lunedì 31 agosto 2015

L'ALTRA VIA

I numeri ormai non contano più, se non a fini statistici 0 per stilare macabri bilanci: sono decine, centinaia, migliaia i morti in questi ultimi anni sui barconi della disperazione, in fuga dall’orrore, dalla miseria e dalle guerre per cercare una possibile, ma spesso improbabile salvezza. Fa poca differenza ormai sapere che in quel singolo naufragio sono affogati pochi, tanti o tantissimi o quante fossero le donne e i bambini, perché la percezione del disastro prescinde dalle sue proporzioni. E’ solo cronaca, è solo una notizia.
L’assuefazione dell’opinione pubblica alle stragi quotidiane dei migranti è quanto mai evidente e sempre più palpabile. Ogni giorno, Rete, giornali e Tv portano nelle nostre case  notizie di annegamenti e barche rovesciate, di corpi recuperati, dispersi o seppelliti nel grande mare della vergogna, mentre mangiamo, beviamo e, distrattamente, commentiamo. Con grande pietà, compassione e con una certa disinvoltura le digeriamo velocemente, come il cibo che assumiamo, senza alcun reflusso etico-esofageo.
Il rullo media­tico macina quei morti a pranzo e a cena, all’ora dell’aperitivo o della siesta, e l’abitudine, cancellando lo stupore e la sorpresa, rende quasi normali e sop­por­ta­bili cose spa­ven­tose: l’orrore, la pena e il dolore sono sempre in onda e per questo perdono di valore e di originalità.

Ma la regia occulta di questa epocale tragedia a puntate quotidiane, spesso, troppo uguali e anche noiose, in questi giorni ci ha regalato qualche diversivo.
Fermi il soggetto, la trama e il contesto ambientale, storico e sociale, abbiamo scoperto che tanti disperati non sono morti affogati nel “mar cimitero”, ma accatastati e sovrapposti come pacchi nella minuscola stiva di un barcone sovraccarico e fatiscente, respirando i veleni e i gas di scarico dei motori. In una bara multipla, appena galleggiante,  senza un grammo d’aria e d’acqua e pressati, calpestati e minacciati dagli scafisti.
Ma non solo. Altri loro fratelli di tortura - oltre settanta, con donne e quattro bambini - sono rimasti asfissiati nel cassone sigillato e privo d’aria di un camion frigorifero, con il quale speravano di passare le frontiere. Morti parcheggiati fra le lamiere arroventate di un grosso mezzo abbandonato in Austria, lungo l’autostrada.
 E per finire, la rotta dei Balcani. Altro calvario, nuove tribolazioni.
Il Mediterraneo che dalle coste africane porta in Italia attraverso il Canale di Sicilia non è più la tratta più utilizzata per entrare in Europa. Oggi, la gran parte dei migranti che cerca di arrivare nell’Unione Europea lo fa tentando di attraversare i Balcani.
Dall’inizio dell’anno, 160mila persone sono giunte in Grecia, partendo dalle coste della Turchia, la maggior parte con l'intenzione di con l’intenzione di proseguire verso nord.
Migliaia di profughi, soprattutto siriani, iracheni e afgani, camminano a piedi per centinaia di chilometri, lungo un binario o sentieri di campagna. 
Attraversano l’Ungheria, la Serbia, la Macedonia, evitando muri, eludendo controlli e fili spinati o trovando i pestaggi della polizia; senz’acqua e senza cibo, con una borsa, uno zainetto o un bambino in braccio: tutto il loro avere, la loro casa, la loro speranza di sopravvivenza.
Si muore e si subisce violenza anche sulla rotta dei Balcani, non solo durante le traversate nel Mediterraneo. Almeno 150 migranti hanno trovato la morte lungo questa pericolosa via: annegati nel tentativo di attraversare il mar Egeo o rimasti uccisi lungo le ferrovie.
Nel corso del tormentato viaggio, subiscono violenze ed estorsioni ad opera delle autorità e di bande criminali e vengono vergognosamente abbandonati a se stessi dal sistema d’immigrazione e asilo dell’Unione Europea, che li lascia intrappolati in Serbia e Macedonia, privi di protezione.
Sono oltre 61mila le persone fermate lungo quei confini. 
Lo denuncia Amnesty International in un nuovo rapporto a proposito delle migliaia di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, bambini inclusi che subiscono violazioni in Serbia, Macedonia e Ungheria. 
Forse dovremmo indignarci, manifestare, protestare, costringere l’Europa a intervenire e agevolare l’esodo umanamente, visto che non si può ignorare, né fermare, né, come dice Francesco, far finta di niente. 

A meno che qualcuno non riesca, miracolosamente o per magia, a rimuovere le cause che lo determinano: le guerre, la fame, lo sfruttamento, le disuguaglianze, in tutto il mondo, in tutti i tempi.
Nell’attesa, buon appetito a tutti.

30 agosto 2015   (Alfredo Laurano)



venerdì 28 agosto 2015

GLUTAMMATO DELLA RAGIONE

Non solo, e non più, luogo di risse, di razzismo, di insulti e di offese d’ogni tipo e grado.
Non solo vetrina di esibizionismo e megalomania per narcisi da tastiera.
Non solo sfogatoio di complessi, tabù, ossessioni e paranoie.
Non solo ostentazione incontrollata di furore, rabbia, cattiveria e aggressività verbale. 
I social network ormai segnano - nel bene e nel male, per giovanissimi e maturi, per ignoranti ed eruditi, per barbari o emancipati - la vita più virtuale, che reale di ciascuno. Spesso si sovrappongono i rispettivi piani e il confine si fa labile ed evanescente: è sempre più difficile distinguere la verità dalla finzione.
Se ancora avevamo qualche residuo dubbio, quanto accaduto ieri a Moneta, nella Bedford County in Virginia, è la prova più eclatante che mancava: un afro-americano di 41 anni ha filmato in soggettiva l’attimo in cui ha sparato con la pistola e ucciso - in diretta TV - la reporter di 24 anni Alison Parker e il suo cameraman di 27, Adam Ward, durante un’intervista live.
Poi, come fosse un normale video musicale, una ripresa amatoriale di famiglia o una divertente clip di bambini, papere e gattini, ha postato l’omicidio e invitato i suoi follower ad ammirarlo: "Ho filmato la sparatoria, andate a vedere su Facebook", aveva scritto sul suo profilo”. 
Ma non era un gioco, non era un videogame della PlayStation: era un duplice omicidio vero che sembrava la scena di una fiction: stop, la rifacciamo meglio, ognuno al proprio posto, ciak in campo.

Crimine e violenza nel bello della diretta: possiamo dire che l’uso e l’abuso di mouse e di tastiera, di smartphone, tablet e di milioni di post e messaggini alla grande nazione dei popoli del web uniti, condiziona, favorisce o, in qualche caso, ispira le menti più fragili o malate? O le forme, anche latenti, di mitomanie inconfessate - anche a se stessi - quale moltiplicatore di piaceri perversi e inappaganti soddisfazioni?
Aberrazioni, depravazioni e trasgressioni si rinnovano, si trasformano e si adeguano ai tempi, ai modi, alle occasioni scellerate che la realtà virtuale offre a dismisura e senza fine.

Nel gratuito show dell’egotismo o nella passerella pubblica della propria individualità esasperata, una smisurata voglia di protagonismo, unita a un ingiustificato surplus di autostima, si trasforma in gesto criminale che, insaporito con una specie di nocivo glutammato della ragione, esalta il gusto dell’onnipotenza e della virilità. Un’azione assurda che accentua e celebra una probabile forma di infantilsmo, mai superato da una normale crescita mentale.
Non bastassero stragi e terrorismo, distruzioni di siti culturali, decapitazioni quotidiane e assalti a scuole, redazioni, musei, hotel, treni e centri commerciali, il nostro pane quotidiano dell’informazione si arricchisce tragicamente di un nuovo simbolo dell’orrore: l’assassinio in diretta TV di un pistolero-suicida del web, amplificato, discusso e giudicato sui blog, su pagine e profili.
Mentre spara si filma, in un’ estasi narcisistica, senza precedenti, a vantaggio e beneficio della vetrina internazionale della superbia e della megalomania.
E’ l’altra faccia malata, deviata e maniacale di una ripugnante comunicazione.
 27 agosto 2015   (Alfredo Laurano)


lunedì 24 agosto 2015

PAPAMARKET

“Aoh! - toccando di gomito il vicino - Ma quello seduto lì davanti, vestito di bianco, con lo zucchetto in testa, non è …. Si, anche a me pare proprio Francesco!”
Il Papa seduto, a sorpresa, tra i banchi e poi in fila per la comunione, come un qualsiasi fedele presente ad una messa, era lì, l’altra mattina, alle 7, davanti all'altare di San Pio X, nella Basilica di San Pietro.
La sua attività, il suo lavoro, le sue imprevedibili trovate con conoscono pause.
Come dice Scalfari, viaggia, scrive, parla, prega, incontra e soprattutto pensa e combatte.
È un uomo come noi, la sua vecchiaia avanza e sta sfiorando gli ottant'anni, ma sembra miracolato. Un uomo così, la Chiesa non lo vedeva al suo vertice da centinaia di anni. Solo Wojtyla forse aveva un’energia simile, finché è stato in salute.
Ma non è straordinario per sapienza teologica, né per scaltrezza politica e neppure per inclinazioni mistiche: Francesco ha dentro di sé un che di rivoluzionario e un dono profetico, un’indiscutibile, naturale capacità attrattiva.

Per molti, queste iniziative di "umiltà", manifestate fin dall’inizio del suo pontificato - modesto alloggio, auto utilitaria, spostamenti in pulmann, pasti e visite alla mensa, inviti e servizi igienici ai senzatetto  - sembrano piuttosto un'abile capacità di usare i media e la comunicazione tutta, sfruttando ogni situazione pubblica favorevole, anche casuale, al di là di protocolli e sicurezza.
Un Papa marketing allo stato puro, un  furbissimo e straordinario PR di se stesso e della sua “azienda”.
Battendo sull'accattivante tasto di questa reclamizzata modestia di facciata - ma ben guardandosi dal liquidare lo IOR, pagare l'Imu o rinunciare ai miliardi dell’otto per mille - si adegua agli usi e costumi del suo gregge e alle sue attese solo per fare proselitismo, non astenendosi però, dall’ entrare pesantemente sulle questioni dello Stato e della società, in generale: gestione dei migranti, separati e famiglie di fatto, guerre e terrorismo, armi, denaro, profitto, sfruttamento e indifferenza globalizzata.

Comunque la pensiamo - anch'io, da laico, sono estremamente critico nei confronti dell’istituzione Chiesa, e non solo per le sue tante colpe storiche - è indubbio che questo Papa “strano”, più o meno marketizzato o verace nella collettiva percezione, stia cercando di cambiare regole, tradizioni, principi oscurantisti, etichette e ritualità di quel mondo rigido e monolitico, senza superbia, senza arroganza, senza sentirsi profeta, al di sopra degli altri fedeli. 
Come, invece, fa qualcuno, nell’altra parallela nostra Istituzione, che vuole rottamare tutto e tutti - valori compresi -  per mania di grandezza e mitomania.

23 agosto 2015   (Alfredo Laurano)

venerdì 21 agosto 2015

LE SCAPPA LA PIPI’

Eleonora Brigliadori è nota al pubblico, non solo o non tanto per le sue doti di soubrette - occhi belli, una montagna di capelli e un sorriso luminoso - ma anche, e soprattutto, per la sua scelta dell’urinoterapia (beve “l’acqua della vita”, ossia la sua pipì santa), per le trasfigurazioni angeliche e per il cancro  vinto senza ricorrere a cure mediche (“per lo stress mi è venuto un carcinoma epatico. Nonostante non abbia voluto operarmi e rifiutato la chemioterapia, ora sto bene, sono guarita cambiando la dieta, sono vegetariana”. 
L’ex telefonista di Portobello (di Enzo Tortora), non ha una grande passione per i medici e le pratiche mediche. Perché? “Perché ci rubano l’anima”.

Mentre si cerca di sensibilizzare i cittadini a donare il sangue, lei va controcorrente e denuncia i crimini e i pericoli insiti nella donazione: 
“Nessuno, purtroppo, vi dice che il sangue è il nostro spirito. É l’elemento spirituale portatore della nostra individualità. É la cosa a cui i demoni ambiscono per possedervi.
Io non sono il mio corpo, io non sono quel che ho, ma io sono quello spirito che fa muovere il mio sangue e lo trasforma. Ne consegue che non possa essere “estorto”.
Questo succede ogni giorno, non solo negli ospedali dove il sangue estorto viene usato per  fare orribili scempi, come alimentare il mercato degli organi e di azioni illecite fatte col sangue umano. Una volta donato, non sapete che fine fa il vostro sangue, ci sono persone molto ricche e anziane che comprano il sangue giovane per prolungare la propria vita”.
Si dovrebbe andare direttamente dalla persona che ne ha bisogno, se si vuole donare, se davvero ne ha bisogno. Sapere di chi è il sangue é importante. Io non vorrei sangue da persone che portano demoni in sé, preferirei morire….
E dove finisce il sangue estorto? Nelle banche del sangue!
Lo capite? Si fa mercimonio delle nostre essenze spirituali, è un fatto demoniaco; lo sanno tutti che il denaro è lo sterco di Satana e che i soldi vengono custoditi nelle banche.
Chi vi chiede di donare il sangue, chi lo conserva nelle banche per poter fare delle trasfusioni a dei perfetti sconosciuti lo fa per prendere il controllo del vostro corpo e del vostro spirito!
I testimoni di Jeowah si ricordano del valore del sangue… chi fa commercio di sangue é Satana.

Alla sensibile artista, che qualche anno fa fu denunciata per aver dipinto di blu una roccia di una scogliera di Olbia a forma di fallo, occorre ricordare che la donazione del sangue in Italia è su base volontaria e che nessun Satana o vampiro costringono a diventare donatori. E’ la solidarietà e la consapevolezza che ogni giorno migliaia di persone necessitano di trasfusioni per poter vivere che guidano tale scelta. 
Il sangue prelevato è comunque controllato e tracciato e, fino a quando non lo scopriremo, non commercializzato.
Continui pure a sorseggiare la sua pipì - come fanno a tre milioni di cinesi che la bevono convinti che rafforzi l'organismo - anche perché quella non la può donare se non in giochi feticistici o in parafilie varie. Cin cin!    
(Alfredo Laurano)

MAFIEGGIANDO IN POMPA MAGNA

Non siamo a Palermo o a Corleone, a Marcianise o a Casal di Principe, a Scampia o in Aspromonte, ma nella capitale d’Italia. Di un’Italia non più definibile, non più intercettabile, non più comprensibile. Un Paese sempre più ostaggio della criminalità e della corruzione, a dispetto della sua storia e del suo immenso patrimonio culturale che tutto il mondo ci invidia, al netto dello schifo e del degrado.
A Roma, ieri, è andato in onda, tra lo stupore generale e la vergogna di cittadini sbigottiti e increduli, il funerale trionfale, in pompa magna, di Vittorio Casamonica, capo clan dell’omonima dinastia. Sembrava un film, ma non lo era.
Una carrozza antica, intarsiata di finimenti dorati, trainata da sei cavalli neri col pennacchio e le note de "Il Padrino", suonate dalla banda, ad accompagnare il feretro in un lungo corteo. In cielo, un elicottero, come fosse un aereo pubblicitario che lancia volantini sulle spiagge, spargeva masse di petali di rose: così sono iniziati i funerali del boss sessantacinquenne Vittorio Casamonica, che si sono svolti nella chiesa di Don Bosco, tra una folla di commossi amici, parenti e devoti affiliati e dipendenti.
All'esterno della chiesa, era appeso un manifesto con la scritta "Re di Roma", insieme a un fotomontaggio raffigurante il Colosseo la Basilica di San Pietro e l'immagine dell'uomo vestito di bianco, come il papa, con un crocifisso. Su un altro manifesto, invece, c'era scritto: "Hai conquistato Roma, ora conquisterai il paradiso".
Un funerale all'insegna dello sfarzo, che ha intasato le strade e congestionato il traffico, per ribadire, alla faccia delle inconsistenti istituzioni - questura, prefettura e viminale - e sotto gli occhi di un’intera città, l’arroganza e la protervia dei clan malavitosi, padroni dello spaccio, del pizzo e dell’usura. Un rito di autolegittimazione, per ribadire, ove ce ne fosse bisogno, il proprio strapotere. Mentre è ancora vivo nella cittadinanza lo sdegno per mafia capitale di Buzzi e Carminati.
Non c’è nulla o molto di spirituale o religioso in questa cerimonia da ultimo saluto, che rappresenta soprattutto una prova di forza e di impunito esibizionismo dell’anti-stato che viene tollerato e accettato come fosse normale da tutti, dallo stesso stato e dalla stessa chiesa. Collusi e scontenti si uniscono al dolore per la scomparsa del padrino, pur senza corona e senza camera ardente.

E pensare che, poco tempo fa, ci indignavamo per le processioni che a Oppido Mamertina deviavano il percorso, per omaggiare il condannato boss, con l’inchino della madonna e dei suoi mafiosi portatori.
Grande imbarazzo in Curia e in Prefettura, interrogazioni al solerte ministro Alfano.  Fioccheranno le solite, sterili polemiche, le accuse, le inutili inchieste, le responsabilità …da accertare. Ma, ancora una volta, di fronte al mondo intero, facciamo la figura di pessimi buffoni, che non fanno ridere, né piangere nessuno, ma sanno soltanto farsi screditare e coglionare, anche dai bulletti di periferia.
Nessuno sapeva, nessuno vedeva, nessuno sentiva. 
Come le scimmiette dell’indifferenza. O dell’incapacità.
21 agosto 2015  (Alfredo Laurano)


lunedì 17 agosto 2015

PALIO-LITICO?

Si corre oggi il Palio di Siena, rinviato ieri per la pioggia.
Sul Palio si sono scritte migliaia di pagine, una vera enciclopedia, per raccontarlo, spiegarlo, capirlo, motivarlo, giustificarlo, condannarlo.
A Siena non è un evento o una festa. Non è una fiera o una manifestazione di folclore e tradizione: è linfa vitale che segue il ritmo quotidiano della vita di contrada. La sua lunga attesa e, soprattutto, la vigilia, per i senesi rappresenta la vita o la morte, il buio e la luce, il nulla oltre la vittoria.
Chi non è senese, come il sottoscritto, deve sapere essenzialmente due cose: non riuscirà mai a capire il Palio e non riuscirà mai a capire i senesi.
Gente matta che, in questi giorni di mezzo agosto, si prodiga per vincere un cencio di stoffa in un inseguimento spasmodico di cavalli che corrono contromano - rispetto alle normali corse - dentro un luogo assurdo dalle curve impervie nominato Piazza del Campo, in cui tutto faresti tranne che farci correre dei cavalli, montati “a pelo”, cioè senza sella, da idolatrati fantini. Roba da medioevo.
Il Palio si corre due volte - a luglio e ad agosto – ma, per i senesi si vive tutto l’anno  e rappresenta l'essenza della vita stessa.

L’ho verificato di persona, visitando la città in un lontano ottobre, in tempi ben lontani dall’evento: se ne parla sempre e dappertutto, nei bar, nelle cantine, in strada, nei negozi, nei ristoranti. Ogni occasione è buona per una battuta o un commento su quel cavallo o quel fantino coraggioso.
Una sera, dopo aver cenato in un rinomato locale sulla famosa piazza, i titolari, lo chef e i camerieri mi hanno intrattenuto spontaneamente, per ore e ore, a raccontar del Palio, del suo valore e dei suoi riti, in una lucida, consapevole follia colettiva.
E’ proprio questa l'essenza dell’epica contesa.
La sua attesa comincia il minuto dopo che la corsa finisce e termina con lo scoppio di mortaretto della corsa dell'anno successivo, con una dilatazione spazio temporale che non tiene conto dello scorrere dei mesi, dei giorni e delle ore.
Se chiedi ad un senese che ore sono, lui ti risponderà che “è l'ora di abbeverare il cavallo” oppure che è tempo di ritrovarsi in contrada per le prove degli sbandieratori.
Non ti darà mai un ora precisa, il ritmo del tempo è scandito da momenti: dal giorno della “terra in piazza”, che annuncia il periodo del Palio o la consegna dei “Barberi”, i cavalli estratti e dati in sorte alle contrade o la suggestiva benedizione di cavallo e fantino scandita dai rintocchi solenni del Campanone sulla Torre del Mangia. O la sfilata delle Comparse, i figuranti delle Contrade, che con i costumi medievali tradizionali, le splendide Monture -vere opere d’arte di seta, velluto e broccato, perle e pietre dure - danno vita alla Passeggiata Storica, il gran corteo che precede la corsa.

Ogni contradaiolo affronta tutto questo con le proprie scaramanzie.
C’è chi si nasconde in luoghi appartati, chi prega, chi promette, chi contratta, chi si tiene occupato in vario modo, chi vorrebbe, per un solo attimo, non essere del luogo.
Mentre, per molti turisti, quella giostra è solo una manifestazione sportiva di ippica, circondata da un tifo da stadio o una specie di spettacolo di rumore, folla e frenesia, che autorizza la violenza sugli animali, per i senesi il Palio è soprattutto presenza, passione e turbamento. Si sente, anche se non si vede: basti osservare dall’alto le gremitissima piazza, dove una goccia non arriva a terra.
I quattro giorni che lo precedono - attesi con ansia, per un anno intero -  sembrano non passare mai e forse è per questo che alla fine la reazione è tanto esplosiva, sia nella gioia che nel dolore.

Alle aspre polemiche da parte degli animalisti più intransigenti sullo sfruttamento degli animali - venerati, frustati, azzoppati e spesso soppressi - i senesi rispondono dicendosi profondamente animalisti e sostengono che l’amore che nutrono per i cavalli è veramente sincero e che in nessun’altra città al mondo hanno le cure e le coccole che trovano lì.
Anche i bambini sanno che il cavallo deve stare tranquillo e nessuno si sognerebbe mai di schiamazzare davanti alla stalla, vero salotto dove c’è sempre qualcuno che vive, sorveglia e dorme col cavallo.
E le cure non si limitano solo ai giorni della festa, né al periodo in cui il cavallo è utile per correre: c’è un pensionario appositamente creato perché gli animali possano invecchiare in pace, circondati dell’amore della gente che li va a trovare.
Diciassette Contrade in festa - ma in ogni Palio ne corrono solo dieci - preghiere, inni propiziatori, stornelli cantati per sfottere la Contrada rivale, cibo, cucine e cantine: il Palio è importante per l’economia della città, ma i senesi non lo fanno e non lo amano per questo, ma per loro stessi, perché è la loro vita, e se lo pagano.
È l’unica gara nella quale chi vince paga tutti gli altri ed è ormai una delle poche, se non l’unica, dove non sono consentite sponsorizzazioni.
Ogni senese è geloso e orgoglioso dei propri tesori e ci tiene che i “forestieri” abbiano le informazioni esatte.

Al suono delle “chiarine”, entrano in campo i cavalli, nervosi e scalpitanti fino al momento, a volte assai lungo della “mossa”.
Caduto il canapo, la partenza. Tre giri a velocità paurose, fra cadute, falli, spinte, scorrettezze e inciampi, fino alla luce accecante della vittoria, fra i cavalli scossi.
Il Palio, per chi lo vive dall’interno, prevede anche inganno, dispetti, manovre sporche e sotterfugio, oltre al tripudio, se il fato decide di alleviare la gran pena con la vittoria. Non sarà mai una competizione corretta o un esempio di lealtà. Non esiste fair play, anzi, non se ne conosce nemmeno il significato.
Ciascuno deve fare la propria parte al fine di complicare la vita alla contrada rivale. Tutto , ma davvero tutto, è ammesso per poter conseguire il proprio fine.
Nella sfida non ci sono secondi o terzi: uno vince e gli altri perdono. Una contrada ride, festeggia e di gioia impazzisce, le altre piangono, soffrono e si disperano.
In questa feroce antinomia, al cavallo vittorioso è riservata una visita in Duomo, in un gesto di pagana sacralità. Entra trionfante, con tutti gli onori, in uno dei posti più belli della città.
In poche parti al mondo avviene questa fusione tra mistico e profano.

Il Palio di Siena cattura l’ospite con i suoi favolosi scenari, con i suoi riti, con la moltitudine di colori, con i suoi suoni e con i suoi eccessi. E' un’arte affascinante, ma crudele, dove squilli di trombe e rullar di tamburi sottolineano le sue contraddizioni, come nelle stagioni di una guerra civile, che esalta e celebra insopprimibili sentimenti di tensione, ostilitò, di odio e di rancore.
Fa emergere sensazioni nuove e sconosciute, se sai come prenderlo.
Ma non cercare di capirlo.
16 agosto 2015  (Alfredo Laurano)



 P.S. Ringrazio per le consulenze i competenti storici della materia.

domenica 16 agosto 2015

SOTTO L’OMBRELLONE

Con il caldo pernicioso di questa ardente estate, germogliano rigogliose perle di idiozia e insensatezza di politici, di opinionisti sotto vuoto spinto e di ambigui personaggi  dell’attualità.
E’ il gossip da ombrellone che intrattiene corpi sudati ed unti dalle creme e neuroni stanchi ma bollenti, in attesa di opportuno refrigerio. Cresce così, su quelle sabbie immobili cocenti, la battuta lapidaria, ai confini del delirio, con contorno capriccioso di insolenza.
La stoccata si alimenta con fatica, trovando un varco fra indolenza e paradosso, in un ghiacciolo al calembour o in un giornale spiegazzato, da un raro alito di vento.

Il Divino Otelma, per esempio, tra  riti magici, amuleti e comparsate varie in abiti da circo, profetizza, in un raro momento di mediocre umanità, che: "Marino riuscirà ad andare avanti con la sua opera di governo della città di Roma, anche se in tanti vorrebbero la sua testa. Le fasce di negatività che lo pervadono per iniziativa di forze aliene non riusciranno a farlo cadere. Renzi è il più avverso a lui, perché Marino non è abbastanza servile, mentre il presidente Renzi ha bisogno di servi, nani e ballerine".
Anche i maghi, a volte, abbandonano l’occulto e la magia, per pronunciare solide certezze, come nella pubblicità.
Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, padrino di Salerno, dopo le sue note e vergognose vicende fra impresentabili e ineleggibilità, si scaglia contro Peter Gomez del Fatto Quotidiano: "C’è un giornalista dal nome equivoco, improbabile, tedesco più o meno, un superfluo, un consumatore abusivo di ossigeno, un danno ecologico permanente... somaro!" Che arrogante personaggetto!
De Magistris, sindaco partenopeo, ha pubblicato su Facebook un  cartello in cui si dice: “Napoli, comune derenzizzato”. Sono d’accordo, caro Masaniello, ma le scorie dove le mettiamo?
Giuliano Ferrara scopre all’improvviso che: "Silvio è il padre nobile del renzismo" e in molti da tempo lo crediamo.
Qualcun’altro, con un po’ di coraggioso realismo, afferma: Renzi, da una riforma al mese a una cazzata al giorno.
E, a proposito di cazzate, Salvini, senza felpa per il caldo, fa sapere che se fosse lui ministro dell’Interno, al posto di Angelino, risolverebbe il problema dei migranti in pochi giorni. Magari, con le ruspe di mare, ma dopo le padane ferie.

Sorvolando, per carità ferragostana, sul fatto che nella scorsa legislatura 34 pidocchiosi onorevoli hanno lasciato un debito al bar/ristorante della Camera che va dai 300 agli 800 euro a testa, per un totale di circa 20 mila euro, che non si decidono a pagare, voglio concentrarmi sulle sconcertanti rivelazioni di Vladimir Luxuria: "Io, ex deputata di Rifondazione ho amato un big del centrodestra, un uomo molto importante e famoso. Ma ora, dopo una tormentata relazione, ci siamo lasciati perché lui non voleva uscire allo scoperto e io mi ero stancata di fare l'amante clandestina.”
Sono sconvolto, non me lo sarei aspettato dopo aver conosciuto la transgender molti anni fa, quando il mio amico e compagno Bertinotti, innocentemente, la candidò, senza sapere quello che faceva. Questa, si, fu colpa grave.
Chiudo qui, per non tediare oltre, questo piccolo campionario di minchiate e bestialità, macabra antologia di tormentoni estivi alla Signorini, in attesa di una sana pioggia rigeneratrice.
O di una lunga doccia collettiva che lavi a fondo le coscienze, con l’acida schiuma della normalità.
16 agosto 2015   (Alfredo Laurano)

sabato 15 agosto 2015

AUGURI, DE CHE?

Solo in Italia il 15 di agosto è festa.
Il Ferragosto, tuttavia, ha ben poco a che fare con mare, gite, cocomero e grigliate: è una festa cattolica che celebra l’Assunzione di Maria in cielo.
Secondo i credenti, Maria fu assunta materialmente in paradiso sia con l’anima che con il corpo, a differenza degli altri mortali. I protestanti non credono all’Assunzione e non festeggiano perché questo episodio non è narrato nel Vangelo.
 Ferragosto deriva da “feriae Augusti”, il riposo di Augusto, una festività decisa dall’imperatore romano nel 18 avanti Cristo e si rifà in parte alle antiche feste delle religione romana dedicate a Conso, il dio dei granai e della fertilità, celebrate durante il periodo del raccolto e la fine dei lavori agricoli. 
Da festa pagana diventò poi festa cattolica. La ricorrenza fu assimilata dalla Chiesa, intorno al VII secolo, che iniziò a celebrare l’Assunzione, fissando la festività il 15 agosto e non più il primo, come era in origine.

La tradizione popolare della gita di Ferragosto nasce, comunque, durante l’epoca fascista.
A partire dalla seconda metà degli anni Venti, nel periodo ferragostano, il regime organizzava, con le associazioni dopolavoristiche delle varie corporazioni, centinaia di gite collettive con i Treni popolari, a prezzi scontati. 
L'iniziativa - nonostante tutto, lodevole - offriva la possibilità, anche alle classi sociali meno abbienti, di raggiungere località marine o montane sconosciute e, a molti, di vedere per la prima volta, con i propri occhi, il mare, la montagna e le città d'arte.
Le escursioni non prevedevano il vitto e nacque così anche l'usanza del pranzo al sacco.

Dalla tradizione dei giochi romani - in tutto l'impero si organizzavano corse di cavalli, di animali da tiro, buoi, asini e muli - arrivano anche i tanti pali che oggi conosciamo.
A Porto Santo Stefano si svolge il Palio dell’Argentario, antica gara remiera.
A Sarteano poco prima del tramonto si svolge la Giostra del Saracino, gara di abilità tra cavalieri.
Il Palio di Siena, che si tiene invece il 16 agosto, per l'Assunta, è una sentita e spietata competizione fra poveri cavalli di agguerritissime Contrade e si svolge due volte l’anno: il 2 luglio si corre in onore di un'altra Madonna, quella di Provenzano.
In ogni caso, laici, cattolici, tradizionali o popolari, gli auguri servono sempre, anche quelli di mezza estate. (Alfredo Laurano)


venerdì 14 agosto 2015

STORIA, NATURA E MUSICA SUBLIME

Grazie all’impeccabile organizzazione di Chiara e Sara - due bravissime e competenti ragazze delle cooperativa sociale Lymph@, fondata nel 2008 insieme a Flavia e Massimo, per promuovere lo sviluppo sociale, economico e culturale del territorio di Canale Monterano e del circondario - ho avuto modo di vivere ieri una magnifica, indimenticabile esperienza: Monterano dal tramonto alle stelle. 

Prima, la visita guidata della riserva  alle ultime luci del giorno, alle 19,30 la cena sotto i ruderi maestosi del ex Castello Orsini, poi Palazzo Altieri, nella "Piazza Longa" e per finire, un meraviglioso concerto di fisarmonica e strumenti a fiato (anche il duduck armeno) di Mauro Menegazzi  e Renato Vecchio (due eccezionali musicisti), davanti ai resti della chiesa di S. Bonaventura, alla sola luce di piccole candele e dello sciame di meteore cadenti delle Perseidi, conosciute come lacrime di San Lorenzo. 

Note suadenti e sublimi che si perdono lontano, nella storia, nella notte e fra le luminose stelle, in un magico notturno agostano. 

Le rovine dell'antico abitato di Monterano sono un luogo incantato, pieno di fascino e mistero, conosciuto anche per i numerosi film western  e per il Marchese del Grillo di Sordi (famosa la sequenza davanti al grande fico, all’interno del solenne monastero), lì,  in parte girati e ambientati.
Raccontano di una lunga e fantastica storia che, dal  Paleolitico e dal neolitico (le più antiche testimonianze della presenza umana nel comprensorio risalgono a circa 100.000 anni fa) - passando per l’ Età del bronzo e del ferro - attraversa l’Era etrusca, la dominazione Romana e tutto l’alto, pieno e tardo Medio Evo, fino all’era moderna, alle soglie dell’ottocento.
Nel corso del IX secolo, le frequenti scorrerie ed i saccheggi perpetrati da bande di barbari e delinquenti comuni generano anche nella popolazione dei piccoli centri della Tuscia un bisogno di sicurezza e contribuiscono a far nascere il fenomeno feudale.
Per questo si assiste al consolidamento di aree abitative attorno ai luoghi fortificati, ai castelli ed agli insediamenti monastici: il popolo cerca protezione e solo i signorotti locali sono in grado di assicurarla con i loro piccoli eserciti. In cambio ottengono braccia per il lavoro nei campi.
Tra le cinte murarie, dove era presente la dimora del signore locale, i magazzini delle derrate alimentari, degli strumenti di lavoro e delle armi, nasce un'economia centralizzata ed autosufficiente, basata sulle risorse agricole. Il feudo, con il suo esercito in grado di opporre valida resistenza e difesa, diviene una piccola società, composta da servi, villani e borghesi, stretti attorno alla famiglia del nobile protettore.

Camminando fra quei luoghi e intorno a quelle mura, tra le rovine delle case, delle torri e delle chiese, dove la vegetazione si è ripresa molti spazi che l'uomo aveva abitato, si può immaginare la vita che, un tempo, vi si svolgeva. Forse, anche per questo aspetto epico e fantasioso, la Riserva è diventata una location ricercatissima dal cinema.
Colpisce l’occhio e commuove l’animo il monastero-chiesa di San Bonaventura, senza tetto e con un grande albero di fichi cresciuto all'interno, che si erge solitario e austero su un larghissimo pianoro. Davanti, la fontana ottogonale (copia dell’originale che sta in paese).
Osservando da lontano, si ha una visione quasi irreale, panoramica e fiabesca, che crea un’autentica emozione. 
Non molto distante, tra prato, sentieri e altri ruderi, si può apprezzare l’imponente leone che sovrasta la fontana nella roccia del Palazzo Ducale (Altieri), già degli Orsini, tutte opere progettate dal Bernini.
E ancora le arcate dell’acquedotto del Seicento, la chiesetta di S. Rocco, i resti del campanile e della cattedrale e il piccolo borgo, quasi sepolto fra le piante.
Siamo nell'alto Lazio, nell'Etruria meridionale, un territorio straordinario per la nostra storia, tra i Monti della Tolfa e i Monti Sabatini.
Tutta la Riserva di Monterano è un ambiente naturale intatto, disseminato di antichissime testimonianze di vita e meta di migliaia di visitatori. Boschi, animali, vegetazione tipica e felci rarissime, il tutto attraversato dall’acqua fiume Mignone.
Visitare la Riserva significa intraprendere un suggestivo viaggio nel tempo, nelle vicende antiche dell’uomo e nella natura che ha modellato questo paesaggio straordinario, che dovrebbe essere oggetto di più frequenti e accurati restauri conservativi, per contrastare l’incessante opera demolitrice del tempo.

Ancora grazie ai quattro intraprendenti giovani della Lymp@ - laureati e specializzati in campo ambientale, archeologico e comunicativo - che difendono e fanno conoscere  questo ricco patrimonio culturale,  operano anche per l’ educazione e il rispetto della natura, organizzano escursioni, attività didattiche per le scuole, progetti di sviluppo, eventi e spettacolari manifestazioni. Tutto con le proprie forze, senza aiuti e finanziamenti dalle Istituzioni e degli Enti preposti alla tutela dei beni comuni.
Meriterebbero ben altra considerazione.

13 agosto 2015 (Alfredo Laurano)

giovedì 13 agosto 2015

PREGO, VUOL SBALLARE CON ME?

Grazie, preferisco di no. Celentano nel 1963.
Quelli della mia generazione non l’hanno conosciuta. Non esisteva proprio.
Al massimo, per cercare il divertimento, un timido accenno di trasgressività, come tentativo di misurarsi con la realtà in tema di amori e di costume o come volontà di opporsi a certe rigide regole morali e sociali, ovvero i canoni della cosiddetta normalità. Tutto, pur di uscire dal conformismo e dall’anonimato, accentuando in tal modo la propria identità individuale e opponendosi ad uno stile di vita troppo convenzionale. Era così e lo è stato, almeno, fino al sessantotto.
Il gusto del proibito: piccole azioni atte a soddisfare esigenze psicologiche e relazionali o a vincere il disagio economico o familiare, come il mentire, inventare una storia o uno studio, marinare la scuola, sorseggiare un cognac, fumare di nascosto.

Oggi, invece, domina la cultura dello sballo.
Musica martellante che rintrona la mente e annichilisce gli svogliati neuroni, alcol a fiumi, pasticche di ecstasy o di àmnesia - spesso adulterate e contraffatte per aumentare i margini di guadagno - in un coktail micidiale che porta allo stordimento, al falso paradiso del benessere, allo stupore più stupefacente. È la vertigine che sconvolge i sensi, amplifica le sensazioni di libertà, piacere e onnipotenza e rimbecillisce spirito e ragione.
Troppi giovani riescono a stare insieme (non a socializzare) e a divertirsi solo in mezzo al rumore assordante e alla sovraeccitazione collettiva: pseudo-musica elettronica acid house, tekno, jungle, a tutto volume, in anonime discoteche o in estenuanti rave party fuori città, con luci strobo a intermittenza, come da sussulti epilettici. Un insulso spettacolo che vede oscillare in penosi spasimi, apparentemente umani, una serie di manichini senza corpo, come zombi danzanti nel vuoto di coscienza, sostenuti spesso dall’effetto - a volte drammatico - di droghe assunte per uno svago demenziale.
L’importante è spostare sempre più in là il traguardo dello choc, alzare il livello della tollerabilità, fino allo sballo: per superare ansie, insicurezze, fragilità, depressioni e panico si va all' eccesso, agli estremi, all' autodistruttività.
La sfida appartiene ai giovani e ogni epoca ha i confini su cui misurarsi. Per molti, la parola d’ordine è: annulliamoci nel divertimento collettivo di cui non siamo consapevoli e viviamo questa condizione come un privilegio della nostra giovinezza.
Da adulti, viene da interrogarsi su che mondo e che modelli trasmettiamo, che visione abbiamo del quotidiano, della vita e della persona umana, su quale scala di valori misuriamo gesti e pensieri, che futuro immaginiamo, che tipo di esempio sappiamo dare. Con il risultato, spesso, di approfondire con il nostro comportamento, con la nostra assenza, incapacità o indifferenza, il solco tra generazioni e incomprensioni.
Le morti tragiche e inutili dovute alle “pasticche”, all’alcol, alle droghe e alle dipendenze varie, danno il segnale di una generazione che affronta la vita senza speranza.
Invece di sognare, progettare, lottare e spendersi per qualcosa di importante, prevale l' autoconvincimento dell' inutilità del sacrificio, rispetto al risarcimento artificiale di momenti di divertimento effimero, fuori da schemi e convenzioni.
Si vive lo sballo come gratificazione immediata e appagante, si ragiona poco con la propria testa e si usa quella della massa, dei miti e delle mode: errori generazionali che impediscono alla società di crescere.
Le droghe si diffondono perché costano relativamente poco, sono per tutti e si spacciano facilmente dappertutto. Un'informazione superficiale e complice ne minimizza gli effetti devastanti e nasconde i rischi diretti e indiretti della loro assunzione.
Le famiglie hanno certamente gravi colpe e responsabilità. A volte ignorano i problemi dei figli, non li seguono, non vigilano e confondono il dialogo con la permissività, la comprensione con il lassismo. Ma troppo spesso sono lasciate sole nel complicato compito di crescere ed educare.
La scuola, dal canto suo, per come è organizzata nella realtà sociale in cui viviamo, non prepara e non informa adeguatamente.
A questo bisogna aggiungere le particolari difficoltà psicologiche che, da sempre, accompagnano l' adolescenza, quell' incerta età in cui non si è più bambini, ma non si è ancora adulti, con le pulsioni dell' organismo che premono con forza: “Sedici anni e quella stupidità tipica dell' adolescenza che fa credere di essere invincibili, astuti, di essere grandi. Sedici anni quella età della provocazione”.
La droga ruba la vita ai nostri figli. E' un male che va combattuto e prevenuto, ma per poterlo sconfiggere bisogna conoscerlo e farlo ben conoscere proprio a loro, per tempo e col massimo preavviso.
"Se le famiglie esercitassero un po' più di controllo sui figli, non morirebbe un ragazzo alla settimana in discoteca. Se non sai educare non procreare". Così aveva scritto su Twitter il sindaco di Gallipoli, dopo le recenti morti di giovanissimi ragazzi al Cocoricò di Rimini, al Guendalina di Santa Cesarea e, ora a Messina.
Come dargli torto?
Almeno fino a quando lo Stato non aumenti i controlli su scuole, piazze e discoteche, rafforzi la prevenzione e la repressione nei luoghi di ritrovo e di spaccio e punisca con rigore e con certezza i tanti dispensatori di morte e distruzione.
12 agosto 2015 (Alfredo Laurano)





martedì 11 agosto 2015

LE LACRIME DI SAN LORENZO

Chi non si è commosso, ai tempi della scuola, studiando il X Agosto di Pascoli e la magica notte di S. Lorenzo e delle stelle cadenti, frammenti meteorici che si distaccano da un nucleo cometario originario e vanno  a formare uno “sciame meteorico”. 
Dieci Agosto è la lirica che rievoca un evento doloroso e drammatico della vita di Pascoli: la morte violenta del padre. Il giorno di San Lorenzo, ovvero il 10 agosto 1867, Ruggero Pascoli venne assassinato a colpi di fucile, per mano di ignoti, mentre tornava a casa sul suo calesse. 
Il poeta racconta la sua tristezza e il suo dolore, accostando l’immagine di una rondine abbattuta col cibo nel becco per i suoi rondinini a quella del padre che ritornava a casa portando due bambole alle figlie, per sottolineare l’ingiustizia e il male che prevalgono sulla terra. 
La leggenda popolare identifica le stelle cadenti, che proprio nella notte del 10 agosto hanno la loro massima manifestazione nel corso dell’anno, con le lacrime di San Lorenzo. Pascoli varia questa simbologia e interpreta il fenomeno astrale come il pianto che le stelle versano sulla malvagità degli uomini e sull’ingiustizia del mondo.  
10-8-2015     (Alfredo Laurano)

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de' suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono...

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!   
(Giovanni Pascoli)