domenica 31 gennaio 2016

FAMILY

Mezzo milione, un milione  o due milioni di ferventi cattolici difensori della moralità e della famiglia al Family Day? O una parata di politici e Vip ipocriti con amanti, divorzi e famiglie varie alle spalle? 
Non è questo il problema.
Già il fatto che debba esserci un Family Day è di per se ridicolo: dovrebbe, allora, poter esistere un Single Day o un Friend Day!
La famiglia esiste, è una salda istituzione, perché deve essere celebrata come il festival di Sanremo o il miracolo di S. Gennaro?
Premesso che si sta rivivendo lo stesso clima delle battaglie per l’aborto e per il divorzio che, a suo tempo, spaccò il Paese, concedere dei diritti a coppie di fatto, toglie o lede dei diritti alle coppie sposate tradizionali?
Perché la Chiesa, i vescovi e la Cei devono dettare le leggi di un Paese libero e laico e condizionare, se non determinare, le scelte e i comportamenti di ciascuno?
Lo scontro si fa sempre più ideologico: Talebani e Crociati da una parte, terroristi e miscredenti dall’altra. Fondamentalisti contro libertari. Integralismo contro tolleranza e parità.
Tutto ciò non mi sta bene. Parliamo di persone e sentimenti, non di politica, di guerre e di bandiere!

I bambini non si comprano al supermercato o alla Fiera del patrono e l’utero non si affitta come una garconnaire o una macchina a noleggio, né possono essere figli della provetta, ma perché una coppia di fatto, omo o etero, non dovrebbe avere uguali diritti, oltre che doveri, come tutti i cittadini?
Di fronte all'evidente crisi della famiglia tradizionale (quella del Mulino Bianco) - matrimoni consumati in poche settimane, frequenti separazioni e divorzi, case e bambini divisi e assegnati dal giudice, tradimenti anche a merenda e colazione, donne discriminate, ex mariti che mangiano alla Caritas, violenze e abusi di ogni genere - è ancora il caso di contrapporre tale tipo di famiglia a coppie di fatto etero o omosessuali?
Salvaguardati, difesi e tutelati, innanzitutto, i diritti dei bambini, perché non riconoscere le unioni civili, regolamentarle come avviene in tutto il mondo, e non consentire al convivente la possibilità di interagire di fronte alla legge, di rappresentarlo, assisterlo, curarlo, assumerne il ruolo?
Perché dire no alla libertà degli altri, perché negare a uomini e donne il diritto di amare liberamente?

Lo scontro vero è tra chi pensa che un credo religioso obblighi tutti a sottomettersi ai suoi precetti e chi invece vuole un laica difesa dei diritti di tutti, senza discriminare le minoranze, per una libertà che conosce un solo confine: la libertà dell’altro.
Chi divorzia non obbliga nessuno a divorziare, chi sceglie l’aborto non tocca la scelta di maternità, chi ricorre alla fecondazione assistita non ostacola la coppia fertile, chi vuole creare una famiglia gay non la impone agli altri né, soprattutto, vuole distruggere la famiglia eterosessuale.
31 gennaio 2016 (Alfredo Laurano)

venerdì 29 gennaio 2016

DI VENTOTTO CE N’E’ UNO

Quando i bambini erano “normali”, amavano i miti, le fiabe e le leggende e quando qualcuno le raccontava, stavano con gli occhi sgranati ad ascoltare, a immaginare, a volare con la fantasia.
Nella famiglia patriarcale, la televisione non c’era e non si navigava in Internet, si accendeva il caminetto e i nonni erano delegati a narrare queste storie della fantasia, magari, con i nipotini in braccio, come vuole una certa iconografia di un lontano tempo.
Ora, è un po’ più difficile che tutto questo accada…

La tradizione vuole che oggi, domani e dopodomani (29, 30 e 31 gennaio), cioè gli ultimi tre giorni di questo primo mese dell'anno, vengano definiti come i "giorni della Merla", ad indicare il periodo più freddo dell'inverno.
Molte sono le versioni che spiegano l'origine di questa credenza, ma che vedono in tutte un unico protagonista: una Merla.
Scopriamone un paio, le più note, da raccontare, previo consenso, ai tecnologici nipotini.

La prima nasce in tempi assai lontani, quando Gennaio non aveva ancora 31 giorni, ma solo 28.
Si narra che Gennaio fosse particolarmente scherzoso e un po' invidioso, in particolar modo con una Merla, molto ammirata per il suo grande becco giallo e per le penne bianchissime.  E per questo si divertiva a tormentarla: ogni volta infatti che usciva in cerca di cibo egli scatenava bufera di neve e vento.
Stufa di tutto questo, la Merla decise di farsi furba e l'anno seguente fece una bella scorta di cibo che infilò nel suo nido, così che rimase per tutti i 28 giorni al riparo, senza bisogno di uscire.
Trascorsi i 28 giorni, la Merla uscì e cominciò a prendere in giro Gennaio: "Eh caro mio, quest'anno sono stata proprio bene, sempre al calduccio, e tu non hai potuto farmi congelare il becco nemmeno un giorno."
Gennaio se la prese così tanto che andò dal fratello Febbraio, che vantava ben 31 giorni, e gli chiese in prestito 3 giorni. " Cosa vuoi farne? " e Gennaio rispose: "Ho da vendicarmi di una Merla impertinente. Stai a vedere".  
E così tornò sulla terra e scatenò una tremenda bufera di neve che durò per tutti i 3 giorni.
La povera Merla, che era andata in giro a far provviste, per il forte vento non riuscì nemmeno a tornare al suo nido.
Trovato il comignolo di un camino, vi si rifugiò in cerca di un po' di tepore. Trascorsi quei freddissimi 3 giorni uscì dal comignolo sana e salva, ma le sue candide penne erano diventate tutte nere a causa del fumo e della fuliggine.
Da allora Gennaio ha sempre 31 giorni e i merli hanno sempre le piume nere.

La seconda versione, ambientata nel capoluogo lombardo, ha come protagonisti un merlo, una merla e i loro tre figlioletti.
Erano venuti in città sul finire dell'estate e avevano sistemato il loro rifugio su un alto albero nel cortile di un palazzo situato in Porta Nuova e poi per l'inverno sotto una gronda, al riparo dalla neve, che in quell'anno era particolarmente abbondante.
Il gelo rendeva difficile trovare le provvigioni così che il merlo volava da mattina a sera in cerca di cibo, che tuttavia scarseggiava sempre di più.
Un giorno il merlo decise di volare ai confini di quella nevicata, per trovare un rifugio più mite per la sua famiglia. Intanto continuava a nevicare.
La merla, per proteggere i figlioletti intirizziti dal freddo, spostò il nido su un tetto vicino, dove fumava un comignolo da cui proveniva un po' di tepore.
La tormenta tenne così il merlo lontano da casa per ben tre giorni (appunto gli ultimi tre di Gennaio). Quando tornò indietro, quasi non riconosceva più la consorte e i figlioletti: erano diventati tutti neri per il fumo che emanava il camino.
Nel primo giorno di febbraio comparve finalmente un pallido sole e uscirono tutti dal nido invernale. Anche il capofamiglia si era scurito a contatto con la fuliggine.
Da allora, i merli nacquero tutti neri.
Ma il clima è cambiato e, a dispetto delle leggende, quest’anno nei giorni della Merla non farà affatto freddo, ma potremo sempre ricordare ai più piccini le avventure di questo uccello intelligente dalle piume nere, che un tempo erano bianche come la neve.
29 gennaio 2016 
(Alfredo Laurano)



SOTTO IL CUSCINO

La vicenda delle statue censurate in Campidoglio, in occasione della visita del presidente iraniano Rouhani, è diventata un caso politico e sta scatenando numerose polemiche.
Sono stato tra i primi a parlarne con una certa ironia e come fatto di costume, ma mai avrei creduto che potesse assumere i toni e i contorni della farsa all’italiana, di una barzelletta popolare raccontata da tutte le testate internazionali che per prenderci per il culo.
Il ministro Franceschini non ne sa nulla, il puffo premier si dice incazzatissimo sotto il cavallo di Marcaurelio e minaccia che “qualcuno pagherà!”

Pare che, secondo i delegati di Rouhani: "Il presidente non aveva problemi a passare nel corridoio con quei nudi. Ma temeva che una fotografia lo immortalasse accanto alle statue. Per questo avrebbe chiesto la copertura".
La decisione di oscurare i marmi alla vista dell'ospite sembra sia stata presa dal Cerimoniale di Stato, poco prima della conferenza stampa.
Insomma, qualcuno, per non mettere in imbarazzo l’ospite iraniano ha pensato bene di mettere in imbarazzo la cultura millenaria di un intero Paese, di rinnegare la sua arte e la sua storia.
Coprire quelle statue ai musei Capitolini - trasformandole in scarpiere Ikea, come ha detto Crozza - è stato un atto di enorme provincialismo da parte di un Governo che interpreta le relazioni internazionali in maniera fantasiosa. Un eccesso di zelo diplomatico, una chiara espressione di sciocca sudditanza politico-culturale.
Ovviamente, l’ironia dilaga sul Web, fra battute, slogan e fotomontaggi, sull’onda della ghiotta occasione di speculazione mediatica e di inevitabile montatura giornalistica che il caso ha provocato.

Tutta questa boccaccesca storia, mi ha fatto ricordare quando da ragazzini, in preda al naturale turbamento, ritagliavamo dai giornali le foto “audaci”, ma pur castigatissime, delle belle attrici e che poi nascondevamo, imbarazzati, sotto il cuscino, quando si affacciava un genitore.
Oggi, in qualche modo, si ripete, su ben più vasta scala, questa forma di ridicolo infantilismo politico, sacrificato alla ragion di Stato.
Ma, come avevo già scritto nella precedente nota, di fronte ad affari miliardari, che importanza ha, per qualche ora, celare con un velo di utile ipocrisia istituzionale le marmoree pudenda per pudore?
 28 gennaio 2016 (Alfredo Laurano)


CHE C’E’ DI BUONO?


Riccardo Jacona e la feroce Gabanelli resistono sul terreno dell’inchiesta, Formigli è sceso da tempo nella sua Piazza Pulita e ha sfidato l’Isis sul campo, con reportage realizzati di persona, tra colpi di mitra e di mortaio, in Iraq e nei pressi di Kobane. Maria Cuffaro s’è insediata al TG Tre, la Costamagna scrive sul Fatto e conduce trasmissioni, Ruotolo, più volte minacciato dai clan malavitosi, coltiva i suoi baffoni e il barbuto Bertazzoni, tra uno spintone e un calcio sulle palle, ha ritrovato spazio nelle strade, come inviato della detta Piazza.
Michele Santoro, padre putativo di tutti questi figli, è al momento disoccupato e non fa più talk show di approfondimento. Ma lancia “Buono!”: dalla mitica, “cattiva” Samarcanda, agli odori “buoni” di cucina.
Secondo alcuni rosica, ma non gli va più di risicare. E si sente forse abbandonato, anche se ha fatto sempre il paladino dei deboli contro il Potere, ha dato voce alle minoranze, ha denunciato abusi e soprusi, ha indagato e combattuto la Mafia.
Solo contro tutti: in Rai, in Mediaset, in tribunale, all’Europarlamento e nelle piazze.
E’ innegabile, anche, che nella sua lunga e coerente carriera abbia cresciuto e coccolato nel suo nido “sovversivo” quella bella schiera di giovani cronisti intraprendenti.
Oggi, sarebbe stanco, deluso e in crisi di contenuti perché, sempre per qualche retrivo benpensante - dal pensiero debole e dalla risposta facile - è “antico”, superato e il suo pubblico di riferimento non lo riconosce più come suo eroe popolare.

L’idea che adesso Santoro curi un inserto sul cibo appare sconvolgente.
Spezza una tradizione, rompe gli equilibri da tempo consolidati nella storia della televisione, disarciona i solidi riferimenti, i paletti e le etichette. Per definizione.
E’ come se Vespa smettesse di smarchettare i suoi libri, ora da Renzi e prima da Berlusca, o Del Debbio chiudesse le amate risse contro i migranti e silenziasse le labbra garrule della Santanchè.
Proprio il cibo! Il tema più inflazionato di questi anni.
Va bene il reflusso, la tendenza e il disimpegno, ma questo si chiama esagerare. Santoro deve continuare a occuparsi di politica, di società, di mondo e di mafia, non di cucina, pensano tutti. 
Ma lui, a sorpresa, spariglia e si rimette in gioco e forse si ricicla o, meglio si rinnova, o meglio percorre nuove vie in altre direzioni. E si inventa “Buono!”, un inserto di quattro pagine, abbinato al Fatto Quotidiano del venerdì.
L’idea è quella di farsi raccontare da uno chef per puntata una serie di posti del gusto e di indirizzi del cuore, senza per forza concentrarsi su altissimi livelli da gran gourmet.

Nel primo numero, Gualtiero Marchesi, 85 anni, indiscusso padre della cucina moderna italiana, racconta dei suoi luoghi preferiti, tra Parma e Milano. Luoghi antichi o comunque tradizionali, ma anche moderni e giovanili.
Inevitabile chiedersi se c’era bisogno di un nuovo inserto dedicato al cibo e scegliere di affidarsi ai consigli e ai ricordi di uno chef.
“La redazione di “Servizio Pubblico” purtroppo era piena di gente inadeguata alla rivoluzione - dice ironicamente il salernitano Masaniello - i più realisti si sono rifugiati nelle architetture che restano precariamente in piedi: le piazze pulite, le quinte colonne, i quartieri Ballarò, ritinteggiati a calce, quando non hanno trovato posto nel più astratto e meno deperibile ‘Di Martedì’.

Un gruppetto di fedelissimi, stretto intorno al guru, si è messo, quindi, in testa di parlare di alimentazione, perché pensa che il cibo sia diventato una vera ossessione, un’idea astratta onnipresente, un feticcio uscito definitivamente dal nostro stomaco per invadere le pagine dei libri e dei giornali, le Tv, la Rete e tutti i meandri angusti dell’informazione quotidiana. E vuole riportare questo mangiare infinito nel finito di un tavolo per riscoprire la forza del sapore, dell’odore, del gusto e, contemporaneamente, quello dell’amicizia e dello star bene insieme. Queste le ufficiali motivazioni che spiegano la scelta dirompente.

Sul cibo c’è tanto da dire, se si vuol indagare a monte della tavola imbandita o della cucina più alla moda. C’è da augurarsi che il nuovo inserto possa occuparsene, visto che il giornalismo d'inchiesta è sempre stato il pane di Santoro.
Oltre ai “consigli per gli acquisti” da scegliere e mangiare, è legittimo aspettarsi notizie sulle coltivazioni e sugli allevamenti intensivi, sui percorsi dal produttore al consumatore, sull'industria agro-alimentare i cui prodotti, biologici, di punta, di qualità, ma anche alterati e indesiderati - dai pesticidi, ai grassi idrogenati e all’olio di palma - finiscono nei nostri piatti e nelle nostre pance.
La rivoluzione non è proprio finita, anche questa può essere una battaglia.
 26 gennaio 2016 (Alfredo Laurano)



mercoledì 27 gennaio 2016

GIOCATTOLI

Ha preso la Metro a Piazza Bologna, si è fatto tutte le fermate fino a Termini.
Lì, ha percorso tutti i varchi, i passaggi, le scale mobili. E' arrivato nel grande atrio della stazione pieno di negozi, bar, ristoranti, agenzie, edicole, posti di controllo ed è entrato nell'area treni in arrivo e in partenza.
Dall'interno, lungo i binari, ha raggiunto il suo treno per Anagni, alle Ferrovie Laziali. Vi è salito, ha viaggiato ed è arrivato nel piccolo paese e poi a casa.
E ha tenuto sempre in mano quel fucile giocattolo, regalo per il figlio. 

In tutto questo lungo viaggio, lo ha notato solo una donna che ha avvertito la polizia. 
Scattato l'allarme, sono intervenuti tutti: esercito, Carabinieri, P.S., Finanza, Teste di cuoio, Guardie Svizzere e Majorette.
Urla, treni fermi e vetture bloccate, setacciato ogni angolo, fuggi fuggi generale, esercizi chiusi, panico.
In pochi minuti, evacuata la stazione Termini.
Per la prima volta, è macabramente vuota, deserta. Cala il silenzio, l'atmosfera è irreale, impressionante, sconvolgente!
E se fosse stato vero quel fucile? E se invece di fare il pizzaiolo, avesse fatto il cecchino o il terrorista?
Alfano: "Alla stazione Termini abbiamo avuto una prova di allerta molto significativa: il meccanismo si è messo in funzione e in pochi minuti si è individuato il soggetto" (per la cronaca, solo quindici ore dopo). 
Che efficienza, che risposta, che capacità!
Tranquilli, anche il nostro eroe fiorentino aveva già detto e ripetuto che non dobbiamo aver paura! Perché, lui, non ne ha.
E te credo!
26 gennaio 2016 
(Alfredo Laurano)




PUDENDA

In occasione della visita del presidente iraniano Hassan Rohani in Campidoglio sono state coperte da pannelli bianchi su tutti e quattro i lati alcune statue di nudi dei Musei Capitolini. La copertura sarebbe stata decisa come forma di rispetto della cultura iraniana. Tanto che durante le cerimonie istituzionali non è stato servito nemmeno il vino. 
Ma perché tanta sensibilità, al punto da rinnegare e snaturare l’arte, la tradizione e la storia di un popolo?
Per una ragione nobile e spirituale: tre miliardi di euro. 
È l’ammontare di esportazioni verso l’Iran cui l’Italia punta di arrivare, nel giro di due anni, grazie all’eliminazione delle sanzioni statunitensi. 
Una cifra importante che spiega perché la questione economica rivesta un ruolo chiave nella visita a Roma del presidente iraniano. Molte aziende italiane potranno siglare nuovi accordi commerciali con quel paese.
Vale la pena, per qualche ora, celare le pudenda per pudore. Le nonne di una volta, dopotutto, raccomandavano alle giovanissime nipotine di coprire sempre “le vergogne”.
Anche le ancelle renziane erano certamente pronte ad indossare il velo per il bene supremo della laica patria. 
Non per coprire le proprie, di vergogne.
 26 gennaio 2016 (Alfredo Laurano)




domenica 24 gennaio 2016

A CARNEVALE OGNI SCHERZO VALE

Addio Biancaneve, Principe Azzurro, Batman, Uomo Ragno e D’Artagnan.
I più classici Arlecchino, Colombina e Pulcinella erano in soffitta già da tempo.
Oggi, a Carnevale, il must lanciato - e poi ritirato per proteste popolari - è il costume da “piccolo profugo”, una valigia di cartone, gilet, pantaloni di due taglie più grandi per i maschietto, e un vestitino fiorato che ricorda la scamiciata della nonna, per le femminucce: poco più di 24 euro per somigliare e travestirsi da piccoli migranti crescono.
Il business non ha limiti morali, non rispetta valori e disvalori, ma viaggia e specula su ciò che offre il mercato, di bello o di brutto, di buono o cattivo. Sceglie tutto quello che nella quotidianità, tra rischi e benefici, si riflette nelle attese, nelle scelte e nei bisogni indotti. E crea utile.
L'annuncio di una ditta inglese, apparso su Amazon, noto sito di vendite online, ha scatenato critiche, tanto da costringere gli amministratori a ritirarlo. La Caritas italiana: "Un messaggio commerciale in un momento storico così delicato è davvero vergognoso e da stigmatizzare. Forse l’azienda potrebbe investire gli stessi soldi per comprare un giubbino per un bambino che magari si trova in questo momento in mezzo al mare".
Il costume in vendita, tuttavia, non avrebbe però a che fare con le continue tragedie dei profughi di oggi, ma con quelli di “ieri”.
Nella descrizione del prodotto, infatti si accenna alla “Guerra Mondiale”: dunque, il riferimento sarebbe ai migranti della prima metà del Novecento.
Forse, una sottile strategia commerciale che propone sì, la novità e l’evidente allusione all’attualità, ma che si para furbescamente le chiappe dalla prevedibile critica, collocando la maschera in tempi storici diversi.
Insomma, come dire, una bella paraculata per attenuare eticamente una maliziosa tattica di vendita e pubblicità.
Ora, non resta che attendere sul mercato anche il costume da jihadista dell’Isis, con tanto di pugnale da sgozzatore. 
Sicuramente andrebbe a ruba, più di Tarzan e Robin Hood.
24 gennaio 2016 (Alfredo Laurano)


venerdì 22 gennaio 2016

NERO TROVATO, COLPEVOLE TROVATO

Se è stato condannato per aver agito in concorso con altri, tutti a suo tempo, si son chiesti e ancora si chiedono: e chi sono gli altri? E’ un fatto di pura, elementare logica, Watson!
La sentenza della Cassazione contraddice se stessa.
Ha stabilito che Amanda Knox e Raffaele Sollecito erano presenti quella sera sulla scena del delitto, ma sono innocenti, mentre Rudi Guede, nero ivoriano di vent’anni (all’epoca dei fatti), è stato accusato e condannato di omicidio in concorso “col nulla”, con la certezza processuale, però, di non aver materialmente accoltellato la povera Meredith.

Il "delitto di Perugia" è stato ripercorso in lungo e in largo nella magnifica puntata di Storie Maledette dalla bravissima, puntuale, attenta, misurata, ironica e incalzante Franca Leosini, partendo dalla assurda verità stabilita dalla sentenza che inchioda Guede come unico colpevole. Gli altri due sono liberi, famosi, scrivono libri, rilasciano interviste, guadagnano quattrini, sono ospiti d’onore dappertutto.

Il vero Rudy Guede che il programma ha scoperto, anche sotto il profilo umano e psicologico, non somiglia affatto al ritratto che i giornali e i media hanno dipinto per anni, per convincere l’opinione pubblica della sua colpevolezza. Serviva da subito un colpevole e il giovane ivoriano, in Italia da quando aveva cinque anni, aveva i migliori requisiti per essere sbattuto in prima pagina.
Al contrario di quanto gli stessi media hanno fatto per gli altri due imputati - prima condannati nei vari gradi di giudizio, poi definitivamente assolti in Cassazione a maggio scorso - che hanno avuto anche il sostegno di un’intera comunità e di mezza America, la prima (Amanda) e le brillanti scelte difensive e la forza economica di una ricca famiglia e di un padre iper-attivo, il secondo (Sollecito).

Per la prima volta, il condannato ha raccontato in TV dal carcere di Viterbo - dove sta scontando la pena da oltre otto anni - la sua versione dei fatti sull’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, rispondendo a diversi interrogativi rimasti finora senza risposta.
L’impressione che ne ho avuta, condivisa da tantissimi altri, è che - oltre a quanto dichiarato dal criminologo che lo ha seguito e che ben conosce: "non ho la certezza che Rudy sia innocente, ma ho tanti e troppi dubbi sulla sua colpevolezza" - che si sia rimasto vittima di una strategia processuale che all'epoca sembrava essere la migliore perseguibile, date anche le condizioni di partenza: difensore d’ufficio, imputato nero e squattrinato, prove a suo carico, sconto di pena di un terzo per la scelta dell'abbreviato.

Oggi, alla luce delle recenti conclusioni, quell'impianto accusatorio si è giustamente dissolto ma, nonostante ciò, sta scontando, purtroppo, i mali di una giustizia a volte ingiusta, discriminatoria e un po’ razzista.
Se avesse avuto lui la Bongiorno e se fosse ricco e bianco, forse, oggi sarebbe a spasso per Perugia.
22 gennaio 2016 (Alfredo Laurano)

NON DISTURBATE LO SCIENZIATO

Nonostante Internet, i telefonini e il mondo super digitale, la televisione resta ancora il pane quotidiano della stragrande maggioranza degli italiani.
Programmi spazzatura di intrattenimento o di pseudo informazione entrano di prepotenza - ora il canone Rai si paga con la bolletta della luce - nelle case degli utenti rassegnati e, a volte, disperati. E sono quasi sempre e quasi tutti inquinati dalle performance di esemplari di una razza nuova e strana, effetto del contro-evoluzionismo, che si definisce degli “opinionisti”.
L'opinionista è un mestiere che non esiste. Se lo sono inventato quelli della tv, per piazzare un po' di chiappe sui divani dei loro mediatici boudoir e organizzare un poco d’ammuina.
Per farlo e per esserlo ufficialmente, basta la definizione e il formale riconoscimento di qualche potente sciamano del piccolo schermo (ora, anche enorme); aver acquisito un minimo di popolarità nella casa del grande bordello o in qualche isola o tra gli amici della De Filippi, di Guevara Giletti o di madonna D’Urso; essere invitato in qualche trasmissione e dissertare con piglio impegnato su argomenti di scottante attualità: le love story di Belen, le vicende di Corona, le chiappe sode della Russo partoriente a 54 anni, le diete vegane, i miracoli della chirurgia plastica e pronunciare qualche concetto lapidario tipo “si dovrebbe vergognare” o “sotto il profilo del”. E ti pagano pure.
Non serve avere nessun requisito in particolare, basta solo mettere bocca su tutto, anche se non si sa nemmeno di cosa si parli, né perché si è lì, se non per una botta di culo o per incredibile congiunzione astrale.
A tale proposito, l’immenso (quale altro aggettivo usare!) scienziato delle stelle Paolo Fox è sbottato in diretta contro Magalli, disturbatore con chiacchiericcio al seguito: “Sono anni che rubate il tempo al mio spazio dell’oroscopo, e se poi vi mettete a parlare sotto io non ci capisco niente! Erano anni che volevo dirvelo. Tanto tra 6 minuti me ne vado”. E il sornione placido, e sicuramente scettico, Magalli ha con ironia replicato: “Quasi 7″.
Ma questo esegeta astrale, questo oracolo dell’arcano e del mistero non ha mai pensato di andare a lavorare? Che so, nell’edilizia, nell’agricoltura o nelle fabbriche di carte, di amuleti per turisti stanchi.
Ma perché dilagano certi personaggi come costui, o come il santone Mughini che gesticola con le braccia ad elica, le mani inanellate a disegnare in aria improbabili arabeschi; che fa lo stoico e si veste in technicolor - come i teatranti nei vecchi baracconi di una volta -, che spara sentenze appese all’ovvietà e si mette in posa plastica da mimo, subito dopo aver pronunciato il sacro verbo della tuttologia?
O come il Malgi dall’ormone impazzito - lo stravagante Cristiano Malgioglio - dalla cresta bianco cigno su completini in raso rosa, scintillante di lustrini e di gesti da checca stizzita e esagerata, che pontifica stridendo sul talento altrui, su manie perverse e doppi sensi.
O come il disturbato, lunghe leve Luca Giurato che umilia i congiuntivi, sbaglia a pronunciare anche il proprio nome e non riesce a dire una pur semplice cazzata, se non duellando con la sua lingua e con i suoi arti da funambolo fallito, troppo spesso caduto al circo senza rete?
La lista è ancora lunga: da Alfonso Signorini, per gli amici, Alfonsina, a Vladimir Luxuria, che vivacizza ogni programma col suo fascino proibito; dal putto roco Raffaello Tonon, una scommessa della cattiva sorte, uscita dal rifacimento di una vasca, alla “più sana e più bella” Rosanna Lambertucci; dalla culonissima Valeria Marini alle labbra canottate della Parietti nazionale.

Nel reparto nobili in liquidazione, c’è la contessa fruttarola Patrizia de Blanck, spesso accompagnata dalla pargoletta Giadina, che ha dovuto rinunciare al suo massimo piacere di fare il bagno di notte, alla Beautiful, con le candele e le musiche soffuse, per liti con il condominio.
E la marchesa Daniela Del Secco d’Aragona, che si spaccia per aristocratica: “bisogna cambiare 5 abiti e 5 profumi al giorno". Negli anni ‘90 promuoveva le sue creme di bellezza su un’emittente locale; ora, che è riuscita ad infilarsi in tutti gli eventi della Capitale, è diventata un fumetto più vero di quello che voleva imitare, tanto da finire su riviste di gossip a fare da consulente di bon ton.

Si prosegue con il cupo e taciturno Crepet, spesso presente a sua insaputa, e con il logorroico Alessandro Meluzzi, psichiatra di dubbia credibilità e dal rutilante passato politico (dai Comunisti ai Radicali, passando per il Partito Socialista, Forza Italia, l'Udeur e infine i Verdi), che ha iniziato e promosso la sua carriera di opinionista su tutte le reti Rai e Mediaset.
E poi, c’è Tina Cipollari de’ Noantri, la prima e più antica delle opinioniste di “Uomini e Donne”, con la sua aria da vamp e da popolana, con l’ironica pretesa di ricordare Marilyn. Già corteggiatrice, poi tronista ed in seguito opinionista fissa del programma, che strapazza, con la solita verve e in romanesco, valletti, damigelle, cicisbei e pubblico parlante.
Da non dimenticare Platinette, al secolo Mauro Coruzzi, che ha costruito fama e notorietà sul personaggio eccessivo e sopra le righe della drag queen opinionista. Abiti da donna, parrucconi, super ciccia e lustrini, ma anche una carica ironica e polemica da opinionista d'attacco. Amata e odiata in egual misura, Platinette non passa inosservata, anche ora che si è sottoposta ad intervento chirurgico riduttivo.
E, per chiudere in bellezza questo ricco e multiforme gregge, Sgarbi e il suo invincibile esercito di capre, il vero padre di tutti gli opinionisti.

Grandi personaggi, venditori di fumo, di chiacchiere e tappeti. Tutti esperti illuminati e sottili pensatori, a tempo perso, che bivaccano in quei salotti del consenso, per confezionare lo spettacolo del banale quotidiano: è la nuova intellighenzia che irrompe e domina sovrana la cultura dei poveri italiani.
21 gennaio 2016 (Alfredo Laurano)



mercoledì 20 gennaio 2016

ADDIO ETTORE!


In pochi giorni, il grande Cinema ha perso tre illustri protagonisti che, a diverso titolo e in diversi ruoli, hanno raccontato l'Italia e gli italiani: la Pampanini, Franco Citti e ieri Ettore Scola, il cui linguaggio filmico, profondo ma lieve, ha tracciato un solco profondo nel segno dell'impegno civile, politico e sociale.
Forse, l'ultimo grande narratore di favole e realtà. (A. La.)




C’ERA UNA VOLTA IL PONTE DEL SOLDINO

Mio padre me ne parlava sempre. Ne aveva un ricordo vivo e una certa nostalgia che, in tante occasioni, trasmetteva a tutta la famiglia. E raccontava di quel soldo che si lasciava all’omino col banchetto, seduto all’inizio di quel ponte pedonale di ferro, sospeso sul fiume (il primo). Erano esentati i militari, i gendarmi, i frati mendicanti scalzi.
Il ponte dei Fiorentini o "ponte de ferro", come lo chiamavano i romani per la sua struttura metallica, era situato all'altezza della chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini.
Venne costruito nel 1863 da una società anonima francese ed aveva fiancate a traliccio e lastricato e marciapiedi a tavole di legno: il tutto sospeso con grossi cavi e tiranti. La sua campata di ben 93 metri per 5 di larghezza non poggiava infatti su piloni posti nell'alveo del fiume, ma su due piloni e due piccole campate di 10 metri posti direttamente sulle rive del Tevere. Le due forti catene che correvano ai lati del ponte erano collegate tra di esse loro da spranghe metalliche, per ridurre le oscillazioni.
Una vera meraviglia dell'ingegneria di quei tempi.

Inaugurato da Pio IX, che lo percorse “passo passo”, inizialmente venne adibito al transito di veicoli a trazione animale, ma in seguito venne riservato ai soli pedoni.
Quale compenso per le spese sostenute per la costruzione, il governo pontificio concesse alla società il diritto di pedaggio a tariffa unica stabilita in cinque centesimi, un "soldo" per un periodo di 99 anni: per questo motivo fu chiamato il "ponte del soldo" o, più dolcemente, il "ponte del soldino". La domenica di Pasqua il transito era gratuito per tutti.
Il ponte venne demolito il 15 luglio 1941 e i suoi pezzi furono utilizzati per costruire armi destinate alla guerra in cui l’Italia era entrata un anno prima.
Nel 1942, fu sostituito, anche se 100 metri più a valle, dal ponte Principe Amedeo, in muratura, a tre arcate, il cui progetto, che dette anche inizio all’abbattimento delle case che sorgevano sulle due rive del fiume, rinnovava completamente l’urbanistica della zona.
Le cronache dell’epoca raccontano che la manutenzione del ponte e la riscossione del pedaggio fu affidata inizialmente al conte Domenico Celani, che morì proprio accoltellato durante una lite con un uomo che si rifiutava di pagare.
Gli successe il figlio che fu soprannominato "er moro der ponte de fero".
20 gennaio 2016 (Alfredo Laurano)




martedì 19 gennaio 2016

BULLI E PUPE

Quante ragazze e adolescenti dovranno ancora ammazzarsi, lanciarsi dalle finestre, soffrire, piangere, patire, tormentarsi ed essere vessati da un esercito di bulli e teppistelli che la tecnologia ha reso più spavaldi, violenti e cattivi?
La legge contro il bullismo e il cyberbullismo giace ancora in Parlamento e i casi di persecuzione si ripetono quotidianamente, anche quando non sono oggetto di cronaca ordinaria e di dibattiti.
Bulli e bullette agiscono pubblicamente nel tentativo di conquistare una posizione di rilievo nel gruppo e, per aumentare le probabilità di successo, scelgono come vittime i coetanei più deboli fisicamente o psicologicamente.

Il bullismo è rappresentato da un insieme di aggressioni di diverso tipo rivolte in maniera intenzionale e sistematica. Spavalderia, arroganza, sfrontatezza, sopraffazione, con violenze fisiche e psicologiche attuate specialmente in ambienti scolastici o giovanili. Una volta, fra i militari esisteva anche il nonnismo.
Oggi è una forma di teppismo soprattutto digitale, ben più deleterio di quello fisico e diretto, perché agisce lentamente e scava e corrompe l’autostima del malcapitato.
Ai miei tempi, con una catartica scazzottata fra maschi si risolvevano tanti problemi di leadership e di giustizia di gruppo e di quartiere, senza prevaricare o insultare mai le compagne e le fanciulle.
Alle tradizionali forme che esso poteva assumere - non ultima, la difesa del più fragile ed emarginato -  si è quindi aggiunto il cyberbullying, grazie alla maggiore diffusione delle nuove tecnologie che segnano i ritmi della vita quotidiana: tra i giovani, il fenomeno è diventato multidimensionale e virale. Le spiegazioni vanno ricercate nelle caratteristiche individuali dei bulli e delle vittime, nelle relazioni familiari, nelle provenienze culturali, nelle differenze sociali e di classe, nell’organizzazione del sistema scolastico. Di questa complessità devono necessariamente tenere conto i progetti di prevenzione e intervento.
Nei rapporti tra coetanei, ogni comportamento violento e pervasivo può determinare conseguenze psicologiche, gravi e durature: umiliazione, depressione, insonnia, disturbi psicosomatici, isolamento e ansia sociale, istinti suicidari.
E’ un abuso sistematico di potere, un desiderio di intimidire e dominare. Da ciò, spesso, nascono o derivano reati come lo stalking, la diffamazione, il razzismo, le ingiurie e molestie che portano all’esasperazione totale della vittima.

Quanti giovanissimi sono oggetto di vessazioni continue e prepotenze tramite Internet o il telefono? Quanti soprusi, offese, pesanti soprannomi, derisioni per l’aspetto fisico o per la cadenza e il modo di parlare, o per opinioni e abbigliamento retrogradi e troppo tradizionali si consumano nelle aule, nei luoghi di incontro e, soprattutto, on line?
Anche gli atti di bullismo diretto, caratterizzati da un contatto fisico tra la vittima e bullo, come aggressioni, spintoni, botte, calci e pugni non sono quasi mai denunciati da chi ne è vittima e per questo se ne parla poco o niente, anche se sono molto più che frequenti.

La famiglie, che spesso esprimono uno stile educativo prevalentemente permissivo e tollerante, sono pronte a soddisfare tutte le richieste dei figli, ma non offrono adeguato controllo e attenzione al comportamento degli stessi, in casa e fuori.
La troppa e scontata indulgenza non aiuta il bambino a sviluppare valori di correttezza, rispetto e tolleranza e ciò, insieme ad altre caratteristiche personali, può creare molta difficoltà nella gestione di sé e delle proprie azioni, anche e soprattutto fuori del contesto familiare e, quindi, portare ad assumere condotte brutali e aggressive.

Dovrebbero forse intervenire con più coraggio e determinazione, senza aspettare che la scuola, espressione di una società più che prepotente, faccia impossibili miracoli e che qualche infelice dodicenne, lanciatasi nel vuoto, si salvi solo grazie a una tapparella casualmente aperta.
Anche perché un figlio bullo non è un vincente o un paraculo, è solo un miserabile vigliacco.

19 gennaio 2015 (Alfredo Laurano)