giovedì 28 febbraio 2019

CRONACHE DI ORDINARIO RAZZISMO


Qualcuno ancora si domanda se l’Italia è un paese razzista. Se lo è diventato o se lo diventerà. Qualcun’altro dice che il razzismo in Italia non esiste, che è tutta una manovra per screditare il ministro poliziotto Salvini e il governo in carica.
Però, c’è la cronaca, ci sono i fatti, le prove provate di quanto si stia sempre più scivolando in quella direzione, in quel degrado culturale, fatto di xenofobia, disprezzo e intolleranza, e prodotto dall’ignoranza.
In Italia, come in altri grandi paesi europei, i crimini d’odio motivati da ragioni etniche, religiose e razziali sono in aumento da tempo.
Negli ultimi anni e mesi, una lunghissima sequenza di aggressioni violente razziste e xenofobe a danno di neri, rom e stranieri ha occupato le prime pagine dei giornali italiani, dei TG e delle trasmissioni televisive, con inevitabili ripercussioni sui social e sul Web in generale. Qualche esempio?

Una bambina rom di tredici mesi colpita alla schiena da un proiettile sparato da una pistola ad aria compressa, da uno che, a Roma, sul balcone, “stava provando l’arma”.
L’atleta Daisy Osakue, a Torino, è stata ferita ad un occhio dal lancio di un uovo e rischia di non poter partecipare agli Europei di atletica.
A Macerata, un anno fa, Luca Traini, per vendicare l’omicidio di Pamela Mastropietro spara a casaccio contro uomini di colore terrorizzando la città: sei le persone nigeriane rimaste ferite.
A Firenze, un migrante viene ucciso a colpi di pistola in strada da uno che ha dichiarato che voleva suicidarsi, ma poi ha cambiato idea e ha iniziato a sparare in giro: guarda caso ha colpito un immigrato di colore.
A Vibo Valentia viene ucciso Sacko Soumali, cittadino del Mali 29enne e sindacalista degli “schiavi” raccoglitori di pomodori, che aveva spesso combattuto contro il caporalato
A Sarno, nel Salernitano, un senegalese di 27 anni, in bicicletta, con permesso di soggiorno per motivi umanitari, viene aggredito da due giovani con una mazza da baseball.
In provincia di Vicenza un operaio di Capo Verde è colpito alla schiena, mentre è sul ponteggio di un cantiere. A colpirlo, un uomo che dal balcone di casa “voleva sparare ad un piccione”.
A Partinico, un giovane migrante viene accerchiato e picchiato dal “branco”, al grido di: “Vai via sporco negro”.

Mi fermo qui, anche perché l’elenco è interminabile e si aggiorna ormai quotidianamente. Il libro dell’intolleranza rimane sempre aperto e in continuo divenire. In esso, si moltiplicano e si aggiungono pagine sempre più vergognose e assurde.
C’è profonda preoccupazione per il crescente numero di attacchi nei confronti dei diversi, di ogni colore e condizione: «Il veleno del razzismo continua a creare barriere nella società», ha commentato lo stesso presidente della Repubblica, che sul tema delle aggressioni è intervenuto diverse volte, nelle ultime settimane.

L’ultima perla di questo mondo avariato, di questa società primitiva e selvaggia, condita di malvagità gratuita, è quella offerta a Souleyman Rachidi, un ragazzo di 20 anni che è andato al pronto soccorso di Mercato San Severino, perché aveva accusato un malore
"Devi morire. Non ti voglio vedere qui, devi morire!"
A fargli questi speciali auguri di morte, pare sia un'infermiera di servizio in quel momento. Sì, un'infermiera, cioè una che dovrebbe prendersi cura degli altri.
Discriminazione, ostilità, accanimento e truci istinti vomitati gratuitamente senza vergogna, nei confronti di chi è più debole o non ha voce o diritto ad essere rispettato.
Ma tutto questo non è certo razzismo. E' solo una forma diversa di altruismo.
(Alfredo Laurano)

https://video.corriere.it/tu-devi-morire-non-ti-voglio-piu-vedere-qui-frasi-razziste-dell-infermiera-un-20enne-ivoriano/ccc6f56c-3882-11e9-af2a-db624861da78?fbclid=IwAR3-v8j7CaOKVMtvgUzQ5hRfjkHB5ckLP8MUJA2AES6i1RMmaktbhVGmwxM

mercoledì 27 febbraio 2019

MASCHERANDO


“La stagion del Carnevale tutto il mondo fa cambiar”. 
Chi meglio del veneziano Carlo Goldoni poteva raccontare in versi la festa più allegra dell’anno?
Venezia è a tutti gli effetti la capitale italiana del Carnevale. Per due, tre settimane, nelle calli e nelle piazze, uomini, donne e bambini sfoggiano costumi sontuosi e incredibili, i palazzi nobiliari organizzano balli in maschera, mentre le botteghe artigiane restano aperte con orario continuato per rifornire di maschere e costumi.

Quali aggettivi trovare ancora per descrivere questa caleidoscopica città, oltre tutto quello che si è già detto e scritto? Cosa aggiungere a questa capitale dell’acqua, splendente e sfavillante, veramente unica al mondo?
Storia, cinema, teatro, musica, pittura e letteratura l’hanno raccontata, omaggiata ed esaltata in ogni suo respiro: incantevole, suggestiva, enigmatica, triste, poetica, nostalgica, elegante, ma anche caotica e straripante.
Venezia è di per sé una magia, un incanto dalle mille atmosfere, un tripudio di luci, di suoni e di colori che cambiano di ora in ora, di giorno e nella notte: riflessa nelle sue acque, disegnata dai suoi canali e dai suoi ponti, vissuta dalle sue barche e dalle gondole, attraversata dalla sua storia, immortalata dalle leggende, dai misteri e dai segreti del suo affascinante passato.

Ma a Carnevale è ancora di più. Non si può raccontare, si deve vivere!
Passeggiare nelle calli e callette, fra rii, corti e fondaci, fra campi e campielli; fermarsi, entrare in un bacaro per un cicchetto e un’ombra de vin; guardare, osservare, fotografare in un brulichio di maschere stupende è un’emozione continua e incessante.
Tradizione, folklore, credenze e vita quotidiana si fondono e scorrono, naturalmente insieme, in un connubio senza tempo, senza limiti o vincoli di sorta. 
Ovunque, uno spettacolo, un teatro a cielo aperto o sotoportego! Dall'alba in piazza San Marco, quasi deserta, fino al tramonto all'isola di San Giorgio.
Venezia a Carnevale è ancora più magica e fatata! 
Come da manuale, è ancor più culla dell’amore e degli innamorati. 
E’ la città più bella e romantica del mondo, unica con il fascino dei suoi spettacoli e dei suoi riti: il Carnevale sull'acqua su Rio di Cannaregio, il Volo dell'Aquila, il Volo dell'Angelo, il Ballo del Doge, il Corteo delle Marie.

Andare a Venezia, durante il Carnevale, vuol dire immergersi in una scenografia infinita, incontrare maschere settecentesche che ti sfiorano, inchinandosi, o eleganti cavalieri con mantello e tricorno e deliziose dame con abiti ricchissimi e sfarzosi, che si muovono con grazia o prendono il the nelle più belle caffetterie della città.
Vuol dire ascoltare chiacchiere e musica che riempiono l’aria tutto il giorno.
Vuol dire vivere un’apoteosi della fantasia, cogliere un trionfo di splendore, bellezza ed eleganza dal sapore antico, da gustare senza fretta, sgusciando magari dalla fiumana umana, per ammirare lo stile architettonico dei palazzi tuffati nella laguna e osservare il pigro dondolio delle gondole sui canali, che riportano alla memoria le gesta di Casanova.
Vuol dire entrare in una fiaba, penetrare un sogno che abbaglia, ti seduce e ti rimane dentro. (Alfredo Laurano)


UNO SPECIALE CHE FA FLOP


Segreti e Delitti: nelle intenzioni degli autori, analisi, indizi, testimonianze e nuove piste nei delitti che maggiormente hanno sconvolto e diviso l’opinione pubblica negli ultimi anni, al velleitario scopo di far luce su quei misteri.
Nei fatti e negli effetti, come nel primo caso trattato di Marco Vannini, una stupida, inutile, insulsa e strumentale trasmissione, realizzata al solo fine di fare ascolti e audience, cavalcando, come da tempo vergognosamente accade, la rabbia, il dolore e il malcontento dei social, più che dei familiari della giovane vittima, sempre composti e dignitosi nella loro sofferenza.
Gianluigi Nuzzi e Cesara Buonamici hanno condotto in studio una specie di telenovela ladispolana, montata come docufilm, con tanto di ricostruzioni artificiali, condite da gossip, ipotesi, insinuazioni e ipocrite commozioni di facciata. E con attori e caratterizzazioni approssimative, interpretazioni casarecce da commedia parrocchial-sperimentale, che hanno trasformato in banale fiction una tragedia vera.

Un programma, raffazzonato alla meno peggio, a base di chiacchiere, di video e registrazioni ormai stra-raccontate, stra-viste e stra-sentite, moltiplicate e mostrate all’infinito, quasi in loop, fino alla nausea e allo sfinimento degli spettatori, dei tanti sostenitori in cerca di giustizia e della stessa famiglia, così pesantemente colpita.
Che nulla approfondisce e nulla scopre, più di quanto già conosciuto e sviscerato da più di tre anni a questa parte, se non il solito rosario di parole inflazionate e recitate, unite a dichiarazioni arcinote e futili, alle abusate e consuete simulazioni teatrali, ambientali e scenografiche, che nulla aggiungono alla verità dei fatti.

A questa specie di farsa oziosa, di balletto di esperti e presunti opinionisti, a questo scadente gioco delle parti e di presa in giro dell’utente, si è sommata la sterile presenza, altrettanto inutile e insignificante, di un attore inconsapevole e impreparato come Alessandro Preziosi, chiamato solo per promuovere il suo film.
Inconcludente come tutto il circo delle fallite attrazioni. 
Aridateci la Sciarelli! (Alfredo Laurano)

martedì 26 febbraio 2019

MASCHERE, GONDOLE E BELLE MARIE

Stavolta, eravamo in undici, due belle e straordinarie bimbe comprese.
Dopo un lungo viaggio in treno, con annesso ritardo, una buona cena a Monselice in compagnia di amiche venete autoctone, una notte in hotel e un’alzata mattutina, l’elegante pullman della Cam Viaggi ci ha portato in poco più di un’ora al Terminal Fusina, località del comune di Venezia, situata in terraferma nella municipalità di Marghera, che sorge sull'antica foce del fiume Brenta, oggi occupata dal suo Naviglio.
Questa è la soluzione più comoda e spettacolare per scoprire la laguna, le isole e le bellezze di Venezia, dove si arriva direttamente dall'acqua, attraverso la porta storica della laguna sud.
Al Fusina, ci siamo imbarcati sulla motonave della Delta Tour, accolti da una brava e gentile accompagnatrice e da una colazione con caffè e brioches.
Navigazione panoramica sino a giungere al canale della Giudecca per entrare in Bacino San Marco e proseguire verso le isole della laguna settentrionale.

Arrivati a Burano, tremila abitanti che vivono di artigianato, visita libera del pittoresco villaggio, tra viuzze, calli e callette, famoso nel mondo per le mille case decisamente colorate - nate, secondo la leggenda, perché i pescatori potessero riconoscerle da lontano (e non sbagliare abitazione e moglie), nel buio della notte e nella fitta nebbia, quando rientravano nel porto - e l’antica tradizione della lavorazione del merletto, uno dei più rinomati al mondo. Nell’isola, esiste perfino il Museo del Merletto e un’altra leggenda narra che a un pescatore, promesso sposo ad una ragazza dell'isola, che riuscì a resistere alle tentazioni delle sirene, la regina del mare diede in dono un elegante velo nuziale fatto in merletto, talmente bello da scatenare, subito dopo le nozze, una sorta di competizione tra le donne dell’isola, che volevano realizzare la stessa meraviglia.
Tornati a bordo, mentre il battello ripartiva, è iniziato il pranzo a base di pesce, servito al tavolo: aperitivo Bellini, alla frutta e prosecco, accompagnato da verdure pastellate ed olive all’ascolana, antipasto di gamberetti, alici marinate e sarde in Saor. Poi, fusilli alla marinara, fritto misto di pesce, insalata mista, vino e acqua a volontà, frutta e caffè. Tutto buono, curato ed abbondante.

Completata la missione pasto, attracco e sbarco puntuale in Riva Sette Martiri, naturale proseguimento della Riva degli Schiavoni, per osservare - anche dal battello stesso - lo storico Corteo delle Marie, con tamburini, sbandieratori, alabardieri, guerrieri e popolani, che apre ufficialmente il carnevale, tra le tante, coloratissime e straordinarie maschere di uno dei carnevali più famosi al mondo. 

A scelta, libera e veloce passeggiata a S. Marco.
Poi, intorno alle 17, imbarco per la navigazione di rientro, accompagnata da frittelle, galani e tè caldo, mentre sullo sfondo della mitica laguna, tramonta, lento e suggestivo, quel sole che ci ha illuminato.
A destinazione, saluti e ringraziamenti al capace comandante, alla brava ed esauriente guida e a tutto lo staff accogliente, cordiale ed efficiente della Delta Tour.
Tutti sul pullman e rientro in hotel, un po’ stanchi, ma contenti.
Una magnifica giornata, fredda ma assolata, un’organizzazione come sempre perfetta della Cam Viaggi, dove professionalità, competenza, gentilezza e attenzione al cliente, seguito e coccolato in ogni sua esigenza, fanno la differenza e assicurano divertimento e soddisfazione.
Un pezzo di Carnevale fra inebrianti sensazioni e magiche atmosfere, un’esperienza affascinante fra acque, luci e luoghi veneziani, che hanno regalato una indimenticabile emozione di bellezza e di colori.

25 febbraio 2019 
(Alfredo Laurano)


giovedì 21 febbraio 2019

IL PASSATO CHE TORNA

“A guerra sempre tinta è”, la guerra è sempre cattiva, anche quando finisce e diventa solo un capitolo di Storia. Le sue sconcezze, i suoi orrori, i suoi miasmi e le sue scorie tossiche si riflettono a lungo nella memoria delle genti e nella vita quotidiana
Quel diario del ’43 che Andrea Camilleri affida a Montalbano è un pretesto per raccontarla, anche settant’anni dopo, per ricordare la violenza della follia umana che si scontra con il senso della vita, con la voglia di pace e normalità. Ma anche con i vizi e la malvagità dei singoli che, per inseguire insane voglie di ricchezza e di prestigio, non esitano a uccidere, a santificare l’egoismo, salvo poi pentirsi nell’ultima fase della vita, anche attraverso incredibili cospicue donazioni di denaro salva coscienza.
Una favola triste di pura fantasia, ma aggrappata nella sua incredibilità a una realtà che vive e si esprime comunque nel dolore e nella sofferenza. Dove il senso del sacrificio, dell’onore e del dovere sembrano provocare una strage che, invece, scaturisce da un amore struggente e travolgente, offeso nella sua dignità, nella sua ardente profondità.
I motivi della politica si intrecciano con quelli del cuore, le idealità si sovrappongono ai sentimenti puri e personali, in un carosello di emozioni e sensazioni coinvolgenti.

In pochi, essenziali quadri si articola il racconto intenso di una tragica vicenda umana, fra sensazioni, colpe, reminiscenze vaghe, vividi ricordi, memorie condivise e rievocazioni. Una folla di curiosi, armati di telefonino, che assiste come ormai d’obbligo alla demolizione del silos; un distinto e vecchio signore che, quasi accanto, dipinge il porto; un diario che si integra con un altro che lo completa e spiega; una sequenza silenziosa e simbolica, a base di cannoli, che rappresenta l’omaggio, la stima e il dolore; una festa di paese che fa da sfondo a un imperdonabile caso di coscienza, perché il passato, anche il più lontano, non dimentica e non fa sconti; un Montalbano, quanto mai umano e sofferente, seduto sulla sabbia accanto all’annunciato suicida, tormentato e consapevole vendicatore, cui hanno tagliato le radici.
Pathos e commozione costituiscono i segnalibro di quel diario del ’43. Attraversano quelle pagine, anche quelle mancanti, come un ineluttabile fil rouge che non lascia tregua o spazio all’indifferenza. (Alfredo Laurano)





martedì 19 febbraio 2019

ORO E SANGIOVESE

Solo la provincia, la bella, pigra e un po’ svogliata provincia italiana - soprattutto quella più piccola che equivale a una grande famiglia, allargata e felice - è capace di regalare ancora un mondo di emozioni e sentimenti, spesso, dimenticati.
Sarà perché l’ambiente è circoscritto, sarà perché ci si conosce tutti, sarà perchè la vita quotidiana è ancora a dimensione umana, sarà perché il tempo ha un suo valore, da tutti accettato e riconosciuto, nel suo eterno divenire che rifugge fretta e frenesia.
In quei luoghi, che non sono solo un territorio fisico o uno spazio dove si esercita il mestiere di sopravvivere, vale e regna il rispetto fra le persone, conta ancora l’amicizia, la solidarietà e la partecipazione. Il lavoro, la famiglia, la scuola, i diritti, i doveri e le istituzioni hanno ancora un senso e viaggiano nella direzione dell’interesse collettivo, prescindendo da quelli propri, dai privilegi e dalle scelte politiche o di parte. E la gente, per strada, ti saluta e ti chiede, perfino, come stai.
Ah, che bel vivere, che bel piacere”, canterebbe il barbiere factotum del pesarese Rossini.
Ovviamente, con le dovute eccezioni e i casi contrari che confermano la regola.

E così, soprattutto in terra di Romagna, anche un cinquantesimo di matrimonio diventa non solo un anniversario personale e familiare, ma festa popolare, che significa partecipazione e condivisione generale: viva, sentita, vissuta nel profondo e con autentica empatia. Cerimonia, auguri, regali, fotografie, pranzo luculliano, musica, balli e un’allegria che non conosce età, acciacchi e fisicità non proprio giovanili.
Colpisce questo spirito neogoliardico e sbarazzino che nelle città non si conosce e che riporta indietro, ai ricordi del passato e di una spensierata giovinezza, con una punta di velata nostalgia.
E’ in queste occasioni, semplici e spontanee, che si restituisce o si ritrova un senso alle cose, ai rapporti umani, agli affetti e ai sentimenti veri.
Mauro, l’artista poliedrico e vivace, e la sua dolce, meravigliosa Pasqualina ci hanno offerto una straordinaria pagina d’amore, ammantata di magia. 
Una favola d’autore che racconta una vita intera di lavoro e sacrifici, di cose belle e brutte, di passioni ed esperienze, di pathos e commozione.
Una testimonianza di bellezza umana e di perduta normalità.
19 febbraio 2019 (Alfredo Laurano)

SCARPE ZOZZE EPPUR BISOGNA ANDAR


E’ difficile crederlo, ma Gucci vende scarpe da ginnastica “già sporche” a ben 690 euro.
La casa italiana ha messo in commercio una linea di calzature trattate per avere un design vintage e particolarmente sporco e consumato.
Nello strano, variegatissimo e incomprensibile pianeta delle mode e del conformismo acritico, pare, faccia tendenza. L’analisi del marketing l’avrà sicuramente verificato e garantito, studiando trend, bisogni dei consumatori, strategie e innovazione.
Il target è ovviamente giovanile, sempre connesso e alla ricerca di stimoli e contenuti leggeri da condividere con gli altri. Quindi, qualunque forma di comunicazione, non solo pubblicitaria, dovrà attirare l’attenzione di questi potenziali acquirenti e, soprattutto, tener conto delle loro particolarità, della piattezza dei loro “valori” rituali di riferimento, delle loro abitudini e gusti dominanti, delle nuove tendenze e delle rigide dinamiche del web, per trasformare utenti e consumatori di giovane età in clienti reali.
E allora, scarpe zozze a tutto spiano.
Come fossero usate o come quelle trovate in un cassonetto o su un banco di via Sannio. Come i jeans strappati, vecchi, bucati, consumati e vissuti prima di uscire dalle fabbriche e acquistati come nuovi. Un grande business del finto riciclo, dell’auspicabile, ma ingannevole riuso, a prezzi incredibili da gioielleria.
Non è proprio e di certo una fase di romanticismo d’antan. 
E’ come prendersi per il culo da soli, consapevolmente, in un assurda forma di autolesionismo psico-modaiolo-finanziario.
Ma che senso ha questa mania minimal, riduttiva e collettiva, questa depressione estetica che distingue, fa fico e fa mercato?
Il vintage da tempo raccoglie successo e sorprendenti consensi nella musica, nell'arredamento, nell’oggettistica e nel collezionismo, nell'abbigliamento d’epoca, nell’antiquariato-modernariato e nel retrò in genere, ma appassionarsi a un paio di stupide scarpe di gomma, per giunta sporche e a prezzi stellari, è veramente da disturbati.
Una scadente e ottusa parodia del gusto e dell’intelligenza. 
14 febbraio 2019 (Alfredo Laurano)


giovedì 14 febbraio 2019

FUORI DAL CORO


E’ sconcertante dover prendere continuamente atto di come il Web, e il suo spericolato uso e abuso, alteri, contraddica, avvilisca o condanni pareri e opinioni di chi interviene in merito a qualsiasi fatto o argomento.
Forse, c’è da premettere che molti non si impegnano più di tanto a capire le vere intenzioni del malcapitato estensore, il significato delle sue parole e del suo pensiero, pur se espresse in buon italiano e grammaticalmente corrette. Anzi, regna e si diffonde una sorta di preventiva contrapposizione, uno spietato e netto “No” a prescindere.
Quasi sempre o molto spesso, si osserva una conflittualità quasi rituale e obbligatoria. Una sospetta antitesi che si traduce in assalto, a volte sfrontato e maleducato, in replica violenta e ingiustificata e, addirittura, in insinuazioni assurde e strumentali, anche di tipo politico.
Chi non la pensa come me, è un cretino, un incompetente, un troll, un infiltrato: dalla follia retorica alla sublimazione ostentata di ruolo, fino alla artificiosa ricerca dell'effetto stupore, anche nei più banali luoghi comuni. Dall’aggressione dialettica contaminata da una forma di presunzione alla Marchese del Grillo, alla ridicola gratuità dell’intellettualismo d’accatto.

E così, nei vari e tanti gruppi social, e anche su una libera pagina come quella creata dai Fan di Andrea Camilleri, ci si attacca e ci si accapiglia intorno all’adattamento televisivo di un suo romanzo: in campo, “l'un contro l'altro armato”, presunti fedeli ed infedeli, ortodossi e dissidenti, integralisti, crociati e critici, si sfidano a suon di commenti, a volte demenziali, in una guerriglia dialettica che si fa ideologica.
Ricordo che non siamo in una setta religiosa di adoratori acefali o di invasati, non apparteniamo a una comunità primitiva di schiavi privi della libertà di espressione e di giudizio. Siamo semplici estimatori di un maestro della letteratura che, a volte, possono non riconoscerlo in una rivisitazione televisiva.

C’è chi non distingue una recensione riferita a un libro o alla sua riduzione filmica; chi non coglie la differenza fra un testo che diventa sceneggiatura, e quindi fiction, e la sua originale autonomia letteraria; tra interpretazioni di attori e personaggi nati dalla fantasia di un grande autore; tra la reciproca aderenza, anche fisica, degli stessi, alle esigenze di cast, di regia, di racconto e ambientazione. E, non ultimo, c’è chi ignora il peso, il riferimento logico e il contributo della cronaca reale all’intreccio della trama, all’economia della narrazione, non sempre così significativa.
Non è consentito avere un’opinione diversa o autonoma, fuori dai parametri previsti dai capitolati dell’obbedienza a un credo collettivo, cui nessuno può imporre l’obbligo di fedeltà.

E allora qualche lapalissiano fallito scrive: “se lo hanno seguito undici milioni persone vuol dire che merita!” Come se ciò significasse, automaticamente, che undici milioni lo hanno apprezzato, ancora prima di vederlo. A costoro, bisognerebbe ricordare che un’opera si giudica dopo, anche perché, prima, si sceglie solo di seguirla, e non si sa se poi piacerà o meno.
“Ma tu l’hai letto il libro?”, dicono altri, come se recensire un film, tecnicamente e nei suoi specifici contenuti, fosse missione proibita e impossibile. O fosse vietato dalla legge guardarlo senza aver letto i milioni di libri che, magari, lo hanno liberamente ispirato.
Oppure, “il tuo giudizio non conta e non vale di fronte al tripudio generale”.
O l’esaltata di turno, in cerca di vana gloria, che denuncia: “avete trovato un modo furbo per distruggere Montalbano. Maniere soft, fingendo di essere dispiaciuti! Che schifo! Siete tutti hacker o tutti troll!”
Sull’onda di questo morboso parossismo emotivo si scivola, via via, oltre il fanatismo, oltre la censura, oltre il pregiudizio fideistico e le incredibili accuse di premeditato fine parapolitico, fino alla difesa, non richiesta e non dovuta, di un presunto guru, creato dalle paranoie di qualche eccitato aspirante paladino.
In realtà, ci troviamo invece a biasimare un attentato di lesa maestà nei confronti di un lucido e grandissimo sovrano che mai accetterebbe questa sciocca battaglia dialettica intorno al suo nome e al suo indiscusso prestigio.
14 febbraio 2019 (Alfredo Laurano)

LA SARTA DI MONTALBANO


Stavolta non mi è piaciuto, ma non ho letto il libro.
Lodevole introdurre nel racconto un tema di così grande attualità come quello dei migranti e degli sbarchi, ma cosa c’entra con lo sviluppo della storia?
Appare slegato, pretestuoso, strumentale e a se stante. Come dovuto per obbligo ideologico e personale, peraltro del tutto condivisibile, nel relativo contesto politico e sociale.
I lontani riflessi con la trama sono un po’ troppo forzati e alcuni personaggi e battute (per esempio, quelli dell’Isis che arrivano con i barconi) altrettanto inverosimili e poco plausibili: il tunisino dottor Osman che aiuta Montalbano nella gestione degli sbarchi ha avuto una relazione sentimentale con la vittima; Meriam, la ragazza magrebina traduttrice è una dipendente della sartoria sempre di proprietà della vittima; poi c’è il flautista tornato nel suo paese e poi imbarcato; il corpo di un ragazzo annegato raccolto da Montalbano; uno stupro consumato a bordo da due scafisti ecc. Tutto troppo casuale da sembrare appiccicato.
Poi, c’è il solito siparietto triste e grottesco della macchietta Catarella, che stavolta supera se stesso in un numero da avanspettacolo anni cinquanta.


Anche l'evoluzione dell’indagine appare abbastanza ripetitiva e poco credibile, come gli altri personaggi sospettati: dall’ultimo amante della vittima, al giovanissimo innamorato con madre iperprotettiva al seguito, al gatto testimone dell’omicidio.
Tra un anniversario di matrimonio a Udine, l’abito su misura del povero commissario e stoffe antiche ma strappate a mano di recente, la storia non decolla, fino a un improvviso finale, un po’ scontato e scollegato, ma soprattutto frettoloso e rabberciato, che arriva a mezzo lettera.
La qualità migliore de “L’altro capo del filo”, ferma l’ineccepibile recitazione del consueto cast (con Fazio e Augello un po’ sotto l’abituale standard) e degli attori e caratteristi aggiunti, è che Camilleri, come sempre, fonde in modo magistrale la fiction con l'attualità e la cronaca, illuminando le sue pagine con amare riflessioni su quanto stiamo vivendo. 
Come accade nello stesso film e nella sua delicata ambientazione. 
12.2. 2019 (Alfredo Laurano)


lunedì 11 febbraio 2019

IL MESTIERE DELL’ODIO


Tra i tanti miserabili che affollano il Web con post e slogan altrettanto miserabili, anzi ignobili e insensati che farebbero ribrezzo anche a un analfabeta vero, e non solo funzionale, ce ne sono alcuni che non si possono eludere, in quanto prodotto di imbecillità pura e di ignoranza.

Guardate bene questa penosa locandina, postata da tale Roberto Innocenzi e apprezzata e condivisa da tanti suoi simili: quattro riquadri che rappresenterebbero i quattro pionieri dell’accoglienza, accomunati dalla funzione, scelti a caso e in ordine sparso di valore e di importanza. Il testo surreale ci spiega che il primo risiede a New York, il secondo in Svizzera, il terzo in Vaticano e l’ultimo non ha nemmeno una sezione. Curata e preziosa la ricerca delle espressioni, scelte in sintonia con il volgare attacco premeditato.
C’è intanto da chiedersi come si possa solo concepire questa paradossale immagine e quale mente perversa e contorta possa averla solo pensata, composta e pubblicata. Ci vuole veramente una forma di coraggio del cretino e dell’incoscienza che, tradotto in volgare, dicesi faccia come il culo, nello squallido, infantile teatrino dell’assurdo.

Questa gente non sa (o finge di non sapere) che tra quei "buonisti”, uno non è affatto residente, ma ha insegnato a New York, qualche anno fa, su invito di un’università che ovviamente gli ha dato alloggio per qualche mese. Tra l’altro, è ancor vivo perchè è sotto scorta da undici, dodici anni.
Un altro fa il papa di mestiere e qualche schiaffo alla Curia l'ha tirato, qualche denuncia l’ha spesa, qualche provocazione l’ha lanciata nel monolitico mondo della Chiesa, oltre a fare qualcosa per la pace, per i diseredati e i senzatetto.
Un altro, ancora, che non risiede affatto in Svizzera - altra solita bufala pacchiana e qualunquista - si è "parato il culo", come hanno scritto alcuni, curando, operando e salvando migliaia di persone d'ogni colore, per tutta la vita.
L’ultimo, senza nemmeno un’abitazione, conta come il due di coppe, quando regna spade, a Briscola.

Ma tutto ciò non importa, la realtà non ha nulla di oggettivo, è solo un’opinione costruita secondo i propri pregiudizi e una massiccia dose d’odio che guida la crociata antibuonista. Per certa gente, non contano fatti e verità o una parvenza di onestà intellettuale. Conta diffondere cazzate e fake news, per colpire, disprezzare, perseguire, sputtanare chi la pensa diversamente da quel suo certo credo.
Oggi, il Web è sempre più bersaglio e sterminato bacino di commenti ingiuriosi, di offese e parolacce, di insulti sessisti, maschilisti, beceri e volgari.
Scatena semplificazioni banali di anonimi utenti che sfogano livore politico, palese frustrazione e abissali limiti culturali, sfruttando una battuta, un errore, una affermazione, un difetto fisico o un qualsiasi altro pretesto.
Tutto, secondo un meccanismo mediatico, automatico e ben collaudato, come vuole l’universale bar Internet e i suoi derivati social - aperti non stop h24, come dicono i lombardi, a ogni tipo di avventore - dove le donne, in particolare, come appunto nei bar e nelle caserme della maldicenza e della diffamazione, sono da sempre oggetto di battute feroci e pesantissime allusioni.

Un panorama davvero desolante, sia che colpisca a destra che a sinistra, dove i vili professionisti dell’invettiva, che ignorano i sentimenti e le persone, non conoscono il rispetto, ma il gusto dell’oltraggio.
Hanno un atteggiamento costante di disprezzo e provocazione, che avvelena le discussioni on line. Non distinguono, non argomentano, ma giudicano e, a comando, sputano sentenze. Per protagonismo, per puro narcisismo tecnologico, per emergere con la scomunica di circostanza dalla mediocrità e dall’oblio esistenziale.
Quei deliri non sono frutto di libertà di espressione, ma di diffamazione e insulto.
Io mi vergognerei di raccogliere certa monnezza. (Alfredo Laurano)

NUOVI BUSINESS


E’ già successo, ma succede ancora. E’ un fenomeno ricorrente nella società contemporanea, dove nuovi miti di plastica e cartone abbondano senza limiti, senza pudore, senza senso, né ragione.
Si, parliamo di scarpe, di stupide scarpe, elette a status symbol, che la moda esalta e trasforma in effimera leggenda.
Al NikeLab di via Statuto a Milano è successo di tutto: lo Store ha messo in vendita un’edizione limitata delle nuovissime Air Max a 160 euro, rivendibili però online anche a 500, 600 o di più.
Il negozio è stato letteralmente preso d’assalto da tanti disperati che si sono dati appuntamento per riuscire ad accaparrarsi le ambite scarpe: alcuni sono rimasti addirittura in fila per più di dodici ore, a bivaccare di fronte al negozio, con sdraio, panini, caffè Borghetti.
Una massa informe di persone si è accalcata, qualcuno ha provato persino ad arrampicarsi sulle mura del negozio, ma è dovuto scendere perché preso di mira dagli altri con bottiglie di birra. Spintoni, calci, insulti: la polizia è più volte dovuta intervenire per placare gli animi. Un ragazzo è stato portato via in ambulanza, altri si sono sentiti male.
Altri, se ne sono andati con il cuore infranto.
Al di là di questa forma acuta di demenza collettiva, quell’insano oggetto del desiderio, per molti, rappresenta un business ben pensato, che oggi si chiama Reseller. Una forma di micro-economia, piuttosto diffusa, molto simile allo strozzinaggio e al bagarinaggio.
Consiste infatti nell'accaparrarsi per primi i pochi pezzi pregiati di linee cosiddette “limited edition” prodotte da griffe a un determinato prezzo da listino, per poi rivenderle online su siti internet o addirittura on the road, cioè immediatamente dopo l'acquisto, a chi è ancora distrutto dalla fatica di ore di inutile fila, a cifre che arrivano a quintuplicare se non a decuplicare il costo iniziale.
Anche in Italia il fenomeno è in aumento.
Con l'avvento della nuova generazione tecnologica, dove tutto corre sul web, diventare reseller potrebbe essere una svolta, la professione del futuro per giovani disoccupati.
E noi che ancora entriamo nel negozietto sotto casa per comprare un comodo paio di Frau o Clark intramontabili, magari approfittando dei saldi di stagione. RESELLIAMOCI!  
(Alfredo Laurano)