martedì 31 luglio 2018

IL FASCISTA IN DOPPIO PETTO


Caro sindaco di Ladispoli, con annessa Giunta, volete intitolare una strada a Giorgio Almirante, visto che a Roma l’analoga proposta è miseramente fallita?
Fate pure, nessun problema, purché sulla targa in marmo, sotto il suo riverito nome, venga indicato il suo ruolo e definita la sua nobile funzione, come si fa per illustri scienziati, artisti, condottieri, musicisti, poeti e navigatori.
E allora, condensato in poche righe, si dovrà scrivere chi era costui, perché il popolo sappia e la Storia ricordi.
Repubblichino di Salò, Almirante nel 1938 fu firmatario del Manifesto della razza, anticamera dell'olocausto degli ebrei, collaborando poi fino al 1942 alla rivista "La difesa della razza" come segretario di redazione.
Su questa rivista si occupò di far penetrare in Italia le tesi razziste provenienti dalla Germania nazista, ma con tutto l'orgoglio di essere razzisti italiani.

Il 10 aprile 1944, apparve il cosiddetto “manifesto della morte”, firmato dallo stesso Almirante, in cui si decretava la pena della fucilazione per tutti i partigiani che non avessero deposto le armi e non si fossero prontamente arresi.
Vi era riprodotto l’ultimatum rivolto da Mussolini ai militari "sbandati" dopo l’8 settembre 1943 e ai ribelli saliti in montagna: consegnatevi ai tedeschi o ai fascisti entro trenta giorni, oppure vi aspetta la fucilazione.
Morte era minacciata anche a chi avesse dato aiuto o riparo ai partigiani. Fu il sigillo, quel decreto legge voluto dal duce di concerto con Rodolfo Graziani, per un’indiscriminata caccia all' uomo e per rastrellamenti feroci, in una terra insanguinata dalle stragi. Solo in Maremma, tra il 13 e il 14 giugno, furono ammazzati a Niccioleta ottantatré minatori.
Nel 1972, fu accusato e amnistiato, solo perché ultrasettantenne, anche dal reato di favoreggiamento aggravato agli autori della strage di Peteano, nella quale tre carabinieri furono fatti saltare in aria.
E fu proprio Giorgio Almirante, il fascista in doppio petto, quello rispettabile, quello con il senso dello Stato, a proteggere lo stragista, fino a mandargli 34.650 dollari in Spagna, per operarsi alle corde vocali.

Certo, nella via a lui dedicata ci vorrà una targa molto grande, extra large, per contenere questo magnifico riassunto.
Perché questa è Storia, non è un’opinione. (Alfredo Laurano)

domenica 29 luglio 2018

FRECCE


Noi c'eravamo...
Un popolo riversato sulle spiagge o immerso nelle acque marine tra gli scogli; migliaia di telefonini e macchine fotografiche, milioni di scatti e video amatoriali.
Tutti in attesa, tutti pronti sotto il sole in una giornata calda, ma per fortuna anche ventilata. 
Sono le diciotto, stanno arrivando...
Prima il rumore un po' lontano, poi un sibilo sottile e, infine un rombo assordante che rimbomba tra le case ed i palazzi. Sembra squarciare l'aria e il cielo, penetrare nel corpo di chi guarda e nel terreno, come un terremoto.
Appaiono le sagome degli aerei in formazione, a oltre cinquecento km. all'ora: sono le Frecce Tricolori, scagliate da un arco immaginario, senza fusto e senza filo.
Gioielli meccanici che danzano nel blu di cielo e mare, a velocità pazzesche, con rischi da brivido, manovre mozzafiato e traiettorie da togliere il respiro.
Le evoluzioni disegnano cuori, incroci, incastri e figure di assoluta fantasia
Tutto in un attimo, in un lampo che ti lasciano attonito e stupito.
La pattuglia vira e fugge in una nube bianca, tra strisce di colore e d'emozione che ti catturan dentro. (Alfredo Laurano)

 

sabato 28 luglio 2018

130 ANNI ALLA LUCE DEL SOLE


Ladispoli compie 130 anni e indossa l’abito della festa. Musica, spettacoli, gruppi folk, mercatini e stand gastronomici
Ben prima di Ostia e Fregene, Ladispoli fu la Marina di Roma, la spiaggia preferita e frequentata dalla nobiltà romana e dalla ricca borghesia.
Negli anni trenta raggiunse il primato per la maggior presenza di villeggianti. “Tutti i giorni parecchie centinaia di persone se tuffano soavemente nel bel mare de Ladispoli, dimenticando per qualche ora i 35 gradi della captale…
Così scriveva Trilussa nel 1894 sul Don Chisciotte di Roma.
Fu proprio quella “terra di confine” a far sognare Roberto e Renzo Rossellini, che tra il mare e la palude, avevano vissuto all’inizio del novecento le loro vacanze nella casa di via degli Abruzzi e avevano trovato qui ispirazione per alcune loro opere.

Era il 1888 quando il principe Ladislao Odescalchi, un nobile "sui generis", che amava, riamato, il suo popolo, decise di sbarazzarsi degli abitanti del borgo - pescatori e contadini, quasi tutti suoi dipendenti - e dei villeggianti, sempre più numerosi, chiassosi e invadenti, che d'estate arrivavano col treno fin sotto il suo castello, devastando anche gli ingressi, le scale ed i tetti delle abitazioni.
La situazione era diventata insopportabile anche per lui, molto generoso e democratico.
Quella marea di gente gli aveva complicato la vita, la quiete e la pace non esistevano più, il castello ed il borgo non erano più suoi ed il principe volle correre ai ripari.
Ed un bel giorno, le carrozze dei bagnanti romani trovarono la strada di accesso a Palo sbarrata. Fece sopprimere anche quel braccio di ferrovia che portava i vacanzieri sulla piazzetta del borgo, passando proprio davanti al suo maniero.
Contemporaneamente, istituì un consorzio insieme all'ingegner Vittorio Cantoni e lottizzò la striscia di terra fra i due torrenti, Vaccino e Sanguinaro.
Un altro braccio ferroviario venne subito costruito verso il nuovo insediamento urbano.
Il binario, di circa due chilometri, partiva dalla odierna stazione di Palo e correva parallelo alla carrozzabile, costeggiando il bosco e la riserva di caccia, scavalcando il fiume Sanguinaro con un ponte di ferro. Al centro della ipotetica piazza, una baracca di legno fungeva da stazione ferroviaria, mentre due binari morti portavano a una piattaforma mobile che girava le locomotive e le rimetteva in partenza.
L'ampiezza dell'arenile antistante la nuova realtà invitò i villeggianti ad affluire più numerosi che a Palo, tanto che durante l'estate la strada brulicava di carrozze e calessi, trainati da scalcianti ronzini.
I treni, con locomotive a vapore e vagoni semi aperti, trasportavano romani in ghette e paglietta e donne con enormi cappelli e variopinti ombrellini.
Dalle capanne alle baracche su palafitte, poi le prime case in muratura.
Questa fu la prima Ladispoli: senza strade, senza fogne, senza luce. L'acqua mancava e la popolazione cresceva.
La storia di Ladispoli è, comunque, profondamente legata al mare, al microclima e alla sua sabbia nera.
Dal 1965 al 1990, la città è stata espressione del turismo popolare e familiare.
La sua ferrosa spiaggia e il suo clima mite avevano attratto tantissime famiglie, anche grazie alla straordinaria ricettività dei posti letto che l’ex paesetto di pescatori offriva, in virtù di un insensato boom edilizio: dalla villetta ai grattacieli.
Oggi, è una città moderna di 42mila abitanti, dove convivono oltre cinquanta etnie diverse e ben integrate. Spiagge libere, stabilimenti, strade, rotonde, scuole, servizi e ristoranti, la “città dei bagni e della sabbia nera” è famosa anche per la produzione del carciofo e della relativa Sagra (65 edizioni) e per la cinquecentesca Torre Flavia, simbolo della città, danneggiata dai bombardamenti durante l’ultima guerra e oggi immersa nel mare a causa dell'erosione della costa.
L’identità plurale di Ladispoli la distingue come “città di tutti”, dove - come dice l’ex sindaco Paliotta - nessuno si sente estraneo e nessuno si sente padrone.
E stasera, per festeggiare l’anniversario, sul cielo di Ladispoli si esibiranno anche Le Frecce Tricolori. (Alfredo Laurano)



SI FA PRESTO A DIRE EROI

E mo’ basta co tutti sti migranti eroi, che aiutano, che salvano la vita alle persone, che ancora fanno le buone azioni quotidiane, come predica il vangelo, che noi non facciamo più.
Poche settimane fa, l’acrobata-uomo ragno ghanese che a Torino si è arrampicato in pochi secondi su un palazzo, fino al quarto piano, per acchiappare una bimbetta appesa ad un balcone. Poi, c’è stato quello che si è buttato in un fiume, non ricordo dove, per salvare un ragazzo che stava annegando. Quello che ha consegnato ai Carabinieri un portafoglio assai imbottito, che aveva trovato in strada. Quell’altro che ha aiutato la vecchietta ad attraversare la strada, a portarle la spesa e via dicendo.
Ma allora non sono tutti delinquenti, criminali, spacciatori e violentatori questi extracomunitari che “ci invadono”? Non sono peggio dei camorristi, dei mafiosi e ‘Nranghetisti?

Da ieri mattina, Osahon Ewansiha è un dipendente del Prestofresco: è stato assunto per gratitudine e, diciamo, per premio o ricompensa. Deve caricare gli scaffali, controllare le scadenze e lavorare in magazzino.
Meno di un mese fa, era diventato l’eroe della catena di quei supermercati, dopo aver sventato una rapina, l’ennesima nel punto vendita di via Mercadante, a Torino.
Il giovane nigeriano di 27 anni, che ora indossa la maglietta rossa con il logo del market, si era lanciato dentro il negozio per bloccare un rapinatore che, armato di coltello, stava minacciando la cassiera. I due avevano lottato: il ragazzo aveva schivato diversi fendenti e, alla fine, il bandito (italiano) era stato costretto a fuggire. I carabinieri però lo hanno identificato e arrestato due settimane fa.
Racconta Osahon: "Io chiedevo l’elemosina perché, anche se non avevo niente, non volevo rubare. Ho guardato quella cassiera in pericolo e ho pensato alla mia famiglia in Nigeria".
Ora sono felicissimo, con questo lavoro inizia il mio futuro - continua con un certo orgoglio - potrò mandare soldi a casa: anche i miei fratelli contano su di me.  È il mio primo lavoro vero qui in Italia: non pensavo che il mio gesto, quel sabato mattina, avrebbe portato a tutto questo. Mi ha rivoluzionato la vita".
E, magari, anche i pregiudizi di tanti benpensanti, xenofobi italiani.
 (Alfredo Laurano)


giovedì 26 luglio 2018

DISPREZZANDO VALE


E’ vero che, ormai, se sei scemo, ignorante o incivile, grazie ai social, hai il privilegio di farlo conoscere rapidamente a tutti. Prima, lo sapevano in pochi, in famiglia, al bar, alcuni amici e conoscenti di paese o di quartiere.
Un’orda di casalinghe stanche, bande di ragazzini prepotenti e bulli, un esercito di invasati, di repressi, di malati, di invidiosi e di webeti comuni insultano chiunque, a prescindere da ciò che scrive, esprime e pubblica. Si fomentano reciprocamente al meeting motivazionale dell’imbecillità e dell’esibizionismo sgrammaticamente parolaio, nella speranza di vincere il premio del più cretino, all’unanimità o a maggioranza, o l’alloro accademico dello scemo del villaggio (globale), di una volta, che si è trasformato in citrullo telematico - il cui raglio spesso procura gravi danni non solo alla comunità virtuale - o di celebrarsi, gratuitamente, nella notte degli oscar dei coglioni viventi.
E’ il sistema di marketing piramidale e popolare che, purtroppo, producono il web e i social, e che andrebbe vietato per legge ai minori, ai minus habens, agli analfabeti, più o meno funzionali, e agli incapaci. E’ la grande piazza virtuale che non vende frutta e verdura, ma scampoli di pensiero, spesso malato o tristemente deviato.

In questa grande chiavica, in questa cloaca massima putrescente, dove ciascuno sversa, abusivamente, il proprio letame morale e culturale, galleggia e si condensa odio, violenza e cattiveria. Nessuno ascolta più, se non se stesso, nessuno si sforza di capire l’altro, di accettare l’altrui pensiero, se non coincide col proprio o se diverso. Trionfano giudizi, pregiudizi e raffiche di insulti.
Dove è finito il rispetto, il civile confronto, la sensibilità, l’umanità?

Come sempre, come accade in ogni occasione che la cronaca o l’attualità fornisce, la mia amica Giulia Bettini colpevole, come tanti, come tutti e come il sottoscritto, di aver osato scrivere un paio di innocenti riflessioni - sobrie, pacate e misurate, come nel suo elegante stile - sul Marchionne uomo, è stata subissata di ingiurie, di battute e di facile ironia da donne, uomini, mezzi uomini e umanoidi vari, senza patria, né cervello.
L’hanno aggredita, offesa e vilipesa, ridicolizzata e coperta di volgari allusioni, di parolacce ed improperi. L’hanno accusata di ipocrisia, pochezza culturale e banalità.
Il solito, stonatissimo coro polifonico delle accuse, delle insinuazioni, delle malignità gratuite e preconfezionate, sparate a caso nel mucchio, per far rumore e senza distinzioni.
Non serve capire, conoscere, aver contezza, importa spargere veleno e volgarità, pur di esercitare l’abusatissimo diritto al disprezzo dell’altro: sempre nemico, sempre in torto, sempre impuro o criminale, da condannare, senza processo, dall’alto del proprio presunto rigore morale, da integerrimo giudice fariseo.

E’ ormai un rito collettivo, quasi un bisogno fisiologico, cui non ci si può sottrarre, come mangiare, respirare e segnare il proprio pezzettino di vanesio territorio, come gli animali.
Chiunque si sente in dovere di diffondere calunnie o opinioni a cascata o rubate al primo cazzaro digitale di passaggio, pur di illudersi di esistere, di contare, di avere un ruolo e uno straccio d’identità, nel tentativo di emergere dalla mediocrità e dall’oblio esistenziale o per riscattare proprie ferite e umiliazioni, sociali o personali, riversandole sugli altri, o per inconscio rito apotropaico che allontani il male da sé.
Costoro fanno parte a pieno titolo dello smisurato plotone dei cecchini digitali, di cui ho parlato tante volte, appostati notte e giorno sui tetti della ottusità, per colpire a tradimento.
Sparano e spalano fango, questi vili professionisti dell’invettiva, che ormai dilagano e si riproducono più dei vermi e dei conigli. Frustrati mercenari del rancore e della rabbia repressa: ogni occasione è buona per riaffermare la propria ingiustificata imbecillità. Ignorano i fatti e le persone, non distinguono, non argomentano, ma giudicano comunque e, a comando, sputano sentenze.
Non sanno che la libertà di ciascuno, anche in Rete, finisce dove inizia quella dell’altro e le leggi vigenti già fissano confini chiari e certi.

Tutte le opinioni meritano rispetto ma, prima di impugnare il mouse e la tastiera - nuove armi della endemica, selvaggia e permanente guerra del Web - ognuno dovrebbe domandarsi se e quanto sia legittimo o nocivo il proprio commento e quale effetto produrrà sugli altri, colpiti da quelle parole, come proiettili o dardi acuminati.

Mi piacerebbe conoscerli davvero costoro, guardarli in faccia questi miserabili senza volto e senza vergogna, spregevoli esemplari, reali e non virtuali, che si nascondono dietro uno schermo anonimo e livellante, che sparano col mouse come un mitragliatore.
Su questi vili e laidi cecchini digitali, sputerei volentieri tutto il mio disprezzo: reale e non virtuale.
Per usare una metafora, poco sottile, ma efficace, mi fanno veramente schifo.
 (Alfredo Laurano)

mercoledì 25 luglio 2018

FORZA ATENE

FORZA ATENE
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martedì 24 luglio 2018

E LE STELLE STANNO A GUARDARE


“Tra qualche lustro faremo a meno pure del Parlamento"
Il fondatore dei Rousseau definisce "inevitabile", in futuro, il superamento della democrazia rappresentativa.
Davide Casaleggio, figlio dello scomparso fondatore dei Cinque Stelle spiega a “La Verità” la sua idea sul cambiamento che travolgerà “il mondo dei burocrati e i baroni dell'intellighenzia: la democrazia partecipativa è già una realtà grazie a Rousseau, che per il momento è stato adottato dal Movimento Cinque Stelle, ma potrebbe essere utilizzato in molti altri ambiti. I modelli novecenteschi stanno morendo, dobbiamo immaginare nuove strade e senza dubbio la Rete è uno strumento di partecipazione straordinario.”

E già, come se norme, scelte e decisioni su problemi di assoluta priorità e importanza, come il lavoro, le pensioni, il fisco, le migrazioni storiche, possano esser prese da una ridicola piattaforma digitale, sulla quale si esprimono, votano e decidono una quarantina di migliaia di soggetti, con un click, un like, un “mi piace o non mi piace”. Sostituendo, magari, voti, leggi, fiducia ed emendamenti con algoritmi da social network, che ridurrebbero la democrazia a una sorta di televoto per pochi e selezionati intimi, che conoscono i meandri della Rete. 
Come si fa nelle “isole”, nelle “case dei dementi fratelli”, a “miss Italia” e nei tanti altri reality, che tanto appassionano gli ignavi ed i dormienti: “chi vuoi eliminare, chi vuoi far vincere, chi vuoi eleggere o premiare?”
E gli altri sessanta milioni di italiani? 
Starebbero a guardare come, una volta, facevano le altre stelle, quelle di Cronin.

Vorrei, però, rassicurare l’attento amico Giovanni Carbone.
Pur senza evocare scenari tristi ed eversivi, magari tinti di forme nuove di fascismo, l’uscita un po’ grottesca e alquanto surreale del novello costituzionalista, che studia da apprendista statista, sognando forse lo spessore politico di un Togliatti o di un De Gasperi, sembra l’ultima “minchiata galattica”, dovuta al caldo, di un fancazzista e fregnacciaro, sopraffatto dal delirio da solleone. (Alfredo Laurano)

lunedì 23 luglio 2018

MAGLIA BLU NON TORNERA’ PIU’

Dopo 14 anni vissuti al massimo, tra aerei, conferenze, riunioni e decisioni pesantissime, il potere forse aveva iniziato a logorare l'abruzzese di ferro. 
"Chi comanda è solo", amava ripetere, ammettendo che il prezzo pagato per tanto potere, prestigio e ricchezza è stato altissimo anche in termini di vita privata. Una vita spesa al servizio della Fiat, che dal prossimo gennaio 2019 l'avrebbe portato a concentrarsi solo sulla sua amata Ferrari. 

Le speranze sono ormai svanite. Sergio Marchionne, l'ex ad di Fca, sarebbe in condizioni disperate, in coma profondo. 
Quando è entrato in ospedale per l'operazione, lo scorso 28 giugno, era speranzoso. Pensava di stare via solo per qualche giorno ma così', purtroppo, non è stato. Il gruppo parla di complicazioni inattese dopo un intervento alle spalle, ma in realtà sembra trattarsi qualcosa di ben più grave. Un male che si sarebbe diffuso dalla prostata o dai polmoni in modo devastante, in una serie di complicazioni inattese, ma inarrestabili. 
Ci sarebbe stato un primo tentativo infruttuoso di attenuare la sedazione senza che il paziente riuscisse però a respirare da solo, quindi l’aggravamento ancora più deciso, ormai senza ritorno. Il paziente non sarebbe più in grado di reagire. 
John Elkann, volato a Zurigo negli scorsi giorni, ha dovuto prendere atto con triste sorpresa che la situazione appare senza soluzione. "Mi sono reso conto che Sergio non sarebbe più tornato", avrebbe detto. 
Per questo, è stato già nominato Mike Manley, quale nuovo amministratore delegato di Fca. Manley, 54 anni, oggi guida i marchi Jeep e Ram. 

Non è ora il momento e non spetta a me giudicare l’uomo in blu, il manager ostinato e caparbio, capace di scelte imprenditoriali impopolari, di sfruttare il lavoro e precarizzare la vita di tanti operai, di delocalizzare aziende italiane e di pagare le tasse all’estero. 
Ma, come sempre accade, nemmeno di fronte alla malattia c’è rispetto per le persone, anche quando sono in gravissime condizioni di salute. 
Dopo che ieri si è diffusa la notizia della malattia di Marchionne, sul web e sui social si sono scatenati migliaia di commenti ironici e violenti, molti dei quali arricchiti da pesanti insulti. Odio sociale, contrapposte idee politiche o critiche per determinate decisioni aziendali portano molte persone, prive di ogni spiraglio di umanità, a vomitare rabbia e disprezzo contro chiunque, grazie a un sistema mediatico che moltiplica, diffonde e dà spazio agli impulsi peggiori della nostra società e dell’animo umano. 
22 luglio 2018 (Alfredo Laurano)

venerdì 20 luglio 2018

ANCHE ALLORA ERA D’ESTATE


Per ricordare l’uccisione di Borsellino e la strage della sua scorta del 19 luglio 1992, avvenuta tre mesi dopo quella a Capaci di Falcone, Raitre ha mandato in onda “Era d’estate”, un film di Fiorella Infascelli, interpretato magistralmente da Giuseppe Fiorello e Massimo Popolizio. 
Nell’estate del 1985. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vengono trasferiti d'urgenza all'Asinara insieme alle loro famiglie, in seguito ad una minaccia più allarmante del solito. I due giudici stanno lavorando al maxiprocesso penale che porterà in carcere molti mafiosi e protagonisti della criminalità organizzata. Dunque, entrambi sono nel mirino di Cosa Nostra, ma anche nelle scelte ostruzionistiche dello Stato che, dopo averli mandati "in vacanza coatta", rifiuta di inviare loro i faldoni necessari per mettere in piedi l'istruttoria del maxiprocesso. 
Il bel film descrive la minaccia all'incolumità dei due uomini e delle loro famiglie, controllati a vista, ma sceglie di farlo in un contesto luminoso di acqua e luce, per niente teatrale e opprimente, che attenua la drammaticità dei fatti, dei rischi e delle paure, attraverso i colori pastello, le atmosfere lente e suggestive di un'estate serena all’apparenza e quasi vagamente vacanziera. 
Con grande delicatezza, racconta l’eroismo quotidiano dei due amici: il temperamento fumantino di Falcone, la dolcezza paterna e coniugale di Borsellino, l'ironia profondamente siciliana con cui entrambi discettano della propria morte.
Sono così diversi, ma anche così simili - soprattutto nella determinazione e nei valori - attraverso la quotidianità, i dialoghi personali, gli abbracci, le colazioni, i bagni in mare, le mille sigarette, le brevi passeggiate serali intorno a casa. 
Non appaiono mai come quelli celebrati dalla Storia, anche se la consapevolezza di andare incontro ad un destino già segnato è totale e onnipresente, ma insufficiente a farli desistere dalla ricerca di giustizia e verità. 
Prevale, quindi, nel racconto la loro dimensione umana, insieme a quella di famiglie e figli, che non possono non risentire dell'incombenza della morte sulle teste dei loro padri. Per questo, nonostante la vivida fotografia, le ambientazioni e i ritmi lenti, la narrazione filmica si fa crepuscolare e triste nel ripercorrere quei giorni, sette anni prima delle stragi di Capaci e via d'Amelio. 
(Alfredo Laurano)

giovedì 19 luglio 2018

PER DUE SOLDI, UN CALCIATORINO MIO PADRE COMPRO’


Per una volta, ma, in verità non è l’unica, ragioniamo da tifosi, da appassionati del pallone, da amanti del proprio campanile, che hanno il cuore grosso, mezzo giallo e mezzo rosso.
Così, tanto pe’ parla’, tanto per sfogarsi un po’.
Come premessa o, se preferite, come conclusione di una triste riflessione, quasi ideologica e fideista, voglio affermare che bisognerebbe trovare la forza e il coraggio di uscire da questo ridondante carico del tifo, di rinnegare quella logica ormai assolutamente commerciale che ha svilito ogni dimensione sentimentale che ruota intorno allo sport più bello del mondo. Quel sistema affaristico e mercantile in cui sguazzano le società di Calcio, che cancella sempre più la spontaneità e le emozioni forti che ci hanno guidato fin da ragazzini e accompagnato la nostra sana crescita, quando prendevamo a calci un improbabile pallone, nei polverosi campetti parrocchiali o di periferia.

La prepotente e odiatissima Juventus, da sempre squadra dei padroni, ha comprato anche Ronaldo, a cifre da capogiro, immorali anche per il più convinto degli speculatori.
Da sempre, è regina del mercato, da sempre prende chi vuole, impedisce ad altri di acquistare in libertà, ricatta chi è in difficoltà e compie il colpo grosso. È una società di grandi capitali, che investe e spende secondo brillanti logiche liberiste che portano risorse e lauti guadagni, a breve o a medio termine. E non sbaglia mai un affare: se cede un “campionissimo”, lo fa per una strategia vincente e per avere di meglio e di più di quanto avesse già.

Al contrario della ridicola A. S. Roma, già Rometta, il club dei lupi famelici, ma sdentati.
La società che ha avuto per vent’anni un fenomeno, fatto in casa, al quale poco o niente ha fatto vincere; che non è stata capace di costruirgli intorno un grande e costante squadra; che gli ha fatto chiudere la carriera in modo quasi vergognoso, grazie a un allenatore spocchioso, invidioso e vendicativo.
Quella stessa società pallottiana e americana che pensa solo al nuovo stadio e al merchandiser, che ha segnato il declino in un sogno antico, di un idillio unico e senza fine, davanti a speranze deluse e inconcepibili logiche da business.

I campioni più amati si vendono alla fiera, perché fanno cassa, e si prendono le pippe, le mezze pippe, i fisicamente rotti o gli scarti Juventini: via Pianic, via Benatia, via Rudiger, Emerson Palmieri e, soprattutto, via l’imprendibile Salah. E via, oggi, l’arcigno Nainggolan e Alisson, il portiere più forte del mondo, che assicurava almeno venti o trenta punti in campionato e prestazioni degne in Champions League.
Dentro, i grandi affari di incapaci, emarginati e poveretti: i vari Defrel, i Gonalons, gli Schic, i Gerson, i Moreno e il biondo Karsdorp, visto solo in figurina e che non sappiamo nemmeno se cammina.
E non è finita qui, aspettiamoci di vedere al banco dei saldi di stagione gente come Perotti, come El Sharawi, come Manolas, come Florenzi e non so chi altri ancora. Dipende sempre e solo dalle offerte che arrivano agli avidi padroni americani, illuminati da un direttore sportivo, incapace e venale, come Monchi.

In questa Roma, che fu dei Sensi e dei Viola, già core de na città, unico grande amore de tanta e tanta gente che faceva sospirà, gialla come er sole, rossa come er core mio”, il calcio viene dopo, assai dopo, o solo per giustificare la ragione sociale, anche quando Pallotta fa il bagno nella fontana di Piazza del Popolo, per darla calda - come si dice qui - e per ingannevole folclore, quanto basta, di fronte a ingenui fan che pagano il biglietto.
Per tutto questo occorrerebbe scioperare, dismettere l’abito da tifoso, non andare più allo stadio, non sottoscrivere abbonamenti alle Pay TV, non dare più una lira a questi americani.
Ma tutti noi, malati d’amore, siamo o saremmo mai capaci “de non facce più incantà?(Alfredo Laurano)



mercoledì 18 luglio 2018

DITECI PERCHE'

Stasera, un ennesimo speciale di Chi l’ha visto? torna sul caso Vannini per approfondire i fatti e le recenti motivazioni della sentenza del 18 aprile scorso. Una sentenza che, diciamolo subito, ha soddisfatto e premiato solo il collegio di difesa degli imputati che ha portato a casa un più che soddisfacente risultato. 

Secondo la Corte d’Assise, l’imputato Antonio Ciontoli avrebbe deciso per “la tutela dei propri interessi piuttosto che per la salvezza del ferito”. 
Una affermazione netta che comunque sarebbe emersa durante il dibattimento: più volte, quella sera, avrebbe fatto riferimento al fatto che quello che stava avvenendo avrebbe rovinato la sua carriera. 

Sempre per la Corte - ma non per mamma Marina, per la stampa e per la stragrande maggioranza degli italiani che seguono, con trepidazione, la vicenda - “l’incidente” sarebbe accaduto in bagno e Ciontoli avrebbe scarrellato la sua Beretta calibro 9 “senza verificare che fosse scarica e in condizioni di sicurezza”. Viene quindi presa per buona la versione secondo cui l’imputato non si sarebbe reso conto dello stato della pistola, tesi che era stata fortemente contestata dal generale Luciano Garofano, perito di parte dei Vannini, secondo il quale una persona che usa armi NON PUO’ NON accorgersi del fatto che una pistola sia carica o scarica, fatto messo in evidenza da una apposita linguetta. 

Per gli altri tre imputati, condannati a 3 anni, non emergono nelle motivazioni particolari giustificazioni. 
Secondo la Corte “i tre avrebbero dovuto comprendere la drammaticità della situazione e attivarsi in prima persona per assicurare a Marco il più adeguato e rapido soccorso medico possibile”. 
La sentenza spiega inoltre che non può fungere da alibi l’essersi affidati al capofamiglia Antonio. Si legge nelle motivazioni che “Se è pur vero che il Ciontoli, come capo famiglia e, forse, come persona di forte carattere e personalità, avesse la possibilità di influenzare le decisioni dei propri congiunti, è ancor più vero che sia la moglie che i figli erano soggetti adulti, di cultura medio alta, e pertanto, sicuramente capaci di discernere autonomamente la veridicità di quanto veniva loro raccontato e di adottare condotte esattamente opposte a quelle in concreto tenute”. 
Non c’è nessuna deresponsabilizzazione, quindi: la pena di 3 anni è considerata nel pieno delle loro individuali colpe. 
Resta poi la posizione di Viola, che viene assolta perché il fatto non sussiste: non sarebbe stata nei luoghi in cui sarebbe stato per lei possibile accertare la reale gravità dei fatti, cioè non sarebbe stata, né in bagno, non avendo quindi la possibilità di vedere la pistola, né in camera da letto, dove veniva prestato soccorso a Marco. 
Motivazioni che, in definitiva, appaiono piuttosto tecniche e formali, lontane, forse, dalla realtà dei fatti, dai veri perché alla base della tragedia, dagli eventuali risvolti psicologici e dai rapporti interpersonali e oggettivi, intrattenuti dai vari attori di questa incredibile storia di straordinaria follia familiare. (Alfredo Laurano)

martedì 17 luglio 2018

PESTE TIFOIDEA


Si è appena chiuso il Mondiale di Calcio in Russia, con la vittoria - discutibilmente meritata - di una nazionale di francesi, per lo più di origine africana, che indossavano la maglia e la cittadinanza dei Bleus. 
La civile Francia è pur sempre un grande Paese di vini, formaggi e colonizzatori. 
Sciovinismo e grandeur a parte, due fenomeni, che ruotano e si alimentano intorno a tale degradato sport, praticato su un verde prato da bipedi forniti di tacchetti e sfera in cuoio, si sono imposti all’attenzione non solo di quel mondo, dominato dalla divina Eupalla. 
Un regno, inviolabile, vasto e senza tempo, sostenuto in parte da imbarazzante stupidità collettiva che qualcuno, non a caso, chiama tifo: proprio come l’antica malattia infettiva e contagiosa che, un tempo, mieteva molte vittime. 
Vittime che provoca anche e ancora oggi, pur senza esiti esiziali. 
Una vera epidemia di isteria sociale che si diffonde nelle strade e nelle piazze francesi per far festa, che dilaga e si rovescia, come fiumi in piena, fra negozi devastati, bagni nelle fontane (anche a Campo de ‘Fiori, a Roma) e monumenti oltraggiati, senza vergogna e pentimento alcuno. 
Un altro esercito di black bloc privi di alcuna identità, che si nutrono di favole amorali e di miti criminali, barbari apolidi che nemmeno Giulio Cesare riuscirebbe oggi a civilizzare. 
È la follia dei ritardati, di coloro che cercano nei falsi simboli del gruppo rivalse e ideologie fallite, spesso all’ombra di una esistenza individuale, povera e insensata. Uno sfogo alle frustrazioni quotidiane, alle carenze, alle delusioni della vita e alle insoddisfazioni di chi non fruisce di altri valori e sentimenti, che solo l’approfondito studio della psicologia di massa può spiegare, come nuova, incurabile peste tifoidea.


Alla stessa razza di coglioni senza appello, appartengono quelli a cui è stato subito offerto un nuovo idolo da stadio, da adorare e venerare. 
Una città, già sconvolta da tragedie provocate da quello sport, e mezza Italia che vive e mastica pallone a strisce bianconere vivono un ennesimo momento di delirio per l’arrivo del milionario del pallone, Ronaldo, in terra juventina. 
Conferenza stampa in diretta dal TG Due, duecento giornalisti, trenta TV collegate da tutto il mondo, le sue prime frasi tradotte in quattro lingue, persino un casco per ricostruire in 3D il CR7day. 

Tutti aspettano, poi, con ansia, di sapere anche cosa mangi e preferisca il fenomeno (che guadagnerà 31 milioni di euro l’anno, 2.583.333 euro al mese, 86.111 euro al giorno, 3.587 euro l’ora, 60 euro al minuto, 1 euro al secondo), quali piatti portoghesi di baccalà gli prepara con amore mamma Dolores. 
C’è chi, tra i malati tifoidei, ha passato ore e ore in aeroporto in attesa del suo arrivo, chi lo ha atteso, con sciarpe e bandierine, sotto un presunto hotel, chi ha sperato di “toccarlo” come fosse un santo o una reliquia, chi ha sperato vanamente di immortalarsi al suo fianco, in un irrinunciabile selfie rituale e obbligatorio. 

Ma come si fa ad essere così imbecilli? (Alfredo Laurano)

lunedì 16 luglio 2018

MANDELLI: SCIENZA E UMANITA’


Oltre alle grandi capacità di ricerca, Franco Mandelli, uno dei più noti ematologi italiani, si distingueva anche per il tratto umano: sempre attento e gentile, disponibile e paziente con chiunque. Una vita dedicata alle malattie del sangue e alla solidarietà, nel rispetto dei pazienti e della sofferenza.
Ho avuto il privilegio di conoscerlo, apprezzarlo e intervistarlo in diversi momenti, ad Arezzo, a Cesena, a Roma, in occasione di vari servizi televisivi, per promuovere campagne di solidarietà e raccolta fondi a favore dell’AIL - una rete di volontariato composta da medici, infermieri, tecnici di laboratorio, di cui Mandelli è stato presidente per anni - come Trenta Ore per la Vita, con Lorella Cuccarini e Marco Columbro.

Ci ha lasciato a 87 anni, dopo aver dato un prezioso contribuito al valore della ricerca scientifica, continuamente avanzata, nell'insegnamento, nella formazione di tanti medici e ricercatori, nelle numerose iniziative di prevenzione delle malattie.
Addio amico Mandelli, signore della Medicina, portatore di umanità. (Alfredo Laurano)


sabato 14 luglio 2018

GIORGIA E I SUOI FRATELLI


La pasionaria “sorella d’Italia” Giorgia Meloni soffre forse di un complesso di castrazione nei confronti di Matteo Salvini, sempre più sulla cresta dell’onda, non solo in senso figurato, fra mare, navi, sbarchi di migranti e porti chiusi.
Per avere visibilità mediatica, uno straccio di attenzione televisiva, un titoletto sulla stampa e un passaggetto nei TG, sostiene addirittura che "il reato di tortura impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro". Poi, pentita nella forma, ma non nella sostanza, cancella il tweet e lo riscrive aggiungendo che il reato di tortura - "come è formulato oggi" - impedisce alle forze dell'ordine di fare il proprio lavoro. E aggiunge anche un video.
Praticamente, è come affermare che tra i mestieri e i compiti delle forze dell'ordine è prevista la tortura. Forse, nella Repubblica di Salo o nelle caserme della Gestapo!
Tutto ciò, inevitabilmente, ha scatenato un diluvio di reazioni sui social, dove le vengono ricordati i casi di pestaggi a morte di Cucchi, Uva, Aldrovandi e i fatti del G8 di Genova, con Bolzaneto e la scuola Diaz. 
Secondo la premurosa neomamma Giorgina, quindi, bisognerebbe abrogare la relativa legge, faticosamente introdotta nella scorsa legislatura dopo un iter molto complicato e svariati richiami dell'Europa (peraltro considerata molto timida dalle associazioni per i diritti umani) e, al tempo stesso, aumentare le pene per i reati di minaccia o resistenza a pubblico ufficiale.
"Tutti siamo contrari alla tortura, ma bisogna capire cos'è la tortura", aggiunge con inedito candore: "Se condanni a 12 anni un agente per minacce psicologiche, io non sono d'accordo". Ma va!
"Siamo di fronte a un'emergenza, dicono in coro gli altri “fratelli d’Italia”, negli ultimi anni le aggressioni ai danni delle forze dell'ordine sono aumentate in modo impressionante. Noi vogliamo aumentare le pene per questo tipo di reato e abrogare quello di tortura, per trasformarlo in una serie di circostanze aggravanti: vogliamo impedire la criminalizzazione della polizia che c'è stata nella scorsa legislatura per motivi ideologici".

Evviva, allora, l’altra ideologia, quella che innalza la bandiera della minaccia e del terrore. Evviva la pistola elettrica Taser che negli Stati Uniti ha fatto già novecento morti, disarmati.
Evviva i massacri, le violenze, i muri di omertà e i tentativi di depistaggio, messi in atto da alcuni uomini dello stato, malati di virile fanatismo che, anziché contribuire all’accertamento della verità, coprono i responsabili o si macchiano di abusi e angherie. Che randellano ragazzi, donne, anziani e gente inerme, come ai tempi del manganello e dell'olio di ricino, e che si muovono secondo logiche squadriste.
Evviva la tortura e, già che ci siamo, anche un po’ di pena capitale, che, cara nostalgica Meloncina, non fa mai male!
 (Alfredo Laurano)

mercoledì 11 luglio 2018

AMICI ALBERI


Si sta come d’autunno…
Una volta cadevano le foglie, come ci ricordano Ungaretti e i suoi soldati, ora, cadono direttamente gli alberi. E non siamo in guerra, se non precipitati in quella dell’incuranza, dell’incapacità, dell’ignoranza civica e amministrativa. Ed è così da molti anni, per non dire da sempre.
Momenti di paura in viale Angelico, all’altezza del civico 38, tra il bar King - luogo della mia giovinezza e che ancora, spesso, frequento - e la farmacia Mazzei, quando un albero è caduto in strada spaventando i numerosi passanti. 
Un alto platano, come i tanti che delimitano il grande viale, si è abbattuto, all’improvviso, in parte anche sulla pista ciclabile, coinvolgendo diverse macchine parcheggiate, parzialmente danneggiate. 
Fortunatamente non ha colpito, persone e passanti e mezzi in movimento: un giovane in motorino è stato miracolosamente sfiorato e si è salvato.
Ancora una volta, si è sfiorata la tragedia ma, certamente, è da tempo annunciata e solo rimandata.

Negli ultimi mesi, a Roma, soprattutto nell’alberatissima Prati (Castel S. Angelo, via Scipioni, viale Giulio Cesare, via Leone IV), sono stati molti gli alberi crollati, perché ammalati e pericolanti, perché non potati da tempo, non sfoltiti e "decapitati" per ritrovare il giusto baricentro e per essere meno soggetti alle sollecitazioni del vento.
Le immagini dell’albero suicida sono state subito caricate in rete, scatenando rabbia e polemiche anche su Facebook: “Qui a Prati cade un albero settimana - scrive qualcuno - provocando disagi, chiusure e, soprattutto, paura e insicurezza ai cittadini, che vedono a rischio la propria incolumità”.
Si ha il terrore di passare accanto agli alberi e sui cigli della strada, si raccomanda ai figli di evitare vie pericolose e di guardare spesso in alto. Siamo quasi alla psicosi collettiva. 
Qualcuno teme anche che l’emergenza provochi l’indiscriminato abbattimento, l'effetto "disboscamento". 
Cioè, meglio tagliare che curare. (Alfredo Laurano)