domenica 27 settembre 2015

L'UOMO CHE VOLEVA LA LUNA

Addio compagno scomodo.
Addio uomo che volevi semplicemente la luna.
Addio uomo giusto che in quel libro avevi raccontato e ripercorso, con calore e passione, le vicende della tua esistenza, tra vita politica e risvolti privati, tra drammi e speranze, tra battaglie e diritti. Un intreccio, efficace ed evocativo, di memoria individuale e di ricostruzione storica.
Pochi mesi fa ti facevo gli auguri per il tuo secolo di vita.
Pietro Ingrao, 100 anni di lotte e di pensiero, di coerenza, di rigore morale, di passione, ma anche di dubbi e di dissenso, in una lunga militanza politica.
Non a caso, si è spesso definito un "acchiappanuvole", per testimoniare la propria adesione al sogno e all'utopia. 
Pietro Ingrao, un grande padre della sinistra, che ha attraversato il '900, con il suo carattere sanguigno, con determinazione e col piglio del leader carismatico, amato da molti, rispettato da tutti. 
La sua figura è stata fondamentale almeno quanto quella di Togliatti e Berlinguer.
Come loro, ha dedicato la vita a un ideale, con la mente del pensatore, dell’ideologo poco appariscente, ma di tanta sostanza. 
Un vero mito, fra tante mezze figure di sbruffoni, di incapaci, di arrivisti, di millantatori e spacciatori di promesse e di bugie.

Oggi ci ha lasciato. E forse ha raggiunto la sua luna.
Nella sua autobiografia, scriveva: “Noi, pur sconfitti, abbiamo vissuto un'esperienza straordinaria. Oggi, a volte, l'orizzonte della politica mi sembra diventato più piccolo e angusto".
Ha vissuto i suoi cento anni in un’altra dimensione, quella della vecchiaia e del riposo, dolcemente blindata dai rapporti con figli, nipoti e amici, che lo informavano e lo seguivano con affetto e delicatezza.
La sua esistenza era serena, lontana dall’ attualità e dalle volgari vicende quotidiane, fatte di scandali e corruzione. 
Qualche tempo fa aveva così riassunto la sua condizione, il suo stato d'animo e la sua predisposizione rispetto al tempo presente: "mi piacciono troppe e disparate cose della vita e, con gli anni, questa disposizione si è acuita. Perciò siate gentili con la mia vecchiaia..."
La politica, per sua fortuna, era ormai solo un rumore di fondo.
Addio, grande Pietro!
27 settembre 2015 (Alfredo Laurano)

sabato 26 settembre 2015

IN GOD WE TRUST

Dal Brasile alla Terra Santa, dalla Corea del Sud alla Turchia, dalle Filippine al Sud America: sempre accolto da grandi folle e bandierine, da canti e riti popolari, da santini e persone in costume locale, spesso in attesa per ore sotto il sole, o dormendo in tenda o addirittura sulle sedie preparate, in vista della messa.
Fra suore e frati che ballano e cantano per le strade, doni tradizionali, fiori e pizze al suo passaggio, selfie a non finire e bambini tirati al volo, per un bacio o una carezza.
Dappertutto, ovazioni, tripudio e visibilio.

Francesco spopola nel mondo.
Subito dopo Cuba e l’abbraccio caloroso dei cubani nella terra della rivoluzione, a bordo di una fiammante Cinquecento Fiat e con in mano la sua personale borsa vintage da seminarista di provincia, è arrivato anche “nella terra dei liberi e nella casa dei valorosi”.
Ha incontrato prima Obama e Michelle alla Casa Bianca, davanti a una folta schiera di privilegiati invitati, e ha poi tenuto un impegnativo discorso al Congresso degli Stati Uniti, il primo nella storia di un pontefice.
Francesco si è rivolto al popolo americano dalla sua sede più rappresentativa, di fronte a due schieramenti che si dividono su tutto: clima, immigrazione, riforma sanitaria, contraccezione, pena di morte.
Da quell'arena che oggi gestisce uomini e cose, ricchezza e libertà e dalla quale partono i segnali di controllo, dominio, equilibrio e destabilizzazione del mondo, ha ricordato il sogno americano che, negli ultimi secoli, ha visto milioni di persone giungere in quella terra per inseguire proprio quel sogno di costruire un futuro in libertà.
Lo ha rievocato e descritto perché: “quel sogno è ancora vivo e continua a ispirarci. Sono i sogni che conducono all'azione, alla partecipazione, all’impegno, come è stato per alcuni grandi americani": Abraham Lincoln, Martin Luther King, Dorothy Day e Thomas Merton. Quattro americani che, nonostante la complessità della storia e la realtà della debolezza umana, sono stati capaci -  con duro lavoro e sacrificio, con tutte le loro differenze e i loro limiti, alcuni a costo della propria vita - di costruire un domani migliore e di dar forma a valori fondamentali per l’umanità.”
Francesco ha parlato di giovani, di famiglie, di immigrati, di ambiente, di estremismo, del commercio di armi, di abolizione globale della pena di morte, perché ogni vita è sacra e ogni persona è dotata di una inalienabile dignità.
"Dobbiamo essere particolarmente attenti ad ogni forma di fondamentalismo, di qualsiasi genere. È necessario un delicato equilibrio per combattere la violenza perpetrata nel nome di una religione, di un'ideologia o di un sistema economico, mentre si salvaguarda allo stesso tempo la libertà religiosa, la libertà intellettuale e le libertà individuali, ma dobbiamo anche guardarci dalla tentazione di imitare l’odio e la violenza dei tiranni e degli assassini perché è il modo migliore di prendere il loro posto.
 Essere al servizio del dialogo e della pace significa anche essere veramente determinati a ridurre e, nel lungo termine, a porre fine ai molti conflitti armati in tutto il mondo. Perché armi mortali sono vendute a coloro che pianificano di infliggere indicibili sofferenze a individui e società?
Purtroppo, la risposta, come tutti sappiamo, è semplicemente per denaro, denaro intriso di sangue, spesso innocente. Davanti a questo vergognoso e colpevole silenzio, è nostro dovere affrontare il problema e fermare questo traffico.
Se la politica è al servizio della persona umana, non può essere sottomessa all’economia e alla finanza, perché è espressione del nostro insopprimibile bisogno di vivere insieme, per poter costruire uniti il più grande bene comune.”
Trentasei lunghi applausi lo hanno sostenuto in tutto il suo discorso.

Ma domani è un altro giorno.
Il Papa rientrerà a Roma e tutto, probabilmente, tornerà come prima.
Gli americani che gli hanno tributato una vera standing ovation - anche tra la festante folla assiepata nei prati all’esterno al palazzo - si spartiranno le sue parole per utile propaganda e se ne approprieranno per sfruttarle elettoralmente al meglio, ma sarà molto difficile che limiteranno l'uso delle armi, che aboliranno la pena di morte o supereranno le varie forme di razzismo, di pregiudizi etnici e di residua apartheid politica e civile.
Di fronte al mondo, hanno offerto un grande spettacolo di ospitalità, di commozione e di viva partecipazione, ma la lezione di Francesco - così intensa, così sentita, così utopistica - forse non la capiranno e non la accetteranno, soprattutto nella parte dei conservatori repubblicani, perché troppo distante dalla loro ideologia.
Anche se per qualcuno - per esempio, gli integralisti cattolici che lo attaccano in ogni occasione, per difendere più i propri privilegi, che la fede cristiana - tale monito viene da un Papa chiacchierone, sguaiato e populista, non proprio timido, pacato e riservato come chi lo ha preceduto.
25 settembre 2015 (Alfredo Laurano)


lunedì 21 settembre 2015

DOMENICA E’ SEMPRE DOMENICA

Che domenica bestiale: 
Tsipras e Syriza rivincono in Grecia;
Cuba, Fidel e Che Guevara abbracciano e ringraziano papa Francesco, che il sommo guerrafondaio Luttwak ha definito estremista;
in Turchia, tanto per cambiare usi e modalità della tragedia, un traghetto sperona un gommone di migranti e ne ammazza una trentina;
la Ferrrari vince a Singapore;
Totti segna il trecentesimo gol (un po’ in fuorigioco) e lo dedica ai suoi figli in tribuna e in maglietta commemorativa;
a Jesolo, con Luxuria e la Ventura, è stata eletta un’altra Miss Italia;
Di Battista va all’Ikea per rifarsi la stanzetta;
Berlusconi ci fa sapere che non farà più comizi perché è in testa alla lista dei bersagli preferiti dell’Isis e che sta studiando con l’amico Putin come distruggere i terroristi islamici;
Renzi e la sua ancella preferita continuano a romperci le palle con la finta riforma del Senato, che a nessuno interessa, perché gli Italiani vogliono abolirlo, non modificarlo per creare un altro inutile e nominato poltronificio;
Salvini per un giorno tace e diserta le felpe, le ruspe e le TV…
e San Gennaro...?
Pure stavolta, il miracolo l’ha fatto, anche se non c'è stato  bisogno di scuotere l'ampolla perché il sangue era già liquefatto, come ha detto alla folla il cardinale Sepe.
Per i napoletani, non è un segno propizio il mancato scioglimento, ma  un possibile presagio di sventura.
Infatti, è andato a fuoco lo yacht del povero De Laurentis, ma il suo Napoli non è affondato, anzi, per consolarlo e per smentire ogni triste premonizione, ha rifilato cinque gol alla malcapitata Lazio.
21 settembre 2015 (Alfredo Laurano)





sabato 19 settembre 2015

TISSOCHE? NON È VERO, MA CI CREDO

Si racconta che il 19 settembre del 305, durante la persecuzione di Diocleziano, Gennaro, vescovo di Benevento, fu decapitato con altri compagni nella Solfatara di Pozzuoli. Secondo altre fonti, fu invece destinato ai leoni.
Qualunque sia la versione ufficiale, si dice che la sua nutrice ne raccolse il sangue, secondo una tradizione molto diffusa, che caratterizzava l’atteggiamento dei fedeli nei confronti dei martiri.

Le cerimonie in onore di san Gennaro furono istituite però nel 1337 dall’arcivescovo di Napoli, ma solo nel 1389, il fenomeno della liquefazione venne documentato per la prima volta: da allora, si sono verificate circa undicimila scioglimenti, in condizioni ambientali e culturali molto diverse.
Da quel momento e da sempre, per Napoli e per la comunità partenopea, San Gennaro è più di un’istituzione, è un fatto culturale che va ben oltre la semplice devozione per il santo protettore. E' un sentimento viscerale e condiviso che, nel corso dei secoli, ha superato divieti e restrizioni, rafforzando sempre più il suo culto.
Con venticinque milioni di devoti sparsi in tutto il mondo, è il santo cattolico più famoso e conosciuto nel mondo, nonostante sia considerato dalla chiesa un po’ di "Serie B". Comunque, guai a metterlo in discussione.

La scienza ci dimostra come il sangue umano, se sigillato in vitro per un certo periodo, solitamente si coaguli, senza più tornare al proprio stato liquido. Ma anche quando dovesse rompersi il coagulo, con conseguente liquefazione, ciò potrebbe avvenire una tantum, senza alcuna possibilità, dunque, di ulteriore ritorno alla stato iniziale.
Il liquido custodito in un’ampolla nel Duomo di Napoli, invece, continua, nel corso dei secoli, a solidificare ed a liquefarsi più volte, senza entrare mai a contatto con l’aria.

Il “miracolo”, fra riti, messe e processioni che si celebrano in abbondanza, anche alla sua vigilia, si replica due volte l'anno e oggi, 19 settembre - data del sacrificio del vescovo Gennaro - si prova a ripeterlo. Alcuni devoti sono in attesa già dalle primissime ore del mattino per assistere all'evento.
A confine fra religione e superstizione, fra scaramanzia o folclore, è importante che il prodigio si confermi, altrimenti “porta male” e si diffonde un profondo pessimismo in tutta la città.
Nel 1991, il chimico Luigi Garlaschelli, responsabile scientifico del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), spiega l’enigma con l’ipotesi della tissotropia, proprietà di alcune sostanze gelatinose di diventare più fluide, fino a passare dallo stato solido a quello liquido, se fatte vibrare o sottoposte a movimenti e oscillazioni, comunque turbando la loro condizione con sollecitazioni meccaniche, per poi tornare a quella precedente, se lasciate indisturbate.
Anche la preziosa ampolla viene infatti scossa dall’officiante vescovo o cardinale, ad ogni prova di miracolo. Non c’è scritto nelle istruzioni, ma è come se lo fosse: agitare prima dell’uso.

Garlaschelli ritiene che il liquido contenuto nella teca di vetro non sia il sangue del martire beneventano, come vuole la leggenda ma, appunto, un composto tissotropico a base di cloruro di ferro (molisite), minerale assai abbondante intorno ai crateri vulcanici e facilmente reperibile sul Vesuvio, già al tempo in cui è apparsa la reliquia.
Un esempio che tutti conosciamo è la salsa ketchup, che manifesta questa proprietà; quando la boccetta è immobile, appare di consistenza molto densa e quasi solida; quando invece la si agita, diviene in pochi secondi molto fluida, quasi liquida, e si versa con facilità.
Nel settore industriale, gli elementi tissotropici sono impiegati in numerosi campi tra cui la preparazione di inchiostri e vernici, che si presentano liquide e facili da stendere ma che, al cessare dell'azione del pennello, solidificano con rapidità e senza gocciolare.
Mito, miracolo, fenomeno o prodigio?
La questione di San Gennaro rimane tuttora inspiegata e misteriosa. Come anche il leggendario tesoro a lui dedicato, formatosi in settecento anni di storia, grazie alle numerose donazioni, che si è mantenuto intatto da allora, senza mai subire spoliazioni.
La Chiesa cattolica non lo ha mai riconosciuto ufficialmente come “miracolo” ma, viste le forti resistenze da parte dei napoletani ad abbandonare il culto del santo per antonomasia - con cui parlano e si incazzano, in tutta confidenza, e a cui chiedono grazie in cambio di promesse - ha deciso di mantenere la tradizione, anche se la commissione medica voluta dal Vaticano ha stabilito che lo scioglimento del sangue di san Gennaro non è un miracolo, ma un fatto mirabolante, ritenuto prodigioso dalla credenza religiosa popolare.
Come avrebbe fatto e detto Ponzio Pilato.
19 settembre 2015 (Alfredo Laurano)

giovedì 17 settembre 2015

E' NORMALE CHE

Ovvero, il sostenibile piacere della normalità.
Oggi, fa proprio caldo! E pigiamo il tasto ON sul telecomando del climatizzatore. O entriamo nel box-doccia e apriamo il rubinetto della pioggia rigeneratrice.
Ho un buco nello stomaco! Apriamo il frigo o la dispensa e scegliamo quale delle mille scatolette aprire per articolare lo spuntino o come farcire un panino o una tartina.
Non ho più contanti nelle tasche! Ogni cento metri c’è un ricco bancomat che ci aspetta e che sputa fragranti banconote. Basta introdurre una delle tante carte al profumo di agiatezza, per spazzare l’ “attimino” di indigenza.
Che gran sete! E vai con una birra ghiacciata o un calice di pregiato vino bianco, una bibita frizzante o un semplice bicchiere d’acqua fresca e dissetante, magari con uno spruzzo di limone.
Sono veramente stanco! Mi spoglio, butto le scarpe e mi sbrago sulla morbida poltrona che mi cinge per offrirmi tutto il suo relax. Incasso il premio e mi abbandono, inerte, tra le braccia dell’ozio e dell’accidia, per farmi coccolare.

Tutto questo è normale per molti di noi e si apprezza in buona parte del mondo emancipato, industrializzato e tecnologicamente evoluto. Quel mondo dove regnano le banche e il capitale, che specula su cose, uomini e animali, su discriminazioni, guerre e vicende umane e che, sfruttando ogni risorsa e sviluppando opportunità e mercato, crea benessere e ricchezza, solo per i suoi seguaci fortunati.
Nasce, così, la cosiddetta normalità, quello standard sociale che ci assicura tranquillità e regolarità.
Ma quasi mai ci rendiamo conto di tale privilegio.
Della fortuna di avere sempre e subito ciò che ci piace, ci serve, ci soddisfa.
Di poter disporre di tutto quello che vogliamo e che abbiamo organizzato per il nostro benessere e piacere. Tasselli di comodità e irrinunciabili vantaggi che scandiscono, quasi fisiologicamente, la nostra vita, ma ormai scontati e senza appeal.
Diritti acquisiti che, come tali, non apprezziamo più. Che procurano una sorta di felicità che non riconosciamo.
Troppo spesso confondiamo questi favori e benefici con la noia, l’abitudine, la routine: che palle! Invece sono e rappresentano la nostra sicurezza, la nostra valvola di sfogo in ogni situazione, anche complessa.
Normalità è quotidianità: gesti, abitudini, piaceri, facoltà, meriti, interessi, vacanze e programmi proposti e concessi, in perenne usufrutto, alla fiera senza tempo del comodo, dell’utile e del bello, come prerogativa esclusiva delle società occidentali.
Come girare la chiave ed entrare in casa, aprire l’armadio per scegliere l’abito più adatto o andare al market a comprare cibo, al cinema, al teatro, al concerto, dal parrucchiere, dall’estetista, dal chirurgo plastico per un ritocchino, al ristorante o al bar per un gelato o un caffè.
O accendere l’interruttore della luce quando si fa buio, lo schermo a led, il gas, il riscaldamento, o digitare ossessivamente sul telefonino, sul tablet e sul Pc. O appassionarsi al tifo dello stadio, al modello d’auto o di moto che ci piace. O esercitare diritti sindacali e sacre garanzie, far valere il proprio status, scegliere il voto alle elezioni e il medico di base.
Tutto è semplice, e anche dovuto, nella grande giostra del confort e della prosperità. E’ il sottile e sostenibile piacere della normalità.

“E’ normale che…” - come recita anche l’intercalare di Totti e lo slang della scuola calciatori - se non fosse per quelle consuete e trite notizie che troppo spesso, o quasi tutti i giorni, disturbano quel piacere, magari quando siamo a tavola a gustar manicaretti, e ci distraggono dalle nostre ordinarie ossessioni e assilli esistenziali. Che noia, che barba, che barba, che noia!
Quanti morti oggi?  In quale mare o in quale terra?
Di fronte a quelle crude immagini di guerre, di bombardamenti, di teste mozzate, di stragi di migranti e di bambini nel Mediterra­neo e nel cuore d’Europa, è meglio abbassare gli occhi e la coscienza, non guardare, girare pagina o cam­biare canale, per­ché è il solito spet­ta­colo con i suoi rituali bollettini: cambia “solo” il numero dei morti e dei dispersi.
Paradossalmente, men­tre si consuma e si rinnova la tra­ge­dia umanitaria, dilaga la pas­si­vità e si dilata l’abitudine alla noti­zia, sem­pre più simile a una fiction, in moda­lità rea­lity, che però non appassiona, non tiene svegli e non fa salire l’auditel.
In fondo non è nostra la responsabilità di que­sto biblico esodo di massa. Di chi fugge dalle guerre e dalla miseria per raggiungere Paesi ric­chi di terra, di presunte opportunità e di mate­rie prime. Alla ricerca di semplice “normalità”.
Noi siamo per le guerre “uma­ni­tarie", siamo innocenti e non conosciamo la disu­ma­nità che altri hanno pro­dotto e che, nella quasi indifferenza generale, vede migliaia di persone affo­gare fra le onde o morire nei camion, come carne avariata da macello, men­tre nel lungo cam­mino della disperazione tenta di ridi­se­gnare, abbat­tere, superare le fron­tiere e i nuovi muri dell’Europa.
Anche se non ci commuoviamo più.
Anche questo è normale?
16 settembre 2015 (Alfredo Laurano)



ABBINE CURA PERCHÉ NON PUOI VIVERLI DI NUOVO

Si rincorrono per entrare, di diritto, nel magico cono di luce dell’attenzione. Si affollano sotto la potente sorgente luminosa del nostro “occhio di bue”, come accade in un qualsiasi grande o piccolo teatro, aristocratico o popolare.
Si impongono disordinatamente, prepotenti e sgomitanti, sgualciti od eleganti, come consumati attori al vaglio di un poco neutrale giudice, regista o spettatore, per trasmettere o risvegliare un’emozione antica. 
Anche se a volte, mentono, esagerano o si fanno interpretare come i sogni: possono cambiare una forma o un colore, modificare una prospettiva o esaltare l’intensità di un gusto o di un piacere. O nascondersi in ambienti irreali e sconosciuti, vestendo panni assurdi, rubati alla fantasia dell’utopia o del desiderio.

Ci sono porte nella nostra vita che non si chiudono mai o mai del tutto.
Come quella dei ricordi e dei sospiri che affaccia su quella più grande dell’esperienza. E’ quella che non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo mai cancellare.
Non vive o non ha vissuto chi non ricorda o chi disprezza la sua storia.
L’infanzia, un capriccio, un gioco, un dono, una scoperta o una paura risolta in braccio a un genitore. Un bacio della mamma, un premio o il piatto preferito. La scuola, i compagni, gli esami, la maturità, la festa di laurea. I primi amori e le tante passioni, le esperienze di vita e di lavoro, la nascita di un figlio, le avventure, i sogni e le speranze. Le gioie, le ansie e l’incertezza del futuro.
Noi siamo anche la nostra memoria selettiva perché la vita sarebbe impossibile se ricordassimo tutto e sempre.

Non tutti i ricordi sono affascinanti e positivi, anzi, al contrario: quelli più brutti o che ci hanno procurato dolore e sofferenza tendiamo a rimuoverli freudianamente, a dimenticarli, ad accantonarli in fondo al quel cassetto, per non averli a vista.
Anche perché, se il ricordo del piacere non è più piacere, il ricordo del dolore è ancora dolore. Tutto sta a scegliere, nei percorsi della mente e delle censure del Super Io, o attraverso il filtro della casualità o della sensibilità, quello che si deve o ci piace dimenticare.
Ogni ricordo è comunque un luogo di incontro, perché ci appartiene e non ci separa definitivamente dal nostro passato, come i sogni non ci separano dal futuro.
Sono e restano tracce della nostra esistenza, anche nella percezione di chi ci ha amato o conosciuto, come tappe di un viaggio che tutti facciamo, da fermi, e che, spesso, in alcune stazioni li trasforma in nostalgia.
Ma sono anche un confronto costante con la nostra solitudine e aiutano a comprendere noi stessi: tutti ne abbiamo bisogno.

E’ proprio così che la Storia universale si fa individuale.
Gli anni della nostra storia personale sono come i secoli della Storia: belli, epici, tristi, felici, tempestosi, tumultuosi, avventurosi. E’ come se quei momenti che abbiamo fabbricato, accumulato e messo da parte, fossero la memoria di un mondo, assai più piccolo e comune di quanto immaginiamo. I suoi grandi avvenimenti, gli stravolgimenti, le crisi, le conquiste, gli eventi collettivi corrispondono, in debita proporzione, ai nostri affanni, alle nostre vittorie, ai nostri turbamenti.
Sono sempre lì, quei ricordi fragili, struggenti e delicati e, soprattutto nel silenzio della notte, si affacciano su quel palchetto personale, come se pretendessero di rivivere una nuova esistenza e guadagnarsi la popolarità.
C’è da chiedersi: siamo noi che li cerchiamo e li inseguiamo, per conforto o per rifugio, o sono loro che si ripropongono con discrezione in autonomia?
Non saprei, ma la loro forza evocativa è tanta perché attinge a una realtà complessa e variegata, che nel tempo si è oggettivizzata.

Più si invecchia, più ovviamente crescono e si moltiplicano.
Soprattutto, quando a una certa età si prende atto o ci si rende conto, anche su suggerimento altrui, che quel resta da vivere è assai meno di ciò che si è vissuto. Volendo quantificare, per amor di pragmatismo, un 10/20%, nella migliore delle ipotesi.
Allora, fingiamo di non saperlo; istintivamente, lo dimentichiamo e andiamo a scalare, con ogni possibile lentezza, tali scoraggianti percentuali.
Qualcuno, mentendo anche a se stesso, sceglie di rifugiarsi nella sindrome di Peter Pan o appende nella sua stanza il ritratto di Dorian Gray: calcetto, palestra, ballo, estetista, abbigliamento giovane per vecchi galli e cotonate panterone. O si avventura, tra silicone e punturine, in patetici tentativi di restauro conservativo, a dispetto della biologia e della carta d’identità, affogando nella ridicola ricerca dell’elisir di giovinezza.
Ma “tempus fugit”, inesorabilmente, e si muove in una sola direzione, mentre i ricordi e le illusioni in quella opposta.

Quasi sempre, dicevo, il ricordo nasce o si estrae dalla nostalgia del passato e, a volte, si esalta e si mitizza: “mi ritorni in mente, bella come sei, forse ancor di più, dolce come mai, come non sei tu…” (L. Battisti)
Se non è scissa dal resto della vita precedente, ma è la continuazione dell’adolescenza, della giovinezza e della maturità (Norberto Bobbio), l’età della vecchiaia – che brutta parolaccia - coincide con il mondo della memoria: alla fine tu sei quello che hai pensato, amato, compiuto. E quello che di ciò - al di là di simboli e leggende - rimane negli occhi e nella mente.
E’ una tua ricchezza, la tua preziosa, privata antologia.
Di quegli attimi che hai conservato e non hai lasciato cancellare sei il solo, unico padrone e fedelissimo custode.
 15 settembre 2015 (Alfredo Laurano)


lunedì 14 settembre 2015

TUTTI AL LAGO

Dall'antica Stazione Vaticana alle Ville Pontificie di Castel Gandolfo con uno speciale treno storico con locomotiva a vapore della Fondazione FS Italiane.
A partire da sabato 12 settembre è stata attivata a Roma una mini linea ferroviaria Vaticano-Albano Laziale che consentirà un singolare e suggestivo viaggio alla scoperta di tesori artistici, botanici e architettonici da sempre riservati ai soli Pontefici.
Per la prima volta, sarà possibile avere accesso al Palazzo Apostolico, ai nuovi spazi museali della
Galleria dei ritratti pontifici, ai geometrici giardini all’italiana: luoghi magnifici e segreti dove lo splendore dell’arte e la gloria della natura convivono in mirabile equilibrio.
La libera visita alla dimora estiva dei Papi è un ulteriore segnale della politica di Francesco che ha rinunciato alla sua residenza estiva per aprirla alla gente.
Chi è interessato, può consultare il sito dei Musei Vaticani. (A. La.)

giovedì 10 settembre 2015

MURI



 L’avete vista questa stronzetta bionda, ignorante e razzista, che, mentre filma, sgambetta e prende a calci bambini profughi? 
Nel suo gesto vile c’è tanta cattiveria gratuita, disprezzo e odio ingiustificato, che va ben oltre l’atteggiamento quasi tollerante della polizia.
Pare sia stata licenziata in tronco dall’emittente presso cui lavorava.
O, forse, sospesa. O, forse, premiata.
Io, la manderei in un centro profughi per un mese o in lager libico dove rinchiudono, per tempi infiniti e in condizioni disumane, i migranti, in attesa di imbarcarli.
Un commentatore disgustato l’ha definita giustamente persona infame e spregevole, degna rappresentante della destra becera, razzista e xenofoba, che ha trovato in Orban il suo degno rappresentante. Anche i nazisti filmavano e sgambettavano le loro vittime nei campi di concentramento, come mostrano i vari documentari d’epoca.
E pensare che nel '89, con la caduta del muro di Berlino, sembrava che il mondo avesse scelto per la convivenza civile tra i popoli! Invece, oggi, a distanza di 26 anni, un idiota pensa nuovamente di risolvere i problemi alzando i muri. E non è il solo.


Incredibili e deliranti i commenti di qualche lettore di certi giornali:

“Direi che si chiama collaborare con la giustizia: ha aiutato un poliziotto a catturare un fuggitivo. Secondo me merita un premio”.
“Quelli che insultano questa donna, che ha collaborato con la polizia del suo Paese, sono del tutto analoghi alla gente di certi quartieri di Napoli che protegge ladri e scippatori dai Carabinieri”.
“Perché scappavano? Li inseguiva la Polizia. E perché la Polizia li inseguiva? Perché non erano in regola. Cosa insegna questa vicenda? Che aiutando la Polizia in Europa si perde il posto di lavoro. La fine dell'occidente, prima nel ridicolo e poi nel sangue, è scritta tutta qui e non solo, naturalmente”.


Questi, il muro ce l’hanno nel cervello! Separa la segatura dal catrame.

9 settembre 2015 (Alfredo Laurano)

martedì 8 settembre 2015

L'ALTRA EUROPA

Qualcosa sta cambiando in questa Europa dell’euro, delle banche e dell’economia.
Sta cambiando soprattutto nella testa dei cittadini e delle persone.
Sarà perché troppe tragedie si sono consumate, troppi barconi di migranti sono affondati, troppi sono morti e continuano a morire affogati o asfissiati in una stiva o in un camion frigorifero o sopraffatti dalla fatica nei lunghi viaggi della speranza. O uccisi dalla crudeltà di trafficanti senza scrupoli che gettano in mare uomini e donne di troppo e perfino lo zainetto dei farmaci salvavita di una bambina.
Sarà perché molti hanno cominciato a capire cosa vuol dire essere profughi, lasciare terra, casa e tutto per fuggire dalla guerra e affrontare l’incognita del futuro, altre violenze, altre umiliazioni e privazioni e la scommessa per la vita.
La fitta informazione, la comunicazione mediale, le strazianti immagini che rimbalzano sui siti, i racconti di ordinaria atrocità cominciano a lasciare un certo segno nella coscienza collettiva.

Stiamo passando dall’idea dell’invasione, della paura, del respingimento, a quella dell’accoglienza. La xenofobia vacilla e scava dubbi.
Finalmente, in Austria, in Germania e nei villaggi a confine con l’Ungheria, cominciamo a vedere volti che sorridono e che salutano, mani che si stringono, che applaudono e alzano cartelli di benvenuto a gente di cittadinanza, religione e abitudini diverse, anche sulle note dell'Inno alla Gioia che, al di là della fredda sigla della Ue, trova così una ragione per essere ascoltato.
Sono momenti che colpiscono, che commuovono, che nessuno di noi aveva mai visto e immaginato. La diffusa ostilità, l’indifferenza, la deriva umanitaria che hanno caratterizzato, in questi ultimi mesi ed anni, l’approccio con la crisi migratoria sembrano diventare la speranza di una nuova Europa, un’Europa che ci piace.
Eravamo fermi all’Ungheria che quei profughi li ha umiliati, beffati e deportati nelle stazioni e nei Centri di accoglienza e li ha costretti all'esodo a piedi, come gli ebrei di Mosè.
A Praga, che rifiutava ogni accoglienza, agli inglesi che offrivano una colletta in denaro e all’Europa, appesa ad una moneta (euro), a conferma del suo vuoto politico e sociale, con la recente eccezione pro-siriana di Angela Merkel.

A Budapest, nei lunghi giorni di blocco alla stazione deciso dalle autorità, comuni cittadini e volontari hanno aiutato i profughi accampati, fornendo generi di prima necessità e distraendo anche i bambini.
Su un treno carico di migranti, finalmente partito da quei binari e diretto al confine con l'Austria, un gruppo di siriani è stato fatto scendere da un controllore perché senza biglietto, ma subito fatto risalire dalla polizia.
Intanto diverse centinaia di profughi, stanchi aspettare le decisioni del governo magiaro, si erano messi in marcia per percorrere a piedi 240 chilometri, fino al confine austriaco. Poi, alcuni sono stati raggiunti da decine di pullman che li hanno trasportati.
Un convoglio di circa trecento auto di volontari austriaci è partito da Vienna diretto al confine con l'Ungheria per raggiungere i profughi, farli salire a bordo e condurli in Austria. Ai profughi sono stati consegnati anche beni di prima necessità: acqua e cibo, abbigliamento, peluche per i bambini e biglietti con riferimenti per l’assistenza legale.

Anche il Papa ha rivolto un appello alle parrocchie, alle comunità e ai santuari di Europa, perché ognuno accolga una famiglia di profughi, un gesto concreto per dare loro una speranza concreta: "incominciando dalla mia diocesi di Roma".
La Roma calcio ha annunciato il lancio di un'iniziativa rivolta alla comunità calcistica internazionale per una raccolta di fondi, con la speranza di vedere club e tifosi mettere da parte ogni rivalità sportiva e unire i propri sforzi per destinare fondi ad associazioni benefiche impegnate nella gestione crisi umanitaria.

Ma non tutti in Germania hanno dato il benvenuto alle migliaia di migranti in arrivo.
A Dortmund, estremisti di destra e neonazisti hanno protestato per l'invasione di rifugiati in città e contro la politica dell'accoglienza della cancelliera Merkel. Scontri, feriti e arresti anche in Italia dove si moltiplicano le manifestazioni di dissenso, come quella dei manichini senza testa nel bresciano.
Ma tutto questo conta poco e non è certo una notizia o un fatto sorprendente.
E’ la solidarietà, che si affaccia timidamente nel triste panorama della crisi umanitaria, la vera novità di questi giorni, unita alla speranza di un mondo meno infame.
(Alfredo Laurano)

P.S. Secondo i dati forniti dai governi di Egitto, Giordania e Libano e del UNHCR, il numero dei profughi siriani è di oltre tre milioni. Di questi, oltre 1 milione e 200 mila sono bambini (quattro anni di guerra, 216.000 morti). 
Questi dati tengono conto solo delle persone effettivamente registrate. Si stima, infatti, che ci siano almeno 500 mila persone ancora non registrate
Attraverso la rotta balcanica, da gennaio, in Ungheria sono arrivati oltre 165mila profughi.
Sono 2.800 i migranti morti o dispersi nel Mediterraneo nel 2015, secondo gli ultimi dati aggiornati dell'Unhcr, che precisa che gli arrivi in Europa dal mare sono stati 366.402.
Il 51% dei profughi giunti sono siriani, seguiti dagli afghani, che rappresentano il 14%. In Grecia ne sono arrivati 244.855, in Italia 119.000. 

http://video.repubblica.it/dossier/immigrati-2015/guerre-violenze-stupri-da-cosa-scappano-i-migranti-videoscheda/211065/210214?ref=HREC1-4