa, l’Argentario, l’isola del Giglio. Un luogo soave e pittoresco, tra ulivi e viti, ricco di storia, con i suoi torrioni, il campanile, i tetti raccolti delle case, che, immersi nel verde e circondati da alberi e campagna, compongono uno scenario affascinante che colpisce.

La piacevole passeggiata sui camminamenti di quelle mura, tra antiche pievi, suggestivi angoli, panorami e palazzi signorili che spaziano fino al mare, accarezza l’anima, tra lievissimi refoli d’aria settembrina, appaga la vista e favorisce il libero pensiero, in un ritmo lento e senza furia, come dicono da queste parti.

Questa, da parecchi anni, è la nuova dimensione umana del mio amico Sergio, lo scenario e i luoghi della sua quotidianità, serena, dolce e senza tempo.
La caotica città, la capitale, è solo un’idea lontana e mai rimpianta, che non produce nostalgia. Qui, la socialità è pane quotidiano, son tutti amici, tutti si parlano e si salutano a ogni passo o si danno appuntamento davanti al grande ulivo, al centro della piazza. Che è anche e quasi un’aula consiliare, a cielo aperto, dove si discutono liberamente problemi, proposte e soluzioni dei vari cittadini.
Senza dimenticare, nelle ore del pranzo o della cena, i vicoli del borgo che si riempiono dei profumi della cucina maremmana, bagnata degnamente da Morellino e Ciliegiolo.

Son felice e son contento per il mio caro, vecchio amico, del quale un po’ sanamente invidio la qualità della sua vita, la sua perfetta integrazione, il suo ruolo e il privilegio di vivere secondo natura, senza vincoli e senza stress. In perfetta autonomia, in splendida libertà.
Pur ricordando con commozione autentica le partite del magico tressette, le chiacchiere, gli incontri, i momenti di lavoro e di vera convivialità, che una volta ci hanno unito, creando un forte sentimento, che, nonostante tutto, sopravvive a scelte di vita, a lontananza e ai cambiamenti esistenziali. A dispetto di quel crudele orologio del tempo, che scandisce ritmi di vita, piaceri e dolori, che nulla perdona e rispetta, e di una giovinezza sopraffatta, lontana e sopita.
Omnia vincit amor. Anche nell’amicizia.
E noi cediamo all’amore. (Alfredo Laurano)






martedì 24 settembre 2019

BANDIERE E COLORI


Meno male che ce l'ha detto, altrimenti avremmo pensato che la canticchiasse la mattina, sotto la doccia.
"Se vogliono fare il partito di Bandiera Rossa avranno il mio rispetto ma non il mio aiuto. Bandiera Rossa non sarà mai la mia canzone" (ma chi lo ha mai creduto e chi te l'ha mai data).
Lo ha detto Matteo Renzi a "Non è l'Arena", sottolineando che "Bella Ciao è una canzone bellissima che sta nel patrimonio di tutti gli italiani, mentre Bandiera rossa non è il canto del Pd. Per me l'unica bandiera rossa oggi è quella della Ferrari. Massimo rispetto per chi la canta, ma io guardo al futuro".
Ma il puffo toscano non lo sa che la bandiera della Ferrari è sempre stata gialla con il famoso cavallino rampante nero: il rosso è il colore fissato a livello internazionale per le auto di F1 Italiane.
Viva l'Italia, anzi, Italia Viva. Si fa per dire...
(A. La.)

QUASI, QUASI MI RISPOSO.../1863

Altro che castello delle cerimonie, dove il kitsch fa rima con carrozze, porchette, eccessi e ostentatissimo lusso pacchiano!
Il matrimonio cui ho partecipato di recente è stato un evento straordinario, sotto ogni punto di vista.
Il merito va sicuramente ai novelli sposi che, nonostante lo scarso impegno e la poca professionalità della wedding planner incaricata, hanno curato, con solerzia, passione e massima diligenza, un'organizzazione capillare, il sito web, gli inviti, la location, il servizio fotografico, le navette transfert e qualsiasi altro aspetto del matrimonio. Due giovani davvero instancabili e capaci.

Funzione religiosa nella antica chiesa di S. Giorgio al Velabro (VI secolo), accanto all’Arco di Giano, sottolineata dalla soave musica del duo arpa e violino. Riso, baci, abbracci, auguri e commozione, poi, tutti ai Casali di S. Brigida sulla via Braccianese.

Una articolata struttura immersa in un'atmosfera da favola, con un parco circondato da pini secolari e tanti olivi lungo la strada interna.
Ampie sale ricevimento con alberi veri anche all'interno, ambienti costruiti in pietra lavica e un enorme camino in pietra e mattoni. Gli arredi, disegnati in chiave moderna, rappresentano la giusta interpretazione dello stile country chic.
La cucina è di alto livello, dove tutto è pensato per soddisfare gli ospiti e a rendere felici gli sposi.
Nel grande e curatissimo prato all'inglese, delimitato da grandi alberi di eucalipto, i tradizionali e infiniti buffet di benvenuto: dalle mini tartine e finger food, accompagnati da prosecco, bollicine, spremute, spritz e bevande varie, allo stand dei piatti di pesce. Da quello dei fritti, con verdure, suppli e crocchette, a quello di terra, con arrosti, affettati, formaggi e torte salate; dalla proposta di pasta e fagioli e zuppa di carote, ai funghi arrosto, cotti in diretta. Servizio attento, continuo e inappuntabile.

Poi, nella elegante sala, viene servita la raffinata cena: risotto spigola e limone, trofiette alla Norma, turbantino di orata con farcitura di patate e gamberone, tutto bagnato dai vini del Castello di Corbara.
Nella buona stagione, dolci, frutta, dessert e spiriti vari vengono serviti lungo una struttura circolare a pozzo, nello spazio ballo e musica, accanto a una suggestiva fontana con vasca. Previsti, anche, valigia dei gadget, con cappelli, parrucche e ghirlande da capo luminose, e angolo del tabacco, con sigari e sigaretti d’ogni tipo.

All'interno della location è presente anche un Resort con 25 camere luminose, in stile rustico moderno, dotate di ogni confort, e appartamenti e suite che comprendono anche cucina o caminetto e vasca idromassaggio, per alloggiare gli ospiti intervenuti al ricevimento, che, la mattina seguente, come se non bastasse, godono anche di un'abbondante colazione a brunch, per i saluti di rito, gli ultimi auguri e i ringraziamenti.
Tutto è curato nei minimi particolari e ricco di fiori, siepi e piante, dalla primavera all'estate: una cornice ineguagliabile, che rende questo luogo magico e incantato che non si lascia dimenticare.
 23 settembre 2019 (A. La.).


sabato 21 settembre 2019

FUORI SERVIZIO /1862


Hanno azionato la leva d’emergenza del bus per puro divertimento e, quando l’autista si è alzato per ripristinare il sistema, in otto lo hanno accerchiato e pestato a sangue, con calci e pugni, fino a farlo svenire.
Aggredire una persona di 52 anni, che già fa un lavoro difficile, stressante e usurante, come l’autista di autobus in una città caotica come Roma, è qualcosa di ignobile e schifoso! 
E quando questo avviene ad opera di una banda di bulli delinquenti e minorenni, che non fanno un cazzo dalla mattina alla sera e pensano di giocare con le persone e le cose, per vincere la noia e per dare un senso alla loro misera e inutile esistenza, è qualcosa di peggio, di vergognoso e di infame, al colmo della vigliaccheria.

La via del degrado sociale e morale, come quella che oggi si percorre in ogni direzione, segnala la sempre più insana tendenza da parte di molti, soprattutto giovani - magari “fatti, fumati e bevuti” quanto basta - a violare la legalità, la dignità e il rispetto per gli altri, per il significato del lavoro e per le più elementari norme della convivenza civile
Questi bastardi ragazzini - che non sono migranti o extracomunitari - riuniti in quelle che con eccessiva indulgenza si definiscono baby gang, sono i futuri o potenziali criminali di domani: rozzi, incivili, cattivi e ignoranti: troppo spesso, il riflesso dei propri genitori, incapaci e menefreghisti.
Sono escrementi della società e vanno spazzati via con punizioni esemplari e definitive.
Poi, eventualmente, rieducati insieme ai propri procreatori.
21 settembre 2019 (Alfredo Laurano)

SELFIE È BELLO /1860


Sulle rovine di Amatrice, su quelle del ponte Morandi a Genova, davanti alla Costa Concordia piegata su stessa, a Rigopiano dopo la valanga, sui resti delle Torri Gemelle, ad Auschwitz o in qualsiasi altro luogo di stragi ed attentati: non fa differenza: ogni occasione è buona per immortalarsi in uno squallido e vergognoso selfie.
Anzi, più la tragedia di riferimento è grande, più il clamore mediatico è alto e internazionale, più sono state le vittime dell’evento, più quello scatto acquista valore nel listino universale della bassezza umana e dell’imbecillità.
Una Borsa gratuita, senza pause ed orari, sempre aperta a tutti, ricchi, poveri e sbandati di ogni ceto e condizione, dove non serve registrarsi, quotarsi per scambiare titoli ed azioni.
E se si tratta di fotomontaggio è pure peggio, perché a monte c’è la volontà, lo studio e la colpevole premeditazione.
Al massimo, in alternativa, qualcuno si accontenta di un ipocrita abbraccio con sorriso con Salvini o con il politico preferito, coccolato, sbaciucchiato e osannato come fosse una madonna.
È, comunque, la Borsa dei cretini.
20 settembre 2019 (Alfredo Laurano)





TRE SINISTRE? MAGARI UNA! /1861


"Bella ciao", ma, soprattutto, "Bandiera rossa", l’inno ormai archiviato da quelli del PD, hanno accolto Nicola Zingaretti alla festa nazionale Dem di Ravenna.  Il segretario, per l’occasione, era accompagnato da Gentiloni e da cinque ministri del nuovo governo, che qualche buontempone - tipo suor Maria Stella Gelmini di Forza Italia - ha definito spiritosamente “governo delle tre, anzi delle quattro Sinistre”. Ovviamente, una battuta esilarante.
Però, tutto sommato, se alle feste dell’Unità, stranamente, si alzano quelle scandalose note, cantate dagli iscritti e dai volontari cucinieri, sembra ancora lecito parlare di Sinistre, più o meno rosa o fucsia, almeno dal punto di vista musicale, magari con l’aggiunta dell’Internazionale e del Canto dei Lavoratori. Un contributo storico e di tradizione che non si può ignorare
Ricordo quando, qualche decina d’anni fa, alle feste del PCI, di Democrazia Proletaria e annessi e connessi, quei canti riempivano l’aria e accompagnavano interventi e comizi, tra mille bandiere e i fumi e profumi delle salsicce, condite di pane e ideali.
Ma queste voci spontanee di popolo, della base ruspante della "Ditta e tanto antico entusiasmo tra gli stand hanno sconcertato la minoranza renziana. Tanto che l’ex premier, proprio in questi giorni - sarà un caso - ha dato corso alla sua nuova avventura di Italia Viva, uscendo - grazie a Dio e grazie a Lenin - dalla gabbia del PD che ormai gli stava stretto.
Siamo nel Pd o nel Pci, mamma mia? Ha detto schifato pure Carlo Calenda, l’altro migrante fuoruscito, non appena sono spuntate sui social le foto e, soprattutto, i video, dell'accoglienza trionfale riservata domenica a Zingaretti.
Quei canti così irriverenti, quelle bestemmie pesanti, quelle oscene blasfemie, così insopportabili nella liturgia dei nuovi centristi, hanno quindi avuto una funzione positiva: hanno accelerato, forse, un processo di chiarezza identitaria all’interno della tradizione di una Sinistra litigiosa e frammentata - divisa pure sulla musica - che stancamente ristagnava nell’idea, forse romantica di un’antica fede.
Alla prossima edizione della Leopolda renziana, in programma a ottobre, canterà solo Jovanotti... (Alfredo Laurano)


mercoledì 18 settembre 2019

BANGLA E BASTA /1859

L’ultimo nato nel quartiere Prati, a via Silla.
Ormai ce n’è uno ogni pochi metri e continuano a nascere come funghi.
Sembra ce ne siano più di cinquemila in città, oltre mille nel solo centro storico.
Per aprirli, basta una dichiarazione di inizio a attività, prevista dall’ex governo Monti.

Nella capitale, questi piccoli negozi, segnalati da rozze luci al neon, sommersi da frutta e verdura, senza l’indicazione di provenienza, inscatolati alimentari, acqua, fazzoletti, calamite e cianfrusaglie di ogni tipo, stanno da tempo sostituendo vecchie botteghe e negozi storici.

Sono i minimarket “bangla”, gestiti da venditori di tutto, romanescamente detti bangladini, sempre e solo d’origine Bangladesh.
E sono sempre aperti, anche di notte, soprattutto per gli alcolici che, secondo Confcommercio, costituiscono il 60% dell'incasso notturno. 
Non dovrebbero venderli ai minorenni, ma chi si mette a chiedere i documenti? “Annamo dal bangla”, dicono i ragazzi che di sera risparmiano comprando una birra in questi esercizi, anziché al bar.

Ma come fanno a sopravvivere tutti questi bangla?
In tantissimi ce lo chiediamo, anzi ci facciamo una serie di logiche domande: ma con quale criterio concedono le autorizzazioni in Comune?
Come fanno a pagare gli altissimi affitti dei negozi della zona? Quanto incassano mensilmente? Quanto riescono a vendere, oltre a qualche bottiglietta d’acqua e qualche litro di latte a chi l’ha dimenticato?
E’ tutto riciclaggio, ripulitura di denaro sporco? Ramificazioni di mafia locale o di importazione?
Qualcuno, Municipio, Comune, polizia locale può dare qualche risposta ai cittadini?
 (Alfredo Laurano)

ALLORA E’ VERO! /1858


Viva l'Italia, l'Italia liberata, l'Italia del valzer, l'Italia derubata e colpita al cuore. Viva l'Italia, l'Italia che non muore. Viva l'Italia presa a tradimento, l'Italia che resiste...(F. De Gregori)

Un nuovo partito e scissione dal Pd. Lo ha annunciato. Finalmente!
All’orizzonte, per Matteo Renzi, si profila il movimento della Leopolda, che si terrà ad ottobre e sancirà la svolta e la nascita ufficiale.
Si chiamerà “Italia Viva”, secondo varie e possibili interpretazioni - con Viva intesa come esclamazione euforica, oppure in senso di vivace e vitale o, ancora, come congiuntivo augurale, in perfetto stile berlusconiano - rubacchiando lo slogan veltroniano delle primarie di qualche anno fa. “Ma non sarà un partito tradizionale, sarà una casa per tanti e molto femminista, con tante donne di livello alla guida”.

Dalle primarie del partito democratico del 2013, al 41% delle Europee l'anno successivo, fino alla sonora batosta del referendum costituzionale che, nonostante le promesse rituali, non l’aveva mandato a casa. Oggi, da spietato rottamatore a autorottamatore per scelta e necessità, lascia dopo almeno tre anni di titubanza e perplessità.

Così la lunga marcia dell'ex sindaco di Firenze nel Pd è arrivata alla fine, all'uscita da un partito che, per storia e tradizione, non gli apparteneva e che ha snaturato, stravolto e impoverito. Si chiude giustamente un ciclo.
Ma quanto mi dispiace!
Zingaretti, stai sereno. Ma anche Conte, stai sereno – dice il furbo puffo menzognero – sarà un bene per tutti, per il partito, per il governo, per il Paese. Sarà una “separazione consensuale”, senza traumi, aggiunge il fedelissimo Rosato.
Ma c’è da fidarsi? Il premier Conte, sconcertato, già se lo domanda.

E’ tutto un dejà vu. Ci sono dei momenti, e questo non è certo il primo, in cui don Matteo superbone non resiste a rimanere nelle retrovie, ad accettare gli stanchi riti della “Ditta” e altri conduttori alla guida ufficiale. È una sindrome incurabile, a base di arroganza, fanatismo, protervia e protagonismo: Enrico Letta ne sa qualcosa. Bersani e compagni dell’ala più a sinistra se ne son dovuti andare.
E lo ha dimostrato anche pochi giorni fa, quando, rinnegando le sue apodittiche sentenze, ha favorito inopinatamente la nascita del nuovo governo giallo-rosa, in carica, e che con i suoi seggi è comunque in grado di condizionare, se non di ricattare. E questo che conta, che lo appaga e che gli dà potere e visibilità.

Oltre a Rosato, Renzi sarebbe seguito da diversi altri deputati e senatori.
Come il prode Ivan Scalfarotto, sottosegretario del governo, che da un anno sta lavorando all’organizzazione di “comitati civici” che sarebbero l’embrione territoriale del nuovo partito. Poi, Roberto Giachetti, detto topo Gigio, la nuova ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, la viceministra dell’Istruzione Anna Ascani, oltre, naturalmente, alla bella Maria Elena Boschi. Altri renziani, come Luca Lotti, Lorenzo Guerini, ministro della Difesa, il capogruppo al Senato Andrea Marcucci e Nardella, sindaco di Firenze, dovrebbero restare nel PD per lavorare, strategicamente, dall’interno.

Nonostante l’invito di Zingaretti e l’appello di Franceschini a restare nella “casa di tutti”, pare proprio che stavolta il partito di Renzi (si stima possa rappresentare dal 5 all’8 per cento) nascerà per puntare al “centro” - posizione politica stretta, affollata e competitiva, ricca di pretendenti ma povera di voti, e contesa tra formazioni diverse come Più Europa, il nuovo partito di Carlo Calenda, e un altro pezzo di Forza Italia.

“Renzi ha fatto quello che voleva fare nel PD: un partito carismatico, personale, di centro (se esiste questo centro), che si preoccupa di dire che non c’entra nulla con le radici, le basi culturali, politiche e sentimentali delle Sinistre italiane. Che questo sia modernità, temo si sia fuori strada, solo ‘un’insostenibile leggerezza”. Ipse dixit il saggio Bersani
E a me, lo ripeto ancora, dispiace tropp’assai.
(Alfredo Laurano)

martedì 17 settembre 2019

CRESTE MOICANE E TRECCINE BLU


In un quartiere complesso come Scampia, accettare certe regole è molto difficile, soprattutto per i ragazzi, che spesso confondono l’idea di libertà con quella di comoda indifferenza e di menefreghismo. Ciò limita, peraltro, anche le potenzialità di ciascuno.
La preside dell’Istituto Comprensivo di Scampia a Napoli è sotto attacco, soprattutto sui social e sulla stampa, per aver proibito l’ingresso a scuola a un allievo 13enne, che si è presentato con la testa rasata e una cresta blu elettrico (dread), con annesse treccine d’ordinanza.

Come sempre, come inevitabilmente accade quando c’è la possibilità di strumentalizzare un qualsiasi fatto, una dichiarazione, una posizione, un’iniziativa, anche coraggiosa, ne è nato un gran polverone mediatico. Inevitabilmente. E giù critiche, accuse, insulti, pesanti offese.
La dirigente, finita nel mirino dei benpensanti e dei libertari da salotto stinto, ha deciso che quel look violava il dress code previsto dal Patto di Corresponsabilità, firmato dai genitori degli alunni. In pratica, esiste un codice di abbigliamento che va osservato in certi contesti e situazioni (cerimonie ufficiali, funerali, incontri di lavoro), un insieme di regole spesso tacite, ma in generale risapute ai più. Osservare un determinato profilo, richiesto per le varie occasioni, è innanzi tutto sinonimo di rispetto verso il prossimo.

L’originale acconciatura del ragazzino, che voleva essere più fico che non si può, nella sua scuola non è permessa come non sono permessi anche shatush, jeans strappati, pance ed ombelichi a vista, tanga sporgenti dalle chiappe, microgonne, trucco da drag queen, maglie e felpe con simboli che inneggiano alla violenza e così via. Per non parlare di piercing primitivi e tatuaggi total body da coatti disperati senza fine.
Ci sono criteri e principi che devono valere per tutti e alunni, docenti e i genitori le conoscono.
“Solo così gli studenti imparano oggi quello che servirà loro domani”, sottolinea la preside, da 36 anni alla guida dell’istituto Alpi-Levi di Scampia.  “Immagino i miei alunni come futuri professionisti e dirigenti. Potranno mai andare a lavorare con treccine blu? Non credo proprio. Un giorno saranno avvocati, infermieri, operai, medici, bancari e sapranno che esistono norme da rispettare”.

In altre parole, dietro ogni regola c’è un valore formativo: è necessario dare strumenti agli alunni per volare alto, per imporsi in un mondo dove spesso la forma e le mode prevalgono sulla sostanza, in un sistema di valori alterati nella miseria quotidiana. Soprattutto in una scuola pubblica, che deve invece educare alla libertà di pensiero, alla responsabilità e al rispetto, soprattutto, quando non lo fa la famiglia, per negligenza, impreparazione, incapacità e indifferenza.
Ovviamente, ognuno è libero di vestirsi come vuole, quando non risulti evidentemente offensivo per l’altrui pudore. Basti pensare a certe forme estreme di abbigliamento nel mondo musulmano, soprattutto femminile.
Ma, in ogni caso, non è quella cresta da gallo variopinta (da audace calciatore o artista fai da te) che esprime la nostra personalità, la nostra dimensione umana, la nostra eventuale quota di valore morale, intellettuale o professionale, anche e soprattutto a livello giovanile.
E quella preside, che lavora con passione e che si espone in prima persona, l’ha capito e cerca di insegnare ai ragazzi quello che i genitori di oggi, troppo spesso, dimenticano di fare. (Alfredo Laurano)



IN SCENA CON MARCO /1856


In attesa del giudizio della Cassazione, previsto per i 7 febbraio prossimo, oggi Ladispoli ha intitolato il Centro Polifunzionale di via Yvon de Begnac a Marco Vannini. Un luogo che da quest’anno sarà dedicato esclusivamente ad attività musicali, teatrali e culturali in genere e frequentato soprattutto da giovani, sul palco e in platea.
Da giovani ragazzi, come era Marco, fino a quando l’ignobile famiglia della sua fidanzata ha deciso di non farlo crescere, di non farlo diventare uomo maturo.
Fino a quando ha deciso, per incredibile leggerezza e colpa grave, di lasciarlo morire dissanguato, tra atroci sofferenze. Come fosse un gioco, tragico e incredibile, in una presunta vasca - senza barchette e paperelle, ma con un’arma vera che casualmente spara - come quello che, sembra, fosse cominciato per trastullo e curiosità.
Non sappiamo se avrà finalmente giustizia, ma, intanto, il suo nome spicca sulla facciata di un teatro, come spesso accade per grandi artisti e personaggi di fama mondiale.
Lui non lo era, se non per la sua famiglia, i suoi amici e i tanti che gli volevano bene. Era solo un semplice ragazzo, sano, buono, sensibile e ricco di valori, che aveva diritto di vivere, di sognare, di sperare, di essere amato, soprattutto dai suoi provati genitori.
Questa lodevole iniziativa non li risarcisce e non li appaga nel grande dolore, ma esprime vicinanza e sostegno e contribuisce a mantenere vivo il ricordo di Marco, “figlio di tutti”.
E’ una concreta testimonianza dell’affetto della città di Ladispoli nei confronti dei suoi cari, anche da parte dei tantissimi che cercano e chiedono a gran voce giustizia e verità.
16 settembre 2019 (Alfredo Laurano)