Tra una lite e l’altra
nel governo
giallo-rosa, 19.000 mila teste votano nella piattaforma Rousseau di candidare
propri esponenti nelle regionali di Emilia-Romagna e Calabria, nel prossimo
gennaio. E lo fanno contro la scelta di Di Maio, che voleva rinunciare, e ben sapendo
che i risultati avranno percentuali da prefisso telefonico.
Lo
dicono i sondaggi, la logica e la precaria condizione del Movimento che non ha
e non ha mai avuto un’anima, un’identità precisa, soprattutto negli ultimi
tempi: autolesionismo, masochismo, voglia di soffrire e farsi del male, fino
alla possibile, se non probabile estinzione.
La
prima grande botta, come sostiene Paolo Flores d'Arcais, l’hanno presa quando
hanno scelto l’accordo di governo con Matteo Salvini.
Fino a quel momento, grazie al grido di “onestà”
e nella sua ambiguità
di essere “oltre”, il M5S si appiattiva su una forza coerente, appunto la Lega,
con il suo essere “né carne, né pesce”.
Con
una campagna elettorale scandita da quella invocazione, fattasi bandiera, incentrata
sulla lotta alle diseguaglianze, alla corruzione, alle mafie, alla spartizione
partitocratica di Rai e altri enti a nomina politica, otteneva quasi undici
milioni di suffragi, il 32,68% alla Camera e il 32,22% al Senato.
Ma,
contro ogni logica e ogni decenza, contro le attese dei suoi tanti delusi elettori
di Sinistra, Di Maio si accordava con Salvini in un’alleanza obbligata e fatale,
per spartirsi le poltrone nel governo Conte (1 giugno 2018), e, un mese dopo,
un sondaggio Ipsos dava la Lega già sopra il M5S, che rapidamente sarebbe
tracollato perdendo un elettore su due (17,2% alle europee del maggio 2019). Era
ovvio, prevedibile e scontato.
Conclusa
al Papeete l’esperienza abominevole, per volontà suicida di Salvini, Di Maio,
per assoluta e sola necessità - evitare il voto che avrebbe incoronato lo
stesso Salvini, Imperatore - ruota il timone dallo strapotere del capitano
leghista al sorridente e pacioso Zingaretti, con il nuovo governo Conte due. Risultato
delle elezioni in Umbria: il M5S al 7,4: mai più candidati comuni alle
Regionali, in Emilia-Romagna e in Calabria andiamo da soli, anzi non ci andiamo
per niente.
Ma,
come già detto, Rousseau non è d’accordo.
La
dissoluzione e l’estinzione del M5S è in corso e non può essere fermata. Perché
le sue ragioni strutturali, pur quando il MoVimento mieteva i suoi primi
successi, non avevano sostegno, né speranza: l’assurda pretesa di non essere né
di Destra né di Sinistra, né di avere una riconoscibilità chiara ed immediata,
non sono solo un vezzo ideologico, che quasi tutti ritengono superato e antico,
ma sono prerogative sostanziali dei valori e degli interessi di riferimento, in
uno schieramento-contrapposizione che, da una parte, difende privilegi e
promuove illibertà (Salvini, Meloni, Berlusconi e l’ambiguo Renzi, in versione equidistante),
dall’altra promuove eguaglianza, diritti e libertà.
Ogni
politica fa pendere la bilancia su uno dei due versanti. Non esiste l’interesse
e il bene generale che accontenta tutti: il mantello sociale serve a proteggere
i privilegi indirizzando la rabbia popolare su capri espiatori - migranti,
ebrei, diversi e non garantiti - anziché sulle vere radici di classe.
Solo
se oggi riuscisse a convertirsi nell’unica forza socialista di
giustizia e libertà, che manca nella geografia della politica organizzata, il
M5S potrebbe avere un futuro, essendo tutti gli altri spazi compiutamente
occupati e sovrapposti.
Ma
sarà difficile, perché non si fa politica sana senza una tradizione e una
continuità storica, senza una coscienza di classe e ambientalista, senza un
impegno quotidiano e integrale nella società civile.
Non
si fa sfruttando i riflessi di una cultura basata sui social, sulle polemiche e
le ripicche, sugli slogan, sui like e sui pochissimi numeri della magica roulette
di Rousseau.
Ma,
magari, per smentirmi, lo farà Di Battista, El
Che fatto in casa che amava il legno e il Guatemala. E, forse, anche i Beatles
e i Rolling Stones.
(Alfredo Laurano)