sabato 30 settembre 2017

OLTRE LA SIEPE

“Seduto in quel caffè, io non pensavo a te.... Guardavo il mondo che girava intorno a me...”
Oggi è il 29 settembre e, come ricorda il mio amico Maurizio, è una data virtuale, ma importante, quasi una ricorrenza: sono oltre 50 anni da quel 29 Settembre dell’Equipe 84, che ha costituito uno spartiacque per la musica della nostra generazione. 
Eravamo alla vigilia del ’68 ed era già abbondantemente esploso il fenomeno Beatles, che aveva rivoluzionato il panorama della musica mondiale. 
Pochi sapevano chi fossero gli autori di quella canzone, Mogol e Battisti, ma tutti conoscevamo tutto di questa nuova band italiana dallo strano nome, Equipe 84, dove 84 stava per la somma degli anni dei suoi componenti. 
Questa canzone, quasi psichedelica, è la storia di un tradimento in cui le situazioni si mescolano, come in una sequenza onirica, scandita, dalla voce di uno speaker radiofonico (Riccardo Palladini del TG) che apre e chiude due giornali radio, con le date del 29 e 30 Settembre, in apertura e chiusura del brano. 

Ricorderò sempre una calda sera estiva di quell’epoca, quando con il mio compianto amico del cuore e d’adolescenza, arrivammo passeggiando al Foro Italico, per ascoltare, senza vederla, all’esterno della fitta siepe del grande Bar della Piscina, proprio quella band che lì si esibiva. Era come se le note, gli accordi e le melodie viaggiassero in una dimensione audio, intensa, magica, quasi astratta, ma viva e assai vicina, senza forme e colori, se non quelli della fantasia
Rapiti dai loro brani, dalle loro voci e dal loro innovativo sound – che anche noi avevamo in repertorio, insieme ai tanti brani dei Rokes e degli stessi Beatles – restammo a lungo, “non seduti in quel caffè”, ma in piedi o accovacciati sul marciapiede, in religioso silenzio. 
Senza pagare alcun biglietto, se non quello della passione per la musica.
29 settembre 2017 (Alfredo Laurano)

venerdì 29 settembre 2017

GAY & GAY, UN IDIOTA COL CULO CONSUMATO

“Che si astenga quell’idiota col culo consumato di Malgioglio, quello col ciuffo bianco, dal mettere le mascherine che usiamo noi malati di cancro in reparto ematologia. Dice che non può respirare la polvere, però i c…nel culo li prende.
Si vergogni. …ma poi Vip cosa?
Ma, coglione vai in miniera a lavorare che c’è gente che muore di fame, idiota, invece di fare la regina contornato da tutti gli altri…”

Così si è espressa a La Zanzara su Radio 24, Maurizia Paradiso, la famosa trans degli anni ottanta - oggi malata di cancro - che portò la trasgressione e l’erotismo nelle TV commerciali.
Da quando Cristiano Malgioglio ha varcato la porta di ”Tristopoli”, al Grande Fratello Vip, indossa sempre la mascherina e non l’ha mai tolta. C’è chi parla di un puro vezzo scenico e chi tira fuori motivi misteriosi e imperscrutabili.
L’indecente, ennesima ammucchiata di presunti Vip, è partita col botto, all’insegna del gay-pensiero e del gay-capriccio. La prima puntata del reality di Canale 5 condotto da Ilary Blasi e Alfonso Signorini, gay in studio, ha raccolto 4 milioni e mezzo di spettatori-guardoni.
Cristiano Malgioglio, l’altra checca isterica, rinchiusa nella casa di “tolleranza” Vip, ha tenuto banco con le sue richieste e con il dramma vissuto al momento dell'ingresso nella stazione di "Tristopoli".
È la vera star, la regina del trash e dell’equivoco, con i suoi atteggiamenti volubili e stravaganti da prima donna, sull’orlo della nevrosi vagante, studiata a tavolino.
E non ha deluso le attese di pubblico e produzione.
Fin dall’inizio: una timida passerella da gran divo, con passo andante e ondivago, completamente vestito di rosso, per poi porre il primo problema a Ilary Blasi: "Io dalla porta rossa non entro, la porta rossa è per i vip e io sono un hombre del pueblo. O trovate un'alternativa o me ne vado".

Quindi, dopo aver girato un po’ a vuoto intorno alla Casa-pollaio, il divo disturbato è stato fatto entrare direttamente nella sua camera da letto.
Lui, che non sopporta di dormire con qualcun altro, è stato illuso facendogli vedere prima un letto matrimoniale tutto per sé, poi la camera da condividere con una coinquilina, tale Veronica Angeloni, seguita dalla ferale notizia del trasloco nella stazione abbandonata di "Tristopoli", tra docce fredde, polvere e ragnatele.
A proposito, lui fa la doccia con la vestaglia di seta addosso, perché fa scic, perché non ama il suo corpo o perché è semplicemente un paraculo.

''Ma perché indossa sempre una mascherina?'', si chiedono preoccupati i telespettatori del reality-spazzatura.
Il motivo è semplice, un vero incubo, che al popolo del web ha suscitato ironia e non poche risate: il Malgioglio ha confessato di essere terrorizzato dai cattivi odori e di essere allergico alla polvere. Sconfortato per la precaria sistemazione, pare sia addirittura scoppiato a piangere.

Una tragedia che sconvolge quel mondo finto e tutti i suoi seguaci. Cercheremo, per pura empatia di riflesso e di cristiana carità, di farcene una ragione e di sostenerlo in questa incredibile prova di ardimento.
"Sono troppo curioso nella vita e ho scelto di partecipare a questa avventura che mi spaventa ma che, nello stesso tempo, sono contento di affrontare”, aveva raccontato frezza bianca prima di entrare nel grande bordello. Mi mostrerò per quello che sono: uno che vive da solo con il suo gatto, che va al mercato a fare la spesa, che frequenta pochi amici ma buoni e che al mattino quando si sveglia ha i capelli spettinati e il ciuffo ribelle che va a destra e a manca”. Aspetto solo che mi chiami Almodovar per il suo prossimo film...".
Si, certo, si intitolerà: La fiera dei cazzari, oppure Culi e cervelli infranti.
Un altro esemplare di splendente inutilità.
 (Alfredo Laurano)




giovedì 28 settembre 2017

STORIE DI BARONI E DI FAVORI

Viene da Firenze l’ultimo tentativo di normalizzare il sistema massonico di selezione delle cattedre negli atenei italiani.
Ma è solo un caso, poteva succedere a Roma, a Napoli, a Bari, a Milano o in qualsiasi altra Università di questo corrotto Paese. Troppi atenei, troppi baroni hanno il vizio di sistemare i propri protetti e amici, lo sapevamo da sempre.
Il trucco si ripete in tutti i settori accademici, in modo trasversale e in tutta la filiera, del precariato della ricerca. Dall'accesso al dottorato fino all'abilitazione nazionale e alla cattedra.
A mia figlia, docente precaria da diciassette anni all’Università di Roma, è successa la stessa cosa, qualche anno fa: “ottima prova, la migliore senza dubbio, ma stavolta c’è già uno che DEVE vincere. Il prossimo posto da associato sarà sicuramente tuo”, le dissero in confidenza. Mentivano spudoratamente.
Le suggerii anch’io di registrare i dialoghi in futuro, per denunciare, ma non ne fu capace.
La meritocrazia non conta, non è un valore, un riconoscimento. Essere il migliore può rivelarsi non un pregio, ma un difetto da penalizzare. Almeno nel mondo alla rovescia dell'università italiana.

Invece, il ricercatore Philip Laroma Jezzi, proprio con il microfono, ha incastrato i baroni che gli avevano “suggerito” di abbozzare e di ritirarsi: "Se fai ricorso addio carriera”.
Invece, testardo, ha rifiutato di ritirarsi e ha mandato alla Finanza le registrazioni.

"Con che criterio sei stato escluso dal concorso? Col vile criterio del commercio dei posti". 
Il noto ex docente di diritto tributario Pasquale Russo, spiegava al ricercatore, che voleva diventare professore associato, come funzionavano le cose. Cercava di convincerlo a ritirarsi dalla corsa dell'abilitazione, perché i vincitori erano già stati decisi e far passare lui avrebbe potuto metterli in grossa difficoltà.
"Non è che tu non sei idoneo, è che non rientri nel patto del mutuando".

Ma, l’illustre accademico Russo, che sapeva bene chi avesse davanti - spiegherà, poi ad un collega che "Laroma, come intelligenza e laboriosità vale il doppio degli aspiranti associati che partecipano alla selezione” -  non immaginava che, quel 21 marzo del 2013, chi stava ascoltando la sua lectio magistralis sul mondo dei concorsi, dopo la riforma del 2010, avesse acceso il registratore sul telefono.

Laroma Jezzi non ritirò la domanda e a dicembre 2013 venne regolarmente bocciato.
Fece ricorso al Tar e lo vinse. Ora è abilitato come associato.
Furono proprio le parole memorizzate sul cellulare del candidato estromesso a far partire l'inchiesta che ha travolto oggi un intero settore di Giurisprudenza.
59 indagati, 22 agli arresti domiciliari: era ora! 
26 settembre 2017 (Alfredo Laurano)


martedì 26 settembre 2017

ANTICHI EUGANEI


ANTICHI EUGANEI (Atto primo: Monselice e il Catajo)

Dove si va? Mi chiede il navigatore, appena acceso in macchina.
Si va al nord-est, in comitiva, a visitare qualche città murata, qualche città gioiello e a navigare le acque, la storia e le bellezze del più grande lago italiano: il Garda, amatissimo dai tedeschi, forse per il suo tragico passato bellico. 
Tutti gli altri partono in treno, noi con la nostra auto, la “quadra rossa”. 

Le città murate italiane (come anche le tante nel mondo) sono quelle che hanno conservato, almeno in parte, la cerchia delle mura di difesa, costruita in epoca preistorica, etrusca, greca, romana, medioevale o rinascimentale. Ce ne sono in ogni regione, in ogni provincia: da Palmanova (Udine) a Monteriggioni (Siena), da Sabbioneta (Mantova) a Corinaldo (Ancona), a Glorenza (Bolzano), a Marostica, a Cittadella, a Lucca. Sono 363 quelle ufficialmente classificate. 

Prima tappa e sede del soggiorno è Monselice, città murata del Sacro Monte Giubilare, nella bassa padovana. Nel XII secolo iniziò la costruzione delle mura a difesa della città, poi potenziate da Federico II di Svevia.
D’epoca romana e longobarda, “Mons Silicis”, dal nome della cava di pietra che riforniva prima l’Impero e poi la Serenissima, è una città ricca di storia, che conserva un paesaggio medioevale e rinascimentale. Su una collina c'è il rudere di un antico castello che sovrasta un panorama straordinario su un'ampia pianura, a una quarantina di chilometri da Venezia. 
Numerose le testimonianze della città antica come la Loggia, la duecentesca Torre Civica, buoni tratti di mura, il museo di Ca’ Marcello (la famiglia veneziana a cui per ultima appartenne il castello), per continuare col Duomo di Santa Giustina (del XIII secolo), Villa Duodo, il santuario di San Giorgio, fino a culminare con la Rocca che tutto domina dal suo colle. 
Celebre è poi la Giostra della Rocca, un palio organizzato ogni anno durante il quale le varie contrade (frazioni e quartieri) del Comune si sfidano in competizioni come il tiro con l'arco, il torneo di scacchi (gara finale con scacchi "viventi"), il torneo di musici (tamburini e chiarine), gli sbandieratori, la gara delle macine, la staffetta, la sfilata delle nove contrade con vestiti dell'epoca e la giostra equestre di precisione (la Quintana), dove il cavaliere deve infilzare con la lancia tre anelli di diverso diametro (il più piccolo è di 5 cm.) nel minor tempo possibile.

Il nostro B&B è molto comodo e centrale, è in un palazzetto silenzioso e pigro, a due piani, e offre stanze assai spaziose. A noi è stata riservata, casualmente, una specie di “piazza” da letto, da una cinquantina di metri quadri. Per andare in bagno si può quasi prendere l’autobus.
Dopo la sistemazione, senza alcun riposino, un veloce spuntino a base di cicchetti e prosecco millesimato all’Osteria Mazzini (accanto alla Torre Civica) e si parte per il vicinissimo Castello del Catajo, monumentale edificio di 350 stanze, considerato la reggia dei Colli Euganei. 

Costruito a partire dal XVI secolo da Pio Enea Obizzi, presso Battaglia Terme (Padova), fu ampliato dalla stessa famiglia nel '600 e '700 e trasformato in seguito in reggia ducale dalla famiglia Asburgo-Este, arciduchi di Modena. Fu infine eletto residenza di villeggiatura imperiale degli Asburgo, imperatori d'Austria. 
Cinte murarie, cortili, terrazze, fontane, torrette, logge, scale per cavalli, corridoi scavati nella roccia conducono al piano nobile dove, in un luminoso trionfo di luce e colori, si possono ammirare i quaranta riquadri affrescati di Gian Battista Zelotti, che raccontano la storia degli Obizzi, a cominciare dal loro albero genealogico. 
Alle pareti delle altre stanze, ingentilite nei soffitti e nei sovrapporta, da varie allegorie, sono poi dipinte varie battaglie, terrestri e navali, le crociate, cui parteciparono i membri della famiglia, illustrate da didascalie in italiano e in latino. Sul soffitto sono anche rappresentate le tre forme di governo: la Democrazia (Roma), l'Aristocrazia" (Venezia), la Monarchia (la Religione Cattolica).
Il Catajo - il cui nome si ritiene non derivi da Catai (nome con cui veniva indicata la Cina nel Medioevo), ma piuttosto da "Ca' Tajo", cioè "tenuta del taglio", con riferimento allo scavo del Canale di Battaglia che tagliò a metà molti appezzamenti agricoli - nel corso dei secoli non è stato quindi un semplice castello, ma villa, palazzo ducale, dimora imperiale e imponente reggia, sede di sfarzose e memorabili feste. 
Ancora oggi è di proprietà privata ed è aperto al pubblico con funzione museale o per ricevimenti.

Dopo la visita guidata al magnifico maniero, soddisfatta l’esigenza culturale e appagato lo spirito da tanta bellezza e storia - pur nella giornata grigia e piovigginosa - si è fatto il tempo per nutrir anche la pancia. 
In gruppo, e con l’aggiunta di amici e parenti autoctoni, di rara simpatia e cortesia, invadiamo i tavoli e le cucine del Campiello, per una succulenta cena, annaffiata sempre dal pregevole prosecco, dentro, e dalla pioggia, fuori, sul canale che vien dal Bacchiglione. 
Poi, finalmente, sotto l’ombrello e l’acqua monselicense, raggiungiamo l’agognata piazza da letto della nostra Ca’ Marcello (lo stesso nome del museo) e cadiamo, sfiniti, tra le braccia molli del veneto Morfeo. (Continua)


ANTICHI EUGANEI (Atto secondo: Este e Montagnana)

Nel nuovo giorno, mentre gli altri vanno in treno a Mantova, noi ci dirigiamo a Este e Montagnana, altre città murate venete, caratterizzate da comuni radici storiche, nel territorio compreso tra i Colli Euganei e l'Adige. 
In breve raggiungiamo Este, passando davanti a Cà Mori, sede del Parco Regionale dei Colli Euganei. Entriamo (a piedi) nel centro storico dove si apre la vasta piazza Maggiore e si affacciano i palazzi più prestigiosi della città. 
E’ giorno di mercato, tanta gente e tanti banchi sotto il cielo sempre grigio, ma numerosi gli scorci che meritano una sosta fotografica: la torre civica con l'orologio, le residenze signorili, i luoghi di culto e la possente cinta muraria (circa un chilometro) del Castello Carrarese. 

Ampliato nel XII secolo dai marchesi d'Este, il castello marchionale raggiunse il massimo splendore con Azzo VI, che lo trasformò in un importante centro di cultura trobadorica. Poeti, artisti e giullari venivano ospitati nella sua corte, dove cantavano le lodi del marchese e della bellissima figlia Beatrice.
Le sorti del castello cambiarono repentinamente a causa delle violente guerre tra la fazione guelfa (cui facevano capo gli Estensi) e i ghibellini, che assediarono e danneggiarono più volte la fortificazione. Nel 1249 il castello venne distrutto da Ezzelino III da Romano, che provvide poi a restaurarlo, ma nel 1294 i padovani, ormai padroni incontrastati del territorio, lo demolirono nuovamente.
La configurazione attuale del castello risale al 1338, anno in cui Ubertino da Carrara, signore di Padova, decise di riedificarlo nelle forme che ancor oggi vediamo. 
Nonostante i danneggiamenti subiti nel tempo conserva ancora la forma poligonale, il mastio e ben dodici torri. E' invece scomparso il corpo centrale del castello sostituito da un bellissimo parco pubblico. 

Il nostro viaggio “indietro nel tempo” culmina a Montagnana, dove abbiamo forse il Medioevo meglio conservato di tutto il Veneto. Il colpo d’occhio dato dalle mura è impressionante.
Lungo il perimetro (2 chilometri) s’incontrano magnifici edifici: Porta Legnago (detta “Rocca degli Alberi”) del XIII secolo, con il portone in legno di rovere originale del tempo, e il Castello di San Zeno, oggi sede del Museo Civico.
Nel XIV secolo la città murata assunse l'impronta originale che possiamo ancora oggi ammirare. 
La visita al centro storico permette di ammirare nobili dimore, tra cui villa Pisani, opera del Palladio, e il Duomo, dalla particolare forma ellittica e scrigno di opere d'arte - ospita due affreschi del Giorgione, la “Trasfigurazione” del Veronese e lo splendido altare maggiore, opera del Sansovino - la cui architettura complessa armonizza gli elementi gotici con quelli rinascimentali.
Irrinunciabile, per un turismo consapevole e anche gastronomicamente motivato, una sosta golosa nella storica Bottega Mantoan a fare incetta di prosciutto dolce di Montagnana, di soppressa vicentina, unita al morbido “schizzotto”, poi uno sfizioso pasto all’Osteria Due Spade, sotto i portici di via Carrarese.

Rientriamo a Ca’ Marcello e la sera, mentre continua la pioggerellina settembrina nella piana padovana, ci ritroviamo tutti a Pernumia - piccolo centro di epoca romana, a tre chilometri da Monselice, famosa per gli asparagi bianchi che, a contatto con la luce, diventano rosa e poi verdi, quando spuntano in superficie, e per la Festa della Rana. 
Siamo tutti a cena dai parenti cortesi e affabili della nostra amica. 
Festa grande, ospitalità squisita e vino a volontà, mentre la mia Roma - la vedo, da solo, in TV - liquida il Verona nel lontano Olimpico. 
Ora, a nanna, domani ci aspetta il Garda. E ancora piove. (Continua)


ANTICHI EUGANEI (Atto terzo: il Garda)

Arriva il giorno della gita sul Garda
Il pullman ci raccoglie alle 6,45 nei pressi del B&B e, dopo un paio di altri punti di raccolta, si dirige comodo verso la meta lacustre. Come sempre, ci fa compagnia una pioggia lieve e fastidiosa.
Una breve sosta in autogrill, dove incontriamo tanti altri pullman pieni di leghisti in verde, che vanno a Pontida a omaggiare il loro leader e i loro sogni padan-secessionisti. Felpe verdi, costumi barbari, bandiere crociate, caffè e soste tecniche, per rilasciare le proprie fresche e distillate acque sul sacro Po o nel soave Adige.
Giunti a Sirmione, incontriamo la nostra bella e brava guida Chiara che ci accompagnerà per tutta la giornata e ci illustrerà i luoghi, le bellezze, le leggende, la storia e le tante curiosità di quel magico bacino d’acqua dolce. 
Dal parcheggio, raggiungiamo il centro storico della città cantata e abitata da Catullo (ci sono i resti della sua villa romana), conserva una struttura urbanistica medioevale, con strade strette e irregolari. 
Il maestoso Castello, all’ingresso, è una rocca di epoca scaligera. 
Si tratta di uno fra i più completi e meglio conservati castelli d'Italia, oltre che raro esempio di fortificazione lacustre, in posizione strategica e bagnato su tutti i lati dalle acque del lago di Garda. La sua costruzione ebbe inizio intorno alla metà del XIII secolo, probabilmente sui resti di una fortificazione romana. 
Intanto, all’improvviso, spunta un magnifico sole che cancella il grigio di quel cielo e tutto cambia, assume nuove dimensioni e satura i colori: cose, pietre, profili, acqua e panorami assorbono ricchezza e intensità da quella nuova luce.
Dopo la visita alla città vecchia, piena di turisti, di hotel, di ristoranti e di troppe gelaterie - l’unico forno che c’era - ci racconta Chiara - ha chiuso, da tempo - procediamo all’imbarco,
mentre osserviamo un gruppo di giovani giapponesi che mangiano aragosta e spaghetti, alle dieci di mattina. E ci sovvien Catullo:
“Delle isole e penisole gioiello, o Sirmione, di quante ne sostiene, tra laghi risplendenti e mare aperto, l’uno e l’altro Nettuno, con che voglia, con che gioia e piacere ti rivedo!...”

Arriviamo, sempre in battello, e visitiamo Salò, una delle molte perle del Garda, conosciuta per la sua storia.
E’ una cittadina di 10.000 abitanti che ogni anno riesce a conquistare molti turisti e visitatori che vogliono scoprire quella che fu la sede della Repubblica Sociale Italiana.
Per venti mesi, dal settembre 1943 all’aprile 1945 Salò, capitale del Garda, assunse anche il rango di capitale di un’Italia divisa in due, con al nord la RSI di Mussolini e al Sud lo stato monarchico di Vittorio Emanuele III e Badoglio. 
La battaglia per la pace diventa perciò la battaglia contro il fascismo. 
La guerra per la liberazione del paese dal nazista occupante diventa guerra contro i suoi fiancheggiatori e, quindi, guerra civile. E il luogo dove questa più ferocemente si esercita è proprio il Nord Italia. 
Dopo la caduta del Fascismo del 25 luglio, Mussolini viene arrestato e portato sul Gran Sasso, da dove viene liberato il 12 settembre dai paracadutisti delle SS, cioè 4 giorni dopo l’armistizio dell’8 settembre. 
Il 23 settembre del 1943 Salò, il piccolo paese sulla sponda occidentale del lago di Garda, in provincia di Brescia, divenne famoso in tutto il mondo. Benito Mussolini, appena liberato dalla sua prigione a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, durante l’invasione degli inglesi e degli americani, lo scelse come sede del suo nuovo governo. 

Il lungolago di Salò conduce fino alla piazza della Vittoria dove si può ammirare anche il palazzo della Magnifica Patria di Jacopo Sansovino. All’epoca, in collegamento con l’agenzia di stampa, era la sede dell’ufficio interpreti per la traduzione dei comunicati esteri. Il Palazzo della Croce Rossa, era invece sede del Minculpop (Ministero della Cultura Popolare), fucina della propaganda. Il capo di Gabinetto era Giorgio Almirante allora trentenne. 
L’aspetto più affascinante del lungolago Zanardelli sono le 20 targhe che si trovano durante il percorso e che raccontano la storia e l’origine del nome delle contrade del paese. 
Ammirate le bellezze del Duomo, si passeggia nel centro storico di Salò: un fitta rete di strade, vicoli e piazzette, di eleganti negozi, ristoranti, alberghi e dimore signorili - già requisite a suo tempo dai fascisti e trasformate in altri ministeri e centri di comando. La vecchia Casa del Fascio (ex Albergo Italia), da cui due grossi e potenti altoparlanti trasmettevano ogni sera il bollettino ufficiale di guerra, che si doveva ascoltare sull’attenti e a capo scoperto, oggi è una caffetteria. 

Da Salò a Gardone Riviera, una delle principali località turistiche del Lago di Garda, caratterizzata dalla sua tipicità "mitteleuropea", famosa per i suoi esclusivi palazzi e hotel per soli ricchi e, soprattutto per il Vittoriale degli Italiani: un complesso di edifici, vie, piazze, un teatro all'aperto, musei, stanze piene di oggetti, giardini e corsi d'acqua, eretto tra il 1921 e il 1938 sulla sponda bresciana del lago, da Gabriele d'Annunzio, su progetto dell'architetto Giancarlo Maroni, a memoria della "vita inimitabile" del poeta-soldato e delle imprese degli italiani. Fu dimora degli ultimi sedici anni della sua esistenza. 
Attualmente è una fondazione aperta al pubblico e moltissimo visitata. 
“La passione in tutto. Desidero le più lievi cose perdutamente, come le più grandi. Non ho mai tregua…” Così scriveva negli ultimi giorni della sua vita, rinchiuso nella sua prigione dorata e nella penombra sepolcrale della sua villa incantata. 
Cosa rimane della vita d’un artista mosso dalla passione, travolto dalla fiumana della voluttà, sospinto dalla scintilla di genio battagliero?”

Quarta e ultima tappa a Garda, sulla costa veronese del lago, anticamente conosciuto come Benàcus o Benàco. 
Il paese sorge al centro dell'omonimo golfo, che in parte si allunga fino a formare una piccola penisola, che comprende Punta San Vigilio e la Baia delle Sirene. 
Garda è l'evoluzione della voce longobarda “warda”, ovvero guardia, luogo elevato atto ad osservazioni militari, un'evidente allusione alla fortezza eretta contemporaneamente alle prime invasioni barbariche sulla Rocca di Garda, la collina che sovrasta il paese dove vi era la presenza di un castello. 
Anche qui, sul lungolago, ville e palazzi e tanta gente che passeggia tra i vicoli e i souvenir o sorseggia aperitivi nei numerosi bar.
Ci si imbarca per il ritorno a Sirmione, salutiamo e ringraziamo Chiara, risaliamo sul pullman e alle 21 siamo di nuovo al nostro B&B di Monselice, non prima di aver fatto una cenetta all’Osteria Mazzini. Il gruppo, più affamato, cena al Campiello. (Continua)


 (ATTO QUARTO: Il Palladio, il baccalà, la ripartenza)

Il gruppo dei gitanti oggi si divide: noi, con Carla e la Ginetta, siamo ospiti del Palladio nella sua splendida Vicenza, gli altri decidono per Montagnana, pioggia permettendo.
Appena giunti e parcheggiati nel capoluogo berico, dal ponte Furo, sul fiume Retrone - fra i cui argini e il verde delle sponde, s’incunea sullo sfondo la Basilica Palladiana e la Torre Civica - ci tuffiamo subito nelle atmosfere del Cinquecento, il secolo del grande architetto tardo-rinascimentale Andrea Palladio. 
Giunto giovane a Vicenza dalla nativa Padova e preso a cuore dal mecenate vicentino Gian Giorgio Trissino, che lo fece studiare, si rivelò presto come una delle personalità più influenti nella storia dell'architettura occidentale: le numerose famiglie nobili vicentine gli commissionarono numerosi palazzi in città, nonché altrettante ville, che ridisegnarono completamente la scenografia della città. 
Nella centrale Piazza dei Signori, il Palazzo della Ragione, già in epoca comunale e nel Medioevo, era l'edificio adibito allo svolgimento della pubblica amministrazione della vita cittadina. E’ noto come Basilica Palladiana, perché Andrea di Pietro della Gondola lo riprogettò, aggiungendo alla preesistente costruzione gotica le celebri logge in marmo bianco a serliane, dove veniva amministrata la giustizia. Di fronte, realizzò la Loggia (o palazzo) del Capitanio, sede del rappresentante della Repubblica di Venezia. 
Nella grande piazza, di forma rettangolare, si collocano anche la Torre civica Bissara, con i suoi 82 metri di altezza, il Palazzo del Monte di Pietà con la Chiesa di San Vincenzo e le due colonne, una con il Leone di San Marco e l'altra con la statua del Redentore. 
E’ in corso, attualmente, il posizionamento de “La Rua” (ruota), una grande struttura lignea introdotta nel 1441 e fatta sfilare alla processione del Corpus Domini. 
Il nome dell'intera macchina scenica, ora riprodotta, deriva proprio dalla presenza di una grande ruota girevole incastonata nel centro della struttura e che rappresentava la rotazione quadrimestrale nell'espletamento delle cariche all'interno del potente collegio dei notai.

Su piazza Matteotti, si affacciano altri due capolavori palladiani: Palazzo Chiericati, sede della Pinacoteca civica, e il Teatro Olimpico, opera tra le più suggestive del genio palladiano, chiaramente ispirata ai modelli dell'arte classica. 
E’ il più antico teatro coperto in muratura al mondo e gli sfarzosi interni sono realizzati con materiali poveri in legno, stucco e gesso. 

Tra tutte queste meraviglie, rapiti da tanta bellezza ed emozione, ci sta venendo un buco alle falde del piloro: forse è un collaterale effetto della sindrome di Stendhal. 
Non ci resta che prendere la macchina e raggiungere Sandrigo, a sedici chilometri, per degustare del fantastico baccalà: qui, all’Antica trattoria Due Spade è proprio speciale. 
Lo assaggiamo in tutte le sue sfumature, sapide, suadenti e delicate: mantecato sui crostini caldi, con la polenta, con i bigoli, nel risotto, alla vicentina, fritto a bocconcini e perfino nello stravagante dessert, come semifreddo alla crema chantilly e suaetto, fra i dolci ricami sul piatto di vetro. 
Un trionfo di sapori, bagnato da un buon prosecco col quale pasteggiare a tutto pranzo e una morbida grappa finale, che ognuno può "spillare" direttamente da una botte in bellavista, in una sala imbandierata per la festa con i produttori Norvegesi, e tanti stoccafissi appesi, accanto ai lampadari.

E tempo di rientrare. Stasera, tutti a casa della dolce Roberta, della vivace Anna, del cordiale Giorgio e parenti annessi - Silvana, la nobile patriarca di Pernumia, Paolo (in versione Oktoberfest), Fiorella, Marisa, Marco e Marco bis - che ormai ci hanno adottato con affetto, sempre nella terra ospitale di Pernumia. 
Che fatica essere umani e subire i sentimenti, che bello stare insieme!
Anche se ancora piove.

E venne l’ora dei saluti, delle promesse e degli arrivederci, dei grazie che tramutano gli abbracci in semplici parole. 
Si riparte la mattina dopo, sempre sotto l’acqua, che accentua la tristezza, ma non diluisce un po’ di malinconia. Anche perché viaggiando si scopre, si conosce, si studia, si ama, si impara, si cresce, senza invecchiare mai…dentro.
Gli altri amici tornano in treno nel primo pomeriggio, noi con la “quadra rossa”, alle sette siamo già in marcia verso Bologna, avendo previsto una lunga deviazione per la cantina di Arceto, a due passi da Scandiano e Reggio Emilia.
La pioggia si fa intensa e il traffico emiliano è una sventura, soprattutto dell’altro senso di marcia. E non si arriva mai! 
Anzi, si, siamo arrivati a destinazione: ecco la cantina, avvolta in solitudine e silenzio: qui il vino, dopo la spremitura e la fermentazione dell’uva, riposa e matura, senza sforzo e senza stress.
Ci riforniamo di Lambrusco, dopo tanto Prosecco euganeo, e mangiamo egregiamente in una buona trattoria di Serravalle, frequentata da camionisti e lavoratori, spendendo meno di una pizza (22 euro in due!).
Ci spiace ripartire, rimetterci in macchina per fare altri 460 chilometri, con un quarto di fresco, spumeggiante Grasparossa nel palato e con la testa già piena di ricordi. (fine)
22 settembre 2017 (Alfredo Laurano)

lunedì 25 settembre 2017

GRAMMATICHERIE GOURMAND

La lingua cambia, si aggiorna, si amplia, si rinnova e, da diversi anni, anche il vocabolario della ristorazione e al cibo è in rapido mutamento: nascono e crescono sempre più i locali con il suffisso "eria", il cui nome è legato a un singolo prodotto, a una specialità che diventa protagonista. 
Nel contempo, alcuni classici, come drogheria, pizzicheria, frutteria, salumeria, salsamenteria spariscono di fatto dall’uso quotidiano.
Gli stessi termini “ristorante, trattoria, osteria” sono in rapido declino, mentre avanzano prepotentemente neologismi legati a locali monotematici e, spesso, alternativi, capitanati dalle hamburgherie, che sono state le prime in questa corsa alla modernità, con buona pace del mitico Artusi.
Viene da chiedersi se a questa trasformazione linguistica corrisponda anche una rivisitazione in positivo della nostra nobile arte culinaria. Personalmente, ne dubito, con molti “se” e molti “ma”.
Oggi, le insegne eno-gastronomiche che finiscono in “eria” sono, infatti, sempre più alla ribalta: spaghetteria, griglieria, polpetteria, piadineria, bruschetteria, tartineria, bracioleria, prosciutteria, insalateria, cornetteria, frullateria, tutte accanto alla antica, precorritrice pizzeria. Aspettiamoci le fettuccinerie, le aragosterie, le fungherie o le ostricherie. Prima o poi, arriveranno.
Dietro a queste nuove terminologie di linguaggio settoriale, si riflettono, tuttavia, le mode e i cambiamenti del gusto e dell’alimentazione - quasi sempre orientati e determinati dai persuasori occulti - e del modo di consumare cibo e bevande, molto significativo e individualizzato. Anche perché si mangia sempre più spesso fuori casa, cercando, soprattutto nella pausa meridiana, un pasto leggero, rapido e a basso costo, anche in piedi, al bancone del bar, del forno o della rosticceria, o su una mensola pietosa e comprensiva.

Ci si nutre e ci si ristora a tutte le ore, si può disporre di piatti caldi, di sfizi e spuntini in qualsiasi momento, in tempi brevi e con modalità semplici e non impegnative, come da sempre accade nei fast-food, nati per questo.
Il successo e il dilagare degli apericena, degli aperitivi, dei cocktail con buffet e stuzzichini che spesso sostituiscono la cena e che hanno cancellato la sana merenda di una volta, ne sono l’evidente conferma.
E’ il nuovo che avanza, lottando, spesso scorrettamente, contro le resistenze di un Paese vocato e baciato dalla bontà del cibo, delle risorse climatiche e ambientali, dei prodotti e dall’eccellenza enogastronomica, come il nostro. Un territorio sconfinato che cerca di difendere le sue gloriose tradizioni, soprattutto a livello locale e regionale, mantenendo vive migliaia di sagre, miti e feste popolari che esaltano e consacrano (da qui l’origine del nome) ricette tipiche, genuine e stagionali, quali espressione concreta di storia, civiltà, folclore e autentica sapienza contadina.

Sarà per questo che nonno Libero, alias Lino Banfi, ha appena aperto a Roma, in zona Prati-Cavour la sua Orecchietteria (undici tipi di orecchiette, tutte coniugate in rigoroso pugliese banfiano), l’unica in “eria” che mancava. Almeno, fino ad oggi.
(Alfredo Laurano)

SUL RING

Giovedì, nello studio di Piazza Pulita, su La7, si parla della legge Fiano sull'inasprimento delle sanzioni per apologia e propaganda di fascismo. In studio, tra gli altri c'è proprio il piddino Emanuele Fiano.
A scatenare la lite è il solito Sgarbi che argomenta il suo "no" alla legge che introduce il reato di propaganda fascista nel codice penale, ricordando tutti gli orrori dei regimi comunisti.
Ma lo scontro totale, e violentissimo, si sviluppa contro il vignettista Vauro, “l’ultimo Panda-comunista. 
L’invasato critico d'arte, sbeffeggiando la nuova legge inutile, ricorda gli orrori del comunismo, della Corea del Nord e delle testate atomiche, che "non sono idee ma armi che partono. Non capisco perché contro quel mondo non c'è la stessa intransigenza". 
"Te lo spiego io perché...", gli dice Vauro. 
Ma non riesce a farlo perché l’esaltato, come al solito, parte in quarta e urla: "Comunista. E Cuba? Cuba? Cuba? Voi comunisti siete contenti e orgogliosi di una storia criminale".
Poi, afferma che la legge proposta da Fiano "è retorica", perché già esiste la legge Scelba del 1952 e quella Mancino del 1992, ignorando, però, che la prima riconosce come reato solo la riorganizzazione del disciolto partito fascista, la seconda punisce chiunque faccia propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. 
Quella oggi in discussione a Montecitorio, oltre all’introduzione nel codice penale del reato di propaganda fascista, chiede di ampliare e inasprire le condanne per le tipologie di comportamento e condotte individuali, definibili come apologia del fascismo, dal momento che sfuggono attualmente alle normative vigenti. 
Ma quella “capra” di Sgarbi, ossessionato da chi si permette di contraddirlo, tutto questo non lo sa e non gli interessa: vuole e deve fare solo il show, come da copione. Lo pagano per questo.
Gli replica il vignettista comunista: "Parli di retorica e citi la Corea del Nord?" 
"Il comunismo è molto più pericoloso", ricorda Sgarbi. 
Ma, quando Vauro afferma "sono orgoglioso di essere un comunista italiano”, esplode il finimondo".
Il forsennato, sempre più esagitato e urlante, con la giugulare sempre più gonfia e dilatata, lo aggredisce con maggiore furore: "Io sono orgoglioso di essere anti-comunista, contro te, Fidel Castro, contro tutto questa gente che ha ucciso, ucciso continuamente, manda bombe atomiche. Vergognati, tu comunista".
Ma Vauro non molla e lo colpisce duro, con un montante sinistro che lo mette KO: "Sono ancora più orgoglioso di essere comunista quando faccio sbavare gente come te".
Fine del match.
24 settembre 2017 (Alfredo Laurano)