martedì 10 gennaio 2023

ANCHE LEI HA FATTO IL NIGHT?

Tempi lontani, quelli che la mia generazione ha a lungo vissuto: quello dei night club, locali notturni, caratterizzati da un'atmosfera soffusa e musica generalmente dal vivo, che offrivano varie forme di intrattenimento: jazz, swing e generi leggeri aperti e dedicati al "ballo della mattonella", oltre a qualche numero comico, di prestigio e perfino di “audaci” spogliarelli. Arbore e Proietti ne hanno fatto un esilarante racconto, un ennesimo cavallo di battaglia.

L'epoca d'oro dei night in Italia risale agli anni cinquanta e sessanta: ottimi artisti, champagne e tartine al caviale, belle ragazze del locale, dette entraineuses (intrattenitrici), capaci di divertire e far passare un paio d’ore spensierate, senza per questo essere facilmente arrendevoli, come molti erano portati a credere. Contavano i tappi che avevano collezionato (uno per ogni bottiglia aperta), sui quali veniva loro riconosciuta una percentuale, oltre al normale compenso giornaliero.
Al di là del lato folkloristico che ne diffondeva l’immagine di ambiente proibito e scandaloso - considerato luogo di perdizione da chi non lo conosceva da vicino - i locali erano molto eleganti, a volte un po’ kitsch, con un servizio impeccabile e orchestre di prima qualità come quelle di Renato Carosone, Gastone Parigi, Peter Van Wood, Bruno Martino, Marino Barreto Jr, uno dei re della notte, che sapeva creare l’atmosfera giusta, grazie alla sua voce un po’ nasale e cantilenante, che favoriva il ballo di coppia a strettissimo contatto.
Poi gli altri grandi, come Sergio Endrigo e Riccardo Del Turco, Peppino Di Capri, Fred Bongusto e molti altri. Ai clienti si richiedeva un abbigliamento adeguato.
Il mio complesso, assai meno noto, agiva spesso da “seconda orchestra” ed aveva il compito di aprire e chiudere la serata e accompagnare i numeri di varietà. 

I night club più famosi a Roma erano: l’84 da Oliviero, il Pipistrello, il Capriccio, la Cabala, l’Open Gate, il Crazy club, le Grotte del Piccione, la Taverna degli Artisti, la Rupe Tarpea, il famoso locale di via Veneto che, negli anni 60, rappresentava il cuore della Dolce Vita, ospitando i concerti di Fred Buscaglione e Carosone e vedendo tra gli abituali frequentatori Totò, Anna Magnani, Sofia Loren, Frank Sinatra a Marcello Mastroianni, ma anche Liz Taylor, Richard Burton, Ingrid Bergman e Roberto Rossellini e tanti altri personaggi dello spettacolo.
In quel periodo, i night club, tappa fissa dei nottambuli e terreno di caccia per i paparazzi de “La dolce vita”, offrivano un genere di intrattenimento che affascinò la buona borghesia negli anni del boom economico e rappresentarono una stagione irripetibile di risorse artistiche, sia musicali che di varietà, sino alla fine degli anni settanta, poi, lentamente, cominciarono a sparire.

Nel 1965, nacque il Piper, locale simbolo e innovativo di un’epoca, che ha fatto la storia della musica non solo italiana.
Arrivarono The Rokes e l’Equipe 84, Patty Pravo, Wess e Dori Ghezzi - che aveva una orchestra con una grande sezione di fiati che ci impressionò parecchio - Caterina Caselli, Mal e The Primitives, i Dik Dik, Gepy & Gepy, Rocky Roberts, I Giganti, I Corvi, Loredana Bertè, Ricky Shane. Poco dopo, determinò il successo di Mia Martini, dei Ricchi e Poveri e dei Genesis.
Il Piper diventò presto il punto di riferimento per i teen ager dell’epoca, che si incamminavano verso l’emancipazione, la libertà, l’indipendenza: un fenomeno di costume, tanto da trasformarsi in una vera e propria icona di una generazione pre-sessantottina.
Un mito popolare nell’immaginario collettivo, che comprendeva la Piper generation, la cultura Hippie e la non violenza, il Beat, lo shake & pop art, il rhytm and blues, in nome del quale si moltiplicavano le band, i locali e le cantine adibite a luoghi musicali, frequentati da tanti giovani, che si vestivano con le camicie a fiori e portavano i capelli lunghi sulle spalle.
Si vendevano milioni di copie di dischi, soprattutto nel formato 45 giri, che i ragazzi ascoltavano con i mangiadischi, in macchina e nei prati. 
Con la mia band, (all’epoca si chiamavano complessi) ho suonato in molti night, hotel e ristoranti di Roma e, d’estate, fuori, in varie località marine. La domenica pomeriggio, furono di moda anche i cosiddetti “The danzanti”, per divertire e far ballare anche i più giovani e gli studenti.
L’international Artist Club di via Veneto era per noi una specie di riferimento fisso, come pure l’Hilton e la nostra grande e polifunzionale “cantina” musicale di piazza Risorgimento, dove si suonava, si ballava, si parlava e nascevano dibattiti e storie d’amore e d’amicizia.
Tra le tante, qualche esibizione estemporanea e avventurosa, anche con Josè Salvador, Silvan Baby (Silvano Polidori) e Fiorenzo Fiorentini, anche al Terminillo.
 
Insomma, si faceva musica dappertutto, ovunque ti chiamassero e ti offrissero un minimo di compenso.
Sopra ogni cosa, sopra ogni sacrificio, sopra ogni improba fatica: la passione, l’amore per il suono e per il canto che ti seduce, ti cattura e ti diverte. Che ti permette di raccontare storie e sentimenti che le parole spesso non sanno esprimere. Che aiuta a riflettere e a distrarti nei momenti difficili, che ti dà soddisfazione, che ti ripaga sempre dell'impegno, che unisce e ti avvicina agli altri, che ti fa ridere o piangere e ti regala sempre e comunque un’emozione.
(Alfredo Laurano)

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