lunedì 29 ottobre 2018

L’ANTICO RUMON /1641


La storia del Tevere inizia nel giorno in cui Enea, profugo da Troia e in cerca di una nuova patria, risalendo la sua foce e poi inoltrandosi nel fiume lo navigò fino a raggiungere un luogo abitato dai pastori.
Lì verrà fondata Roma.
Il fiume sacro ai destini di Roma, il fiume che ha fatto grande Roma, il fiume biondo dei romani: “Il paradosso del Tevere - scrive Stefano Caviglia - è che lo abbiamo continuamente sotto gli occhi ma non lo conosciamo affatto”.
 “A proposito di Tevere”, l’interessante libro che mi ha regalato la mia amica Carla, è un sorprendente viaggio lungo la storia del fiume e di tutto ciò che lo riguarda.
L’autore, l’appassionato Caviglia, lucido cronista e storico puntuale, racconta la storia, la bellezza e il futuro di quel fiume, navigandone acque, leggende, vizi, virtù, criticità e prospettive, fra momenti di poesia e romanticismo, di nostalgia, note tecniche e vicende popolari. Ne disegna un preciso identikit, basato sul suo legame con i romani, tra fortune e crisi mai risolte.
Come «la separazione», ovvero il dislivello di diciotto metri e quarantacinque centimetri, fra le rive e la città, creato a cavallo fra Ottocento e Novecento con la costruzione degli argini, detti muraglioni. Una scelta inevitabile, viste le tante e rovinose alluvioni subite nei secoli, ma che ha comportato l’allontanamento tra cittadini e fiume, dopo più di duemila anni vissuti praticamente in simbiosi.
Roma, che si affacciava direttamente sul fiume, se ne trovò di fatto separata. Roma, oggi, senza muraglioni, sarebbe ancora di una bellezza strepitosa.

Anche attraverso le numerose immagini che arricchiscono il testo e documentano visivamente la storia del Tevere, si va dalla Roma antica, quando le sue acque portavano le merci più diverse dal resto del mondo nei suoi porti di Ripa Grande e di Ripetta, alla costruzione dei ponti più antichi o più moderni; dall’allargamento del letto del fiume e degli stessi ponti, ai mulini e alle capanne - cabine di incannucciata o stoffa su palafitte, dalla riva verso il centro del fiume, per cambiarsi e immergersi (dalla fine del cinquecento, era proibito bagnarsi “senza portar le mutande” e “l’andar delle donne inhoneste in barca a sollazzo et facendo stravizi”); dal pittoresco mondo dei fiumaroli e barcaroli (cantanti anche in musica), ai casi di violenza e ai tentativi dei nostri giorni di salvarlo dall’inquinamento e dagli intrecci burocratici che ne soffocano le potenzialità di rinascita.

Nonostante i tanti, gravi problemi della capitale che limitano l’interesse per il nostro ex biondo Tevere (l’antico idronimo era Albula, in riferimento al colore chiaro delle sue acque), cantato dalla storia, ma spesso quasi dimenticato, non si può ignorare che, se il fiume e la sua ricca vegetazione, non fossero lasciati all’incuria rassegnata, regalerebbero un paesaggio suggestivo, un richiamo per i turisti, addirittura un volano economico, e potrebbero muovere le risorse intorno a un’area fluviale che adesso, dice icasticamente l’autore, “è solo un’oasi nel deserto”.
 “Solo se comprendiamo che il Tevere è il simbolo di Roma, che il Tevere è Roma, potremo riqualificarlo e con esso la città intera”.
(Alfredo Laurano)






sabato 27 ottobre 2018

MOVIDA MORTALE


Morte, dolore, strazio, sdegno, disperazione. La mattanza continua, come a Macerata pochi mesi fa, come in tante analoghe situazioni, a base di droga, spaccio, stupri di gruppo e prostituzione : vittime predestinate, quasi sempre, giovani adolescenti, bambine mai cresciute, in preda al disagio giovanile e familiare.
San Lorenzo, anarchica e ribelle, esplode di rabbia e invoca rigore contro il degrado, proprio per mantenere la sua storica dimensione di quartiere popolare, operoso, aperto e multietnico. Siamo a Roma, a due passi dalla grande stazione Termini, dall’Università e dal Policlinico.
Ancora una morte, Desirèe, sedici anni, drogata e poi abusata sessualmente quando era in uno stato di incoscienza, che ricorda quella di un’altra giovanissima, Pamela Mastropietro, 18enne romana, fuggita da una comunità e andata a finire la sua vita a Macerata, drogata, violentata e poi uccisa.

Quante sono in Italia, nelle grandi città, nei piccoli centri, le aree, gli immobili occupati e le strade che si identificano in piazze di spaccio, prostituzione e di criminalità varia, con annesso contorno del coprifuoco per gli abitanti e residenti? Tutti ne sono a conoscenza, a cominciare dalle istituzioni, questori, prefetti, carabinieri, polizia. Ma nessuno fa nulla, nonostante le denunce, le segnalazioni, gli allarmi lanciati da cittadini impauriti e disgustati. Ci sono zone “impervie”, in mano a certa criminalità o controllate dai padroni della droga, dove nemmeno le forze dell’ordine amano avventurarsi o intervenire: risse, sparatorie e ritorsioni lì sono la normalità. Come appunto a via dei Lucani, dodicimila metri quadri di degrado, regno di spacciatori nigeriani. L’ultimo rifugio di sbandati senza casa e senza onore.
E allora è normale che se arriva Salvini, lo sciacallo contestato per ruolo e definizione da una cinquantina di oppositori, venga da tutti gli altri, anche da figlie di partigiani, applaudito, osannato, incoraggiato a fare, a intervenire, a tornare con la ruspa, perché lì non si può agire col bisturi.
In ogni caso è lo Stato che deve tornare ad essere Stato, a fare lo Stato, a garantire diritti, protezione e sicurezza, anche se il Questore dice che per “mandare lì una pattuglia, devono toglierla da un’altra parte”

È inconcepibile che una ragazzina di 16 anni che beffa o elude la famiglia, che si prostituisce per ottenere droga, che viene ripetutamente abusata dal branco, dopo averle somministrato un mix letale di sostanze, venga lasciata morire come un cane abbandonato, agonizzante, sulla strada.
Siamo al tramonto totale dei valori e delle regole civili, di ciò che secoli di storia e di cultura ci hanno lentamente tramandato, in fatto di coscienza, condivisione e consapevolezza.
Siamo di fronte a un’ennesima tragedia che da tempo non è più solo privata, ma innegabilmente pubblica e sociale.
L’orrore che avevamo provato ad esorcizzare è diventato una solida certezza.
26 ottobre 2018 (Alfredo Laurano)

mercoledì 24 ottobre 2018

IL LABARO CRUDELE


«Se già appariva assurdo pensare di ricordare la fine (il centenario) della Grande Guerra con un evento, come il Palio di Siena, che ha un lungo passato di morti animali, il fatto che un cavallo sia deceduto proprio in occasione di tale ricorrenza rende la vicenda ancora più paradossale e inaccettabile” - ha commentato la presidente nazionale di Enpa, Carla Rocchi. “Il Palio rappresenta una seria e concreta minaccia per l’incolumità degli animali. Abbiamo perso il conto di quanti ne sono morti o sono rimasti gravemente feriti per una manifestazione anacronistica; una iniziativa che ormai non ha altra ragion d’essere se non quella di farsi strumento di marketing, anche politico». 
Una corsa drammatica, come tante altre, questo straordinario Palio di autunno, di sabato scorso: nove fantini caduti, due dei quali finiti all’ospedale per traumi, più il cavallo gravemente infortunato e abbattuto. Tutto in diretta tv, con immagini choccanti che rimbalzano sui social, scontri e colpi proibiti in piazza, che diventano scatti virali e violenti.
Molti di questi cavalli sono fragilissimi, vengono spinti oltre i limiti, sono iper sfruttati. Prima delle gare vengono sottoposti ad allenamenti intensi e qualcuno parla di doping.
Raol, sauro di 8 anni, cavallo della Giraffa, non ce l’ha fatta. Troppo grave l’infortunio all’anteriore destro e il Palio si ritrova nuovamente sotto attacco. La Procura ha aperto un fascicolo sulla morte del cavallo, per ora senza indagati.
E torna a sparare su Siena anche Michela Vittoria Brambilla: "Penso da sempre che l’Italia potrebbe fare a meno del Palio e che non ci sia nulla di nobile nel maltrattare animali per il divertimento umano perché questa è la tradizione”.

Sul Palio, si sono scritte migliaia di pagine, una vera enciclopedia, per raccontarlo, spiegarlo, capirlo, motivarlo, giustificarlo, condannarlo.
A Siena non è un evento o una festa. Non è una fiera o una manifestazione di folklore e tradizione: è linfa vitale che segue il ritmo quotidiano della vita di contrada. 
La sua lunga attesa e, soprattutto, la vigilia, per i senesi rappresenta la vita o la morte, il buio e la luce, il nulla oltre la vittoria. Gente “matta” che si prodiga per vincere un “cencio” di stoffa in un inseguimento spasmodico di cavalli che corrono contromano, dentro un luogo assurdo dalle curve impervie, denominato Campo, in cui tutto faresti tranne che farci correre dei cavalli, montati “a pelo”, cioè senza sella, da idolatrati fantini. Roba da giostra arcaica del ‘duecento.
Anche se il sindaco di Siena parla di dispiacere di tutta la città che ama e cura i cavalli e li rispetta, in nome della “nostra cultura e tradizione", forse è ora di finirla con questo scempio crudele e senza senso, per il quale i senesi - che molti ritengono ipocriti e privi di qualsiasi traccia di rispetto per i cavalli - vivono al limite della follia, prigionieri di una bigotta cultura medioevale. Se chiedi ad un senese che ore sono, lui ti risponderà che “è l'ora di abbeverare il cavallo”, oppure che è tempo di ritrovarsi in contrada per le prove degli sbandieratori.
È come la corrida in Spagna, uno spettacolo del tutto inutile e violento che interessa solo pochissime persone e serve solo a fare business, sacrificando innocenti animali.
 (Alfredo Laurano)

martedì 23 ottobre 2018

DA TOTO’ A POPPELLA /1638


Sono quasi le sette di una domenica come tante. 
Arriva l’elegante pullman e quarantacinque persone prenotate vi salgono e prendono posto. Tra loro, le nostre cinque amiche, contente e odorose di caffè, appena sorseggiato.
Si va a Napoli per conoscere il quartiere famoso fino a non molto tempo fa per le situazioni di degrado e criminalità nel quale era sprofondato lentamente dopo che il ponte, costruito nei primi anni dell'800 per collegare il centro alla Reggia di Capodimonte, lo aveva tagliato fuori dalla vita della città e lo aveva ghettizzato.
Nessun luogo incarna le contraddizioni di Napoli come il Rione Sanità, situato in una valle e nato come luogo di sepoltura in età greco romana, tra necropoli ellenistiche e catacombe cristiane. Qui la morte e la vita, del resto, si confondono da secoli.

Il quartiere Sanità è sicuramente il più affascinante ed antico della città, che ha saputo dipingere nei secoli il ritratto più autentico di Napoli, con la sua variegata umanità, alloggiata fra vicoli, vicoletti, bassi, balconi e botteghe improvvisate, fra estensioni estemporanee di vita. 
E’ la gente che piaceva a Totò, nato lì, nel vico a lui intitolato (via S. Maria Antesaecula), in una casa molto modesta, con un piccolo balconcino, caratterizzata dai gesti, dalle voci, dai colori, che passano dal sacro al profano e popolano il rione.
Questo era lo spettacolo della vita e Totò ne era lo specchio. E’ lì che iniziò la sua gavetta artistica, il suo primo repertorio umoristico, interprete di quel sapere umano che è la strada, dove la vita si affaccia da un balcone e sorride sotto i portoni, tra la gente operosa e la moina degli scugnizzi. Totò li conosceva bene quei vicoli e si divertiva a imitare quei personaggi, quelle anime stravaganti, con una serie di macchiette che faranno la sua fortuna.

Scopo della gita, organizzata da una nota associazione culturale romana, è proporre la scoperta di una "rinascita", in un'Italia spesso in prima pagina per episodi negativi, che invita a percorrere il "miglio sacro", dalla chiesa di San Gennaro extramoenia a piazza Cavour, con tappe lungo il percorso per visitare la basilica e le catacombe, la basilica di Santa Maria della Sanità, il Cimitero delle Fontanelle, il Palazzo Sanfelice, il Palazzo dello Spagnolo, Porta San Gennaro.
L'emarginazione sociale è tuttavia ancor oggi elevata, così come la disoccupazione, nonostante le potenzialità del rione e le numerose iniziative di recupero e di risveglio sociale, tese a spronare le coscienze dei giovani e a trasformare il ghetto in un polo di attrazione per tutta la città, grazie ai tanti tesori d'arte e di cultura che contiene. 
La camorra rappresenta però un'alternativa di vita per molti e continua ad attrarre parte dei ragazzi, che abbandonano la scuola dell'obbligo, in cerca di facili guadagni e affermazione sociale, tra racket, spaccio, scippi, rapine, borseggi e, ogni tanto, qualche sparatoria in strada o nei locali.
Ecco perché una magnifica giornata, carica di entusiasmo, ricca di interesse, curiosità ed emozioni per luoghi affascinanti e misteriosi, può trasformarsi in un incubo inatteso, in un momento drammatico e imprevisto di violenza, che lascia il segno ed il rimpianto.
Dopo le visite, le spiegazioni della guida, il pranzo alla Taverna di Totò, il caffè e il “fiocco di neve” alla famosa pasticceria Poppella, una delle nostre cinque amiche è stata avvicinata silenziosamente da un giovane con casco, afferrata per un braccio e derubata a strappo del suo orologio d’oro. In un attimo, senza rendersene quasi conto, come accade quasi sempre e da sempre, non solo in quel rione.
Un solo urlo, mezzo strozzato, che ha richiamato gli altri, sparpagliati in libera passeggiata per tornare al pullman. Qualcuno è sceso dai palazzi, l’ha soccorsa e curata dalle escoriazioni e dallo spavento. Poco dopo i carabinieri hanno redatto l’ennesimo, inutile verbale.
Per lo shock, nonostante il conforto delle amiche, la nostra Poppella - la chiameremo così per sdrammatizzare - è rimasta in silenzio per almeno un’ora.
Anche se scontato, non resta che ricordare che prudenza consiglia di non portare preziosi in bella vista, quando si gira in certi luoghi, votati e consacrati a tali attività di appropriazione indebita.

“Attenti agli scippatori”, poiché non li riuscirete a vedere”. Suona più o meno così il senso dell’avviso, in lingua inglese, che qualcuno aveva affisso in via Crocelle, a Porta San Gennaro, che dà l’accesso al Rione Sanità.
 22 ottobre 2018 (Alfredo Laurano)


venerdì 19 ottobre 2018

APARTHEID LODIGIANA


Se la vicenda del sindaco di Riace ha scatenato un considerevole e inatteso clamore mediatico, quella della sindaca leghista di Lodi, per opposti motivi, non è stata meno sorprendente.
Secondo la sua punitiva ordinanza, genitori immigrati, che vivono e lavorano regolarmente da anni in Lombardia, con i documenti in regola e tasse pagate, per poter usufruire delle agevolazioni scolastiche, bus e mensa, per i propri bambini nati in Italia, non possono autocertificare la loro condizione economica, ma devono produrre documenti originali del loro Paese di origine, che dimostrino che non posseggono redditi o beni immobili. Dovranno andare fino in Pakistan o nelle Filippine, con costi insostenibili o attendere mesi e mesi che qualche solerte funzionario lo attesti. Oppure recarsi in Siria e chiedere alle fazioni in guerra che mettano un timbro sulla loro casa bombardata in una città distrutta. Così è stato disposto dall’amministrazione comunale di Lodi.

Tutto ciò ha prodotto un’apprezzabile e convinta reazione popolare.
Accanto ai cittadini più feroci, egoisti e intransigenti, favorevoli all’iniziativa di quella sindaca che hanno evidentemente votato ed eletto, ne sono comparsi tanti altri, profondamente indignati, che hanno fatto una colletta e raccolto in pochi giorni 145mila euro da destinare alla copertura delle spese del servizio per le famiglie più indigenti. Con i soldi raccolti, potranno pagare la differenza tra quanto avrebbero pagato in base al loro reddito Isee e la tariffa massima, per di più aumentata, almeno fino a dicembre prossimo.
La discriminazione aveva penalizzato tutti i bambini figli di immigrati che non potevano accedere al servizio e pranzare con i loro compagni, ma costretti a mangiare un panino, preparato dalle mamme, in un’aula a parte che li emarginava. Ora, circa 180 bambini stranieri torneranno a mensa con tutti gli altri.
Non solo esempi di ordinario, congenito razzismo, ma anche sprazzi di generosità, solidarietà e vicinanza, nell’Italia che preferiamo.
Dopo settimane di polemiche e proteste, di pressione mediatica e ore e ore di presidio sotto la sede comunale, di rifiuti di dialogo e risposte da parte di una giunta arrogante e desaparecida, da oggi a Lodi è tornato uno spicchio di umanità.
(Alfredo Laurano)


IL SINDACO CLANDESTINO


L’unica differenza con quello che veniva decretato nell’epoca fascista è che Mimmo Lucano, già sindaco di Riace, ha potuto scegliersi la sede del suo “confino”. Come non accadeva con i socialisti, gli anarchici, gli antifascisti e tutti i dissidenti che, d’imperio, il regime mandava in vacanza in qualche isola, tipo Ponza, Ustica o Ventotene, o tipo landa sperduta, come Eboli o Pisticci.
Revocati i domiciliari, gli è stato infatti imposto il divieto di dimora: non potrà indossare la fascia tricolore e continuare a lottare per il suo progetto di integrazione che tutto il mondo studia e un po’ ci invidia.
Gli è stato detto di andar via e lui l’ha fatto, alle 4 del mattino. All’alba come fanno i latitanti, i mafiosi, i boss più importanti.
La sua massima colpa è avere e aver avuto in testa un’illusione: cambiare il mondo sotto il profilo dell’integrazione e della solidarietà, partendo da quel piccolissimo borgo, noto al resto dell’umanità, per quei due guerrieri di bronzo strappati al mare, qualche tempo fa.
Riace, il suo sindaco e il suo modello di accoglienza, sono ritenuti da molti il regno del malaffare, come un’appendice di Cosa Nostra e, nello stesso momento, paradiso in terra per i migranti. Anche se un Gip (giudice per le indagini preliminari), a differenza del Pm, ritiene che buona parte delle accuse rivolte a Lucano e alla sua “banda degli onesti” siano campate in aria.
il punto centrale della questione sembra comunque essere: distruggere il modello, piegare il suo principale motore, sottrargli forze, tenacia e consensi, costringerlo in ginocchio, sconfiggerlo definitivamente.
E allora lo liberano, ma lo mandano via. Non deve più stare nella sua casa e nella sua cittadina, frequentare vicoli e piazze, parlare con la gente, fermarsi al bar a scambiare due chiacchiere con i calabresi nati qui e con i nuovi calabresi nati dall’altra parte del Mediterraneo
Mimmo il clandestino deve sparire.
La Magistratura, ricordiamolo, è però indipendente è quindi sono solo coincidenze, certamente non volute dal potere politico e indirizzate dai governi. E noi tutti ci crediamo.

Anche se le perplessità si stanno trasformando in certezze. Sempre più questo caso di cronaca giudiziaria si fa politico, soprattutto perché rischia di diventare un ostacolo insormontabile al progetto leghista di distruggere i flussi migratori.
Il sindaco esiliato ha sfidato la legge a fin di bene, anche se l’impianto accusatorio è ancora tutto da verificare, in un momento in cui, la legalità è altresì oltraggiata da misure legislative e amministrative vessatorie e discriminanti, come, ad esempio, nel caso Lodi.
 Alberto Melis ci sottopone questa riflessione: “se aiuto un ambulante acquistando la sua merce, io so benissimo che infrango una norma, ma di fronte al fatto che quell’ambulante è magari un immigrato etiope le cui rimesse sottraggono letteralmente la propria famiglia alla malattia e alla fame, il mio infrangere la legge mi aiuta ad essere nel giusto, facendo la mia piccola parte, disposto anche a pagarne le conseguenze, se occorre.”
Per tutto questo, non c’era motivo di trattare Lucano come un mafioso e mandarlo al confino.
(Alfredo Laurano)

mercoledì 17 ottobre 2018

RIFIUTI URBANI


“M’avanzano un paio di migranti, te li lascio qui, sulla strada, in terra italica, a pochi passi dal confine!".
Senza nemmeno chiedere: “so’ vostri, questi?”. Manco fossimo una discarica umana e sociale, non autorizzata.
Un mezzo della polizia francese è stato fotografato quattro giorni fa dalla Digos mentre faceva scendere due uomini in una zona boschiva, sulla strada che da Claviere conduce a Cesana, in alta Val di Susa. I gendarmi hanno scaricato i migranti e con eloquenti gesti delle mani, li hanno mandati via. Si sono inoltrati nei boschi, mentre il furgone è ripartito in direzione del confine. Il materiale è stato consegnato in Procura a Torino che indaga.
Lo sconfinamento della polizia francese, oltre a essere un fatto irregolare in sé, sarebbe una violazione degli accordi internazionali per la riammissione ed espulsione degli immigrati, in applicazione del trattato di Dublino.
Un nuovo caso diplomatico, quindi, dopo quello di Bardonecchia del marzo scorso, quando cinque doganieri transalpini fecero irruzione in una sala utilizzata da una Ong e perquisirono alcuni stranieri.
Secondo la Francia, si tratta di: “deplorevole errore, i gendarmi non conoscevano il luogo, in quanto arrivati, solo pochi giorni fa nelle Alte Alpi. Sono entrati in territorio italiano in circostanze che richiedono un chiarimento.”
Quest’altro episodio rischia ora di inasprire le tensioni sul confine tra Italia e Francia che proseguono ormai da tempo.

Matteo Salvini, che non aspettava altro, ha già fatto sapere che “se qualcuno pensa davvero di usarci come il campo profughi d’Europa violando leggi, confini e accordi, si sbaglia di grosso. Siamo pronti a difendere l’onore e la dignità del nostro Paese in ogni sede e a tutti i livelli. Pretendiamo chiarezza, soprattutto da chi ci fa la predica ogni giorno, e non guarderemo in faccia a nessuno”.
Oggetti, pacchi, vuoti a perdere, rimanenze di magazzino, questi extracomunitari di confine sono privati di ogni dignità umana: spostati, scaricati e abbandonate di nascosto, come merci scadute, inutili e ingombranti, anche da chi è e rappresenta le istituzioni e la presunta legalità.
E senza nemmeno pagare la Ta.Ri, la tassa sui rifiuti.
 (Alfredo Laurano)

martedì 16 ottobre 2018

BAMBOLI E PUPAZZI


Barbara Carmela D’Urso, la regina del trash, lo invita, lo pubblicizza, lo promuove e ci costruisce spettacolo circense e intere trasmissioni vomitevoli.
Sedicenti opinionisti, affetti da manie di grandezza e degrado subculturale, ne parlano, lo giudicano al limite e al netto del non solo proprio, ma anche comune, vuoto esistenziale.
Tutti starnazzano in quel pollaio senza rete e protezione, tutti sguazzano nella profonda indegnità dell’intrattenimento stupido, del gossip da periferia abbandonata e nell’intollerabile abuso della credulità popolare.
Insomma, un’offesa all’intelligenza umana, vilipendio ai valori dell’evoluzione.

La polizia tedesca, invece, e sempre sia lodata, lo arresta a Berlino perché il cosiddetto 'Ken Umano' non assomiglia affatto alla foto sulla carta d'identità.
Rodrigo Alves, l’uomo (si fa per dire) che si è sottoposto a più di 50 interventi estetici (425mila euro) per somigliare al pupazzo fidanzato di Barbie è divenuto famoso per essersi completamente trasformato, mediante ripetuti interventi di chirurgia in varie parti del viso, completamente stravolto, e del corpo, apparentemente umano, ma imbottito di quintali di plastica, come l’uomo moplen di una volta: qualcuno lo ricorderà nei Caroselli di Gino Bramieri.
Purtroppo, l’equivoco pupazzo dalle sembianze vagamente androgine, è stato presto rilasciato, dopo gli accertamenti del caso.

In compenso, e per nostra fortuna, ce n’è un altro di questi cosiddetti Ken, un bambolo civitavecchiese, emulo del suo modello britannico, di origini brasiliane, ancora e di nuovo a piede libero.
Anche costui, Angelo Sanzio, 29 anni sprecati, giovane “esteta amante dell'arte, dello spettacolo e dell'armonia” (così si definisce), sulla carta creatore di essenze e di profumi, è volto già noto alle cronache e ai programmi spazzatura di donna Carmela: molteplici le sue apparizioni tv, ma non tante, quante le svariate operazioni di chirurgia estetica, cui si è sottoposto, per arrivare a somigliare il più possibile al celeberrimo compagno di Barbie.
Ma che è ‘na malattia, un’epidemia causata dalle polveri sottili?

L’Italia, comunque la pensiate, ha quindi ufficialmente il suo Ken umano che si è sottoposto a diversi " ritocchini per inseguire la perfezione". Ha rifatto naso, labbra a canotto (modello Alba Parietti), zigomi, mento, trapianto capelli e ora vorrebbe rifare anche le chiappe.
“Ho dato un valore aggiunto al mio viso. Labbra enormi? Sono bellissime, me le invidia il mondo. Non vado in vacanza, non esco con gli amici o il sabato sera perché lavoro sempre, ai miei profumi. Mi sono creato un personaggio che mi viene riconosciuto dalla televisione e in Italia, in generale”.

Casi umani da trattare con indulgenza, comprensione, tatto e necessaria oculatezza. Quando non si riesce a stare in sintonia col mondo, quando la testa non riesce a far pace con il corpo e l’equilibrio psicofisico vacilla, si hanno manifestazioni simili, che non sono solo spettacoli comici o da baraccone, ma disagi emozionali che possono portare al caso clinico freudiano o alla pazzia.
Questi uomini (e relative donne, ancor di più) di plastica, di protesi, silicone e botulino, sono tuttavia anche simboli di una decadenza storica ineluttabile, fenomeni deviati di folklore e di costume, icone inespressive e vane della società ipertecnologica contemporanea.
Forse, cedendo al rigore e all’intransigenza, andrebbero rinchiusi per non fare ulteriori danni alla comunità e proseliti fra i giovani o buttati nel bidone dell’indifferenziata non riciclabile, da smaltire e avviare alla discarica.
Anche perché, pur rivendicano il loro diritto a disturbare, occupano inutilmente spazio nel pianeta e consumano immeritatamente ossigeno.
14 ottobre 2018 (Alfredo Laurano)


sabato 13 ottobre 2018

SENTENZE


Tre sentenze, in questi giorni, hanno fatto giustizia in tre brutali casi di omicidio.
Il giovane assassino di Noemi Durini, uccisa nel settembre dello scorso anno nel Leccese, è stato condannato, con rito abbreviato, per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dai futili motivi, soppressione di cadavere e porto d'arma. Il corpo della ragazza, abbandonata ancora viva, fu scoperto solo dopo dieci giorni sotto un cumulo di pietre in una campagna di Castrignano del Capo.
La pena è di 18 anni e 8 mesi di carcere.
"Non potrò mai perdonarlo, bisogna dargli l'ergastolo", aveva detto Imma Rizzo, la madre di Noemi Durini prima della sentenza. E la pubblica opinione è assolutamente d’accordo.

A Mestre, è stata pronunciata la sentenza d’Appello per il caso di Isabella Noventa, I giudici hanno confermato quella di primo grado: i fratelli Sorgato sono stati condannati a trent’anni, mentre la loro coimputata Manuela Cacco, “la tabaccaia”, ha ricevuto 16 anni e 10 mesi.
Resta il fatto che del corpo della povera impiegata padovana, scomparsa nel gennaio 2016, continua a non esserci traccia. Sembra che la donna sia completamente sparita nel nulla e i supporti della tecnologia utilizzati in oltre due anni e mezzo di ricerche sono risultati del tutto vani.
Anche questa sentenza, come quella di primo grado, con rito abbreviato, appare ai più piuttosto mite, visto che gli assassini non hanno nemmeno rivelato dove abbiamo buttato il corpo della vittima e sono responsabili anche della morte del poliziotto sub, annegato nel corso delle ricerche nel fiume Brenta.

Se nessuno ha dubbi su questi casi che hanno riempito le recenti cronache, qualcuno ne ha su quello di ieri sera, dove la Cassazione ha confermato l'ergastolo per Massimo Bossetti, condannato in primo e secondo grado per l'omicidio di Yara Gambirasio, la giovane ginnasta di 13 anni il cui corpo venne trovato il 26 febbraio 2011 in un campo a Chignolo d'Isola, nella Bergamasca, a tre mesi dalla scomparsa.

Per la giustizia italiana, dunque, Bossetti, carpentiere di Mapello, 48 anni, in carcere dal 16 giugno del 2014, è, in via definitiva, l’assassino di Yara. La sua colpevolezza è stata provata "al di là di ogni ragionevole dubbio. Bossetti non ha avuto nessun moto di pietà e ha lasciato morire Yara in quel campo”.
La difesa, con gli avvocati Salvagni e Camporini, aveva presentato ricorso contro la sentenza pronunciata dalla corte d'assise d'appello di Brescia del luglio 2017, con 23 motivi di ricorso, in 600 pagine, molti dei quali riguardavano la formazione della prova principale, il dna.
Sarebbe stato condannato sulla base di questa prova, ottenuta, però, fuori da un contraddittorio, caratterizzata da un numero incredibile di anomalie. “Si tratta di una prova in se stessa contraddittoria, su cui la difesa non ha potuto fare alcuna perizia”.
Quello che tutti si chiedono è perché, pur essendoci ancora materiale biologico, come riferito degli stessi consulenti del pm, per effettuare una nuova perizia genetica, questa possibilità è stata ostinatamente negata.
Tre le altre anomalie: le fibre rinvenute sulla vittima sarebbero compatibili con quelle del furgone di Bossetti, ma anche con migliaia di furgoni uguali.
Perché il passaggio dello stesso mezzo, ripreso dalle telecamere, non è stato ripetuto con quello dell’imputato? Perché qualcuno, intercettato in trattoria, avrebbe parlato del rapimento di Yara, molto prima che si sapesse ufficialmente? Perché non stati indagati altri possibili responsabili?

Alla base, un impianto accusatorio senza precedenti in Italia, per il quale sono stati analizzati oltre 18.000 profili genetici, con una spesa di milioni di euro. 
E, di conseguenza, il circo mediatico-giudiziario ha fatto la sua parte.
Un colpevole, un mostro doveva necessariamente esserci.

La vita della famiglia Bossetti è stata scandagliata senza pietà, le donne di casa trattate come poco di buono, il padre, gravemente malato, fino alla morte, schernito come un povero becco. Del condannato sappiamo tutto, della sua abbronzatura, delle sue abitudini sessuali, del rapporto con la moglie, con la sorella gemella e con la madre, morta pochi mesi fa.
Ma non sappiamo come e perché avrebbe rapito e ucciso Yara.
E, soprattutto, perché si sia a lungo ostinato a chiedere quella seconda perizia che, nel caso di conferma, lo avrebbe definitivamente e totalmente inchiodato alle sue responsabilità.
 (Alfredo Laurano)



venerdì 12 ottobre 2018

NEMMENO IL GREMBIULINO E LA CRESTINA!


Spolverare, pulire, stirare, scopare (il pavimento), passare l’aspirapolvere, lavare i piatti: classici servizi di una colf. Ma, in questo caso, ci informa Dagospia, Anna, che ha 24 anni, che lavora in un ufficio e che negli ultimi mesi ha deciso di arrotondare lo stipendio, li fa completamente nuda.
Fa parte dell’agenzia Naturist Cleaners, con sede a Londra,che fornisce colf senza veli e di bella presenza, per 50 euro l’ora, a clienti che amano vedere una donna che fa le pulizie, in giro per casa, completamente svestita, anche se, spesso, gli appartamenti sono già molto puliti.

Ovviamente il servizio prevede certe regole.
Una volta entrata in casa, la collaboratrice ha l’obbligo di chiedere al cliente se ci sono altre persone nell'abitazione (chi richiede il servizio deve essere solo) e deve comunicare all’agenzia l’orario di ingresso e di uscita.
Non si tratta di una prestazione sessuale, ma solo di pulizia per nudisti. “La maggior parte delle persone, racconta la giovane, ama parlare (non può far altro) mentre io faccio le faccende domestiche.”
Non si possono assolutamente sfiorare le hot colf che, molto professionalmente, comprendono e non si arrabbiano se qualcuno si eccita durante “le manovre”:
è una normale, possibile reazione di fronte al corpo di una donna ignuda, che si sporge, sale su una scala, raccoglie oggetti da terra, si inginocchia per arrivare agli angoli.
Non si possono registrare video o scattare foto: si può semplicemente guardare e non toccare, come un voyeur legittimato che paga e si appaga.

Umiliante, degradante, offensivo, discriminante per la donna?
In tempi di crisi occupazionale e di guadagni, di molestie esplicite, di abusi, stupri e forme varie di violenza, qualcuna non ci fa più caso.
Dopotutto, la colf desnuda sta facendo il suo lavoro, anche se sotto forma naturista.
(Alfredo Laurano)

giovedì 11 ottobre 2018

ACQUA SANTA E BENEDETTA, ICONA DI PUREZZA


Vorrei proprio vederlo quello che ha il coraggio e l’impudenza di comprare, a 8 euro la bottiglia da 0,75 (circa 11 euro al litro), l’acqua brandizzata da Chiara Ferragni. Quella che “Il Sole 24 Ore” definisce fashion blogger, influencer tuttologica, già sposa branded content del rapper Fedez, nell’unico matrimonio in cui, accanto ai testimoni, sedevano i testimonial.
Costei, icona della moda del ventunesimo secolo, ha firmato una serie limitata di bottiglie di acqua Evian, appunto da 8 euro al pezzo. La campagna è di grande attualità grazie ai social, alle foto del prodotto in scaffale che fanno il giro del web e alle conseguenti polemiche.
Acqua quasi santa e benedetta, icona di purezza, ode alla libertà e alla giovinezza dello spirito: la visione grafica della bottiglia che incarna la famosa filosofia "Live Young" di Evian, con disegni subliminali di fantasia e un contenuto che non vale praticamente nulla, trasuda la gioia di vivere che è il segno distintivo della blogger più ricca del mondo.

La sua acqua firmata, imbottigliata negli stabilimenti francesi e proposta ovviamente in edizione limitata, è da tempo nel catalogo delle “acque minerali di lusso”. Tra le top: Veren a 11, Vichy Catalan 9,5, Armani 8,4 (più il costo di spedizione).
In pratica costano scandalosamente più di un buon vino e dell’olio extravergine di oliva, che richiedono tanto lavoro, competenze, spese e sacrificio.
Tutto ciò è ancora più assurdo, perché parliamo di un prodotto che nel panorama alimentare ha un costo della materia prima praticamente vicino allo a zero. Ma in questo gioco dell’assurdo non c’è da stupirsi.
Noi italiani, pur avendo una rete di acquedotti pubblici di buon livello, consumiamo 14 miliardi di litri di acqua minerale ogni anno (206 litri pro capite), e questo ci colloca al secondo posto nel mondo.

Anche il Codacons si schiera contro l'acqua firmata Ferragni: “Vendere una bottiglia di normalissima acqua da 0,75 litro a 8 euro è un fatto non solo immorale, ma potenzialmente illegittimo. Esiste infatti in Italia una legge, la 231/2005 che prevede il contrasto dei prezzi anomali nel settore alimentari”:
Ma quanto è educativo, soprattutto per i giovani, accostare un bene di prima necessità, da cui dipende la vita di miliardi di persone, alla logica della merce rara e di lusso che solo pochi possono permettersi?
Per Evian e la testimonial, certamente lo è, anzi, più se ne parla, più si critica e moralmente si condanna, più aumenta il business di chi sfrutta la conseguente pubblicità spontanea di ritorno. Gli affari non conoscono l’etica.
È comunque un insulto a tutti quelli che nel mondo muoiono di sete o non hanno accesso all’acqua, bene primario assoluto, o si fanno dieci chilometri a piedi per riempirne un secchio.

Invece, Chiara Ferragni è come Re Mida: tutto ciò che tocca diventa oro, acqua compresa.
Io, quella bambola o quella slot machine che produce solo soldi e ricchezza per il suo impero, in quell’acqua ce l’affogherei.
Metaforicamente, s’intende.
10 ottobre 2018 (Alfredo Laurano)