sabato 28 gennaio 2023

QUEL BINARIO MALEDETTO

Magari fossero solo dei cretini, come dice qualcuno votato all’ottimismo storico!
Questi sono delinquenti, farabutti violenti e criminali che si rifanno all'ideologia marcia del nazismo, per promuovere l'odio verso le minoranze.
Coltivano l'ultranazionalismo, il razzismo, la xenofobia, l'omofobia e l'antisemitismo. Vivono di miti aberranti, di simboli disgustosi e teorizzano ancora la superiorità della razza ariana
Non ci sono più parole per descrivere l’orrore nazifascista. Non, almeno, per le persone che coltivano nel loro cuore anche un pallido barlume di significato di “umanità”.

A tantissimi anni dall’Olocausto, dalle persecuzioni di un popolo e dei diversi, dalle deportazioni, dagli orrori dei campi di sterminio e distruzione, dalle leggi razziali del 1938, c’è ancora qualche infame che inneggia a quel sistema, a quell’ideologia della strage e della distruzione, a quelle camere a gas. Che giustifica il massacro, l’eccidio di Stato e di un potere, il genocidio compiuto da un popolo di assassini, guidati dal suo Fuhrer.

Sappiamo tutti che, oltre ai miserabili negazionisti di mestiere, che contraddicono ogni evidenza non solo storica, esistono in Italia, in Europa e nel mondo tanti gruppi e movimenti di naziskin e skinhead di assoluta fede fascista e neonazista, che coltivano quella forma di subcultura razzista e antisemita, che si esaltano in quei miti orribili, che usano simboli e metodi violenti e intimidatori, in particolare verso le minoranze etniche e religiose, gli omosessuali e i diversi in genere. Alcuni sono detti "teste d'osso" o "teste vuote".
O teste di cazzo, come quei bastardi schifosi che ancora oggi imbrattano muri e portoni con scritte farneticanti e svastiche che fanno inorridire: "27 gennaio giornata della memoria, ricordiamoci di riaprire i forni: ebrei, rom, sinti, froci, negri, comunisti ingresso libero". Oppure, “Qui abita un giudeo”, o “Crepa sporca ebrea”,
E non mancano i soliti insulti e minacce social a Liliana Segre, a partigiani, studiosi della shoah e oppositori politici.

Ieri è stata la giornata del pensiero, del pianto e della commozione, del ricordo e della conoscenza per chi sa, per chi sa poco o niente, per chi non sa o non vuol sapere.
E’ stata la giornata che ricompone l’idea di umanità, che le restituisce un senso, una dignità.
Il 27 gennaio del 1945 i soldati dell’Armata Rossa fecero il loro ingresso nel campo di concentramento di Auschwitz e liberarono i pochi prigionieri sopravvissuti, svelando al mondo l’atrocità e l’orrore della Shoah.
Dal 2000, l’Italia ha istituito, per legge, il 27 gennaio “Giorno della Memoria”, proprio per ricordare lo sterminio, ma anche coloro che, in campi e schieramenti diversi, si sono opposti a quella infamia e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati, con lo stesso coraggio di tanti altri testimoni, che hanno trovato in se stessi una forza incredibile, per superare quel dolore profondo e perfino “i sensi di colpa” per essere sopravvissuti ai propri genitori, ai propri fratelli e sorelle, parenti e amici che, caricati come bestie nei vagoni piombati, partirono dal Binario 21 di Milano o dalla Stazione Tiburtina di Roma. Senza più tornare. 
“Calci, pugni, sputi e ci spinsero sui treni per Auschwitz. Era qualcosa che andava al di là dell’immaginazione più spaventosa. La gente piangeva, si disperava", ricorda Liliana Segre.

La conoscenza, lo studio e la cultura sono l'antidoto all'odio e all'intolleranza. Ma forse non basta: la libertà conquistata con la fine del nazifascismo va difesa tutti i giorni, con determinazione.
Quella lurida gentaccia, rinchiusa nella gabbia dell’ignoranza e che si rifà ai soli valori della crudeltà, della ferocia e della spietatezza, non merita di vivere insieme alle persone civili e solidali, in una comunità libera, insieme ad altre possibili vittime.
Deve essere emarginata, condannata, incatenata, per non dire eliminata o messa in condizione di non nuocere.
Anche per ricordare alle giovani generazioni, soprattutto quando non ci saranno più testimoni viventi di quell’abominevole mostruosità, che è possibile convivere senza discriminazioni e pregiudizi, cancellando feccia e inutile zavorra.
28 gennaio 2023 (Alfredo Laurano)

 

 


martedì 24 gennaio 2023

LE PASTE DELLA FESTA /2608

Era il rito della domenica, un po' come quello della messa per i credenti o la passeggiata al Pincio e a Villa Borghese, per vedere il teatrino di Pulcinella o ascoltare la banda che suonava sul palchetto in mezzo agli alberi.
Non si rientrava a casa senza il brillante pacchettino della pasticceria, tenuto con due dita nel fiocchetto.
Era il simbolo della festa, del sacro giorno di riposo, da passare in famiglia coi bambini.
E a fine pranzo, dopo le lasagne, l'arrosto e l'insalata, si scartava quel magico vassoio, con la striscia di cartone messa ad arco, e si gustava il diplomatico o il bignè alla panna o al cioccolato. Un sapore autentico, un odore inebriante di freschezza, un momento di semplice felicità.
Ricordo la piccola pasticceria Callegari di via Cola di Rienzo, che non riusciva a far entrare tutti i cacciatori di crostate e pastarelle, fragranti e genuine, che profumavano di dolce quel tempo antico della festa.
22 gennaio 2023 (Alfredo Laurano)

OPINION LEADER /2607

Da molti anni, programmi spazzatura di intrattenimento televisivo o di pseudo informazione entrano di prepotenza nelle case degli utenti rassegnati e, a volte, disperati. E sono quasi sempre e quasi tutti inquinati dalle performance di esemplari di una razza nuova e strana, effetto del contro-evoluzionismo, detta degli “opinionisti”.
Si definisce opinionista chi disserta su fatti relativi a costume, società, politica, sport.
Tale termine è stato tuttavia esteso a tutti coloro che esprimono le proprie idee come ospiti fissi in trasmissioni televisive o radiofoniche, senza riguardo alla professione esercitata, o alle competenze sulle materie e gli argomenti trattati.

L'opinionista, in realtà, è un mestiere che non esiste. Se lo sono inventato quelli della tv, per piazzare un po' di chiappe sui divani dei loro mediatici boudoir e organizzare un poco d’ammuina.
Per farlo e per esserlo ufficialmente, basta la definizione e il formale riconoscimento di qualche potente sciamano del piccolo schermo (ora, anche enorme); aver acquisito un minimo di popolarità nella casa del grande bordello o in qualche isola perduta o tra gli amici della De Filippi, di Guevara Giletti o di madonna D’Urso; essere invitato in qualche trasmissione e dissertare con piglio impegnato su argomenti di scottante attualità: le love story di Belen, le vicende di Corona, le chiappe sode della Russo partoriente a 54 anni, le diete vegane, i miracoli della chirurgia plastica e pronunciare qualche concetto lapidario tipo “si dovrebbe vergognare” o “sotto il profilo del”.
E ti pagano pure.
Non serve avere nessun requisito in particolare, basta solo mettere bocca su tutto, anche se non si sa nemmeno di cosa si parli, né perché si è lì, se non per una botta di culo o per incredibile congiunzione astrale.

A tale proposito, l’immenso (quale altro aggettivo usare!) scienziato delle stelle Paolo Fox, insieme al suo compare Branco dall’ambiguo fascino, reclama un ruolo più che prestigioso nell’etere zodiacale e sbotta in diretta contro chiunque, disturbatore con chiacchiericcio al seguito, lo metta in discussione o gli sottragga vitale spazio. “Sono anni che rubate il tempo al mio spazio dell’oroscopo, e se poi vi mettete a parlare sotto io non ci capisco niente!
Ma questo esegeta astrale, questo oracolo dell’arcano e del mistero non ha mai pensato di andare a lavorare? Che so, nell’edilizia, nell’agricoltura o nelle fabbriche di carte, di amuleti per turisti stanchi.
Ma perché dilagano certi personaggi come costui, o come il santone Mughini che gesticola con le braccia ad elica, le mani inanellate a disegnare in aria improbabili arabeschi; che fa lo stoico e si veste in technicolor - come i teatranti nei vecchi baracconi di una volta - che spara sentenze appese all’ovvietà e si mette in posa plastica da mimo, subito dopo aver pronunciato il sacro verbo della tuttologia?
O come il Malgi dall’ormone impazzito - lo stravagante Cristiano Malgioglio - dalla cresta bianco cigno su completini in raso rosa, scintillante di lustrini e di gesti da checca stizzita e esagerata, che pontifica stridendo sul talento altrui, su manie perverse e doppi sensi.
O come il disturbato, lunghe leve Luca Giurato che un tempo umiliava i congiuntivi, duellando con la sua lingua e con i suoi arti da funambolo fallito?
La lista è ancora lunga: da Alfonso Signorini, per gli amici, Alfonsina, a Vladimir Luxuria, che vivacizza ogni programma col suo fascino proibito; dal putto roco Raffaello Tonon, una scommessa della cattiva sorte, uscita dal rifacimento di una vasca, alla “più sana e più bella” Rosanna Lambertucci; dalla culonissima Valeria Marini alle labbra canottate della Parietti nazionale.

Nel reparto nobili in liquidazione, c’è la contessa fruttarola Patrizia de Blanck, spesso accompagnata dalla pargoletta Giadina, che ha dovuto rinunciare al suo massimo piacere di fare il bagno di notte, alla Beautiful, con le candele e le musiche soffuse, per liti con il condominio.
E la marchesa Daniela Del Secco d’Aragona, che si spaccia per aristocratica: “bisogna cambiare 5 abiti e 5 profumi al giorno". Negli anni ‘90 promuoveva le sue creme di bellezza su un’emittente locale; ora, che è riuscita ad infilarsi in tutti gli eventi della Capitale, è diventata un fumetto più vero di quello che voleva imitare, tanto da finire su riviste di gossip a fare da consulente di bon ton.
Si prosegue con il cupo e taciturno Crepet, spesso presente a sua insaputa, e con il logorroico Alessandro Meluzzi, psichiatra di dubbia credibilità e dal rutilante passato politico (dai Comunisti ai Radicali, passando per il Partito Socialista, Forza Italia, l'Udeur e infine i Verdi), che ha iniziato e promosso la sua carriera di opinionista su tutte le reti Rai e Mediaset.
E poi, c’è Tina Cipollari de’ Noantri, la prima e più antica delle opinioniste di “Uomini e Donne”, con la sua aria da popolana vamp, con l’ironica pretesa di ricordare Marilyn. Già corteggiatrice, poi tronista ed in seguito opinionista fissa del programma, che strapazza, con la solita verve e in romanesco, valletti, damigelle, cicisbei e pubblico parlante.
Da non dimenticare l’ex Platinette, al secolo Mauro Coruzzi, che ha costruito fama e notorietà sul personaggio eccessivo e sopra le righe della drag queen opinionista. Abiti da donna, parrucconi, super ciccia e lustrini, ma anche una carica ironica e polemica da opinionista d'attacco. Oggi, dopo l’intervento chirurgico riduttivo, appare solo in abiti maschili.

Ma, per chiudere in bellezza questo ricco e multiforme gregge, non si può dimenticare l’onnipresente tuttologo Capezzone, il viscido Cruciani e Sgarbi, il suo totemico riferimento, il vero padre di tutti gli opinionisti.
Grandi personaggi, venditori di fumo, di chiacchiere e tappeti. Tutti esperti illuminati e sottili pensatori, a tempo perso, che bivaccano in quei salotti del consenso, per confezionare lo spettacolo del banale quotidiano: è la nuova intellighenzia che irrompe e domina sovrana la cultura dei poveri italiani.
21 gennaio 2023 (Alfredo Laurano)

COSE DI NATALE /1699

Quella comune sensazione di rinnovata curiosità ed euforia che cresce nelle case, soprattutto con bambini, quando si tirano giù gli scatoloni con “le cose di Natale”, è almeno pari - ma forse molto più contenuta - rispetto al manto di tristezza che avvolge quando tutto dev’essere smontato.
Dopo l’epifania, tutto si rimette via.
In pratica, l’arrivo dei Re Magi coincide con la fine delle feste, i loro ricchi doni sono simbolici saluti, come quelli della stella cometa che spegne il suo sorriso e la sua scia.
Perché tutto finisce, tutto ha una scadenza, tutto si compie e si conclude e, dopo una vita breve torna nei bauli e nei cartoni, con l’attesa e la speranza di poterli riaprire dopo un anno.
E’ forse una metafora?
Luci, palle colorate, montagne, prati, casette e statuine amiche ci hanno tenuto compagnia per un mese, creando un’intima atmosfera nelle nostre stanze, scandita dall’intermittenza.
Hanno allietato quei giorni ancora magici e affascinanti, nonostante l’indifferenza del mondo esterno, le notizie dei TG, il caos del traffico, la frenesia degli acquisti più rituali. Anzi, hanno contribuito a rendere più caldo e desiderato ogni rientro tra le proprie mura, mai ospitali e calde come in quei momenti.
E’ come essersi ritagliata una piccola pausa dal tran tran quotidiano, dagli ingranaggi, dai ritmi e dagli obblighi sociali per rifugiarsi in una specie di antica favola smarrita, dove, incredibilmente, il bene vince sempre sul male.
Per tutto questo, ci dispiace riempir di nuovo quelle scatole preziose, lasciando scivolare in esse anche quei momenti di letizia, insieme ai dubbi, ai pensieri e a una certa ormai anacronistica commozione.
Si, forse è proprio una parabola, una narrazione metaforica che ci conforta, ci racconta e ci ricorda ciò che abbiamo vissuto e condiviso.
Quelle “cose di Natale”, custodite negli scatoloni, rappresentano il nostro presepe personale, i luoghi, le figure, i personaggi della nostra storia, le persone che abbiamo amato e perduto e che ci hanno accompagnato per lunghi tratti della nostra strada.
Sono l’allegoria fatata dell’esistenza, rivisitata nel tempo che scorre e nei modi che mutano veloci. Le sensazioni e i pensieri che non ci abbandonano mai, le gioie e i dolori che combattono in noi, rinnovando le nostre contraddizioni e il mistero della vita.
Sono un inno alla nostalgia, alla fanciullezza, ai tempi e alle cose perdute, a ciò che non ritorna, ma rimane nel cuore.
Come in un incanto. (Alfredo Laurano)

O COPPITIELLO /2606

"Na’ tazzulella ‘e cafè e mai niente ce fanno sapè”. La cantava Pino Daniele nel lontano 1977.
Nei giorni scorsi, invece, sono state richiamate e ritirate dal commercio, alcune confezioni di capsule e cialde di Caffè Trombetta Arabica, compatibili Nespresso, perché tossiche: esattamente per rischio chimico, ossia potenziale valore di ocratossina, oltre il limite di legge.

“Siete sicuri di sapere tutto sul caffè in capsule?” Lo domandava, un po’ retoricamente, un vecchio articolo di stampa, di alcuni anni fa.
Bere il caffè è quasi un rito per molti, a volte un pretesto per fare una pausa o incontrarsi con un amico, con tutta l’atmosfera e la carica emozionale che un momento simile riesce a generare.
Anche la stessa fase di preparazione ci permette di ‘prenderci cura’ della persona a cui lo stiamo offrendo, interrompere le attività in corso e dedicarci ad altro, attendendo quasi con apprensione il momento fatidico in cui tutto il caffè è ‘venuto su’, con quel suo aroma unico e dal suono inconfondibile della Moka.

Ma quanti oggi preparano ancora il caffè con la caffettiera tradizionale? In quanti non hanno ceduto alla tentazione di sentirsi ultramoderni, acquistando il caffè in capsule e relativa macchinetta?
Perché, a volte, di moda si tratta. Negli ultimi anni, in tutte le città italiane, sono apparse queste boutique del caffè, che attirano i clienti con apparecchi dalle cromature eleganti e con capsule dai colori attraenti e dai nomi esotici.
Si è creato, in pratica, un bisogno inesistente e un prodotto nuovo, di tendenza, diffusosi immediatamente.
Geniale trovata degli esperti di marketing dei brand più famosi oggi, che sono stati capaci di declassare dall’immaginario collettivo un prodotto dal costo basso (una buona Moka sta intorno ai 20/30 euro) - dalla manutenzione inesistente e senza costi fissi - con un sistema che invece impone dei costi fissi importanti e frequenti, quali l’acquisto delle capsule (dello stesso brand), la manutenzione/sostituzione della macchina quando si rompe, innescando un meccanismo di perenne dipendenza tra produttore e consumatore.

Oltre a questi aspetti, forse non tutti sanno che il caffè in capsule:
È più tossico, contiene una dose 5-10 volte più elevata di Furano, una sostanza cancerogena che si sprigiona durante la tostatura ma che, essendo volatile, si disperde nell’ambiente con gli altri metodi di preparazione del caffè (polvere e solubile), mentre nelle capsule resta intrappolata all’interno.
È più costoso, fino a 5-7 volte di più rispetto alla tradizionale polvere, senza poi considerare i costi per l’acquisto dell’apparato e la manutenzione.
È più inquinante: non solo il nuovo elettrodomestico tanto in voga è difficilmente scomponibile (e quindi inquinante) a causa della diversità di materiali di cui è composto, ma anche le stesse capsule rappresentano un grave problema per lo smaltimento.
Si pensi che ad Amburgo è stato vietato l’utilizzo delle capsule negli uffici amministrativi a causa del loro alto potere inquinante. Realizzate in plastica e alluminio, molte di quelle in commercio non sono riciclabili, ma anche quelle che potenzialmente lo sono, non vengono differenziate dai consumatori perché richiederebbe la separazione dei materiali.

Alla luce di tutto questo, il caffè in capsule avrà lo stesso sapore di prima?
O sarà meglio tornare al rito del balcone, spiegato in dettaglio dal sommo Eduardo, nel famoso monologo del caffè, tratto da “Questi Fantasmi!”?
“Scusate, chi mai potrebbe prepararmi un caffè come me lo faccio io, con lo stesso zelo, con la stessa cura. Capirete che, dovendo servire me stesso, non trascuro niente… Sul becco… lo vedete il becco? io ci metto questo coppitello di carta. Pare niente, ma questo coppitello ci ha la sua funzione… E già perchè il fumo denso del primo caffè che scorre, che poi è il più carico, non si disperde.
…Caspita, chesto è cafè. Vedete quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo?

19 gennaio 2023 (Alfredo Laurano)

LA BERSAGLIERA, ICONA DI FASCINO E BELLEZZA /2605



Gina Lollobrigida, scomparsa ieri a 95 anni, è stata uno dei volti italiani del mondo del cinema. Ha girato molti film negli Usa, al fianco dei più importanti attori americani: Burt Lancaster, Humphrey Bogart, Frank Sinatra, Steve Mc Queen, Tony Curtis.Ma Gina è soprattutto la diva che, secondo Veltroni, diede speranza all’Italia che usciva dalla guerra.
Il Paese che aveva pianto i figli e i mariti morti al fonte, contemplato le case distrutte dalle bombe e sofferto la dittatura, la fame e l’occupazione straniera aveva finalmente voglia di luce e di sorriso. Alla pesantezza della morte e del nero voleva opporre l’allegria del sorriso e la gioia della leggerezza. La bellezza contro il dolore. L’allegria contro la paura.
Gina incarnò questo desiderio di rinascita. Era esageratamente bella, trasmetteva una gioia di vivere che era estranea al lungo inverno italiano.
L’Italia, finito il mito dell’impero, si riscopriva piccola, ritrovava il fascino delle storie minute come rifugio alle promesse fallaci di grandezza.

“Pane amore e fantasia” diventerà per questo uno dei primi prodotti seriali della nostra cinematografia. La Lollo Bersagliera e Vittorio De Sica costituirono una coppia irresistibile.
Ma tutti i personaggi raccontano l’incanto di quel tempo, la seconda metà degli anni quaranta e l’inizio dei cinquanta, in cui gli italiani tornavano a vivere una vita normale, a sperare, a gustare la vita.
La vita normale. Senza guerre, dittature, fame.
La vita normale, fatta di pane, di amore e di fantasia.
Ciao diva verace, ciao Fata Turchina, ciao bella Gina e salutami mia madre cui tanto somigliavi (o viceversa).
17 gennaio 2013 (Alfredo Laurano)

BULLI E CECCHINI DEL WEB /2604

Haters, odiatori, persone che usano la Rete, e in particolare i social network, per esprimere odio o per incitare all’odio verso qualcuno o qualcosa. Le espressioni razziste, gli insulti, la violenza verbale in Rete sono, purtroppo, una tristissima realtà.
Le prese di posizione volgari, offensive, violente e intolleranti sono divenute una pratica diffusa e impunita. Negli ultimi anni, non solo per i nativi digitali, ma anche a causa di una politica che si è spostata anche troppo sulle piattaforme Social, questo fenomeno è diventato incontrollabile.
Secondo uno studio di Amnesty International, le categorie maggiormente soggette a parole d’odio sono le donne, i disabili, i cosiddetti diversi, gli immigrati, i musulmani e gli appartenenti alle diverse minoranze religiose. È chiaro che spesso l’odio verso una precisa categoria venga innescato da un fatto di cronaca, che sia vero o falso.

Gli ineffabili professionisti dell’ingiuria sul web, che ormai dilagano e si riproducono più dei vermi e dei conigli, non fanno sconti, non conoscono il rispetto e non distinguono. Non criticano, non argomentano, non giudicano i fatti e le scelte di chiunque, vomitano soltanto odio e cattiveria.
Non sanno nemmeno separare gli aspetti pubblici e quelli umani di una qualunque persona. Sparano a prescindere, come cecchini mercenari del rancore, del disprezzo e della rabbia repressa: ogni occasione è buona per divulgare la propria gratuita idiozia.
Sono gli analfabeti della convivenza umana, esseri profondamente ignoranti che trovano su Internet il luogo ideale per manifestare la propria pochezza, i loro bassi istinti, la loro personalità deviata. Per socializzare all’incontrario. Spesso nell’anonimato.
Ciò vale sempre, vale per tutti e per ogni argomento. Vale per ogni evento o personaggio che si affacci in qualche modo alla ribalta della Rete o della stampa. Ricordiamo quello che hanno scritto a suo tempo di Bersani, colto da malore, di Emma Bonino, malata col turbante, di Laura Boldini, presidente della Camera, di Greta Thunberg, affetta da sindrome di Asperger, di Andrea Camilleri in fin di vita.
Un epiteto, una parolaccia, uno schizzo di veleno non si nega mai a nessuno.

Questo è uno degli aspetti più odiosi e insopportabili che ci regala l’eccesso di comunicazione on line. Internet ha legittimato, o come si dice oggi, sdoganato, una nuova forma di protagonismo, ha dato un’anima e una possibilità a tante comparse umane e a oscuri figuranti della razionalità: vigliaccheria e bullismo, sia giovanile che maturo, nascosti spesso dietro la protezione di uno schermo e una tastiera.
Tutti si sentono in diritto di sentenziare, di usare toni bellici e turpiloquio, minacce e proteste qualunquiste, buttate alla rinfusa per sentirsi importanti, per esserci e per avere l’illusione di contare.
L’arena del web produce condivisione, senso di connessione con gli altri, libertà di espressione, ma genera anche un sentimento d’impunità, uno spazio in cui il senso di civiltà opera a scartamento ridotto. Il web scatena, a volte, il peggio di alcune persone. Libera la bestia che è in loro, la loro voglia di potenza, il bisogno di sentirsi superiori all’altro, a chi è differente. Dietro tutto questo, c’è la voglia di esibirsi, di mettersi in scena, di mostrarsi duro e puro

Ma, in realtà, non fa che denunciare profonda frustrazione, insoddisfazione e scarsa connotazione di umanità e porta alla necessità di individuare, sempre e comunque, un nemico da oltraggiare, senza distinzioni, senza mediazioni. “Nessuno – diceva Nelson Mandela - nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare”.
E nella costruzione del nemico trovano la prova ontologica della propria esistenza.
In caso contrario, il loro fallimento sarebbe troppo fragoroso.
16 gennaio 2023 Alfredo Laurano



IL VITTORIALE /2603

Lo sappiamo, in trent’anni di disonorata carriera, Vittorio Sgarbi ha fatto il pagliaccio a tutto tondo: ha speculato, ha sbraitato, ha offeso, ha urlato, ha cazzeggiato senza limiti, ha fatto spettacolo da circo e da balera, si è esibito nei talk televisivi, nelle piazze, nei luoghi pubblici e privati, nei continui video autocelebrativi, pubblicati ossessivamente sui Social, e perfino in Parlamento, giocando con la mascherina e con le parole da imbonitore fallito, facendosi ammonire e portar fuori a braccia dai commessi.
Uno show continuo, noioso, ridicolo, irritante, dappertutto.

Mezza Italia è schifata da questo personaggio ignobile, esibizionista, narcisista, montato, saccente, arrogante, negazionista, nevrotico, ripugnante e con la mano sempre ad assestarsi i capelli o i neuroni impazziti del suo cranio.
Sempre in onda, sempre on line, sempre sotto le luci più oscenamente ambigue della ribalta mediatica.

Ma adesso, da qualche mese o settimana, sembra essersi placato, non vomita più in TV, sulla stampa e in Parlamento. Ha forse esaurito le sue batterie, il suo eloquio scurrile e il suo patologico furore di invasato, travestito da critico d'arte, sempre a caccia di fama e di quattrini?
Dobbiamo preoccuparci o è arrivato alla sua naturale data di scadenza?

Nel frattempo, cresce a dismisura un altro suo laido clone o epigono circense, pieno di bava, di anelli e sporche chiome, orfane di shampoo, che risponde al nome di viscido Cruciani.
Quello che se ne strafotte dell'ambiente e del riscaldamento globale, che lo dichiara in pubblico e nemmeno si vergogna.
Allo schifo non c'è mai fine.
13 gennaio 2023 (Alfredo Laurano)

martedì 10 gennaio 2023

ANCHE LEI HA FATTO IL NIGHT?

Tempi lontani, quelli che la mia generazione ha a lungo vissuto: quello dei night club, locali notturni, caratterizzati da un'atmosfera soffusa e musica generalmente dal vivo, che offrivano varie forme di intrattenimento: jazz, swing e generi leggeri aperti e dedicati al "ballo della mattonella", oltre a qualche numero comico, di prestigio e perfino di “audaci” spogliarelli. Arbore e Proietti ne hanno fatto un esilarante racconto, un ennesimo cavallo di battaglia.

L'epoca d'oro dei night in Italia risale agli anni cinquanta e sessanta: ottimi artisti, champagne e tartine al caviale, belle ragazze del locale, dette entraineuses (intrattenitrici), capaci di divertire e far passare un paio d’ore spensierate, senza per questo essere facilmente arrendevoli, come molti erano portati a credere. Contavano i tappi che avevano collezionato (uno per ogni bottiglia aperta), sui quali veniva loro riconosciuta una percentuale, oltre al normale compenso giornaliero.
Al di là del lato folkloristico che ne diffondeva l’immagine di ambiente proibito e scandaloso - considerato luogo di perdizione da chi non lo conosceva da vicino - i locali erano molto eleganti, a volte un po’ kitsch, con un servizio impeccabile e orchestre di prima qualità come quelle di Renato Carosone, Gastone Parigi, Peter Van Wood, Bruno Martino, Marino Barreto Jr, uno dei re della notte, che sapeva creare l’atmosfera giusta, grazie alla sua voce un po’ nasale e cantilenante, che favoriva il ballo di coppia a strettissimo contatto.
Poi gli altri grandi, come Sergio Endrigo e Riccardo Del Turco, Peppino Di Capri, Fred Bongusto e molti altri. Ai clienti si richiedeva un abbigliamento adeguato.
Il mio complesso, assai meno noto, agiva spesso da “seconda orchestra” ed aveva il compito di aprire e chiudere la serata e accompagnare i numeri di varietà. 

I night club più famosi a Roma erano: l’84 da Oliviero, il Pipistrello, il Capriccio, la Cabala, l’Open Gate, il Crazy club, le Grotte del Piccione, la Taverna degli Artisti, la Rupe Tarpea, il famoso locale di via Veneto che, negli anni 60, rappresentava il cuore della Dolce Vita, ospitando i concerti di Fred Buscaglione e Carosone e vedendo tra gli abituali frequentatori Totò, Anna Magnani, Sofia Loren, Frank Sinatra a Marcello Mastroianni, ma anche Liz Taylor, Richard Burton, Ingrid Bergman e Roberto Rossellini e tanti altri personaggi dello spettacolo.
In quel periodo, i night club, tappa fissa dei nottambuli e terreno di caccia per i paparazzi de “La dolce vita”, offrivano un genere di intrattenimento che affascinò la buona borghesia negli anni del boom economico e rappresentarono una stagione irripetibile di risorse artistiche, sia musicali che di varietà, sino alla fine degli anni settanta, poi, lentamente, cominciarono a sparire.

Nel 1965, nacque il Piper, locale simbolo e innovativo di un’epoca, che ha fatto la storia della musica non solo italiana.
Arrivarono The Rokes e l’Equipe 84, Patty Pravo, Wess e Dori Ghezzi - che aveva una orchestra con una grande sezione di fiati che ci impressionò parecchio - Caterina Caselli, Mal e The Primitives, i Dik Dik, Gepy & Gepy, Rocky Roberts, I Giganti, I Corvi, Loredana Bertè, Ricky Shane. Poco dopo, determinò il successo di Mia Martini, dei Ricchi e Poveri e dei Genesis.
Il Piper diventò presto il punto di riferimento per i teen ager dell’epoca, che si incamminavano verso l’emancipazione, la libertà, l’indipendenza: un fenomeno di costume, tanto da trasformarsi in una vera e propria icona di una generazione pre-sessantottina.
Un mito popolare nell’immaginario collettivo, che comprendeva la Piper generation, la cultura Hippie e la non violenza, il Beat, lo shake & pop art, il rhytm and blues, in nome del quale si moltiplicavano le band, i locali e le cantine adibite a luoghi musicali, frequentati da tanti giovani, che si vestivano con le camicie a fiori e portavano i capelli lunghi sulle spalle.
Si vendevano milioni di copie di dischi, soprattutto nel formato 45 giri, che i ragazzi ascoltavano con i mangiadischi, in macchina e nei prati. 
Con la mia band, (all’epoca si chiamavano complessi) ho suonato in molti night, hotel e ristoranti di Roma e, d’estate, fuori, in varie località marine. La domenica pomeriggio, furono di moda anche i cosiddetti “The danzanti”, per divertire e far ballare anche i più giovani e gli studenti.
L’international Artist Club di via Veneto era per noi una specie di riferimento fisso, come pure l’Hilton e la nostra grande e polifunzionale “cantina” musicale di piazza Risorgimento, dove si suonava, si ballava, si parlava e nascevano dibattiti e storie d’amore e d’amicizia.
Tra le tante, qualche esibizione estemporanea e avventurosa, anche con Josè Salvador, Silvan Baby (Silvano Polidori) e Fiorenzo Fiorentini, anche al Terminillo.
 
Insomma, si faceva musica dappertutto, ovunque ti chiamassero e ti offrissero un minimo di compenso.
Sopra ogni cosa, sopra ogni sacrificio, sopra ogni improba fatica: la passione, l’amore per il suono e per il canto che ti seduce, ti cattura e ti diverte. Che ti permette di raccontare storie e sentimenti che le parole spesso non sanno esprimere. Che aiuta a riflettere e a distrarti nei momenti difficili, che ti dà soddisfazione, che ti ripaga sempre dell'impegno, che unisce e ti avvicina agli altri, che ti fa ridere o piangere e ti regala sempre e comunque un’emozione.
(Alfredo Laurano)

LATITANTI /2602

Inguardabile, inesistente, passiva come sempre, irritante, ridicola, anzi davvero comica: è la Rometta indegna di Mourinho, l'antitesi del calcio.

Anche col Milan, questa squadretta di incapaci, guidata da un incapace super valutato che vive di battute, parole vuote e redditi antichi, ha fatto la sua banalissima comparsa. Senza gioco e senza fantasia.

Mai pericolosa, mai un'azione, un tiro in porta, un cross mirato, un passaggio azzeccato, un contrasto deciso e vincente. Arriviamo al massimo alla trequarti, poi o torniamo indietro, fino al portiere, o tiriamo la palla addosso agli avversari.  Giocatori che potrebbero andare avanti da soli e liberissimi, con la palla al piede, che si fermano per aspettare i compagni dietro. Non riusciamo a fare un gol su azione manovrata, neanche per sbaglio o per magia. Non hanno le palle per attaccare la profondità e saltare l'uomo.

Poi, a tre minuti dalla fine, dopo 87 minuti di totale anonimato, i latitanti riescono ad imbastire una prima azione da fermo e trovano due gol immeritati da Miracolo a Milano.

Una rapina!

Fate davvero pena e parecchio schifo. Vergognatevi!

9 gennaio 2023 (Alfredo Laurano)

ULTRASCEMI /2601

E li chiamate ancora tifosi? O ultras?

Basta, sono solo delinquenti, malati di fanatismo viscerale, dementi senza scopo e senza patria o campanile, esempi di marciume da rottamare e allontanare da ogni manifestazione sociale o ambito civile.

Sono i nuovi primitivi della contemporaneità, delle logiche di mercato, delle strategie dell'era tecnologica, della distorta e più nociva comunicazione e del merchandising che fa vendere cazzate.

Trecento esemplari di queste iene dalle sembianze umane (napoletane e romane) si sono affrontate oggi, con spranghe, bastoni e coltelli, in un autogrill di Arezzo-Monte San Savino, mentre si dirigevano verso Genova e Milano per andare alle rispettive partite.

Una testimone ha descritto uno scenario di guerra, più che di calcio. E del resto parlare di sport davvero non ha nessun senso: "I tifosi sono scesi dalle macchine, erano in mezzo all'autostrada, tutti incappucciati e vestiti di scuro. Si sono affrontati. Avevano bastoni e lanciavano petardi e fumogeni verso l'area di servizio. Siamo riusciti a superarli e siamo scappati. Io e mio marito stavamo tornando dalla settimana bianca, in macchina ci sono anche i nostri figli, due bambini piccoli. Avevamo paura che ci arrivasse qualcosa addosso e siamo andati via il più velocemente possibile".

Questa è cronaca. Questa è follia vera.

Mi auguro, almeno, che costoro - che magari fingono di commuoversi per la scomparsa di Vialli e di Mihajlović - paghino tutti i danni di tasca propria e che non possano mai più entrare in uno stadio.

8 gennaio 2023 (Alfredo Laurano)

LA VERA STORIA DELLA BEFANA

Quand’ero bambino io, i doni li portava una vecchina gobba e trasandata, vestita di stracci e coperta di fuliggine.
Era così brutta e poverella che tutti dicevano: “anvedi che befana!” E quel nome le restò per sempre.
Ma, nonostante fosse inguardabile e misteriosa, anche perché non si doveva e poteva vedere, era molto generosa e viaggiava a bordo di una turbo-scopa di saggina ed entrava nelle case, attraverso la cappa del camino. “La befana vien di notte con le scarpe tutte rotte, col cappello alla romana: Viva viva la Befana!”
Era sicuramente un’extracomunitaria ante litteram, senza permesso di soggiorno e quindi clandestina. Ma, siccome non spacciava droga, ma dolciumi, la lasciavano vagare per i cieli rari e bigi della generosità.
Più che altro, riempiva le calze appese al caminetto di caramelle, noccioline, mandarini e frutta varia (che una volta erano un lusso), soldini di cioccolato e qualche pezzetto di zucchero-carbone.

Poi, si affermò il regime delle merci e del Mercato.
Vennero i tempi del superfluo, dello spreco e del degrado che davano valore solo ai beni di prestigio e alle cose, cancellando gli antichi e umani sentimenti, e la Befana, essendo appunto così brutta e poverella e, ormai, del tutto inadeguata, fu emarginata e dimenticata in un centro di accoglienza e identificazione per migranti e poi espulsa e sostituita dal ricco e pingue Babbo natalizio, esponente yankee di un più sano consumismo globalizzato. Anche perché, non c’erano più calze di lana, ma solo collant e autoreggenti.

E i regali arrivarono in eccesso, grazie ad Amazon e alla tecnologia, da cui Santa Klaus si riforniva, con consegna in tutto il mondo in poche ore.
La buona vecchina, che aveva nutrito anche le nostre lontane fantasie, uscì con decreto prefettizio dai sogni dei bambini e sparì pure dalla bancarelle di Piazza Navona, a Roma, dove un dì regnava, insieme a bambole e presepi.
La sua scopa leggendaria diventò elettrica e rotante, fu brevettata e si trasformò in magico Folletto. (Alfredo Laurano)

COME ERAVAMO /2600-711

Erano gli anni dell’adolescenza, delle tempeste ormonali, dei turbamenti e delle passioni, delle scoperte e delle contestazioni, dei contrasti accesi e del dissenso, delle sfide e dei rifiuti.
Ogni scelta era netta, ogni giudizio perentorio, ogni idea precisa, ogni posizione decisa: l’antagonismo si opponeva alla massificazione e alle dinamiche intollerabili di una società chiusa e arroccata sui privilegi e le discriminazioni, com'è ancora oggi.
Tutto era motivo di protesta, di ribellione e d’opposizione.
Il concetto di giustizia e d’uguaglianza era il traguardo da inseguire, la battaglia ideale da combattere contro ogni forma e abuso di potere e di autoritarismo. Schierarsi era quasi obbligatorio.

La mia insegnante di Filosofia - scrittrice e grande intellettuale, frequentatrice del Caffè letterario Aragno - fu determinante per la mia formazione: mi avvicinò all’analisi rigorosa, al costante senso critico e del dubbio, alla discussione dei fatti e delle idee, delle credenze e del pensiero dominante. Sempre in nome della ragione e del laicismo e senza preconcetti o condizionamento alcuno.
Quello di Lettere mi fece scoprire Dante, la cultura del Trecento e l’origine della nostra lingua straordinaria. E mi introdusse anche, con garbo e discrezione, al fascino seduttivo della musica dei grandi: ad apprezzare il monumentale Bach, l’eclettismo di Mozart, la forza di Beethoven, le magiche pagine di Chopin, le grandi sinfonie, i concerti, le sonate e il melodramma.

All’orizzonte, intanto, si affacciavano i Beatles con il loro repertorio leggero, ma rivoluzionario e innovativo, fatto di ritmo e melodie suadenti e coinvolgenti. Per tutto questo, divenni poco dopo anche un appassionato e modesto musicista fai da te, fondando con alcuni amici “I Rustici”. Non si mangiavano, ma garantivano grandi successi in tutt’Italia, folle di fans impazziti e donne a profusione!

La lettura dei classici del sette-ottocento e degli autori romantici - che, letteralmente, divoravo - mi avvicinarono ai drammi e alle passioni umane, alle storie popolari, alle grandi idealità, acuendo le fragili linee di quella innata sensibilità, assai vicina alla coscienza, ma poco utile, anzi nociva, nella cinica società dei prepotenti. Anche se, poi, col tempo e con la maturità, qualche idonea contromisura politica e culturale mi consentì di bilanciarla, per non esserne consumato, come vittima designata.
Tutta quella letteratura che mi affascinava e mi prendeva, mi portò a scrivere, un po’ per gioco e per curiosità. Per esprimere un’idea e confrontarmi con la realtà di un mondo iniquo e con me stesso.
E a interessarmi, subito dopo, di cinema - studiando regia, fotografia, tecniche di ripresa e il montaggio storico di Eisenstejn - per tradurre in immagini un racconto o un semplice pensiero. Anche se, per qualcuno, eccessivamente critico, pungente e spiritoso, le mie “opere” erano come la fantozziana Corazzata Potemkin, che tanto amavo e spesso citavo.
Tanti altri eventi, interessi e passioni hanno successivamente scolpito i policromi tasselli del mosaico della mia esistenza.

Questo era il mio background di quei lontani tempi. Ma, ciascuno, com’è noto, ha il suo.
I fatti e le circostanze vissuti nell’infanzia, nella giovinezza e in tutte le fasi della vita, fanno da sfondo e spiegano la nostra personalità, la nostra dimensione culturale, il perché siamo.
Il background di un soggetto, quindi, è composto dalle sue esperienze e da tutto quello che ha contribuito a farne ciò che è.
Ciò che, invece, sta dietro a quei fatti, a quell’ incontro, a quell’episodio, giustifica comportamenti, conseguenze e determina la nostra storia individuale, ma ci racconta solo che lo ha causato. Non il perché.

Ognuno di noi è comunque il prodotto, imperfetto e limitato, di una complessa sintesi, un piatto mai banale, ricco di molteplici ingredienti che, in diverse dosi e proporzioni, si è cucinato nel tempo, alla luce della casualità o, per chi crede, della volontà di un dio.
8 gennaio 2023 (Alfredo Laurano)

L'AMICO E' /2599

Ho appena dato l'ultimo saluto a Francesco D'Anna, amico della mia giovinezza e compagno di passioni antiche, di speranze e di utopie, di sogni e di ideali condivisi.

Con grande commozione, ricordo il nostro comune impegno politico, attraverso momenti di rara intensità, di entusiasmo e di autentico pathos, che ci hanno unito da quasi cinquant'anni. Non ci siamo frequentati molto, ma ogni volta che ci incontravamo nelle strade dl quartiere Prati, era una festa, un piacere di abbracciarci, nella continuità e nell'affetto, come se ci fossimo visti il giorno prima. Il suo sorriso era sempre speciale e contagioso, la sua bonomia traspariva dagli occhi, dai gesti e dal suo cuore aperto e accogliente.

Se n'è andato, con incredibile riservatezza e qualche perplessità, alla vigilia di Natale, in quei giorni di festa che hanno salutato anche papa Ratzinger e il mitico Pelé. Se lo sapesse, farebbe di certo una battuta spiritosa e un po' burlesca.

Perchè "l'amico è una persona schietta come te, che non fa prediche e non ti giudica. 

E' l'amico è. Qualcosa che più ce n'è meglio è. È un silenzio che può diventare musica".

Ciao amico Ciccio, avvocato dai modi semplici e spontanei.

Sei stato una gran bella persona, integra e pulita, che non potrò mai dimenticare.

4 gennaio 2023 (Alfredo Laurano)

lunedì 2 gennaio 2023

SCIAMANI E CONTENTI /2598

Siete pronti, siete in attesa, siete in ansia, siete caldi?
Io non vedo l’ora di sentire le consuete stronzate sul nuovo anno di Paolo Fox, vestito di bianco come il papa, dell’immarcescibile Branco, di Simon & The Stars, di Marco Pesatori, i più quotati e celebri astrologi del momento.
Una volta, c’erano i Nostradamus e i San Malachia, che prevedevano disgrazie e papi. Ma eravamo nel 1500 e nel V secolo a. C.
Le preveggenze di questi nuovi ciarlatani e imbonitori, senza l’uso di quartine, riportano il medioevo nelle case e ai nostri giorni, attraverso gli oroscopi dei segni zodiacali, tutti più o meno fortunati, che regalano ai poveretti una qualche illusione, un contentino, uno straccetto di speranza che, come sempre, sarà delusa, sarà fallita puntualmente.

Come ogni fine anno, torna questa periodica cambiale da pagare all’oscurantismo.
Poco o nulla è cambiato dall'era di aruspici e indovini e delle invincibili forze dell’occulto. Presagi e prodigi, amuleti e talismani ancora condizionano la vita di milioni di persone!
Strega, mago, cartomante, uomo delle stelle, veggente, guaritore, nonché sciamano, quando serve, che significa letteralmente “uno che vede nel buio”.
Lo Sciamanesimo, nella storia delle religioni, in antropologia culturale e in etnologia, indica un insieme di conoscenze, credenze, pratiche religiose e tecniche magico-rituali, riscontrabili in varie culture e tradizioni (soprattutto originarie della Siberia e dell’Asia centrale). Lo sciamano è guaritore, è mago e persino sacerdote. Egli è mistico, poeta, ma soprattutto un manipolatore di anime. Proprio come loro, sibille e oracoli fasulli della nostra ipertecnologica civiltà.
E allora, c’è chi non esce di casa senza controllare prima il suo oroscopo e gli eventuali nuovi transiti e spostamenti degli astri, pronti a regalarci delle belle sorprese.
C’è chi chiede subito a chiunque il suo segno zodiacale, anche a chi incontra per la prima volta e prima ancora che ne conosca il nome.
“In barba a Galileo, Keplero e Newton, l’astrologia è ancora il culto religioso con più adepti sulla Terra – scriveva molti anni fa la grande Margherita Hack - storia, artifici e ignoranza di una pseudoscienza figlia anacronistica dell’antropocentrismo”.
“Verrà il tempo in cui la gente si renderà conto che gli astrologi sono dei grandi imbroglioni”, pensava ingenuamente anche Voltaire, quasi tre secoli fa.
Invece nel terzo millennio siamo ancora ai tarocchi, al pendolino e alla lettura della mano, nonostante, ormai, oltre a studiare i corpi celesti e il sistema solare, viaggiamo tra le stelle, abbiamo stazioni nello spazio, siamo andati, sulla Luna e ci stia aspettando Marte.

C’è poco da fare: la forza suadente e suggestiva della magia bilancia e nutre quella delle illusioni che accompagnano l’uomo nella sua immensa fragilità: il fascino della speranza, la voglia di miracolo, tra fatture, scongiuri e malocchio. E’ solo l’attesa di un futuro migliore che ci fa vivere volentieri la nostra vita, che alimenta sogni e desideri, che vince paure e debolezze, che coltiva chimere e tentazioni.
Su questo, si basa la ricca industria dei segni zodiacali, delle divinazioni e degli sciamani analfabeti, delle previsioni fondate su astri, ascendenti e sfere di cristallo, vendute a basso costo da sibille e truffatori, nell'ingannevole fiera dell’incanto e della facile lusinga.
Viene addirittura spacciata come neo-scienza, enfatizzata e colpevolmente amplificata da libretti, riviste e osceni giornaletti, nonché da radio e televisioni che la propongono a iosa in autentici programmi spazzatura.

Secondo studi e sondaggi, più della metà degli italiani dà credito all’astrologia. Pensa, cioè, che esista una qualche influenza di quelle ambigue stelle sul controllo dei destini degli uomini.
Ma almeno due terzi dei nostri connazionali leggono con regolarità l’oroscopo. Una decina di milioni si rivolgono almeno una volta l’anno a sedicenti maghi e fattucchiere. Insomma, sono più quelli che consultano l’astrologia, che quelli che ci credono.
La maggior parte di questi neo-profeti predicenti non fa vere e proprie previsioni. Di solito si affidano a frasi generiche, ambigue, volutamente vaghe. “Sarà un anno difficile, con vari problemi, ma alla fine ce la farete” …
Ed è proprio così che funziona la ricca industria degli oroscopi: nel cielo nebuloso di una approssimativa predizione, è facile trovare qualcosa di adattabile per chiunque, che poi, turbato o assai stupito, confesserà agli altri e a se stesso: “ci ha proprio preso, che fenomeno sto mago!”
Si, proprio un fenomeno da circo o da baraccone. Somiglia tanto al divino Othelma!
(Alfredo Laurano)

BUON ANNO

Molti Paesi e popoli della terra sono in guerra. Sempre, tutti i giorni.
Per ragioni economiche, politiche o religiose. Per la crisi alimentare, per il costo del cibo, per l’accesso alle risorse idriche, per il petrolio, per scelte imperialiste di potenza, di supremazia e di sfruttamento, mediante conquista militare e annessione territoriale.
Le guerre imperialiste sono troppo convenienti per farle finire. Come potrebbe altrimenti fiorire l’industria delle armi e dei commercianti di morte?
Milioni di persone soffrono la fame e combattono in qualche modo la miseria per sopravvivere. In Ucraina, in Siria, in Palestina, in Afghanistan, in Nigeria, nello Yemen si consuma una quotidiana tragedia umanitaria.
Bombardamenti, stragi di bambini, stupri, violenze inaudite, omicidi a sangue freddo nelle strade e nelle scuole sono all’ordine del giorno e non stupiscono nessuno. Sono ormai la normalità, come il traffico, lo smog o le malattie.
E le coscienze sempre più assuefatte.
In Italia, in Europa e nel mondo, la crisi economica, pandemica e le conseguenti misure anticrisi adottate stanno portando da tempo nuove povertà. Aziende che falliscono, negozi che chiudono ogni giorno, salari e pensioni sempre più bassi e insufficienti e continue tasse che li falcidiano. Lavoratori in cassa integrazione o licenziati, eserciti di esodati, di precari e di disoccupati o operai che protestano. Anziani e casalinghe che comprano solo le offerte nei discount o cercano la frutta e la verdura nei cassonetti dei mercati. Moltissimi, anche se “godono” di stipendio o di pensione, mangiano alla Caritas e vivono in alloggi di fortuna. E tra pochi mesi sparirà pure il Reddito di Cittadinanza.
Anche se tutti sanno che il mondo va a puttane, che vivere per molti è diventato un privilegio o una scommessa - come lo è pure mangiare tutti i giorni o trovare e mantenere un lavoro ed un salario - si può non festeggiare il “santo” Natale con la sua magica atmosfera, con i suoi addobbi e le luminarie? E l’arrivo del nuovo anno con i suoi riti pacchiani, le banali previsioni di Branko e Paolo Fox o con i tarocchi farlocchi di Morgana e maga Leonella?
Tutti si augurano pace, fratellanza e carità.
Tutti promettono di essere più buoni ed altruisti, come scrivevamo da bambini nelle letterine sotto il piatto. Anche quelli, e non son pochi, che della crisi se ne fottono, perché non sanno nemmeno quanto rubano o guadagnano.
No, certo non si può non festeggiare il nuovo anno, con il veglione stellato di Cracco o Heinz Beck da 1500 euro, champagne escluso!
(Alfredo Laurano)

CHE ANNO E’ /2595

Quest’anno che sta finendo, per alcuni, è stato davvero prodigioso.
Pensate a chi ha vinto le elezioni, a chi è al governo e alla prima premier donna, nonché madre, nonché cristiana.
Chi lo avrebbe immaginato solo poco tempo fa! Né previsto da alcun astrologo ciarlatano o maghetto del cazzeggio astrale o profeta delle stelle.

Ma lo è stato anche per chi, forse, ha vinto una qualche lotteria o un ricco gratta e vinci o ha trovato per sbaglio un fac simile di lavoro, una specie di casa, un po’ di pane, un amore o una famiglia.
Ma, anche per costoro, può mai essere meraviglioso un anno di stragi, di calamità, di persecuzioni, di guerre e bombardamenti, di virus e pandemie, di migranti e profughi affogati, o salvati per dispetto, di madri e padri che ammazzano i propri figli, di uomini che uccidono le loro donne e sterminano intere famiglie, di gente che non ha un tetto e vive in miseria o muore di freddo o si suicida?

Un anno che non è diverso da quello che l’ha preceduto e da quello che seguirà.
Un anno senza pace, senza giustizia, senza tolleranza, senza umanità.
Un anno, come sempre, raccontato dalla Storia, dalle cronache, dalle TV, ma soprattutto dai Social.
Può l’ambiguo e ridicolo microcosmo di ciascuno di noi e il profluvio di cazzate che scriviamo, pubblichiamo e che scambiamo (siamo oltre quattro miliardi di navigatori sul Web), ridisegnare quel mondo di schifo e di follia e supplire alla sua incongruenza, ai suoi atroci contrasti, alle sue infinite contraddizioni, contrapposizioni e paradossi?

Caro Zuckerberg, ormai ci hai condizionato come il grande fratello orwelliano.
Ci inviti (o ci costringi) a vivere in una perfetta società virtuale, basata sul controllo dei suoi cittadini, dei loro pensieri e sull'assenza di reale libertà di pensiero. Ci imponi le tue assurde regole e le tue, spesso, patetiche censure.
Qualsiasi tentativo di opporci è destinato a fallire.
Utilizzi algoritmi e tecniche specifiche per favorire l’omologazione, soprattutto, grazie all’uso ingannevole e manipolativo della lingua e della disinformazione. La conseguenza è che tutti postano le stesse notizie, le stesse foto, gli stessi video virali, gli stessi slogan, gli stessi ricordi. E che tutti, finti inviati e ignorantissimi opinion leader, fanno “le dirette” per sentirsi protagonisti e godere di qualche attimo di fasulla celebrità. Manco fossero Caprarica, Rampini, Capuozzo o la Botteri
Ci hai fatto sognare, arrabbiare, discutere, indignare, litigare, amare e odiare ormai da tanti anni, non solo on line.
Hai cancellato rapporti e amicizie pluriennali.
Hai sconvolto modi, usi e radicate abitudini quotidiane.
Hai trasformato il concetto di comunicazione in “tutto il mondo, minuto per minuto”.
Hai vestito il mondo virtuale di una spessa patina di realtà o di realismo.
Ma ora limita la tua ingombrante invadenza e comincia a coltivare la discrezione.
Lascia che ognuno decida se, dove e quando indirizzare o raccontare o ricordare i momenti di gioia o di dolore, le ansie e le paure, i ricordi e i pensieri più intimi.
Lascia che ognuno percorra la strada della propria diversità e scelga come suicidare, spargere o sprecare la propria emotività.
Lascia che ognuno scelga di rivivere l’allegria, l’ironia o la tristezza.
Lasciaci la nostra storia.
28 dicembre 2022 (Alfredo Laurano)

A NATALE PUOI /2594

Anche questo Natale è archiviato.
Al di là del suo attuale significato commerciale e di quello religioso, dimenticato e sopraffatto, Natale è il momento rituale dei ricordi, il calendario che segna le tappe della nostra vita. Di quello che abbiamo avuto, desiderato, provato, sentito, dall'infanzia alla maturità.
Ci spoglia dagli abiti dell'arroganza e dell'indifferenza, assopisce l’ipocrisia e l’egoismo, mette a nudo la coscienza. E, qualche volta, riscatta la miseria d’animo che ci segna.
Capanne e villaggi, fiumiciattoli e montagne, madonne e bambinelli, pecore e pastori, angeli e stelle rappresentano il nostro presepe personale, i luoghi, le figure, i personaggi della nostra storia. L’allegoria dell’esistenza, rivisitata nel tempo che scorre e nei modi che mutano veloci.

Poi, dopo la festa, tutto torna nello scatolone, in attesa che qualcuno – alla prossima scadenza della tradizione – lo ritiri fuori e lo faccia vivere di nuovo, ricordandosi di noi.

Il Natale è una metafora che ci racconta e ci ricorda ciò che abbiamo vissuto e condiviso. Le persone che abbiamo amato e perduto e che ci hanno accompagnato per lunghi tratti della nostra strada.
Le sensazioni e i pensieri che non ci abbandonano mai, le gioie e i dolori che combattono in noi, rinnovando le nostre contraddizioni e il mistero della vita.
E’ un inno alla nostalgia, alla fanciullezza, ai tempi e alle cose perdute, a ciò che non ritorna, ma rimane nel cuore.
Tutto questo esalta i sentimenti, ma li ammanta di tristezza.
27 dicembre 2022 (Alfredo Laurano)                                                                                                                                                             

 

UNA MAGICA VIGILIA /2592

Il suggestivo concerto dei tre ragazzi del Volo “Natale a Gerusalemme”, in onda ieri sera su Canale 5, ha restituito dignità e onore alla musica, brutalmente offesa e vilipesa da quella banda di esaltati esibizionisti, detti Maneskin, che pochi giorni fa hanno sfasciato i loro strumenti, dopo un’esibizione a Las Vegas.

Il trio musicale italiano composto da due tenori e un baritono - Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble - ha interpretato i più grandi successi natalizi (“The Christmas Song”, “O Tannenbaum”, “I’ll be home for Christmas”, “Feliz Navidad”, “Hallelujah”, “Tu scendi dalle stelle”), ma anche brani del proprio repertorio, appartenenti alla tradizione classica italiana e internazionale, come quelli di Elvis Presley, di Pavarotti e il celebre War is over di John Lennon, pubblicato nel 1971 per lanciare un messaggio di pace contro la guerra del Vietnam. “Oggi, nonostante siano passati più di 50 anni, la follia della guerra continua a far parte del nostro mondo - hanno detto i giovani tenori - con l’avvicinarsi del Natale, sentiamo ancora di più il desiderio di cantare e continuare a dar vita e forza a questo eterno inno alla pace”.

Sul palco, alle porte di Gerusalemme, sotto la Torre di Davide, Piero, Ignazio e Gianluca, tra i tanti applausi, hanno anche condotto in proprio la serata e si sono auto gestiti, con semplicità e naturalezza. Hanno dato vita anche ad alcuni siparietti comici, scambiandosi regali natalizi, che hanno rivelato anche le loro più grandi passioni.

Particolarmente emozionante il momento in cui sono stati chiamati a cantare all’interno della Basilica della Natività di Betlemme, un luogo più che emblematico per l’intera storia cristiana e cattolica: qui, le loro voci, si sono fuse per dare vita a una delle esecuzioni di “Silent Night”, più riuscite e calde di sempre.

Proprio da lì, dove si incontrano religioni, culture, spiritualità e lingue differenti, è salito un messaggio universale di speranza, che solo la musica - quella seria, quella che non fa solo rumore e pagliacciate - riesce a comunicare, penetrando negli animi delle genti.

Quella musica che rappresenta l'intima bellezza dell'universo, al di sopra di ogni miseria umana.

25 dicembre 2022 (Alfredo Laurano)

 

A TE E FAMIGLIA! /2591

E’ il momento di “a te e famiglia”, di “tanta gioia, serenità e pace”, di “buona fine e buon principio”.

E’ il momento dell’eterna illusione che si rinnova per alimentare la speranza di vita, di futuro e di felicità, che nel contempo la sostiene e la riproduce sempre uguale, secondo tradizione, dai protomartiri cristiani. Nella fede o nella laicità, nella spiritualità o nel materialismo, in nome di Dio, di Allah o della ragione.

Facciamo finta, come sempre, che il mondo sia sano e bello, sia giusto e viva nella pace e nella prosperità.

Dove tutti si amano, si aiutano, si rispettano e uniti combattono ogni male e ogni violenza.

Dove il denaro e il fanatismo non vengano adorati sull’altare della più perversa religione.

In ogni caso, e a prescindere da inganni, lusinghe e desideri e dal pessimismo della lucida ragione, a tutti gli amici vicini, lontani e virtuali giunga il mio augurio.

E a chi non c'è più, il mio pensiero. 

24 dicembre 2022 (Alfredo)

 

CARO BABBO NATALE /2590

Più o meno, tutti siamo stati come questi bambini in fila, per spedire la letterina dei sogni e dei bisogni a Babbo Natale.

Vi ricordate quand'è stata l’ultima letterina di Natale che avete scritto? 

Avevate forse otto o nove anni. Scrivere la propria letterina era importantissimo. Ti dava l’opportunità di riflettere su quello che volevi davvero in quel momento: bastava promettere di essere bravi, studiosi ed obbedienti.

E tutto sembrava magico e possibile. Anche quando, in tempi di miseria, un semplice frutto, un dolce, un giocattolino rimediato o un sacchetto di caramelle facevano la differenza. Facevano Natale.

Bastavano poche righe per esprimere un desiderio, che si sarebbe realizzato. E poi?

Poi abbiamo smesso di desiderare e di sognare.

Arrivò, purtroppo, il momento triste della delusione, della presa di coscienza e confessammo ai nostri genitori che l'omone rosso con la barba bianca non esisteva, era un imbroglio multinazionale, per ricattarci e farci stare buoni. Insomma, un ricattatore.

Quella romantica, festosa emozione si trasformò in malinconia e tutti smettemmo di essere bambini.

Comunque, ancor oggi, Babbo Natale - e la sua amica Befana - vive nel mito e nell'immaginario collettivo e viene solo se ci credi. E non solo a livello commerciale e speculativo. Promette e porta gratis la speranza. In particolare, quella di cancellare il male, la violenza, il Covid, la miseria e la cattiveria umana.

Basta abbandonarsi alle piccole, sane, ma imprescindibili illusioni, che ci aiutano a vivere, oltre l'amara, drammatica realtà.

24 dicembre 2022 (Alfredo Laurano)