giovedì 29 novembre 2018

MEZZO SECOLO D'AMORE



Scritta il 29 ottobre 1995 come testo dell'omonimo filmato, girato per le nozze d'oro dei miei genitori. 
Fu un giorno indimenticabile, una vera festa dell'amore e dei sentimenti che li commosse e li frastornò di gioia e di emozioni.
Da parte mia, un minuscolo risarcimento alla loro totale dedizione e ai tanti sacrifici.
Sono sempre nel mio cuore e nei miei pensieri. 
Mia madre se n'è andata sei anni fa e fra tre giorni (29 novembre), saranno diciassette anni dalla scomparsa di mio padre.
Così li voglio ricordare e continuare ad amare:
"...hanno gli occhi dei fanciulli, che del mondo hanno l’incanto".

MEZZO SECOLO D’AMORE
(C’è una favola mai scritta che vi voglio raccontare…)

E’ la storia di un amore, nato un giorno assai lontano,
quando ancora era vicino  l’eco e il fumo del cannone.
Poi, il tempo ha cancellato quei momenti tristi e bui
e negli anni ha rinforzato un legame collaudato.

Quell'unione ha partorito tre creature fortunate
d’esser nate in una casa che d’amore le ha viziate.
Tutto ad esse è stato dato e mai niente risparmiato.
E la prova più evidente è nel testo qui corrente.

D’esser grati è dire poco, ci vorrebbe un libro intero
per esprimere davvero cosa cela ogni pensiero.
In un mondo così guasto tanto amore appare strano,
sembra sogno o fantasia, dolce come un’armonia.

E’ una storia di persone che a dispetto degli eventi
son rimaste unite e pure, belle fuori e ancor più dentro.
Sono semplici e spontanee, generose, aperte e serie:
hanno gli occhi dei fanciulli, che del mondo hanno l’incanto.

C’è qualcosa nella vita che abbia un senso per l’umano?
Forse si, è un sentimento che ci nasce in fondo al cuore,
che ci guida e ci consiglia, ci incoraggia e a nul s’appiglia.

Tutto questo mi è donato e grazie a Voi, io l’ho imparato.
Se ho nutrito anch'io i miei figli di rispetto e di valore,
devo a Voi tutto l’onore d’esser fiero e soddisfatto.

Ma ora è tempo di far festa e di prendere coscienza
che i miei cari genitori, dopo tanti sacrifici,
han goduto il privilegio, solo a pochi riservato,
di contare, ad ore, ad ore, mezzo secolo d’amore.
(Alfredo Laurano)




mercoledì 28 novembre 2018

CANZONE PER MARCO



Brava Laura Mauri, bravo Elvis Dilorenz, finalmente un post di altissimo valore e socialmente significativo: un toccante racconto musicale dedicato a Marco e alla sua famiglia, capace di trasformare tanta rabbia, odio e delusione in un sussulto d'amore e di autentica solidarietà.
Una bella, semplice canzone per ricordarlo pubblicamente, per narrare la sua triste storia a chi ancora non l'abbia conosciuta, per onorare la sua memoria e la sua breve vita. Pur nella tristezza che l'avvolge, nel dolore di una intera comunità, segnata dai contorni di una tragedia senza senso.
La musica, in tutte le sue espressioni, è capace di veicolare sensazioni e sentimenti, di far ridere o far piangere, di creare forti emozioni e avvicinare i popoli e le genti.
Il suo linguaggio universale unisce mente e cuore, pensiero e azione, al di sopra dei contrasti e di ogni limite individuale.
E’ capace di abbattere barriere culturali, geografiche e razziali, di dare conforto più di ogni religione, di esaltare ogni forma di dialogo, di comunicazione e di normale umanità.
Di avvicinarci, con pudore, al concetto di infinito e di giustizia.
 17 novembre 2018 (Alfredo Laurano)

lunedì 26 novembre 2018

STRUGGENTE NOVECENTO


Dal Ultimo tango a Parigi, film scandalo del 1972 che ha segnato un’epoca, a capolavori come Novecento, Il tè nel deserto, Piccolo Buddha e L'ultimo imperatore, il film da nove Oscar: Bernardo Bertolucci è morto oggi, all'età di 77, anni dopo una lunga malattia, nella sua casa di Trastevere a Roma.
E’ proprio Novecento, la pellicola con cui giunse alla notorietà, nel 1976, che mi affascinò e me lo fece apprezzare molto più del discusso Tango parigino.

Un aspro affresco delle lotte contadine emiliane che racconta cinquant’anni di storia padana, a tratti potente, audace e ambizioso, a tratti poetico e commovente, con un sontuoso cast internazionale, da Robert De Niro e Gérard Depardieu, da Burt Lancaster fino a Stefania Sandrelli, da Alida Valli a Dominique Sanda, da Laura Betti a Donald Sutherland in un turpe, fascistissimo duo.
E’ una rappresentazione elegiaca, mitica e sociale, ma anche eroica, tragica e crudele quella che Bertolucci disegna con l’epica grandiosa del suo Novecento: un groviglio di passioni e contraddizioni nel mondo proletario, portatore di una “cultura” verace e primitiva, sparsa a piene mani e senza sconti, nelle scene madri, collettive, intime e sentimentali: l’approccio è sempre fin troppo istintivo, spontaneo e naturale.
Le due vite contrapposte e intrecciate del contadino Olmo (Depardieu) e del ricco latifondista Alfredo (De Niro) sono al centro di un poderoso romanzo popolare, che sopravanza la cruda ideologia: la storia dell’Emilia, un po’ comunista e un po’ fascista, che si sviluppa intorno alle vite vicine, intrecciate, ma contrapposte per destino e appartenenza sociale, dei due amici d’infanzia, entrambi nati lo stesso giorno, all’alba del secolo, in cui muore Giuseppe Verdi.
Due atti: il primo va dal 1900 all'avvento del fascismo, il secondo si conclude con le lotte comuniste del dopoguerra e la liberazione: in mezzo c’è di tutto, c’è la storia italiana di quel tempo e il magnifico paesaggio della campagna parmense, esaltato dalla fotografia di Storaro.
Bertolucci mette in scena mezzadria e rivoluzione, sentimenti e solidarietà; dispiega bandiere rosse, grandi come case, e dipinge fascisti cattivi e pervertiti. Realizza uno spettacolo ipnotico e avvincente, maestoso e suggestivo che non dà tregua, che non lascia indifferenti. 
Come un travolgente melodramma, come un’opera non a caso verdiana, tutta impeto e passione. Grazie Bernardo.
26 novembre 2018 (Alfredo Laurano)






SOTTO IL PONTE CHE SI SGRETOLA, ALLARME PER LA E45


E’ considerata una via delle vacanze, un'alternativa gratuita all'autostrada del Sole e all'intasatissima Bologna-Taranto. E’ la dorsale prediletta dai camionisti, che attraversano l'Italia da nord a sud, liberi da caselli e balzelli, ma percorsa soprattutto da schiere di turisti stranieri che scendono nel Belpaese per soggiornare nei borghi medievali e rinascimentali cuciti assieme dalla E45: da Sarsina, a Bagno di Romagna, a Sansepolcro, a Città di Castello.
Ma la "superstrada dei turisti" è un susseguirsi di buche - voragini come crateri lunari - che spaccano gomme e sospensioni, e di lavori infiniti e deviazioni.
La Orte-Ravenna, 280 chilometri di rattoppi, con iniezioni continue di fondi pubblici, è la Salerno-Reggio Calabria del Nord.
Una gimkana di cantieri, di restringimenti di carreggiata, che impongono di procedere dietro ai camion, di cambi di corsia, di uscite obbligatorie lungo i saliscendi appenninici delle strade provinciali: un viaggio senza fine sulla strada peggiore, dove un paio di Tir sono drammaticamente volati giù da un viadotto, per distrazione o stanchezza del guidatore.
Nei tanti anni che l’ho percorsa, non l’ho mai trovata integra e “sana”, in modo normale, soprattutto nel tragitto che scollina il valico di Verghereto. In una direzione o nell'altra, sulla E45 c'è sempre un problema. Non c'è edizione dei notiziari di Isoradio che non segnali disagi e deviazioni a Verghereto.
La vicenda ha dell’umoristico e del paradossale: su questa superstrada a quattro corsie, che ambisce a diventare autostrada, ogni governo della Repubblica ha speso solenni promesse e cospicui capitali, per finanziare l’itinerante officina a cielo aperto in cui ormai si è trasformata. 

Da sempre, comunque, è un’arteria strategica tra le più trafficate d’Italia, rappresentando una comoda opzione al valico appenninico tra Bologna e Firenze, con il suo tracciato che attraversa il cuore dell’Italia.
Ma la SS3 bis Tiberina, meglio nota con il suo nome europeo E45, è una strada vecchia, come vecchi sono i suoi ponti, edificati negli anni ’70. Una strada costruita con il vecchio cemento armato precompresso, sensibile al freddo, al vento, all’escursione termica, alla corrosione ed alla trazione, diventato tristemente noto a Genova. Materiale che sembrava perfetto negli anni ’60, ma oggi assolutamente superato.
Sono tra i ponti considerati a rischio in Italia. E la preoccupazione sale, prima di tutto tra chi la percorre molto spesso, avanti e indietro.

E qui viene il peggio.
Si è scoperto che un tratto di E45 è sprofondato, per oltre un metro, tra le due uscite di Pieve Santo Stefano, in direzione Cesena: un taglio netto che prende mezza carreggiata, lungo molti metri. Il punto è stato sempre a rischio, ma con il maltempo di questi giorni si è aggravato.
Sul posto sono arrivate le forze dell’ordine e i tecnici dell’Anas che hanno provveduto a segnalare il pericolo. Ora il tratto è chiuso e si circola a senso unico alternato. Si sono create delle lunghissime code.

Il video del TG Due dei giorni scorsi ha dettagliatamente segnalato questo ulteriore pericolo e il grave rischio: c’è un pilone logorato della E45, nel quale effettivamente il cemento si è sgretolato al punto di lasciare a nudo i ferri di sostegno arrugginiti e consumati dal tempo. Si frantuma solo toccandolo con le mani.
E’ il pilone messo peggio del viadotto Puleto, nella zona di Valsavignone, l’ultimo del tratto aretino prima del confine regionale, ma non è il solo ridotto male. Tutto il ponte, insomma, è malato, ma bisognerà capire quanto.

E’ a rischio crollo? L'intero viadotto è in cattive condizioni e sembra consumato anche il ponte successivo in territorio romagnolo. I consulenti dovranno adesso dire se lo stato di consunzione del ferro e del cemento mette a rischio la stabilità del viadotto.
Così fosse, alla procura non resterebbe che ordinare il sequestro del tratto in questione, perchè l’incolumità di chi viaggia viene prima di tutto, specie alla luce dell’ecatombe di Ponte Morandi.

Da almeno 30 anni si sa che il cemento armato, specie se sottoposto a forti sollecitazioni come il passaggio di milioni di Tir ed esposto alla pioggia, al gelo, ai veleni delle emissioni, al sale antigelo, non dura più di cinquant’anni, ma nessuno, fino ad oggi, fino al crollo di Genova, aveva scoperto che i ponti autostradali nelle stesse condizioni critiche o pre-crollo sono almeno 10mila in Italia (e altrettanti in Francia, Germania e in qualsiasi altro paese): la grande “esplosione” automobilistica del miracolo economico, che doveva aprire le porte al futuro, non guardava all’ Italia, come paese orograficamente a rischio.
Oggi, per cause di forza maggiore e per effetto dei recenti eventi tragici, sta cominciando a farlo. (Alfredo Laurano)

Video TG2 
http://www.tg2.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-8f331de2-2d5d-49da-ab7b-2b7eec05dd57-tg2.html

https://www.facebook.com/tg2rai/videos/727538944287841/

domenica 25 novembre 2018

NON È NORMALE CHE SIA NORMALE


Un ennesimo corteo di migliaia di donne, da Piazza della Repubblica ha sfilato ieri a Roma, fino a piazza di Porta San Giovanni, per dire, ancora una volta, basta alla violenza sulle donne. Una marcia ad alta voce in una data simbolica, perché oggi, 25 novembre, si celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, voluta dalle Nazioni Unite.
Queste manifestazioni, che si ripetono con frequenza in occasioni varie, non hanno molto senso dal punto di vista dei risultati, degli effetti e delle possibili conquiste. Non cambiano granché lo stato delle cose.
Ma lo hanno, tuttavia, per ricordare la drammatica normalità della condizione femminile, per tener viva l’attenzione popolare, degli uomini, delle istituzioni - troppo spesso, assenti, insensibili o latitanti - e delle stesse donne, in molti casi, vittime designate e rassegnate di una società patriarcale e sessista, che ancora non è in grado di rispettarle, proteggerle, tutelarle, far rispettare i loro diritti, le loro pari opportunità.
Lo hanno, soprattutto, per far conoscere ai distratti e agli indifferenti, gli spaventosi numeri di questa tragedia senza fine, a base di stupri, sfregi, abusi, umiliazioni, vendette, femminicidi, malvagità d’ogni tipo.

Centosei palloncini rosa sono stati alzati in cielo per ricordare le donne morte solo quest’anno, a causa della violenze subite da uomini, repressi, gelosi e possessivi.
Ogni 72 ore, una donna viene uccisa, soprattutto da mariti, compagni e fidanzati.
Tremila donne sono morte dal 2000 per mano, quasi sempre, di ardenti compagni o familiari assassini, che “le amavano troppo”.
Sono numeri alti, crudi, tremendi, ma che non riescono a dare il senso della tragedia umana che ognuna di quelle morti, ognuno di quegli abusi porta con sé.

“Stiamo uccidendo, violentando, un'intera generazione di donne, ha detto Maurizio Martina, e la questione ha una radice culturale antica, difficile da estirpare. Dalla stessa radice nascono erbe infestanti come le differenze salariali tra uomini e donne, la preclusione di carriera al femminile, l'abbandono del lavoro dopo la maternità”.
In breve, è la disuguaglianza di genere, accettata troppo spesso dalle stesse donne e tollerata dal sistema.
Il grido di piazza di oggi è un segnale da coltivare intensamente: pari diritti, per non accettare più l'offesa. Per non sopportare più la brutalità, la rabbia e la furia del maschio primitivo e prepotente.
Per sconfiggere e cancellare una mentalità, che confonde l’amore con il possesso, di cui la violenza è la conclusione più estrema.
Perché “Non è normale che tutto questo sia normale”.
 (Alfredo Laurano)


sabato 24 novembre 2018

VADO, LA SFREGIO E TORNO


Ha sicuramente sviluppato tutti i suoi muscoli, affrescati dai tatuaggi, meno quello del cervello. Quello più importante, più utile, più essenziale.
Ci è andato apposta!
 Un culturista di Busto Arsizio, tale Matteo soprannominato Hulk - non ha la pelle verde, ma il corpo coperto da incisioni in stile manga - è partito dall’Italia, si è fatto tremila chilometri in aereo fino a raggiungere le Canarie, per compiere la sua speciale missione, la sua inesorabile vendetta: sfregiare con l’acido la sua ex che l’aveva lasciato.
E’ stato arrestato dalla polizia spagnola all'aeroporto di Tenerife, dopo l’aggressione alla donna, avvenuta in una caffetteria di quella città, mentre tentava di prendere un aereo per rientrare in Italia.
La vittima, una venticinquenne che aveva rotto con l'energumeno palestrato, meno di un anno fa, era stata a lungo tormentata, tartassata di messaggi su WhatsApp ed era ritornata al suo Paese, dopo la separazione.
Come se ciò non bastasse, la facciata della sua casa è apparsa imbrattata da diversi graffiti su cui si legge "María Acosta CP puta". Al momento, l'autore è sconosciuto, ma si sospetta che l’opera abbia a che fare con l'attacco subito dalla donna da parte del variopinto body builder, volato a Tenerife per deturparla.

Intanto, un altro pazzo italiano, artigiano 53enne, precedenti per rapina e lesioni, ha appiccato il fuoco nella casa della ex moglie, che perseguitava e minacciava, a Sabbioneta (Mantova), ammazzando il figlio di undici anni che dormiva.
Così, tanto per celebrare degnamente la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle donne.
(Alfredo Laurano)

LA DROGA DEI CONSUMI


Febbre da shopping. Sconti pazzi, file alle casse, acquisti compulsivi, quasi moralmente obbligatori: è in onda il Black Friday, una giornata e una settimana in cui è possibile fare affari e pregustare i saldi post-natalizi, grazie ad offerte, a volte convenienti, a volte meno, sui prodotti tech (giochi elettronici, elettrodomestici, notebook, televisori, fotocamere, smartphone), ma non solo: sono comprese un po’ tutte le categorie merceologiche, prodotti per la casa, abbigliamento, arredamento, gadget, accessori, balocchi e profumi.

Ma perché proprio "nero" questo speciale venerdì?
Perché all'epoca i registri contabili dei negozianti si compilavano a penna, usando inchiostro rosso per i conti in perdita e quello nero per i conti in attivo. E nel venerdì dopo il ringraziamento, secondo una tradizione americana, consolidata negli anni Sessanta, grazie a queste promozioni, i conti finivano decisamente in nero.
Secondo un’altra tesi, l'origine del nome è meno poetica. Il "nero" sarebbe causato dal traffico sulle strade e dalla congestione nei negozi, provocata da migliaia di americani attirati da sconti - validi soltanto quel giorno - anche dell'80 per cento.
Negli ultimi anni, per favorire oltremodo i consumi, il Black Friday si è trasformato nella settimana del Black Friday, con sconti e offerte speciali che si trascinano lungo tutta la settimana precedente.
Gli sconti assai pubblicizzati, si praticano nei negozi, ma anche per gli acquisti online: senza spostamenti, senza traffico e senza stress. E tutto arriva a casa.
Per i commercianti, è una bella ricorrenza che permette di smaltire merce e svuotare il magazzino dai prodotti ancora invenduti. 
Il battage pubblicitario è enorme, le vetrine cantano come sirene, affascinanti e seducenti, e catturano i viandanti.
Sono i saldi che hanno cambiato nome, date e tempi. (Alfredo Laurano)

mercoledì 21 novembre 2018

GLI ETERNI INCONTENTABILI

Qualcuno ricorda la terribile famiglia degli “incontentabili” che in ogni negozio non trovava mai niente di abbastanza buono da comprare, dopo aver messo a soqquadro ogni cosa e ridotto all’isteria il malcapitato commesso?
Sono un po' come quelli del carosello Ignis del 1975.

Abbattere le ville abusive dei Casamonica, per molti, è il classico teatrino, per il popolo, la stampa e le TV, un’azione di facciata, una tipica arma di distrazione di massa, che aiuta a mantenere o aumentare i consensi del governo. E' un’operazione costosa e forse inutile (tanta polizia, ruspe e mezzi vari) che poteva essere rimandata, per dare priorità alla pulizia, all buche, al miglioramento dei servizi e ai tanti problemi di Roma capitale.
E allora, evviva il benaltrismo, l'altro sport preferito dagli italiani, dai tuttologi da social, dai detrattori di mestiere, dai sacerdoti del sofisma alla riscossa e dai criticoni a prescindere: eccepire sempre, obiettare, pregiudicare, ridire su tutto e tutti, stroncare e biasimare, pur di infangare, screditare, squalificare, sputtanare chiunque, stellato, crociato o a pallini.
Che inebriante soddisfazione!

Per costoro, gli incontentabili di nobile lignaggio, studiati come fenomeno sociale dall’antropologia, c'è sempre BEN ALTRO da fare, di più importante, di più utile, di più urgente. Per cui, alla fine, non si fa niente.
Quelle villette erano simbolo di illegalità e impunità e da decenni il Comune di Roma le aveva, casualmente, dimenticate.
Ricordate lo scandaloso funerale del boss Casamonica di tre anni fa?
Un'altra incredibile manifestazione muscolare di prepotente strapotere malavitoso, impunito e tollerato.
Queste sono le ruspe che i cittadini apprezzano. (Alfredo Laurano)



IL NOSTRO BEL PAESE


Bella Italia, amate sponde…
Tutti l’amiamo, tutti la vogliono, tutti la visitano, soprattutto gli stranieri che l’adorano. Scoppia di arte, di storia, di cultura e tradizione, esibisce monti, mari, valli, fiumi, laghi e bellezze naturali.
Lo diciamo sempre e senza un filo di retorica: l’Italia è un grande, articolato e incredibile museo a cielo aperto, dappertutto: al nord, al centro, al sud e nelle isole. In ogni regione, città, paese o borgo c’è qualcosa da vedere, da scoprire, da apprezzare, c’è fascino e stupore. In ogni sasso rivive un po’ di Storia, in ogni luogo si celebra la natura, si spiega la geografia, si tramanda la cucina regionale, si racconta il territorio e l’opera dell’uomo. Non a caso è così diffusa la sindrome di Stendhal.
Ma come si vive? Come si sta?

Secondo lo studio realizzato da “La Sapienza”, che ha valutato alcuni parametri essenziali, come lavoro, ambiente, criminalità, disagio sociale e personale, popolazione, servizi pubblici e scolastici, sistema salute, tempo libero e tenore di vita, la qualità della vita nelle 110 province italiane è ottima nel nordest e nei piccoli centri: Bolzano è sempre prima, seguita da Trento e Belluno.
Roma precipita di diciotto posizioni: dal 67° all'85° posto della classifica. Ma, per chi ci abita, ci vive e ci lavora, non è certo una novità: traffico, smog, scarsa manutenzione della città, buche stradali, alberi che crollano, rifiuti nelle vie: la capitale paga per il degrado evidente di cui è vittima.
Ma se Roma piange, anche Venezia (dal 41° al 62° posto) e Firenze (dal 37° al 54°) non ridono molto. Milano (55°) e Torino (78°) sono più o meno stabili.
Senza variazioni rispetto allo scorso anno Napoli, in terzultima posizione, e Palermo (al 106° posto). Fanalino di coda Vibo Valentia. Qui, il pianto è costante.
Elevato il calo anche a Bari (dal 96° al 103° posto). La qualità della vita è peggiorata anche a Catanzaro (95°), all'Aquila (72°), a Potenza, che ha perso 20 posizioni: ora è 64esima),
Tra le migliori, al quarto posto Siena, che ha recuperato sette posizioni, seguita da Pordenone, che passa dalla nona alla quinta, e da Parma. In forte ascesa Aosta e Sondrio, rispettivamente al 7° e 8° posto, che partivano dal 18° e dal 16° della passata edizione. Decima Cuneo, che ha guadagnato tre posizioni.
Aumenta il divario Nord-Sud
Nel 2018, si conferma che sfuma sempre più il contrasto Nord-Sud in termini di buona qualità di vita legata al benessere economico, che si acuisce il divario fra piccoli centri, in cui si vive meglio, e grandi centri urbani, in cui la vita è invece sempre un po' più difficoltosa. Vedi il crollo di Roma. 
La tendenza, sembra, al miglioramento.
In generale, nelle province italiane si vive un po' meglio. Sono infatti 59 su 110 quelle in cui la qualità della vita è risultata buona o accettabile. I risultati migliori li ottengono le piccole città: quella ideale ha mediamente 100 mila abitanti.
Quasi, quasi vado a vivere in campagna, dove c’è la rugiada che mi bagna e il gusto ci guadagna. Ma intanto sto in città e non mi piace più… che bella era la mia gioventù. (Alfredo Laurano)


domenica 18 novembre 2018

LE MADAMIN DEL BICERIN


Non bastava la manifestazione di Torino di una settimana fa, a favore del TAV, guidata e organizzata da sette madamin della buona borghesia cittadina, annoiate e stanche. Stanche di giocare a Burraco, del tè con i biscottini delle cinque, dello shopping quotidiano e compulsivo, dei pizzi e dei merletti, per dispiegare la loro fantasia.
Perché, si sono forse chieste, non scendere in piazza, come fanno gli arrabbiati di ogni categoria e godersi qualche momento di celebrità, qualche titolo sui giornali e qualche invito ai talk della TV?
Ma come?
Non con una generica protesta ambientalista, un banale lamento animalista o uno stantio mugugno anti violenza vetero-femminista: serviva un pretesto serio e credibile, un’occasione di interesse mediatico, nazionale e coinvolgente.
Allora perché non manifestare in favore della costruzione del TAV, il discusso progetto di una nuova linea ferroviaria Torino - Lione, che da vent’anni divide gli italiani, e contro la sindaca Appendino? 
Perché non invocare e sostenere quest’ opera inutile e mafiosa da venti miliardi di euro di denaro pubblico, come il Mose di Venezia, altro capolavoro demenziale che sta marcendo prima di essere finito?
E allora tutte e tutti in piazza Castello, senza partiti, senza bandiere formali e mandanti ufficiali. E senza, nemmeno sapere perché.
A Otto e mezzo, dalla fatina Gruber, una delle magnifiche sette ha confessato bellamente di ignorare tutto delle problematiche tecniche e ambientali della linea TAV. Ha detto infatti: “posso assolutamente dire che non siamo, né io né le altre organizzatrici, competenti per poter entrare nel merito degli aspetti tecnici e ambientali dell’opera”.
Ma cos’è una farsa o un esercizio di compromesso fra comicità, ignoranza e gigantesca presa per il culo di tutti gli italiani in buona fede?

Vista l'inconsistenza tecnica e l’accertata incompetenza di queste rivoluzionarie madamin del bicerin alla riscossa e dei loro seguaci scovati nella muta casta dei privilegiati, è lecito pensare che siano una specie di derivato edulcorato di un sotto prodotto avariato e scaduto del berlusconismo di ritorno, o di ciò che purtroppo ne resta, ed anche del complice renzismo che ha sepolto disinvoltamente la Sinistra. 
Solo slogan, cartelli, striscioni “Sì TAV”, gridati ed esposti da venti-trentamila persone, in prevalenza pensionati ed anziani illuminati, segnati e presi dal sacro fuoco della iper-tecnologia del binario felice. La maggior parte di costoro non sa che tutto questo riguarda il trasporto delle merci e non delle persone.

E, comunque, a questa inattesa prova coreografica di piazza, serviva un rinforzino per riconoscerle un po’ di spessore e credibilità: glielo hanno prontamente fornito, appunto, quelli della brigata Berlusconi. Militanti, consiglieri regionali, parlamentari (Tajani, Galliani e Gelmini) e qualche centinaio di sfigati manifestanti che - allo stonato canto di “menomale che Silvio ancora c’è” - si sono radunati ieri in piazza Palazzo di Città per sostenere il movimento Sì Tav di Forza Italia.
E' stato letto anche l’immancabile messaggio dell’ex Cavaliere: "La battaglia per la Tav è importantissima, perché si tratta di una infrastruttura decisiva per il futuro del Piemonte e delle altre regioni del nord. Ma è ancora più importante perché è una battaglia simbolica che vede contrapposte due visioni opposte dell'economia e della società".

Che belle parole, che acuta sensibilità sociale, che attenzione alle necessità della nazione!
Ma si, devastiamo la Val di Susa, buchiamo le montagne, cementifichiamo il verde.
E’ tutto così vitale per il futuro del Paese, per salvare il territorio, per risanarlo, per metterlo in sicurezza, sia dal punto di vista idrogeologico, che da quello sismico.
Crolli, disastri, alluvioni, allagamenti, esondazioni sono all’ordine del giorno ogni volta che in Italia piove. Ambienti, habitat e paesaggi sono distrutti a causa della mancata manutenzione e dell’abusivismo.
Dovremmo ricorrere, in verità, all’altissima velocità, come metodo e scelta politica, per tutelare, risanare e valorizzare questo povero Paese che cade a pezzi per l’incuria e il menefreghismo e dove si muore sotto un albero, sotto una frana annunciata, in un sottopasso o dentro casa, solo perché c’è un temporale e cattivo tempo.
La vera, utile e grande priorità sarebbe tutelare gli italiani e il nostro patrimonio naturale e culturale.
Altro che TAV! Un’opera fuori tempo, che serve solo a chi la costruisce, speculando. (Alfredo Laurano)


sabato 17 novembre 2018

EIA EIA ALELE’!


Da tempo hanno ucciso l’Unità, ma ogni tanto la riuccidono di nuovo, per esser certi che non possa risuscitare insieme a una moribonda Sinistra, che un tempo rappresentava.
Lele Mora vuole L'Unità'. Lo ha annunciato, pubblicamente, in TV, su Retequattro: diventerà ufficialmente il direttore del quotidiano. Si, proprio quello fondato da Antonio Gramsci nel 1924.
Ci aveva già provato, qualche tempo fa, un’altra bona, la Santa-deché, ma senza successo.
Ora ci prova uno che ha il busto del duce sulla scrivania e il suo ritratto alla parete. 
Uno che, sicuramente, affiderebbe, con piacere magno, gli editoriali al suo amichetto palestrato, verniciato di tatuaggi anche su tempie, piedi e gambe, che risponde al nome di Fabrizio Corona, dopo aver più o meno risposto – come lo stesso compagnuccio Lele – alla giustizia.

Povero Gramsci, il tuo giornale, il tuo nobile pensiero in mano a un gaudente neofascista che si definisce, però, mussoliniano! Uno che nel corso della sua vita è salito agli onori delle cronache per gossip di bassa lega e per le sue dichiarazioni sul fascismo da operetta ("ho le suonerie fasciste sul cellulare") oppure per le minacce al programma Annozero di Santoro ("spero vengano i fascisti a spaccarvi le gambe")
Fa accapponare la pelle il solo pensiero, che l'Unità, che versa in condizioni disastrose, venga acquistato da un conclamato fascio-bancarottiere come Lele Mora, nota maitresse del berlusconismo e della sua corte dei miracoli, coinvolto in una lunga serie di schifezze che lo hanno fatto finire in carcere. Uno che, condannato per evasione fiscale, bancarotta fraudolenta, spaccio di droga e favoreggiamento della prostituzione e messo da qualche buon prete (Mazzi) a fare servizio sociale, per vent’anni ha usato la cocaina come merce di scambio con escort e uomini di potere.
Uno che, come ricorda Globalist, ha permesso a molte mezze tacche dello gossip set televisivo di sfiorare il suo lato B in cerca di visibilità. Insomma una specie di cortigiana a tutto tondo, che esprime tutta la volgarità, l’atonia e l’idiozia del Paese.
Ora questo viscidissimo personaggio da fumetti erotico-scandalistici manifesta l'interesse di acquistare uno dei più grandi quotidiani della storia di questo Paese:
“La Sinistra non ha più un organo di stampa che la rappresenti nell'attuale scenario politico, si rende necessario ricreare il pluralismo di pensiero, in quanto condizione imprescindibile per riportare il nostro Paese ad una visione della vita democratica e libera.”
E lo farebbe Lui? Tutto, assai divertente se non fosse tragico.
Ma forse, per fortuna, è solo un grande bluff!
16 novembre 2018 (Alfredo Laurano)