domenica 29 dicembre 2019

VETRO SOFFIATO /1938


Affascinante e coinvolgente nella sua trama e nelle atmosfere tristi e nevose di una cittadina tedesca di fine ottocento. Si sente il freddo, si percepisce la fame, si contano le poche monete.
Tratto dall'omonimo romanzo di Petra Durst-Benning, “La soffiatrice di vetro” è un film drammatico diretto da Christiane Balthasar, ambientato nel 1890 a Lauscha, una piccola località dedita all'arte della soffiatura del vetro. Lo ha trasmesso, l’altra sera, Raitre.
È la storia di due sorelle, Johanna (Luise Heyer) e Marie Steinmann (Maria Ehrich), rimaste completamente sole dopo la morte del padre. L'uomo, esperto soffiatore di vetro, ha trasmesso alle proprie figlie la sua passione, nonostante l'arte vetraria in quegli anni fosse prerogativa esclusivamente maschile e un esercizio vietato alle donne.
Inizialmente le due ragazze cercano di lavorare per tirare avanti: Johanna nel laboratorio di vetreria di Friedhelm Strobel, come assistente commerciale, e Marie dipinge i manufatti in vetro nello studio di Wilhelm Heimer, dove conosce e sposa l'arrogante figlio di quest'ultimo, Thomas. Chiusa nel suo mondo fatto di colori, matite e bacchette di vetro, Marie, affascinata dai colori e dalle sfumature, scopre la sua vera passione per la decorazione. Si rivelerà come la vera artista della famiglia.
Ben presto, Johanna e Ruth dovranno scontrarsi con la dura realtà. Si ritroveranno al centro di sfruttamento e violenza e saranno costrette a lottare in un mondo chiuso alle novità e condizionato dai pregiudizi.
Fino a quando non decideranno di prendere il destino nelle proprie mani, sfidando la tradizione e continuando da sole in mestiere del padre, soprattutto quando tra le loro creazioni spiccherà uno dei simboli più iconici del Natale.
E sarà proprio Marie, sfidando convenzioni e pregiudizi, che farà rivivere la bottega di famiglia: diventerà lei stessa una soffiatrice di vetro e, grazie alle sue grandi capacità ed alla sua fervida fantasia, creerà le basi per quella che diventerà un’impresa tutta femminile, nella quale le giovani donne sole ritroveranno dignità, indipendenza e amore. 
Come nelle più belle favole, dove trionfa il sentimento.
Un racconto avvincente, con un’ottima ambientazione storica e un interessante studio psicologico dell'animo femminile. Le sorelle, in modi diversi, esaltano le capacità e l'intraprendenza delle donne.
Cast e regia appaiono eccellenti, il ritmo narrativo è giusto e misurato, i personaggi sono ben caratterizzati e le vicende, personali e semplici in apparenza, tengono lo spettatore con il fiato sospeso, per conoscere la sorte delle sorelle.
Un film che commuove e che convince, che non lascia indifferenti.
28 dicembre 2019 (Alfredo Laurano)

venerdì 27 dicembre 2019

MA CHI E’ SOVRANO? /1937


Il papa è sotto attacco. Da sempre, da quando è stato eletto oltre sei anni fa.
All’ala conservatrice e integralista della Chiesa Cattolica, specialmente a una parte dell’episcopato statunitense, non piacciono le battaglie sociali di Bergoglio, in favore degli ultimi, degli emarginati, dei diritti dei lavoratori, della tutela dell’ambiente. Non gradiscono gli impegni per l’accoglimento dei migranti, in favore della pace e del dialogo religioso, con le altre confessioni cristiane e con le altre fedi, compreso l’Islam.
E’ colpevole, secondo il terrorista talebano Antonio Socci, di «annacquare e adulterare la fede», rinnegando e ribaltando il Vangelo, e di scagliarsi contro Salvini che brandisce il solito rosario, come una spada.
Papa Francesco è stato severo anche nel punire i gravi errori commessi da sacerdoti e cardinali, come nel caso della pedofilia.
Non accettano che predichi povertà e accoglienza, che rifiuti di abitare nel lussuoso Palazzo Apostolico, per alloggiare in Casa Santa Marta, il semplice pensionato che ospita i cardinali in occasione del conclave.
Nei suoi numerosi viaggi pastorali in tutti i continenti ha predicato la pace, la tolleranza, l’uguaglianza. La Sinistra internazionale ha perfino eletto Bergoglio a leader per le iniziative in favore dei diritti sociali. 
Fausto Bertinotti qualche anno fa lo elogiò dicendo cose un tempo impensabili: «La sinistra politica è morta» mentre «il Papa interroga profondissimamente, nel nostro mondo arido, le coscienze ancora vive».

Il suo mestiere di papa è stato da subito molto difficile. “Veleni” e “corvi”, lo hanno attaccato trafugando e divulgando perfino documenti riservati.
Lo scontro è forte tra cardinali conservatori e progressisti, tra innovatori e restauratori. 
Si parla, infatti, di un sua sostituzione. 
Soprattutto, oggi che, secondo qualche imbecille, si sarebbe schierato a fianco dei “culattoni” e contro il vento forte del Sovranismo (V. articolo di Libero, del 25 scorso, “Meglio essere gay che sovranisti”). Ennesima bestialità.
Il termine Sovranismo è un’invenzione recente, che serve soprattutto a confondere le idee dei cittadini, a vantaggio dei politici che sfruttano e inseguono il potere. Il concetto di Sovranità, invece, è uno dei pilastri del pensiero politico moderno.
Ma il Sovranismo, nella sua accezione attuale, non è il semplice esercizio della Sovranità, che prevede la Costituzione. È la sua rivendicazione polemica.
Così, come populismo non vuol dire popolo.
Un’ambigua posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione.
I termini Sovranità e Sovranismo si sono rapidamente sovrapposti a quello di Populismo. Gli hanno dato un nuovo contenuto. 
Messa così, tanto valeva continuare ad usare la categoria più antica e scientifica: il patriottico nazionalismo, tanto caro a una certa Destra, razzista, xenofoba e reazionaria. 
Il popolo è sovrano, si continua a ripetere, con disperante ovvietà, come fosse una straordinaria scoperta. Anche nei confronti dell’Unione europea. 
Anche, vergognosamente, per attaccare, ancora e sempre, il povero Bergoglio, che strizzerebbe l’occhio ai gay, schifando i neo-sciovinisti, come in questo caso.
Resta il fatto che, in realtà, abbiamo due tipi di sovranità possibile: quella popolare e quella ben più reale e onnipotente dei Mercati.
Lo strapotere assoluto e sovranazionale di questi delegittima moralmente e concretamente le eventuali opposizioni popolari, anche quando indossano l’abito obsoleto e cangiante del Nazionalismo: il populismo sovrano.
“Non avrai nessun altro potere sopra di me”: così recita il vangelo secondo il Mercato.(Alfredo Laurano)

giovedì 26 dicembre 2019

AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA /1936


Nei giorni di interregno fra Natale e Capodanno, le pagine di giornali, dei TG, dei social e dei telefonini si riempiono di inviti, pubblicità e proposte di straordinari affari enogastronomici, di livello superiore. Anzi planetario.
La transizione d’anno significherà per molti cenone e veglione in locali prestigiosi.
Per un menù stellato, si va dai modestissimi 300 euro di Cannavacciuolo, di Casa Vissani di Baschi e del Savini di Milano, ai 1.300 della Pergola dell’Hilton del “divino” Heinz Beck, vista panoramica su Roma inclusa.
Fa eccezione l’unica proposta, a Ragusa, dello chef siciliano Ciccio Sultano, a base di crostacei e carciofi con emulsione al mandarino, timballino di pesce spada affumicato e salmoriglio rosso, maialino nero farcito con salsa di castagne e lenticchie, all’incredibile cifra di 80 miseri euro.
Nel ristorante romano Le Jardin de Russie, la spesa a persona supera i 600 euro, ma con una selezione di grandi vini e champagne inclusa. Un vero affare.
Sempre nella Capitale, dieci portate a 950 euro, ma bevande escluse, al ristorante panoramico dell'Hotel Hassler, con vista su Piazza di Spagna. Il cenone prevede, tra l'altro un percorso di foie gras (ormai proibito) e frutta secca, fettuccine all'uovo ristretto di quaglia con tartufo bianco e oro, fluido di parmigiano e balsamico stravecchio con fragoline di bosco. Al ristorante dell'Hotel Danieli di Venezia, acqua alta permettendo, cenone a 700 euro, vini esclusi, ma con musica dal vivo: tutto esaurito ormai da mesi.

Conti salati, chef stellati, piatti speciali e vini pregiati.
Se dalla tredicesima vi è rimasto qualcosa, non perdete l’occasione di provare ricette della cucina molecolare o quelle rivisitate della tradizione, riproposte in chiave contemporanea, combinando i sapori e giocando sui contrasti, come tutti facciamo nelle nostre case a mezzogiorno. Anche se ieri, avevo finito l’azoto liquido e i fiori eduli, per creare piatti profumati e gustosi con la viola del pensiero: ma vuoi mettere? E’ tutta un’altra storia, aria, colore e seduzione.
Tra gusto di fresco, punte di acido, vene sgrassanti, retrogusti amari e note croccanti (e pacchi di euro), scoprirete una gastronomia “cerebrale e di cuore”, un atto d’amore basato sul rispetto per il cibo, perché la "ricerca costante non si separa mai dalle emozioni gustative". Così declama, con voce robotizzata, l'altro stellatissimo Carlo Crocco: “questa è la mia cucina, pensata per la tua casa”.
Alla faccia di Proust e del suo tempo perduto.

Intanto, come sempre dal 1982, nel giorno di Natale, la comunità di Sant'Egidio ha organizzato il tradizionale pranzo nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma, per i senza dimora, gli anziani soli, le famiglie in difficoltà, le persone fragili. Oltre mille persone, riunite in un clima di grande gioia e familiarità.
Tutti gli ospiti hanno ricevuto anche regali dai volontari: oggetti utili, come coperte e sacchi a pelo, radio, indumenti, prodotti per l'igiene personale, zainetti, borsoni, ma anche alimenti e dolci. Perché nessuno, per una volta, si sentisse escluso
Mancava il caviale, le ostriche il millesimato e le stelle Michelin, ma lì, sotto la volta dorata della chiesa, si spende poco. Anzi, niente, per degustare qualche pezzo di solidarietà.
 (Alfredo Laurano)

mercoledì 25 dicembre 2019

C'ERAVAMO TANTO AMATI /1935


Nemmeno il grande Ettore Scola avrebbe potuto immaginarlo.
Che triste questo Natale, dopo la notizia che "Con la morte nel cuore", la fedelissima di Silvio Berlusconi annuncia di lasciarlo dopo 26 anni di amore esclusivo e militanza. Alla Camera approderà al gruppo Misto.
Sembra impossibile, eppure Michaela Biancofiore, la Vestale più Vestale, la badante più badante, la devota più devota a Silvio, ha deciso di lasciare Forza Italia. La deputata bolzanina informa il popolo sconvolto, che quel partito “nel quale sono nata e cresciuta, non esiste più. Siamo diventati come i grillini, uno vale uno senza distinguo, senza storia, senza rispetto per le persone".
Il suo addio, in realtà, è l'epilogo di una crisi all'interno del partito cominciata già da diverso tempo. Nel 2016, infatti, in occasione delle comunali a Bolzano, era entrata in polemica con Berlusconi che non aveva sostenuto il suo candidato bensì quello proposto dalla rivale-amica Elisabetta Gardini.

Ma come può essere che la dissonante, disarmonica, esorbitante Michaela Biancofiore, l’adoratrice feticista, con fisico da cavalla o, volendo, da matura pornostar, innamorata di Silvio - che adorava e venerava come un vero dio, che rappresentava il suo fallico totem compensativo - arrivi alla separazione, a ripudiare e ad abiurare una fede, così unica, totale e integralista?
Lo considerava l’assoluto, meglio del papa, di Obama, della Merkel e dell’ex presidente Sarkozy, già definito a suo tempo “un avvocaticchio di provincia”. 
Nelle sue tante perle semantiche, dispensava, al colto e all’inclita, giudizi e proclami di ineffabile evidenza: “Nessuno più di lui sarebbe vero garante dell'unità dello stato, vero padre della Patria e degli italiani. Ha confermato di avere l'Italia nel cuore e una non comune levatura di statista. Ecco perché se si è onesti si deve dire che lui al Quirinale migliorerebbe il Paese"…. “Pensate, che uomo democratico, ha viaggiato in treno come un comune cittadino…” Siamo qui per manifestare il nostro amore per Silvio... E poi, che ne sapete voi se Ruby era o non era la nipote di Mubarak?".

L’invasata amazzone trentina, la “Pasionaria altoatesina di Forza Italia”, la “Valchiria azzurra”, che faceva cantare alla sua sfortunata cagnetta Puggy “meno male che Silvio c’è”, raccontava con piacere che quando lo incontrò la prima volta… "fu un'esplosione nel cuore, un marchio a fuoco nella pelle!".
Manco fosse Maometto o Padre Pio!
Poi, tantissimi anni di assoluta fedeltà, di culto e dedizione.
Per lui, per salvarlo dai giudici cattivi che lo perseguitavano, si sarebbe fatta stuprare da un esercito di allupatissimi cosacchi. Come un protomartire cristiano o una schiava, missionaria, votata al supplizio e al sacrificio.
Ma tutto scorre, tutto finisce e si consuma.
Anche l’amore epico di una mistica eroina. Di una guerriera che non difenderà più l’anziano cavaliere, ormai senza cavallo e senza più potere.
 (Alfredo Laurano)

QUASI, QUASI GLIELA MANDO.../1933


Più o meno tutti, siamo stati come questi bambini in fila, per spedire la letterina dei sogni e dei bisogni a Babbo Natale.
Vi ricordate quand’è stata l’ultima letterina di Natale che avete scritto? Avevate forse otto o nove anni.
Scrivere la propria letterina era importantissimo.
Ti dava l’opportunità di riflettere su quello che volevi davvero in quel momento: bastava promettere di essere bravi, studiosi ed obbedienti.
E tutto sembrava magico e possibile. Anche quando, in tempi di miseria, un semplice frutto, un dolce, un giocattolino rimediato o un sacchetto di caramelle facevano la differenza. Facevano Natale.
Bastavano poche righe per esprimere un desiderio, che si sarebbe realizzato.
E poi? Poi abbiamo smesso di desiderare e di sognare.
Arrivò, purtroppo, il momento triste della delusione, della presa di coscienza e confessammo ai nostri genitori che l'omone rosso con la barba bianca non esisteva, era un imbroglio multinazionale, per ricattarci e farci stare buoni. Insomma, un ricattatore.
Quella romantica, festosa emozione di trasformò in malinconia e tutti smettemmo di essere bambini.
Comunque, ancor oggi, Babbo Natale vive nel mito e nell'immaginario collettivo e viene solo se ci credi. E non solo a livello commerciale e speculativo.
Promette e porta gratis la speranza.
Basta abbandonarsi alle piccole, sane, ma imprescindibili illusioni, che ci aiutano a vivere, oltre l'amara, drammatica realtà. (Alfredo Laurano)


L’ALTRO ALBERO /1934


L'albero dei ricordi, di certi ricordi lontani nel tempo...
Provate a farlo oggi, con i personaggi dell'attualità politica: i Salvini, con rosario, madonne e presepe in mano; le Meloni, donne, cristiane e italiane, tutte Dio, patria e famiglia; i Berlusconi, con le Ruby, le Olgettine e il Bunga-bunga; i Renzi e buffoni vari, che hanno svilito e tradito la Sinistra.
"La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà".
Io mi tengo il mio, originale, prezioso e fatto di valori veri.
Me lo incarto e lo lascio nella Storia.
24 dicembre 2019 (Alfredo Laurano)

martedì 24 dicembre 2019

METTI, UNA SERA A CENA /1932


In una specie di garage, tra automobili di ogni tipo, accessori, gomme e parti di ricambio, che arredano e danno un senso a quegli spazi e a quell’ambiente. Insomma un salone di bellezza per vetture, dove si vendono, si acquistano, si cambiano. E si fanno pure belle.
Ma dove, volendo, si mangia pure, fuori orario, si sorride, si chiacchiera e si sta in buona compagnia. Con tanto di barbecue, posizionato sul piazzale, tra altre auto che si godono la serena notte.
Una bella sensazione, qualcosa di inconsueto, di inusuale e originale. Di confortevole e personalizzato, nella sua disarmante semplicità, a confine fra fiaba, cinema e magia.
Tutto attrezzatissimo: una pratica e completa cucina, con forno e frigo d’ordinanza, bagno e area relax, un bel tavolo fratino e tanto vino; un grande schermo alla parete, una stufa da bar-ristorante a scaldar l’ambiente. Non manca l’angolo dei bimbi e qualche gioco.
Sembra di abitare un grande loft americano - oggi assai di moda - ricavato da uno spazio industriale o commerciale di notevole superficie, quasi senza divisori e con altezze interne assai maggiori rispetto ai normali appartamenti e agli immobili costruiti a uso residenziale.  Un luogo unico e caratteristico, capace, tuttavia, di creare una certa intimità.
A differenza del famoso film del 1969, “Metti una sera a cena”, con Florinda Bolkan, non c’è nulla di amorale o di consumata noia esistenziale di una certa società. L’atmosfera è familiare, calda e stimolante nella sua distintiva specificità. Anche perché l’ambiente lo fanno le persone, al di là della cornice, dello sfondo e del contorno.
E tutto acquista più sapore, più valore, più profumo di affetto e di amicizia.
E, per giunta, è anche Natale.
Grazie Laura, grazie Marco e famiglia intera.
23 dicembre 2019 (Alfredo Laurano)


MOTU PROPRIO, RIVOLUZIONE IN VATICANO


Per il suo compleanno, pochi giorni fa, Francesco si è fatto un bel regalo, ma, in realtà, lo ha fatto soprattutto a noi e alla società laica e civile: ha fatto cadere il muro di protezione sui casi di violenza e abuso sessuale sui minori, commessi da preti e religiosi.
D’ora in poi, il Vaticano e i vescovi di tutte le diocesi del mondo non potranno più opporre il segreto pontificio e negare ai magistrati civili l’accesso ai documenti e agli atti dei processi canonici, conservati negli archivi della Santa Sede
E’ previsto che non siano più coperti dal segreto «le denunce e le decisioni riguardanti i delitti di pedofilia sulle «persone vulnerabili» e di «produzione, esibizione, detenzione e distribuzione, anche per via telematica, di materiale pedopornografico.
Cioè, non ci si può rifiutare di rispondere ad un magistrato che sta indagando su un prete pedofilo.
Infine, da parte dell’autorità ecclesiastica «non può essere imposto alcun vincolo di silenzio» alla vittima e ai testimoni, come invece si è spesso verificato, contribuendo così al fallimento dei processi.
Si tratta di una decisione di grande rilevanza, un segno di apertura, di disponibilità e trasparenza, richiesto da tempo anche dalle associazioni delle vittime dei preti pedofili, che infatti esprimono soddisfazione per quello che ritengono un primo importante passo della Chiesa cattolica sul contrasto alla pedofilia del clero. Ma restano ancora altre decisioni da prendere, a cominciare dall’obbligo di denuncia dei preti pedofili alle autorità civili.
L’intervento pontificio è diretta conseguenza del summit internazionale sulla pedofilia nella Chiesa, convocato in Vaticano da papa Francesco nello scorso febbraio.
Alla fine di marzo, stabilì l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria penale dei preti pedofili, ma solo all’interno del Vaticano: una misura, quindi, con un alto significato simbolico, ma con un valore pratico pressoché nullo, dal momento che riguardava solo quello che accadeva dentro le mura leonine.
Ora, estesa alla Chiesa universale, arriva la fine del segreto pontificio e Bergoglio pubblica nuove norme contro chi abusa o copre.
Una svolta che, per la prima volta, inserisce l’obbligo per chierici e religiosi di denunciare tempestivamente alle autorità religiose gli abusi di cui vengano a conoscenza, come pure le eventuali omissioni e coperture nella gestione dei casi.
Ogni diocesi del mondo dovrà dotarsi, entro giugno prossimo, di un sistema facilmente accessibile al pubblico, uno “sportello” per ricevere le segnalazioni, che metta sotto osservazione anche l’operato dei vescovi, visto, che in passato alcuni di loro hanno “insabbiato” i casi.
Se fino ad oggi quest’obbligo riguardava, in un certo senso, soltanto la coscienza individuale, d’ora in poi diviene un precetto legale stabilito universalmente. Anche tutti i laici possono farlo e sono incoraggiati a utilizzare il sistema per riferire alla competente autorità ecclesiastica.
Si tratta di una «decisione epocale», secondo l’Osservatore Romano, cosa che finora non è accaduta quasi mai.
Ma, nella grande opera di rinnovamento della Chiesa, questo papa coraggioso - da tempo sotto attacco - mettendo in piazza i panni sporchi di un certo clero, rischia di rimanere sempre più solo.
Non a caso continua a dire: “pregate per me”.
19 dicembre 2019 (Alfredo Laurano)


mercoledì 18 dicembre 2019

LE SIGNORE LIVORNESI



Le fettuccine, le lasagne, i maltagliati, le frittate e i dolci di Tiziana e Laura, dell’azienda agricola Antichi Sapori di Cerveteri, nascono qui, dove si produce la materia prima.
Parlo delle uova di queste "sfaticate", e un po' nobili e presuntuose, gallinelle bianche livornesi, una delle razze ovaiole più famose al mondo.
Anche se queste, per ragioni tutte da indagare, sono un po' pigre e menefreghiste. Ti fanno un uovo quando gli va, proprio per farti un piacere. 
Eppure, razzolano libere e felici, tutto il giorno all'aria aperta, beccando insetti e vermi e raspando la terra in cerca di cibo. E, di notte, hanno un riparo sicuro, una vera e propria casa, con riscaldamento autonomo naturale.

A volte, le leggiadre bianche livornesi vengono allevate anche come galline ornamentali, dal momento che le loro caratteristiche estetiche le rendono particolarmente belle da vedere. Hanno un corpo affusolato e leggero dalla forma snella ed elegante, che viene mascherata da un piumaggio folto che le fa sembrare decisamente più in carne.
E', comunque, la gallina ruspante e rustica per eccellenza, è così chiamata perché si è diffusa in tutto il mondo proprio a partire dal porto di Livorno ed esportata soprattutto verso l’America. E', a tutti gli effetti, una “gallina made in Tuscany”.
Eccone qualche esemplare, che vive nei campi etruschi di "Antichi Sapori", in tutto il suo splendore.
13 dicembre 2019 (Alfredo Laurano)



CHE SARA’ LO SCIUSCILLONE? /1929


Sono un amante, un cultore, un appassionato di peperone crusco. 
Conosco bene quello lucano, in particolare, di Senise, ma non lo Sciuscillone, che ho appena provato.
E’ un prodotto agroalimentare tradizionale campano. Si coltiva e si produce a Teggiano, in provincia di Salerno.
Tre sono i prodotti confezionati e commercializzati dall’azienda “I segreti di Diano”, ognuno connotato da un nome che ne richiama il contenuto:
- le Starìci, ossia sfoglie croccanti di peperone fritte in olio extra vergine, nient’altro che quello che altrove è conosciuto come Crusco. Si degustano come chips e patatine e sono irresistibili;
- la Pòrva, ossia la polvere di Peperone dolce essiccato al naturale e macinata in grana grossa dopo aver tostato al forno i peperoni;
- il Cuórno, ossia peperoni puliti a mano ed essiccati al naturale, così chiamati per ricordare l’appartenenza alla varietà.
Si unisce a questi tre prodotti una novità di questo 2019, la “Crema di Crùsco”, ottenuta dal peperone già essiccato, unito ad acqua e sale: la particolarità è che ricorda il sapore del peperone crusco, ma ha la consistenza di una maionese.
Prodotti eccezionali, ma la qualità si paga cara. (A. La.)

CHE BUONISTE LE SARDINE IN SAOR /1928

Meglio autentico che falso, meglio vero che verosimile, meglio naturale che artificiale, meglio originale che contraffatto, meglio genuino che fittizio, meglio profondo che superficiale, meglio reale che immaginario. 
E’ una questione di scelte e di confronti. 
Così è se vi pare, o si è come si vuole, o anche come si appare. 
Basta riconoscere la realtà e farlo con onestà. 
Ma perché continuare ad attribuire a chiunque l'inflazionata patente di buonista, e non di buono, a prescindere dalle occasioni e dal contesto, soprattutto a chi osa manifestare un minimo sentimento umano o a non vedere le cose attraverso la lente del cinismo che, oggi, quasi obbligatoriamente, deve uniformarci? 
La vita, i fatti, le esperienze si possono scrutare e interpretare con più o meno tolleranza, con più o meno comprensione o accanimento. 
Il BUONISMO non è una categoria morale o antropologica e nemmeno un'ideologia, è solo un'invenzione giornalistica che è diventata offesa. “Ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e di benevolenza”, secondo il vocabolario, che ripudia i toni aspri del linguaggio politico". 
Il suo contrario è il Cattivismo, ma non ha consensi per eccesso di ridicolo. 
Ma, sarà per il rapido successo mediatico che ha avuto, il termine "buonismo" ha progressivamente assunto un significato diverso, sempre meno "buonista". 
Nel linguaggio del centrodestra si è trasformato in sinonimo di rammollito, fiacco, pappamolla, con connotazioni non soltanto ironiche, ma spregiative, riferite a idee e atteggiamenti di sinistra (inizialmente melensi e veltroniani), ritenuti da destra vaghi e ipocriti, soprattutto in relazione ai fenomeni migratori. 
Insomma, la parola “buonista” è diventata subito un insulto: definisce infatti non chi pratica la bontà, ma chi la proclama, chi ne fa un’esibizione sistematica a proprio vantaggio. 
E, inevitabilmente, buonista è ritenuta anche una piazza popolare, e non populista, come quella del mar colorato e pacifico delle Sardine. Una piazza enorme a S. Giovanni (Roma), dopo Bologna, Modena, Milano, Genoa, Ferrara, Bari, Napoli, Verona, con il cuore a sinistra e contro i fascio-leghisti e cattivisti. Un’ennesima piazza di rompicoglioni che per dispetto cantano Bella Ciao e producono anticorpi della democrazia. 
A prescindere dall’analisi e dal giudizio sul fenomeno, da rimandare ad altra sede e ad altri tempi, è una mescolanza politica, culturale, sociale che, oggi, si fa sardina perché non sa più che altri pesci pigliare (tonni, squali, piovre, anguille o calamari), avendo maturato un disincanto profondo verso tutti i mari (partiti o movimenti), grandi, medi, minuscoli o insignificanti. 

Nascono dal basso e da un mare piccolino questi pesciolini azzurri, che molti vorrebbero mettere in scatola o fare a beccafico con l’alloro, grazie a quattro amici bolognesi al bar, “che volevano cambiare il mondo”, che amano non solo la cucina siciliana, e che le hanno condotte in acque assai più grandi per dare una salutare scossa al Paese. Per esprimere un desiderio contagioso di liberazione contro l’asfissiante propaganda di una destra carica di odio, di menzogne e discriminazione. 
Comunque, grazie all’uso “ideologico” di certe espressioni giornalistiche e al conseguente slittamento semantico, oggi, nel linguaggio della gente esasperata, reazionaria o divenuta tale per paura e sfiducia, il cosiddetto buonista, anche sotto forma di vivacissima sardina, condensa una miriade di idee e comportamenti non conservatori e non violenti: è buonista chi vuol veder rispettati i diritti di ciascuno e delle donne; chi non ributterebbe a mare quelli che cercano di emigrare in Italia; chi non li ammazzerebbe tutti indiscriminatamente o non li ricaccerebbe a morir di fame al loro Paese; chi ritiene che la società abbia dei doveri verso i cittadini svantaggiati; chi ama e protegge gli animali; chi vorrebbe salvare il nostro ambiente dalla devastazione e dall’inquinamento; chi ha compassione per le persone in difficoltà e pensa che debbano essere aiutate, non giudicate. 
Ma, nei fatti, il disprezzo del buonismo maschera le solite idee e le eterne idiosincrasie della vecchia destra autoritaria, sostenute anche da alcuni patetici intellettuali, buffoni di corte e di quel potere sovranista, in cerca di fama e di consenso, tra le quinte del gossip e del trash circense televisivo. 
Grazie soprattutto a loro, influencer parolai senza vergogna, resta, quindi, l’uso reiterato – quasi un mantra – generico e ingiustificato, di termini che creano per forza una categoria uniforme e omogenea di pensiero: le sardine da fare subito in “Saor”. 
Un pensiero deviato, strumentale, odioso e inaccettabile. 
17 Dicembre 2019 (Alfredo Laurano)

domenica 15 dicembre 2019

SARDE, SARDINE E SARDELLE


Comprendo, caro amico Giovanni, la tua legittima analisi che è soprattutto una speranza.  Tuttavia, a mio modestissimo parere, conoscendo l'uomo, i suoi limiti e il suo egoismo innato, disposto dalla natura e dalla legge della sopravvivenza delle specie, andrà ancora una volta delusa. Come è già troppe volte successo, con i Girotondi, il Popolo Viola, le Madamine, il Movimento arancione, fino ad oggi, ai “pressati come Sardine”, pesci poveri per eccellenza, promossi a simbolo di riscatto politico-sociale, nell’ambito di una democrazia liquida e partecipata.

L'utopia è un'ideale che si sovrappone all'illusione, un’aspirazione di difficile attuazione, come il disegno di una società perfetta, proiettata in una dimensione spazio-temporale indefinita, nella quale gli uomini dovrebbero poter realizzare progetti di una convivenza felice, come la perfetta uguaglianza o la pace universale.
Il mondo, globalizzato e capitalista, però, va sempre peggio e in opposta direzione: non si può che constatarne l’ineluttabile declino, che solo una fede, religiosa o politica (vedi i fondamentalismi, il fanatismo, l’oltranzismo e le intransigenti ortodossie dogmatiche), può contrastare, con inevitabile crudeltà e conseguente, rituale prepotenza. Come, purtroppo, geneticamente accade ed è sempre più evidente, osservando il suo crinale più spietato e negativo.

Ma i sogni son desideri di felicità e aiutano a campare.
Comunque, spero di sbagliarmi, nel mio gramsciano pessimismo della ragione, pur contrapposto al timido ottimismo della volontà. (Alfredo Laurano)



sabato 14 dicembre 2019

MA QUANTO E’ BELLO E QUANTO E’ FIGO /1926


Negli atenei, una volta si studiava e si andava a caccia del sapere e, soprattutto, visto che non fummo fatti “come bruti, per seguir virtute e conoscenza”.
Lui, invece, tromba a (in) facoltà, e se lo può permettere, perché si chiama e si definisce Bello FiGo, uno dei tanti re del trash rap che pensa di essere importante, di possedere un valore artistico, al di sopra delle regole sociali e culturali. 
Forse, perché Paul Yeboah, questo il nome all'anagrafe di Bello Figo, in Italia dal 2004, è un ex profugo, nato in Ghana nel 1992, diventato famoso per le sue canzoni ironiche che prendono di mira luoghi comuni sul tema di immigrazione e integrazione. 

Forte di queste sue prerogative, ha profanato l’Università di Pisa, con un’ennesima provocazione delle sue. E lo ha fatto con l’aiuto di modelle, instagramers e youtubers livornesi, girando un video dove quelle ragazze, sdraiate su tavoli e banchi di studio, simulano incontri saffici e rapporti sessuali con lui medesimo, che sale letteralmente in cattedra e balla “figo” tra le sue "fighe".
Il tutto senza autorizzazione dell’Ateneo e scatenando una polemica che, partita dai social, rischia di finire in tribunale. L’Università fa sapere che «tutelerà il proprio onore e la propria immagine in ogni sede» e che presenterà denuncia per il video girato abusivamente in una propria aula dal raffinato artista-Youtuber naturalizzato italiano, già al centro di un grosso polverone in passato.
Anche perché il titolo è “Trombo a facoltà” e le relative immagini sono sboccate quanto la canzone che le accompagna, con un testo, che, senza essere bigotti o moralisti, non si può che definire volgare e che rischia di prestarsi a strumentalizzazioni e polemiche di stampo razzista.

La sublime lirica segnala un caso veramente umano e tragico. 
Narra, infatti, attraverso quelle scene commoventi, le difficoltà del giovane ghanese, residente a Parma, che si dichiara incapace di soddisfare sessualmente le tante donne bianche che ha intorno e che lo pagherebbero o sarebbero pagate per partecipare alle orge. “No, ma non so più come fare. Ieri sera questa, sabato l’altra. Mi ci vuole o una spalla che mi dia una mano, o un ca..o di ricambio”.

Ma che splendida poesia, che problema esistenziale, che acuta riflessione, in perfetto equilibrio tra le tematiche di Cesare Pavese e di D’annunzio, esaltate nel portale di You Porn dal mitico Siffredi.
Chiedi a lui, super Bello Figo, come si fa. 
Poi, torna nella giungla. (Alfredo Laurano)

BOMBA O NON BOMBA /1925


Dodici dicembre, un giorno, una data che, anche mezzo secolo dopo, significa Piazza Fontana, stragismo, l'omicidio Pinelli, le bombe, le trame neofasciste, Valpreda e le presunte, ma false, colpe degli anarchici. 
Cinquanta anni fa, l’Italia tutta restò attonita e sconvolta, incapace di capire i prodromi della mala pianta del terrorismo e dell’eversione. 

Quella della Banca dell’Agricoltura a Milano fu la prima delle tanti stragi di stato impunite, o mai arrivate a condanne definitive, che per anni hanno alimentato la Strategia della Tensione, ossia il condizionamento della vita sociale del paese. Una spietata tecnica volta a creare in Italia uno stato di preoccupazione, di incertezza e una paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo repressivo. 

L'Italicus, la stazione di Bologna, piazzale della Loggia a Brescia, le bombe in Calabria, a Roma e tanti altri attentati dovevano in qualche modo contribuire a riequilibrare i poteri dello stato e il principio autoritario, messi in crisi proprio dalle tematiche del '68 che, per la prima volta, contestavano lo status quo, il potere costituito, le gerarchie, le speculazioni e i privilegi, sul piano culturale, sociale e del lavoro. Si voleva e si predicava il rinnovamento, un'aria nuova, pulita e libera, una partecipazione più attiva e democratica, una consapevolezza dei propri diritti, una più diffusa presa di coscienza. 
Ma quelle idee pericolose e rivoluzionarie, proprie di quel fenomeno socio-culturale che fu, appunto, il ’68, dovevano essere represse o cancellate, in qualsiasi modo, anche attraverso spaventosi attentati. 
17 morti, 88 feriti, un eccidio che segnò l’inizio di quella stagione delle bombe, di quella strategia, di quella terribile catena di sangue e di terrore, che a lungo condizionò e mise in gioco la stessa vita democratica e del Paese, provocando altro dolore, lacrime e tante vittime innocenti. 
La paura di un intero popolo, esterrefatto da tanta inaudita violenza, si trasformò in una grave e reale minaccia eversiva per la democrazia. 
Ancora oggi, dopo anni di indagini e processi, nulla o quasi sappiamo, con certezza, di quella assurda sequenza di eccidi, fondata sul terrore e sulle manovre oscure di fascisti e di pezzi deviati delle istituzioni e dei servizi, che lavoravano in modo occulto e violento contro lo Stato: un fronte parallelo che rispondeva, nell’ombra e nel segreto, alle lotte sociali e operaie del tempo. E allora bombe. 
Con depistaggi, menzogne e coperture per opera dei Servizi (Sid, Sismi, Sisde) e forse dalla CIA (lo pensava anche Clinton), gli apparati dello Stato cercarono di limitare e impedire quella deriva "ECCESSIVAMENTE" democratica, fino ad arrivare alle collusioni, alle stragi di mafia e agli attentati a Falcone e Borsellino, uomini delle istituzioni abbandonati a se stessi e non protetti. 
Tutto questo è ancora, vergognosamente, coperto da misteri e da bugie.

Come poco o niente sanno le nuove generazioni, nostri figli e nipoti, di quella triste storia, che non si studia a scuola o nelle università. Ignorano i fatti, le vicende di Calabresi, di Valpreda e dell’anarchico Pinelli, “suicidato” dallo Stato. 
Le loro risposte sono imbarazzanti, confuse e disinteressate e affastellano, nello stesso calderone, mafia, brigate rosse, anarchici e criminalità comune. La loro informazione sui fatti è del tutto inesistente o diversamente approssimativa: per “sentito dire”. 
Ignorare e dimenticare quel tragico pezzo di vita sociale e politica, che a lungo ci ha sconvolto, espone alla possibilità di essere ancora vittime di certe logiche politiche e di potere e dei continui e incessanti rigurgiti di fascismo. 
Le cronache quotidiane ce lo dimostrano. 
12 dicembre 2019 (Alfredo Laurano)



giovedì 12 dicembre 2019

GAUDETE FRATRES! /1924


Tutti in esilarante corteo.
Cruciani, il più viscido e il più volgare, l’immagine concreta del laido e dello sporco culturale.
Sallusti, l’ideologo brigatista da guerriglia sulla carta, travestito da innocuo moderato, rispettoso e compassato.
Senaldi, il topino di campagna in cerca di un grammo di formaggio, di fama e di visibilità, tra le pagine ridicole di un ridicolo giornale, che si dice “Libero”.
Feltri, l’anarchico della parola e del rancore, sempre brillo, triviale, strafottente e menefreghista, pronto a sparare giudizi lapidari irreplicabili.
Belpietro, Porro e Del Debbio tre giganti del gossip e della rissa da talk, che “te la danno calda” e “te la incartano” (la realtà), capaci di mistificarla, deformarla e adattarla per sfruttare le paure, i bisogni, le ansie e i pruriti dei tanti pronti ad assecondare e venerare il Messia di turno. Tre camaleonti qualunquisti, insolenti e beceri, che scavano tra le pieghe decomposte e putride della discriminazione e del razzismo innato nelle genti. Tre cani da guardia del potere reazionario e populista che li nutre e li sostiene.
E, per concludere degnamente siffatta parata di virtuale giornalismo da osteria, Mario Giordano, il buffone di corte, il pagliaccio triste e afono, che ama la ribalta.
Il saltimbanco, epigono di Emilio Fede, acrobata del sillogismo allo stato brado e giocoliere del facile calembour, si esibisce fino allo spasimo, in attività "artistiche" da circo e da teatro malfamato, tra le piazze equivoche e i baracconi screditati della più truculenta TV, nazional-popolare.
Questo passa il convento del giornalismo d’assalto, oggi. Gaudete fratres!
(Alfredo Laurano)