mercoledì 30 novembre 2016

GRAZIE GABBA!

Un grande e coinvolgente saluto a una donna, a una professionista dell'onestà e del rigore, che moltissimi italiani hanno amato ed amano tantissimo. E che tanti volevano addirittura come Capo dello Stato: una proposta che lei, pur onorata, ha responsabilmente rifiutato, con grande dignità.
A fine dell'ultima puntata di Report, è andata in onda una vera, sentita e commovente emozione, autentica come lo spirito del programma che Milena lascia, dopo vent'anni di vero giornalismo d'inchiesta, che ha dato fastidio a molti, ma informato puntualmente e con chiarezza tutti.
Una perla rara nel panorama della comunicazione non paludata, approssimativa, servile e sdraiata al cospetto del potere. Un epico giornalismo d'assalto che ha cercato la verità senza fare sconti o appiattirsi sulle regole di certa televisione.
Che ha denunciato intrighi, raggiri, imbrogli e intrallazzi di ogni tipo, senza paura e rischiando in proprio. Fra mille querele, minacce e ritorsioni.
Che ha indagato tanti aspetti e settori, non solo commerciali, della nostra società, spesso inquinata da plotoni di abusivi, truffatori, speculatori, corrotti ed evasori.
Ma Report continuerà, con la stessa squadra e con un altro conduttore esperto e preparato e assolverà, sicuramente, ancora, al suo ruolo irrinunciabile di servizio pubblico. Una delle poche trasmissioni di qualità, per la quale vale la pena di pagare il canone.
Un saluto e un abbraccio di gratitudine alla mitica Gabba che, comunque, resterà nell'orbita.

Guardate fino in fondo questo commiato, è veramente commovente e autentico, come gli autori e tutti i protagonisti. (Alfredo Laurano)



domenica 27 novembre 2016

ROMANTICISMO RIVOLUZIONARIO

Oggi tutto è post e quasi tutti si definiscono post romantici, post industriali, post analogici, post consapevoli (ossia, pentiti), post comunisti. Il mondo intero è tendenzialmente post qualcosa.

Ma è innegabile che il mondo vile e ipocrita dell’imperialismo no post - americani in testa - ha sempre sostenuto i dittatori d’ogni confine quando e finché gli hanno fatto comodo. Ancora oggi lo fa.
E’ sempre intervenuto ovunque per speculare, normalizzare, sfruttare uomini e risorse naturali e commerciali. Rovesciando legittimi governi, manovrando nell’ombra surrettiziamente, infiltrando spie e falsi alleati, programmando attentati, appoggiando schiavisti e oppositori, affamando popoli con l’embargo. 
Fidel è stato un eroe del suo tempo - e del novecento tutto che oggi si chiude definitivamente - e con Guevara ci ha insegnato a ribellarci a tutto questo, agli abusi, ai soprusi e alle discriminazione sociali. Non dobbiamo dimenticare cosa la vita riservava ai cubani prima di Fidel. 
Ha saputo alfabetizzare il suo intero popolo, garantendo istruzione e sanità per tutti. Ha creato un’economia basta sul solo zucchero, il buon rum, il tabacco dei noti sigari e il turismo dei curiosi.
Ha provato a disegnare un modello alternativo, per quanto non perfetto, a quello dell'apartheid globale pudicamente chiamato capitalismo. Il sogno di un mondo solidale e non competitivo, in cui l'esistenza non fosse solo ridotta a lotta quotidiana per la sopravvivenza.
Ci ha indicato la via giusta al socialismo contro la tirannide, anche se poi non è riuscito a concludere quest’arduo cammino fino alla democrazia e alla libertà.
Cuba non è la Corea del Nord e Fidel Castro non era Kim Jong-Un. 
Cuba, diffamata in ogni modo da chi da sempre demonizza ogni realtà non allineata col mondialismo classista, non è certo il paradiso in terra, ma un qualsiasi giudizio sul regime non può non tenere conto del contesto in cui è nato e si è sviluppato: nel cuore della vicina casa degli Stati Uniti, che hanno fatto il possibile per sabotare quell'esperienza rivoluzionaria, non soltanto con tentativi di rovesciamento militare e complotti vari, ma con il vergognoso embargo, che ne ha distrutto l'economia e affamato il popolo. Chissà cosa avrebbe potuto fare senza quello spregevole ricatto.
Cuba, nonostante tutto, nonostante “el bloqueo” commerciale imposto all'indomani della rivoluzione, è comunque rimasta indipendente ed ha resistito all'Imperialismo americano. 
E’ per questo che, nonostante i lucidi pregiudizi della Annunziata e di Saviano Yankee, la stragrande maggioranza dei cubani, oggi, piange Fidel.
(Alfredo Laurano)







ADDIO FIDEL!

Hasta la victoria siempre

ADDIO FIDEL!


Con Fidel Castro se ne va uno dei protagonisti della storia mondiale del Novecento.
Seguiranno molte discussioni e bilanci. Come sempre. 

Ora è il momento della commozione. 
Il suo volto, il suo nome, assieme a quello di Che Guevara, hanno popolato il nostro immaginario e le nostre manifestazioni per decenni. Intere generazioni gli sono debitrici. 
Non è stato solo il liberatore di Cuba, l'isola dell'orgoglio, ma un punto di riferimento per l'intera America Latina, per i paesi che sconfiggevano il colonialismo nel mondo intero, per la causa della pace. "Tarderà molto a nascere se nasce..." si potrebbe dire con Garcia Lorca. 
Ma questa non è epoca di simili giganti.
Per questo il rimpianto è ancora più aspro.
Tuttavia un grido non si spegnerà mai: "Hasta la victoria siempre!"

25 novembre 2016

giovedì 24 novembre 2016

UN SENATICCHIO PRET-A-PORTER

Mentre prosegue e si infittisce la battaglia sulla riforma costituzionale a suon di “accozzaglie, scrofe ferite, killer dei nostri figli e cavallette varie” - non è più una campagna referendaria, ma uno scambio quotidiano di insulti e offese d’ogni genere - sarà bene, per tornare nella civiltà del confronto, ricordare un paio di utili cosette.

Nel 1948, pur nella contrapposizione ideologica fra cattolici, comunisti e liberali, la nostra Carta venne approvata da una maggioranza amplissima: 453 voti a favore e 62 contrari. 
Per il modo in cui è stata approvata, questa riforma, invece, è un oltraggio all’idea stessa di costituzione che, nei paesi democratici è un patto di convivenza e stabilisce condizioni che devono garantire tutti. Quindi deve essere frutto di un consenso generale.

La riforma proposta non è una revisione della Costituzione, ma è un’altra Costituzione: vengono cambiati 47 articoli su un totale di 139. E questo non è consentito: l’unico potere ammesso dall’articolo 138 della nostra Carta è un potere di revisione.
Il capo dello Stato, infatti, avrebbe dovuto esercitare la facoltà di rinviare la legge alle Camere e chiedere una nuova deliberazione o, quanto meno, ricordare il principio elementare che le riforme costituzionali devono essere approvate con la più ampia maggioranza parlamentare.

È da oltre trent’anni che si cerca di far cadere sulla Costituzione le responsabilità dei governi per le loro pessime politiche. Secondo i fautori dei vari progetti di riforma – che hanno avuto in comune il costante tentativo di indebolire il Parlamento e rafforzare il governo – la crisi e il discredito dei partiti, la loro corruzione, l’esplosione del debito pubblico, l’aggressione allo stato sociale e ai diritti dei lavoratori, la selezione di una classe dirigente pessima e, in definitiva, l’inettitudine dei governi che si sono succeduti, sarebbero tutta colpa della Costituzione del 1948. E, allora, facciamo piazza pulita.

La costituzione oggi sottoposta referendum è stata approvata da una minoranza, e cioè da un partito che alle ultime elezioni ha preso il 25% dei voti, corrispondente a circa il 15% degli elettori. 
Questi elettori, grazie ad una legge elettorale dichiarata incostituzionale - il “Porcellum” - sono stati trasformati in maggioranza. 
Non solo. E’ stata votata, strozzando il dibattito parlamentare, a colpi di “canguri” e “tagliole”, fino all’approvazione in un’aula semivuota per l’Aventino delle opposizioni. 
Per votare NO a questa nuova costituzione basterebbe già il quesito referendario, formulato in termini, scontati, ingannevoli e accattivanti.

Ove tutto ciò non bastasse, c’è da apprezzare la lettera agli italiani residenti all’estero, firmata e spedita in 4 milioni di copie dal Presidente del Consiglio Matteo Primo, in uno dei suoi più riusciti travestimenti: quello di segretario del Pd e leader del comitato BastaunSì. Soltanto lui ha potuto farlo, raggiungendo uno per uno quegli italiani, a domicilio, fingendo di informarli sulle modalità di voto e sul contenuto della sua cosiddetta “riforma” costituzionale, impedendo a chi la contrasta di fare altrettanto.

E per finire, non si supera affatto il bicameralismo paritario, come riportato nel quesito: non viene affatto soppresso, ma mantenuto per una lunga serie di leggi (costituzionali, elettorali e molte altre) e sostituito da un bicameralismo imperfetto, cioè da più forme di coinvolgimento del Senato in altrettanti tipi di procedimenti nella funzione legislativa. 

Senato che, ricordiamolo, sarà formato da senatori non eletti dai cittadini ma dai Consigli Regionali, in cui su 1.100 consiglieri, 521 sono stati sotto inchiesta, in cui su 20 Consigli Regionali, 17, altrettanto. 
Allora, per premiarli e risparmiarli si portano nel nuovo Senato prêt-à-porter e si conferisce loro anche l'immunità parlamentare. 
Una lucida follia.
(Alfredo Laurano)

BLACK ROCK

Costituzione e referendum: a questo video, io, un'occhiata gliela darei...
Perchè il Black Rock, gigante della finanza internazionale, vuole il SI?

https://www.facebook.com/LauraCastelliPortavoce/videos/1244192825656846/?pnref=story

lunedì 21 novembre 2016

LE NON SOLO MIE RAGIONI DEL NO

Già la formulazione del quesito referendario (Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento...la revisione del titolo V della Costituzione...”) è manifestamente illegittima - nonostante il respingimento del ricorso proposto dal NO - perché redatto in violazione dell’art. 16 della legge 25 maggio 1970, n. 352, che dispone una diversa formula quando il quesito abbia ad oggetto la revisione della Costituzione. 
Si tratta, in ogni caso, di una sorta di pubblicità ingannevole, dai toni volutamente propagandistici e suggestivi, allo scopo di condizionare il voto dei cittadini elettori. 

Venendo alla riforma, essa non garantisce la sovranità popolare, perché, insieme alla nuova legge elettorale (Italicum), già approvata (e non ancora o non più modificata), espropria la sovranità al popolo e la consegna a una minoranza parlamentare che solo grazie al premio di maggioranza si impossessa di tutti i poteri. E’ il cosiddetto “combinato disposto”: voteremo per un sistema in cui al governo la fiducia sarà data da una Camera di sua fiducia, con una maggioranza di deputati nominati dallo stesso governo, corrispondenti però a una minoranza degli elettori. 

Questa riforma non abolisce il Senato, ma la sua elezione democratica diretta: i senatori saranno nominati dalla politica e non eletti dal popolo, violando il principio di sovranità popolare sancita dall’art. 1 della Costituzione.

Non supera il bicameralismo, ma lo rende più confuso e crea conflitti di competenza tra Stato e regioni, tra Camera e nuovo Senato. I nuovi cento senatori - sindaci e consiglieri regionali nominati dai Consigli regionali, cioè dai partiti - saranno incaricati di legiferare, quando, venendo a Roma a sbrigare altre pratiche amministrative, come già fanno i sindaci, potranno approfittarne per passare anche dal Senato e, tra una cosa e l’altra, fare anche il mestiere di senatori. Come un Dopolavoro aziendale. 
Saranno in grado di funzionare nella loro duplice veste di membri del Senato e delle istituzioni territoriali da cui provengono e di cui continuano ad essere componenti? Potranno assolvere, contemporaneamente, entrambe le funzioni? 

Secondo l’art.55 della nuova Costituzione, il nuovo Senato dovrebbe vegliare su tutte le politiche pubbliche, valutarle e verificarle, come se fosse una sorta di “commissario politico” della Repubblica, praticamente un ping pong. I senatori avranno ingentissime incombenze, da adempiere con ritmi massacranti: richiamare al proprio esame leggi, intervenire, deliberare, proporre modifiche, fare ricorso alla Corte costituzionale, dare il loro parere quando il governo voglia sostituirsi ai poteri delle Regioni e delle città metropolitane. 

È una riforma incomprensibile, scritta in modo da non essere capita, vedi art.70. 
L'attuale articolo 70 recita: "La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere". Quello nuovo, caotico, confuso e mal scritto: "La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione.... concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme...di cui all'articolo 71, per le leggi che determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi…” Da 9 a 483 parole! 

Con la modifica del Titolo V della Costituzione, che decide i ruoli e le competenze delle autonomie locali, comuni, province e regioni, viene rovesciato il sistema per distinguere le competenze dello Stato da quelle delle regioni. Sarà lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva in politica estera, immigrazione, difesa, burocrazia, ordine pubblico. 
Peraltro, sposta dalle Regioni allo Stato le competenze in merito a energie e infrastrutture strategiche: un potere che vale miliardi, tutto in mano al governo pronto a spenderlo a vantaggio di grandi finanze e grandi imprese. Più facile, pertanto, realizzare grandi opere come Tav, Trivelle o Tap (gasdotto Trans-Adriatico Turchia-Puglia) senza il fastidio di doversi confrontare con regioni, sindaci e cittadini.

E’ populistico e ridicolo far credere che questa riforma diminuisca i costi della politica. I costi del Senato sono ridotti solo in minima parte: fa risparmiare 50 milioni l’anno, cioè quanto gettiamo ogni giorno in spesa militare. C’è da chiedersi: se il problema sono i costi, perché non dimezzare i 630 deputati della Camera? O abolire tutto il Senato che, attualmente, con i suoi 315 svolge le stesse funzioni? A parità di funzioni e svolgimento, chiunque ridurrebbe della metà il numero dei deputati. Non ha senso. 
Un aspetto di vera e propria crisi democratica della nuova Costituzione si manifesta poi nell’elezione del Capo dello Stato, con ciò che viene previsto dal settimo scrutinio. 
Assicurato il numero legale necessario dei presenti - la metà più uno dei componenti, pari a 367 elettori - si potrà eleggere i presidente con una maggioranza minima di 221 voti, i tre quinti dei votanti, cioè, di 367: basterà, quindi, una maggioranza che è tutta nella disponibilità del singolo partito che avrà vinto le elezioni (340 deputati), anche se al Senato non dovesse avere nemmeno un seggio! Ricordiamoci che Sandro Pertini fu eletto al sedicesimo scrutinio: ci vuole tempo per avere il meglio! 

La Costituzione è il patto fondamentale che regge e dà equilibrio alla nostra convivenza democratica. Dunque, non è una legge qualunque: può bensì essere modificata, ma solo quando le proposte di revisione siano necessarie ad un miglioramento reale delle condizioni economiche, sociali, politiche e istituzionali del Paese. 
Nessuno abbatterebbe un edificio le cui fondamenta siano ancora solide e robuste. 
In questo caso, il progetto di riforma, invece, si mostra inutile e inopportuno, perché non risolve alcun reale problema imputabile alla Costituzione. Anzi, le attribuisce difetti che essa non ha e intende introdurre modifiche che, invece di migliorarla, la peggiorano. 
Per tutto questo, io voto NO. 
21 novembre 2016 (Alfredo Laurano) 




GIOCHI DI COPPIE

"In questo referendum c'è un'accozzaglia di tutti contro uno. Ma vi rendete conto che si è creato un gioco di coppie fantastico: Berlusconi e Travaglio, che si amavano a loro insaputa, D'Alema e Grillo: uno che sostiene la politica e uno l'antipolitica, Vendola e La Russa?”
A due settimane dal voto, mentre il clima si fa sempre più rovente e dal Comitato del No arriva un esposto all'Agcom per l'eccessiva presenza in TV del fronte del SI e del suo leader, il Puffo riformista ricorre all’ironia triste, intriga con le lettere agli italiani all’estero, attacca pesantemente quelli del NO, disposti ad accoppiate incredibili o, se posso aggiungere, rassegnati a presunte condivisioni con Brunetta e la Meloni, con Salvini e Casa Pound. 

Messa così, in effetti, è un po’ patetica e umiliante
Ma non sa, anzi finge di non sapere, che queste coppie e questi nomi non sono alleanze politiche o di partito? Né, tanto meno, patti etici o connubi ideologici? Come sono invece le sue salde intese con Verdini, con Alfano, Casini, Formigoni e i tanti transfughi da opposti schieramenti. 
Nello specifico, si valuta e si condivide il senso e il merito della presunta riforma costituzionale, non le idee politiche, vicine o lontane, di ciascuno. Non per carrierismo, ambizione di poltrone o per manovre di potere, ma per scelta di coscienza, in piena autonomia.
Come si fa, per esempio, in una Class Action, dove tutti i danneggiati, a prescindere da colori e posizioni, si mettono insieme contro qualcuno che quei danni ha fatto o sta facendo.
Oltre ai vari soggetti citati e disprezzati, farebbe bene a ricordare che nel variegato fronte del NO, oltre ai pentastellati, c’è buona parte della Sinistra senza partito: la minoranza PD, l’Anpi, la Fiom di Landini, la Cgil, Magistratura democratica, i Civati, i Fassina, i Cofferati, i rifondaroli e i migliori costituzionalisti.
Col SI, insieme a una lunga serie di opportunisti leccaioli e servizievoli opinionisti, coabitano invece Confindustria, Marchionne, Jp Morgan, governo Usa, Cancellerie e troike europee, banche e lobby finanziarie che condizionano la sovranità e la dignità nazionale. 
C’è l’urgenza di eliminare tutti i poteri di controllo sul governo, di depotenziare un’opposizione, un presidente, una Regione, un Pm che si mettono di traverso e vogliono, magari, opporsi a una Trivella o un’opera superflua o inutile.
I senatori, se ci sono ancora, vogliamo poterli scegliere, per evitare che una masnada di consiglieri regionali (i più corrotti, per documentazione) e sindaci inquisiti invadano il Senato, coperti pure da immunità.
E, infine, tanto per non essere fraintesi, diciamo pure o confermiamo al pericolante bischero riformatore che quella che lui definisce accozzaglia, altro non è che la foltissima schiera di italiani a cui sta sulle palle e non sopporta più la sua arroganza, la sua strafottenza e le sue chiacchiere toscane.
(Alfredo Laurano)




DU PUPAZZETTI!

Wunderland, ovvero il paese delle meraviglie.
Il plastico urbano più grande al mondo si trova vicino al porto, nel centro di Amburgo, ed è una delle principali attrazioni turistiche della città che attira ogni anno milioni di turisti e non solo bambini: si chiama “Miniatur Wunderland” ed è visitabile 365 giorni all’anno.
E’ un’opera di alta ingegneria e tecnologia, dietro la quale si nasconde la passione e l’amore per le ricostruzioni e le riproduzioni della realtà, esaltata dalla più fervida fantasia e dalle capacità umane. E’ talmente bella, ricca e monumentale nella sua interezza e nella quasi maniacale ricerca dei particolari che non si può non definire straordinaria, incredibile e affascinante, non solo per chi è appassionato di modellismo.
Dei 6.800 mq di superficie coperta del museo, il plastico, in continua evoluzione e ampliamento, ne prende attualmente 1.500.
La ferrovia è costituita da 15.400 m, in scala H0, divisa in nove sezioni: la città fittizia di Knuffingen, le Alpi e l'Austria, Amburgo, l'America, la Scandinavia, la Svizzera, l’Italia, una replica di Amburgo e l’aeroporto. I diversi settori riproducono fedelmente le varie zone delle città, comprese le attività che in esse si svolgono. 
I paesaggi, i monti, i fiumi e le ambientazioni locali, con case, stazioni, strade, automobili in movimento, alberghi, ristoranti, stadio, fabbriche, pompieri, polizia, bande musicali, bagnanti, operai e, perfino “case chiuse”, sono più fedeli della realtà, in ogni dettaglio.
L’aeroporto di Knuffingen - nome di una città di fantasia - ha richiesto 6 anni di lavoro e 3,5 milioni di euro di spese. 
Come gli scali aeroportuali veri, ha tutto: terminal, parcheggi, stazione ferroviaria e, naturalmente, una pista di 14 metri, dove gli aerei effettuano circa 500 decolli e atterraggi al giorno. I modellini sono motorizzati, si muovono nello scalo con un sistema di controllo: al decollo due stanghe di metallo si inseriscono nei modelli e li sollevano al giusto angolo. Gli aerei “volano” davvero, fino a scomparire, attraverso una tenda mimetizzata cielo, nel retro, da cui compaiono quelli in atterraggio.
Nell’aeroporto ci sono 15.000 figurine, all’imbarco o in attesa nei bar dell’aeroporto. 
L’alternanza tra il giorno e la notte è automatica: il giorno dura 15 minuti, poi arriva la sera con le sue luci. Nel complesso e sulle piste si accendono 385.000 luci, vi sono 130.000 alberi e 260.000 personaggi, 315.000 led.
Oltre alla ferrovia in miniatura, con 1040 convogli diversi in movimento, il plastico ospita una rappresentazione del Grand Canyon e delle Montagne Rocciose degli Stati Uniti, una ricostruzione dei paesaggi scandinavi, con acqua vera e navi telecomandate, e splendidi paesaggi alpini. 


Anche in Russia esiste un meraviglioso plastico ferroviario che copre una superficie di oltre 800 metri quadrati. Si chiama Grand Maket Rossiya e ha sede nella splendida città di San Pietroburgo. 
Su questo layout di ferrovia, sono rappresentate città, regioni e paesaggi della Russia, con centinaia di treni e automobili, effetti sonori e di luce e migliaia di piccole figure in movimento. Perfino le galline che beccano.
Riproduce un’immagine della vita quotidiana attraverso situazioni comuni di diverse attività umane, come il lavoro, il tempo libero, lo sport, lo studio, il servizio militare, la vita di campagna, i viaggi, le celebrazioni di massa e anche un tentativo di fuga dal carcere.
Il trasporto via terra è ricostruito con vari tipi di auto e camion, tram, autobus, treni, agricoltura, la costruzione ed equipaggiamento militare. 
Il movimento delle vetture nel modello è realistico. Le macchine e gli autobus si fermano al semaforo, alle fermate degli autobus e cambiano velocità, a vicenda.
I visitatori hanno la possibilità di impostare le cose in movimento sul modello premendo pulsanti interattivi posizionati intorno al layout.
L'energia elettrica per le automobili è ottenuta in remoto, da sotto il modello, quindi le macchine non sembrano avere un alimentatore. 
Questo metodo per autoveicoli in movimento viene usato in Gran Maket Rossiya per la prima volta nel mondo. 

Sono opere che lasciano senza parole e, anche se ho avuto modo in passato di ammirare altre composizioni del genere, in varie occasioni, in Italia e in Slovenia (raduni di modellismo, musei ferroviari ecc.), più contenute nelle dimensioni, ma altrettanto meravigliose, mi accontenterei – si fa per dire – di visitarne almeno uno di questi gioielli capolavoro che ho raccontato. 
Ma, quando tempo fa lo proposi ad alcuni amici, mi risposero, quasi in coro: “ma che annamo fino a Amburgo pe vedè du pupazzetti…! 
20 novembre 2016 (Alfredo Laurano)








IL GIN

"Avete sentito cosa ha detto Renzi a Radio Monte Carlo? 
Belin, io mi sono pisciato addosso dal ridere. E’ un vero comico. 
Ha detto che il SI’ è un voto anti-sistema.
Infatti voteranno SI’ il governo, Confindustria, le banche, JP Morgan, Moody’s e il club Amici del cachemire. Notoriamente tutte associazioni no global. Le banche, poi, cazzo, sono anti-sistema per antonomasia. ? Eh già, c’è chi è direttore di filiale solo per dare delle sprangate ai bancomat da dentro.
Dire che il SI’ è un voto ‘anti-sistema’ è come dire che il gin depura l’organismo". (Maurizio Crozza)

mercoledì 16 novembre 2016

UNA GIGANTESCA FARSA

Lo dico subito e senza usare francesismi: questo film fa proprio incazzare e ti fa uscire dal cinema con le lacrime agli occhi e l’amaro in bocca. E tanta rabbia dentro.
Rabbia sociale contro l’imbecillità di un sistema burocratico aberrante, denunciato da un film capolavoro che narra, con profonda empatia, con stile asciutto, ruvido, senza sentimentalismi e orpelli retorici, una storia di attualità che fa indignare, che si scaglia contro le ingiustizia di uno stato sociale che spesso priva di dignità il cittadino, la persona. 
“Io, Daniel Blake” vive momenti di grande umanità, di tenerezza e commozione e, attraverso la compassione dei suoi indifesi protagonisti, provoca una specie di ricatto emotivo e catartico nello spettatore. 
E’ il cinema di impegno civile e di denuncia sociale tipico del cineasta inglese Ken Loach. 
Cinema militante e anche misuratamente ideologico. Che racconta spesso una realtà che fa piangere e fa soprattutto male.
Da sempre, Loach sta dalla parte degli umili, dei diseredati, di coloro che scelgono di lottare contro le ingiustizie e le dittature, dei disoccupati, dei cittadini vittime del neoliberismo e della privatizzazione del welfare.
Le sue opere, cariche di passione, rivolgono uno sguardo profondamente umano alle situazioni di debolezza ed emarginazione, ma al contempo invitano, senza grida o clamori, a ribellarsi a quello che sembra essere uno status quo immodificabile.
Questo film, che ha vinto la Palma d’oro a Cannes, commuove in tutti i suoi aspetti, nella sua semplicità disarmante, nel suo icastico realismo. 
Straordinaria l’interpretazione di tutti gli attori, grandi e piccoli, taglienti i dialoghi, adeguata e superlativa la fotografia uggiosa. 
In alcuni momenti, sembra si parli di cose mai viste, di situazioni incredibili e farsesche, di persone rese ottuse da un sistema che le rende iene e serve. Che appartengono a un mondo spietato che esiste a prescindere, che vince sempre anche sulla logica, sul buon senso e sulla dignità. 

Già l’efficace dialogo iniziale, sul nero dei titoli e senza immagini, destabilizza proprio quel concetto di razionalità e viola il comune sentire, non solo del protagonista. E ci introduce, con semplicità, ma anche con profonda immediatezza, al senso della storia.
Daniel è vittima, consapevole e lucida, del cinismo e dell’indifferenza di una burocrazia che avalla ogni possibile contraddizione, attraverso i meccanismi di una macchina che stritola il malcapitato di turno, che trasforma i solerti servitori della legge in persecutori di coloro che dovrebbero servire e affida le sue bizzarre regole a moduletti da stampare e compilare solo on line.
Il sessantenne carpentiere si trova bloccato in un kafkiano limbo amministrativo-burocratico: dopo aver avuto un infarto, i medici gli impediscono di lavorare, ma l’assistenza sociale invece lo spinge a cercare un lavoro - che poi non potrebbe comunque svolgere - per ottenere il sussidio di disoccupazione. Né può fare ricorso al rifiuto dell’indennità per malattia, non avendo ancora ricevuto la prevista telefonata del Centro, ma solo la lettera ufficiale di comunicazione! E così, senza lavoro, né sussidio di malattia, né di disoccupazione, è costretto a distribuire curriculum a matita, per dimostrare che sta cercando un inutile lavoro finto, però con tanto di ricevuta o prova vera.
E, intanto, non ha di che vivere. 
Cibo, riscaldamento e un tetto sono alla base della sopravvivenza, ma per Daniel non sono più garantiti: le bollette da pagare, la spesa troppo cara. Vende i mobili e rimane al freddo. Poi si conforta con l’affettuoso giovane vicino, con le riparazioni a casa dell’amica Katie e i suoi due figli, dove trova un po’ di calore umano. 
Il cielo inglese, sempre grigio, piovigginoso e senza sole, non può nemmeno scaldare le bolle della plastica che mette sui vetri della stanza della piccola Daisy. 

Alcune sequenze sono momenti di lirismo puro.
Straziante quella di Katie che, affamata da giorni, si getta su un barattolo di salsa di pomodoro, al Banco alimentare, per rappresentare tutto il dolore e la frustrazione di tante persone che non hanno nulla, se non la propria fame.
Quella della giostrina di pesci in legno appesa al soffitto, O degli attrezzi di lavoro che Daniel non intende vendere. O la pacifica ribellione scritta sui muri del Centro Sussidi. Tutto sembra pervaso da una specie di etica sociale che ridicolizza e condanna quei personaggi prepotenti e fieri della loro briciola di potere, il cui squallore corrisponde alla diffusa malinconia del paesaggio.
C’è un sottile filo conduttore di poesia e di intensa emozione che attraversa l’opera e che coinvolge: una forma di solidarietà tra vittime, oppressi e poveri che si configura in una magra consolazione ideologica.
Come, ad esempio, la lettera testamento: “Il mio nome è Daniel Blake, sono un uomo, non un cane. E in quanto tale esigo i miei diritti. Esigo che mi trattiate con rispetto. Io, Daniel Blake, sono un cittadino, niente di più e niente di meno". 
La responsabile condizione di uomo e lavoratore percorre il dramma di Daniel Blake che con dignità vive la sua battaglia, mentre precipita nella miseria. 
Ma nella sua tragica vicenda si riflette l’intero fallimento della presunta società civile, che si abbuffa di ipertecnologia, ma non di umanità.
(Alfredo Laurano)



martedì 15 novembre 2016

STRAGE DI PALME

E’ diventato quasi un tormentone: “senza olio di palma!”, chiude ogni spot, pure quelli delle macchine o delle crociere.
Da qualche settimana, la pubblicità che ci bombarda i neuroni da mattina a sera ci avvisa che, ormai, quasi tutte le aziende alimentari hanno eliminato il famigerato olio. Hanno preso atto, come per incanto, che i consumatori si sono accorti della diffusa e abbondante presenza di questo insano grasso vegetale in tanti prodotti mangerecci e che nuoce alla salute. E sono corse ai ripari, rinnegandolo. Quasi tutti, meno la Ferrero, che giura sulla qualità delle sue palme.
Circa l’80 per cento della produzione di quell’olio o di quel grasso, assai economico, viene o veniva utilizzato nell’industria alimentare: era quello, in particolare, che finora veniva indicato come “grasso vegetale”, nei cereali, nei cracker, nelle creme spalmabili alla nocciola, nelle barrette di cioccolato, nei gelati industriali, nei biscotti, nei grissini, nelle merendine e negli snack. Ma anche nei rossetti, nel dentifricio e nei prodotti per la primissima infanzia: dal latte ai biscottini che si sciolgono nel biberon.

La palma da cui si estrae quest’ olio è coltivata soprattutto in Indonesia e Malesia. Per produrlo, però, vengono distrutti molti spazi di foresta tropicale.
È il caso delle ultime foreste dell’isola di Sumatra dove vivono oranghi, elefanti, tigri e rinoceronti a cui pian piano viene sottratto spazio vitale. Tanto che degli stessi animali in dieci anni solo rimasti solo a poche centinaia di esemplari. 
Così l’Indonesia perde foreste, lo dicono i numeri: 50 anni fa il territorio dell’Isola di Sumatra era ricoperto per l’82 per cento di foreste. Nel '95 la percentuale era scesa già al '52 per cento e si pensa che si azzererà entro il 2020.
Forse, la rinuncia all’olio di palma, se reale, potrà contribuire a salvare qualche pianta tropicale e qualche animale, nonché a migliorare la salute di noi consumatori, a condizione che, prima di acquistare si leggano sempre le etichette dei prodotti industriali e si verifichi l’ordine degli ingredienti indicati in ordine decrescente. 
Si veda, ad esempio, la tabella delle creme spalmabili.
(Alfredo Laurano)



lunedì 14 novembre 2016

DAI CARTELLI AI POST-IT

Continuano da cinque giorni le manifestazioni anti-Trump di migliaia di persone che scendono in strada delle principali città americane, da New York a Los Angeles, al grido "Is not my president".
“Il muro con il Messico si farà, fuori 3 milioni di clandestini”, ha già confermato, in una intervista alla Cbs, il miliardario “giallo” eletto alla Casa Bianca.
Il regista Michael Moore, quello che aveva previsto a giugno scorso la sua elezione ed aveva realizzato il profetico documentario Trumpland, si è presentato nella hall del grattacielo dove vive il presidente eletto con la sua famiglia e ha tentato di farsi ricevere.
Al rifiuto del neopresidente, che ha invece incontrato il leader dell'Ukip Nigel Farage, si è unito ai manifestanti.
Intanto, a New York si sta attuando un’altra forma di protesta: sui muri della fermata metro della 14esima sono spuntati dei post-it colorati dove i cittadini continuano a lasciare commenti e pensieri sul nuovo presidente. In 24 ore erano già più di 3mila. Una specie di social network a cielo semiaperto.
Tutto sommato, più comodo e, soprattutto, più civile che scrivere sui muri.
14 novembre 2016 (Alfredo Laurano)

I HAVE A DREAM

Ovvero, il povero Donald Trump, con le sue tre mogli, i suoi cinque figli ufficiali, i nove nipoti, le tante femmine amiche e generose, una trentina di denunce per molestie sessuali e il suo super Jet personale, per volare in alto.
L'American dream della middle class operaia e dei disoccupati che hanno eletto Trump è forse questo?
Il Tycoon, insieme alla moglie Melania e al figlio Barron, vive negli gli ultimi tre piani della torre, di 58, che porta il nome di famiglia, in un modesto appartamento in stile Luigi XIV, situato nel cuore di New York.
L'attico è un tripudio di lusso e opulenza, arredato con oro, marmi e affreschi di prestigio. Ma le tasse, pare, non le pagava mai!
Intanto, continuano le proteste in tutto il Paese, con centinaia di arresti, mentre il Ku Klux Klan, cui si uniranno sicuramente i naziskin, o la componente skinhead più organizzata e conosciuta, annuncia una solenne parata per la vittoria. (A. La.)