martedì 24 gennaio 2023

O COPPITIELLO /2606

"Na’ tazzulella ‘e cafè e mai niente ce fanno sapè”. La cantava Pino Daniele nel lontano 1977.
Nei giorni scorsi, invece, sono state richiamate e ritirate dal commercio, alcune confezioni di capsule e cialde di Caffè Trombetta Arabica, compatibili Nespresso, perché tossiche: esattamente per rischio chimico, ossia potenziale valore di ocratossina, oltre il limite di legge.

“Siete sicuri di sapere tutto sul caffè in capsule?” Lo domandava, un po’ retoricamente, un vecchio articolo di stampa, di alcuni anni fa.
Bere il caffè è quasi un rito per molti, a volte un pretesto per fare una pausa o incontrarsi con un amico, con tutta l’atmosfera e la carica emozionale che un momento simile riesce a generare.
Anche la stessa fase di preparazione ci permette di ‘prenderci cura’ della persona a cui lo stiamo offrendo, interrompere le attività in corso e dedicarci ad altro, attendendo quasi con apprensione il momento fatidico in cui tutto il caffè è ‘venuto su’, con quel suo aroma unico e dal suono inconfondibile della Moka.

Ma quanti oggi preparano ancora il caffè con la caffettiera tradizionale? In quanti non hanno ceduto alla tentazione di sentirsi ultramoderni, acquistando il caffè in capsule e relativa macchinetta?
Perché, a volte, di moda si tratta. Negli ultimi anni, in tutte le città italiane, sono apparse queste boutique del caffè, che attirano i clienti con apparecchi dalle cromature eleganti e con capsule dai colori attraenti e dai nomi esotici.
Si è creato, in pratica, un bisogno inesistente e un prodotto nuovo, di tendenza, diffusosi immediatamente.
Geniale trovata degli esperti di marketing dei brand più famosi oggi, che sono stati capaci di declassare dall’immaginario collettivo un prodotto dal costo basso (una buona Moka sta intorno ai 20/30 euro) - dalla manutenzione inesistente e senza costi fissi - con un sistema che invece impone dei costi fissi importanti e frequenti, quali l’acquisto delle capsule (dello stesso brand), la manutenzione/sostituzione della macchina quando si rompe, innescando un meccanismo di perenne dipendenza tra produttore e consumatore.

Oltre a questi aspetti, forse non tutti sanno che il caffè in capsule:
È più tossico, contiene una dose 5-10 volte più elevata di Furano, una sostanza cancerogena che si sprigiona durante la tostatura ma che, essendo volatile, si disperde nell’ambiente con gli altri metodi di preparazione del caffè (polvere e solubile), mentre nelle capsule resta intrappolata all’interno.
È più costoso, fino a 5-7 volte di più rispetto alla tradizionale polvere, senza poi considerare i costi per l’acquisto dell’apparato e la manutenzione.
È più inquinante: non solo il nuovo elettrodomestico tanto in voga è difficilmente scomponibile (e quindi inquinante) a causa della diversità di materiali di cui è composto, ma anche le stesse capsule rappresentano un grave problema per lo smaltimento.
Si pensi che ad Amburgo è stato vietato l’utilizzo delle capsule negli uffici amministrativi a causa del loro alto potere inquinante. Realizzate in plastica e alluminio, molte di quelle in commercio non sono riciclabili, ma anche quelle che potenzialmente lo sono, non vengono differenziate dai consumatori perché richiederebbe la separazione dei materiali.

Alla luce di tutto questo, il caffè in capsule avrà lo stesso sapore di prima?
O sarà meglio tornare al rito del balcone, spiegato in dettaglio dal sommo Eduardo, nel famoso monologo del caffè, tratto da “Questi Fantasmi!”?
“Scusate, chi mai potrebbe prepararmi un caffè come me lo faccio io, con lo stesso zelo, con la stessa cura. Capirete che, dovendo servire me stesso, non trascuro niente… Sul becco… lo vedete il becco? io ci metto questo coppitello di carta. Pare niente, ma questo coppitello ci ha la sua funzione… E già perchè il fumo denso del primo caffè che scorre, che poi è il più carico, non si disperde.
…Caspita, chesto è cafè. Vedete quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo?

19 gennaio 2023 (Alfredo Laurano)

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