lunedì 2 gennaio 2023

QUELLE DONNE /2468


No ho più l’età, la forza e la condizione psicofisica per scendere ancora in piazza, per sfilare in corteo insieme a tanti, con bandiere striscioni, per dire NO alla guerra e SI alla pace. Per condannare fermamente chi invade e occupa militarmente un Paese pacifico, con i carri armati.
Chi spara e lancia missili sulle città e sui palazzi.
Chi minaccia la battaglia nucleare.
Chi aggredisce e uccide un popolo, oppresso e tormentato, costretto a vivere nei rifugi e nelle metropolitane o a fuggire - come può e in qualsiasi modo, anche a piedi, per chilometri e nel freddo - per salvarsi, con uno zaino sulle spalle e quattro cose in un trolley, lasciando le proprie case distrutte e bombardate.
Chi spacca le famiglie disperate, che quando riescono ad arrivare alle frontiere devono separarsi: donne, madri e bambini da una parte, uomini e padri dall’altra, che, dopo un abbraccio, un pianto e un ultimo saluto, sono costretti a tornare indietro, sapendo che forse non vedranno mai più i loro cari.
Che atrocità!
Quanta pena, quanta angoscia, quanti sentimenti calpestati e soffocati dalla prepotenza criminale di qualcuno, quanto dolore in quelle facce segnate dal gelo e dall’addio.

E allora, non potendo più manifestare nelle strade - come ho sempre fatto fin da giovane studente – urlo la mia rabbia ed esprimo la mia solidarietà a chi è vessato e aggredito, con la forza dei pensieri e della riflessione, usando la penna e la tastiera. Anche perché le parole, soprattutto scritte (scripta manent), hanno un senso e un forte peso: sono pietre, come si dice, non a caso.
Ma con la stessa forza, la stessa dignità, la stessa intensità, anche nella speranza di raggiungere gli indifferenti, gli egoisti, i menefreghisti, che si girano dall’altra parte, perché non hanno alcun sentore di empatia e commozione.

Le idee si affollano nella mente, come le crude immagini di una tragedia nazionale che, in pochissimi giorni, sì è trasformata in catastrofe umanitaria. Si rincorrono e si sovrappongono in un turbinio di sensazioni tristi, di fronte a quella sofferenza che ti entra dentro, che ti ferisce fisicamente e ti pervade.
Soprattutto guardando quelle donne e quelle madri, eroiche e gagliarde, impavide e piene di coraggio e di bambini, che non hanno più nulla, una casa, un letto, un lavoro, un riferimento. Che scappano dall’orrore e dalle bombe, senza sapere nemmeno dove andare, confidando negli aiuti internazionali, di qualche Dio o di popoli vicini.
A loro, in particolare, va dedicato questo disgraziato otto marzo e un fascio di mimose.
8 marzo 2022 (Alfredo Laurano)

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