mercoledì 31 agosto 2016

ABBRACCI, LACRIME E PROMESSE

Un Cristo ligneo, senza la sua croce persa nei crolli, appeso, quasi impiccato, con le funi al grande tetto della struttura costruita dai vigili del fuoco e una Madonna su un piedistallo di pietre e detriti - entrambi recuperati tra le macerie - sono stati i simboli religiosi di una chiesa provvisoria, che ha celebrato ieri i funerali di una parte delle tante vittime di Amatrice.
Nel cortile del complesso don Minozzi, due o tremila persone, con il volto segnato dal dolore e dalle lacrime - alcune sedute o inginocchiate accanto alle bare dei propri familiari perduti - i soccorritori, i volontari, i sindaci dei paesi colpiti e i rappresentanti delle istituzioni.
Ci sono tutti: il sobrio e schivo capo dello stato, che conforta e si intrattiene con parenti e sopravvissuti, i presidenti di Camera, Senato e Regione, il premier con la moglie, la sindaca di Roma, Di Maio, Fassina ed altri, tutti in piedi e confusi, per la prima volta, tra i comuni cittadini. Le telecamere della diretta facevano fatica a scorgerli.
Tutti hanno ascoltato l’omelia dell’officiante vescovo di Rieti, che ha ricordato, tra l’altro, che  
“i terremoti esistono da quando esiste la terra. I paesaggi, le montagne, l'acqua dolce, tutto è dovuto ai terremoti. Neanche l'uomo esisterebbe senza i terremoti, il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell'uomo". 
Accanto al vescovo, c'è anche il monsignore elemosiniere, inviato dal papa, e altri prelati che celebrano la funzione, che distribuiscono le ostie, benedicono e incensano i feretri. 
Dietro di loro, oltre l'altare, si vede lo scorcio di un tetto crollato su una casa.
E dietro ancora, gli alberi, i monti e le valli, sotto una battente pioggia e tanta commozione.
Sono arrivati in tanti per la messa funebre, dai paesi vicini, da quelli più distanti, da Roma. 
Andate in pace, la messa è finta.
Piange il sindaco di Amatrice, dopo il suo sentito ricordo, molti si abbracciano, mentre si levano in cielo tantissimi palloncini bianchi.

Intanto, la magistratura ha cominciato la caccia alle responsabilià e alle omissioni degli uomini che hanno costruito con la sabbia, eludendo norme e disciplinari antisismici, che hanno cementato e appesantito i tetti, crollati sulle case, e non le case stesse, che hanno visto sbriciolarsi una scuola di recentissima fattura, mentre la torre civica del duecento restava magicamente in piedi, segnando l’ora del disastro.
Ci sono i soldi, ricostruiremo tutto, non sarete soli, non vi abbandoneremo, promette il capo del Consiglio, ma quel che conta lo diceva Pertini, quando accorse in Irpinia, dopo il terremoto, "Avete ragione, non servono le parole, conteranno solo i fatti”.
31 agosto 2016  (Alfredo Laurano)

lunedì 29 agosto 2016

UN PIATTO, UN SIMBOLO

Una maxi-amatriciana solidale, anche in versione vegana, ieri in piazza S. Carlo, a Torino, per sostenere le popolazioni colpite dal terremoto in centro Italia.
Cinque quintali di pasta, due di passata di pomodoro e pelati, ottanta chili di guanciale per preparare almeno cinquemila piatti, che non sono bastati. Alle 19, però, sono finiti tutti gli ingredienti, offerti da ditte del settore.
Mobilitati i volontari della Protezione civile per montare la struttura, e per preparare e distribuire la pasta.  Anche la sindaca Appendino e i suoi assessori hanno servito ai tavoli.
Centinaia di torinesi e turisti lungamente in fila per gustare il piatto della solidarietà e versare un contributo volontario. Tutto il ricavato dell’iniziativa sarà devoluto ai comuni colpiti dai crolli.

Nello stesso tempo, la stessa ricetta è stata preparata e servita, nella tendopoli di Amatrice, anche agli sfollati e a tutti gli operatori e soccorritori, proprio per ricordare il giorno della Sagra, che ieri, per sciagurate cause di forza maggiore e maligna, non si è potuta svolgere. Ormai è diventata simbolo di sostegno e vicinanza.
 (Alfredo Laurano)



ANGELI E SCIACALLI

Dicevamo degli sciacalli. Ne scriviamo e ne parliamo tutti, in questi giorni.
Li odiamo tutti. Ma chi sono in realtà queste bestie umane?
Sono quegli sporchi figuri che, puntualmente, dopo ogni tragedia e calamità, compaiono subito sulla relativa scena, in tanti e diversi. Qualcuno, senza molti preamboli, dice che andrebbero fucilati subito, tra le macerie, e poi abbandonati e confusi fra i detriti.
Ma gli sciacalli non sono tutti uguali e della stessa qualità, anche se tutti assimilabili nella razza più vile e bastarda.
Oltre a quelli che si infilano nelle case, distrutte e abbandonate, per rubare quel poco che è rimasto intatto o quasi: catenine, denaro, orologi, telefoni, oggetti vari, ci sono fior di costruttori e imprenditori, amici degli amici, che, senza mai comparire, pregustano appalti e forniture e, ridacchiando, si stropicciano le mani: ricordiamo tutti le telefonate e le risate della notte tragica aquilana, di sette anni fa.
Poi, non mancano i politici che colgono l’occasione per un passaggio gratis a un TG o a una diretta, che rilasciano una commossa dichiarazione o una promessa, o che partecipano a un talk di Bruno Vespa, altro viscido sciacalletto della TV istituzionale.

Ma, gli sciacalli peggiori di tutti sono quelli che, all’apparenza, sembrano i meno importanti e significativi e che sopravvivono protetti nell’anonimato del Web e dei social: sono quelli che spostano l’onda di emozione collettiva, dalla pietà all’odio. Che usano i tanti morti di un tragico evento per corroborare i propri disgustosi argomenti, per contrapporre i terremotati superstiti ad altri terremotati dalla vita, in altri Paesi, in tutto il mondo.
Come se anteporre o distribuire priorità e privilegi nelle tragedie facesse parte di una lotteria truccata, di una speciale classifica a punti, basata, non su criteri di umanità e giustizia sociale, ma su pregiudizi di razza, nazionalità e colore, che rendesse legittime le loro infami obiezioni.
Tutti costoro, riuniti in un unico partito dello schifo e sostenuti da certi squallidi giornali, che si fanno interpreti dei loro travisati umori, andrebbero trattati, non come delusi, arrabbiati o presunte sentinelle della littoria patria  ma, semplicemente, come speculatori di anime, odiatori professionisti, xenofobi e razzisti. Anzi, come sciacalli razzisti, che si sono disfatti della pietà e di ogni barlume di umanità.


Poi, però, c’è l’altra faccia pulita e sana del Paese: “gli italiani brava gente” che in pochi giorni hanno inviato oltre sei milioni di euro, tonnellate di forniture alimentari, farmaci, coperte, abiti e peluche. Che si sono messi in fila per donare il sangue e hanno inventato mille iniziative per raccogliere fondi.
Ma, ancor prima, vengono quelli che chiamano "angeli". Gli antagonisti degli sciacalli, l’antitesi reale della malvagità e dell’indifferenza.
Sono tutti coloro che arrivano subito e operano, senza sosta e limiti, dimenticando stanchezza e sudore, per portare aiuto e conforto alle vittime del sisma o di qualsiasi altra calamità.
Vigili del Fuoco, Forze dell'ordine, Protezione civile, Croce Rossa, militari, medici, infermieri e tanti volontari.
Sono più di 5400 i soccorritori, tra cui molti stranieri, che hanno scavato sotto le macerie, che hanno salvato vite o che ci hanno provato in ogni modo. 
Che gioiscono o piangono, come tutti, a dimostrazione che gli italiani sono anche e soprattutto questo: umani e solidali, pronti a sostenere, a partecipare e ad aiutare nel momento del bisogno.
Al contrario di chi questi sentimenti li ha sepolti sotto le macerie della propria cattiva coscienza.
29 agosto 2016 (Alfredo Laurano)



E' NATO IL WEBETE

Dal banale "Petaloso" all'intelligente crasi di "webete". 
Enrico Mentana, spesso pubblicamente asettico e moderato, ma sempre intellettuamente onesto, stavolta ha segnato un bel goal, nella porta della linguistica.
Questo neologismo farà storia nel linguaggio, nei vocabolari e nel Web, dove è nato, si è riprodotto e ha spopolato.
29 agosto 2016 (A. La.)




domenica 28 agosto 2016

IL DI’ DI FESTA

“La domenica era un bel giorno, su queste montagne - dice una donna terremotata di Arquata - arrivavano i più giovani che lavorano a Roma o a Pescara e si trovavano con famiglie e parenti.”
Un caffè al bar, due chiacchiere in paese e poi in tanti a messa, mentre i campanili della vallata suonavano uno dopo l’altro. Poi, il pranzo della festa, semplice ma rituale, com’era una volta, per tradizione, in tutt’Italia.
Era davvero un giorno speciale in quei paesetti puliti e lindi di poche centinaia di abitanti, dove la vita scorreva lieta, tranquilla e senza “scosse”, lontani dal clamore delle grandi città.

Anche oggi è domenica, la prima dopo la tragedia, la prima senza un tetto e sotto le tende. La prima dopo le vere scosse.
Il panorama, tutt’intorno, è cambiato all’improvviso, è incredibile, desolante e ferisce gli occhi e l’anima di chi guarda: macerie, case sbriciolate, pezzi di mobili, polvere e detriti.
Il pranzo, nella mensa delle cucine da campo, riunisce tante famiglie, persone e bambini, nelle nuove case di stoffa blu, ma non ha più il sapore della festa, ma quello della solidarietà, della generosità, attraverso i volti e le mani dei soccorritori e dei volontari.
Per molti che si sono salvati sembra passata una vita: ”domenica scorsa avevo a tavola i miei figli che abitano a Roma. Per questo, dopo la messa, sono tornata subito a casa per mettermi a cucinare”, racconta Anna.

Quella notte di mercoledì 24 agosto  ha ridisegnato nuovi confini fra Lazio, Marche e Umbria. Ha avvicinato ancor di più i monti, le valli e quel poco che resta di Amatrice, Accumuli - dove si è localizzato l’epicentro del sisma - Arquata e Pescara del Tronto e di altri piccoli centri, devastati dal terremoto e accomunati nella tragedia. Paesi conosciuti per essere non solo tra i borghi più belli d'Italia, ma anche per detenere simboli dell'italianità e un ingente patrimonio storico-culturale.
Ha creato una insanabile frattura fra un prima e un dopo, fra passato e presente, squarciando vite, affetti e sentimenti.
Uno spartiacque tra disperazione e speranza di rinascita.
Per gli abitanti di queste valli, colpiti nella loro essenza, proprio nella giornata festiva si rinnova il doloroso confronto con i ricordi.
L’unica cosa che ancora posseggono.

(Alfredo Laurano)

sabato 27 agosto 2016

C’ ERA LA SAGRA

Tra le tante iniziative di solidarietà e aiuto che, in tutt’Italia, si stanno organizzando a favore de popolazioni colpite dal violentissimo terremoto, ci sono quelle che invitano a consumare nei ristoranti piatti di matriciana o supplì, devolvendo parte del prezzo in beneficenza: metà, il cliente consumatore, metà, l’esercente.
L’antico hotel-ristorante Roma, famoso proprio per la sua matriciana, non esiste più: si è frantumato come il resto di Amatrice e della sua tipica sagra.

Altri propongono di organizzare, quando e dove possibile, una edizione straordinaria di quella festa popolare che, come da cinquant’anni, si doveva tenere ad Amatrice, a partire da oggi 27 agosto.
Ben venga qualsiasi aiuto concreto ed effettivo. Anzi, incoraggiamolo e partecipiamo. Aiutiamo i produttori delle zone colpite, che hanno perso tutto: affetti, case, cose, prodotti e animali.
Ma una cosa è certa o assai probabile: il miglior piatto di matriciana, il più buono, il più gustoso non avrà più lo stesso sapore, lo stesso appeal, lo stesso fascino contadino e regionale, lo stesso valore gastronomico e tradizionale.
Sarà sempre, inevitabilmente, associato alla sciagura e forse ne diventerà il simbolo o lo storico ricordo. Anche nei testi di chef e gran gourmet, nei ricettari e nelle scuole di cucina.
Qualcosa, forse, è cambiato per sempre, anche nel costume e nei riti culinari .
(Alfredo Laurano)




venerdì 26 agosto 2016

PIU’ CHE SCIACALLI

Era inevitabile e previsto, secondo un copione scontatissimo e ricorrente, che dove e quando si consuma un qualsiasi evento doloroso - guerra, calamità, follia o terrorismo - arriva subito e a spron battuto l’esercito dei soldati dell’odio e del veleno, dei paladini difensori dell’ignoranza qualunquista.
Non possono mai mancare, per obbligo contrattuale col paradigma della stupidità, questi individui meschini e repellenti che per effetto di un ricorrente riflesso condizionato o per automatismo biologico, pensano di distinguersi e affermarsi nella stupida polemica, vuota, inutile e senza senso. Cercano qualche grammo di visibilità, di protagonismo nel vuoto della propria inutile esistenza e per darle un senso. E nemmeno si vergognano: sono del tutto privi di umanità e ragionevolezza, anzi, se ne compiacciono.

Questa componente malata, inossidabile e incancellabile del genere umano non aspetta altro per esibirsi sulla scena della incontenibile banalità, per scaricare la propria innata malvagità, le proprie frustrazioni e delusioni, la propria repressione: 
"Nelle tendopoli metteteci gli immigrati, così lasciano agli sfollati le camere negli alberghi a 5 stelle".
Odio, mercificazione, cinismo, crudeltà, razzismo: troppa gente inutile  passa il tempo sui social a praticare questo disgustoso sport, a farneticare e ironizzare in modo spietato e volgare sulla tragedia del terremoto.
Sono l’altra razza di sciacalli, che non rubano le catenine a chi ha già perso tutto, ma rubano a tutti quelli che in qualunque modo esprimono e portano aiuto e solidarietà.
Che scavano a mani nude senza sosta, che non si risparmiano, che salvano vite. 
Sciacalli che speculano sulla catastrofe, sui tanti morti sotto le  pietre di paesi cancellati, in mezzo a tanto dolore, a tanta disperazione e anche, per fortuna, a tanta solidarietà, seminando odio e contrapposizioni, incapaci di distinguere e separare situazioni, problemi sociali e profonde tematiche dell’attualità.

Non sanno questi odiatori di “buonisti” che tra quelle macerie stanno scavando anche molti profughi volontari, del luogo e anche venuti appositamente da lontano, che un paio di loro sono rimasti uccisi e sepolti dai crolli, che settantacinque richiedenti asilo di Gioiosa Ionica, ieri, hanno deciso di donare il loro pocket money di 2,50 euro a testa ai terremotati.
"Metteteci gli immigrati, sotto le macerie", suggeriscono alcuni.
Si, ma con tutti i tipi di sciacalli.
Fra i tanti, uno, sorpreso dalla polizia ad Amatrice, ha rischiato il linciaggio da parte della folla.
(Alfredo Laurano)


giovedì 25 agosto 2016

SCOSSE

Svegliarsi all’improvviso e non capire. Perché la coscienza è ancora sopita.
Tutto oscilla e trema, un pezzo di mondo crolla in un momento, mentre un boato trafigge l’aria e il buio della notte.
Come la guerra, come i bombardamenti: lo stesso paesaggio di polvere e macerie, la stessa paura.
Paesi sbriciolati che non esistono più, la vita cancellata sotto una trave, sotto un cumulo di pietre che diventa tomba.
In un istante, non hai più un letto, una casa, un tetto, un’esistenza.
Affetti, cose, abiti e ricordi si polverizzano in una dimensione altra e sconosciuta, che non ti appartiene, che ti spersonalizza e ti ruba i sentimenti e l’identità, di persona e di pensiero. Che ti lascia senza nemmeno una coperta o un paio scarpe.
Tutto, intorno, valica la soglia del non essere, anche da sopravvissuto.
Resta davvero solo il pianto e la disperazione, il senso del vuoto e dello stordimento, l'incapacità di riflettere, di pensare a domani, alla prossima notte, all'immediato futuro, alle persone care e alla famiglia, nonostante il conforto della solidarietà e la condivisione del dolore.
Poi, ti accorgi quasi subito che non è un incubo notturno, che tutto accade davvero, anche se filtrato da un fitto velo di incredulità.
Il terremoto è un volto terribile della natura che non risparmia niente e nessuno, che non ha pietà per bambini e misericordia per gli anziani.
Uccide umani ed  animali, distrugge abitazioni, chiese, strade, ponti ed ospedali.
Devasta l’anima.
25 agosto 2016 (Alfredo Laurano)

Amatrice prima e dopo







mercoledì 24 agosto 2016

QUANDO LA TERRA TREMA

Centro Italia colpito dall’ennesimo terremoto.
Stanotte, alle 3:36, magnitudo 6.0 Richter, epicentro in provincia di Rieti, al confine con l’Umbria.
La cittadina di Amatrice e altri piccoli comuni sono semidistrutti, diversi morti, feriti tra le macerie, niente luce, strade bloccate. Avvertito in tantissime regioni, dalle Marche alla Romagna, da Roma a Napoli.
Proprio ieri sera, guarda caso, dicevo che sarebbe stato bello andare sabato prossimo ad Amatrice per la tipica sagra degli spaghetti all’amatriciana….

Ma la natura “maligna”, e un po’ perfida e perversa, segue il suo corso imperscrutabile, imprevedibile e a noi inconoscibile. 
Non rispetta programmi e non consulta calendari, non guarda in faccia nessuno, non fa sconti e regali, ridimensiona sogni, ambizioni e desideri: punisce la superbia e la cattiveria umana. 

Terremoti, inondazioni, alluvioni, tsunami, epidemie e cataclismi vari: le sue armi di distruzione di massa, che il misero uomo cerca stupidamente di imitare nelle sue ridicole proposizioni, per propagare il male!
Ma la natura colpisce a caso, cinicamente, senza mira o distinzioni morali fra bene o male, fra giusto o ingiusto, perché non conosce queste categorie che abbiamo inventato noi, per giustificare scelte, azioni, sopraffazioni, limiti e desideri: cioè il nostro egoismo, il nostro irrefrenabile impulso di dominarla, distruggerla, costringerla, superarla, piegarla alle nostre esigenze.
La natura non si vince se non rispettandola ed obbedendo alle sue leggi.

24 agosto 2016 (Alfredo Laurano)

POVERO SPINELLI

Vista la location scelta, non a caso, per un vertice internazionale a tre, tutti si aspettavano, magari, una specie di riedizione del Manifesto di Ventotene, per un’Europa libera, unita e pacificata,  una sua rilettura, un suo aggiornamento, una sua riproposizione, alla luce dell’attualità bellica e migratoria.
Ma così non è stato, neanche di sfuggita: un abisso tra lo “spirito di Ventotene” e il venticello di queste tre marionette, dice il sempre caustico don Farinella.
Tre disperati in cerca di consensi a qualunque costo: Merkel che rischia il posto il prossimo anno con le elezioni, cui si presenta per la quarta volta, per l’immigrazione; Hollande, il presidente francese più screditato della storia, per la sicurezza; Renzi il pallonaro che, per vincere il suo referendum, vivo o morto, sfrutta un pezzo della nostra Storia antifascista.   
Ognuno, su quella nave, simbolo massimo di guerra, parla al proprio Paese e ai propri elettori, preoccupato per il proprio posto di lavoro e non tanto per l’Europa. Discorsetti banali e di routine, più attenti alle pose fotografiche e ai titoli di giornale, che ai contenuti: “stiamo facendo la Storia…dobbiamo tenere insieme sogni e concretezza”, senza mai ricordare che, secondo l’autentico manifesto di riferimento, la rivoluzione europea dovrebbe essere socialista, cioè proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici. Non l'Europa delle banche e dell'alta finanza - quale oggi è  - ma quella di Altiero Spinelli, l'Europa dei popoli.
Ventotene, con la sua storia di confinati e il suo significato, è ben lontana, sia in miglia che in senso metaforico: è solo una ridicola cornice mediatica, scelta per dare un tono formale e importante a una inutile gitarella istituzionale - fuori porta e in mezzo al mare - su una portaerei corazzata, trasformata in nave da crociera, full optional e tutto compreso.
(Alfredo Laurano)



martedì 23 agosto 2016

GITA IN BARCA A VENTOTENE

Chissà perché ieri sera Raiuno ha mandato in onda la replica di Un nuovo mondo!
Il film racconta le vicende di un gruppo di giovani, confinati dal regime fascista nel 1941, in una piccola isola sperduta del Mediterraneo, Ventotene, che elaborano una grande utopia: l’idea di un’Europa libera, in pace e democratica, unita in uno stato federale. Proprio mentre il Nazifascismo trionfava conquistando l’Europa stessa.

Perseguitati dal regime, ma eretici rispetto ai partiti e alle ideologie del resto del fronte antifascista - Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni - in quei giorni bui scrivono in segreto un libricino che ancora oggi è la pietra miliare per la costruzione dell’Europa unita: Il Manifesto di Ventotene.
E’ la storia di un’ avventura che non è solo intellettuale, ma fatta di difficili scelte, di rischi, di azioni combattive, di coraggio e di amicizia. Ci sono anche Pertini e Terracini e tanti altri.
Cosa c’entra tutto questo con la brillante idea di tenere il vertice Italia-Francia-Germania sulla portaerei “Garibaldi”, al largo di quell’isola, culla dell’idea di Europa?
Per analogia, per auspicio, per richiamo storico importante, per sottolineare lo “spirito europeo” in prospettiva, per sfruttare la retorica che si nutre di simboli e nostalgia?
Per fare scena e compiacere la superbia del potere?

Su una nave da guerra - l’isola fa da contorno, per i soli otto minuti di omaggio alla tomba di Spinelli - Angela Merkel, Hollande e Renzi  si sono incontrati per parlare di  sicurezza, immigrazione e crescita dopo la "fuga" del Regno Unito e del futuro dell’ Europa, che non è proprio quella che sognavano Spinelli e compagni.
Una straordinaria gita in barca corazzata che poteva svolgersi anche al Giglio, a Procida o a Ischia, dove, peraltro l’Angela tedesca è ormai di casa!
Sembra soprattutto una smargiassata istituzionale, che anche la RAI pubblica ha voluto nobilitare, narrando la storia di Spinelli. Mai accostamento fu più improprio e inopportuno.
Una colossale messinscena che costa qualche milione di euro, più adatta a un film di James Bond che a un meeting politico di altissimo livello.
Collegamenti sospesi, file per i controlli, divieto di navigazione attorno all’isola.  Oltre alla portaerei, hanno mobilitato teste di cuoio, reparti speciali, uomini rana e anche un carro armato, elicotteri: di tutto e di più, il meglio della tecnologia anti terrorismo e anti sommossa di Polizia, Carabinieri, Finanza, Esercito, Marina, Aeronautica , Guardia Costiera, boy scout e giovani marmotte.
Sarebbe stato davvero interessante, osserva Luciana Castellina, se i magnifici tre avessero scelto Ventotene, proprio per una riflessione, critica e autocritica, su cosa è stato fatto in questi quasi 75 anni. Avrebbero potuto rileggere assieme il lontano testo scritto nel 1941, soprattutto ripensare all’auspicio fondante che l’aveva ispirato: porre fine alle guerre.
Invece di rompere le palle agli abitanti e ai turisti agostani dell’isoletta. (Alfredo Laurano)


lunedì 22 agosto 2016

A CIELO APERTO

Come a Parigi, Londra, New York, anche a Roma l’arte non è più solo nei musei e nelle chiese. Resta la capitale della storia e dell’archeologia, ma è sempre di più proiettata nel futuro, anche come fulcro dell’arte contemporanea.
Negli ultimi anni, artisti italiani e internazionali hanno coperto i suoi muri, i ponti e le facciate delle case, di opere di street art, grandi e piccole, a colori e in bianco e nero, trasformando quelle che un tempo erano zone industriali, semi abbandonate o quartieri di periferia, in veri e propri musei a cielo aperto.
Questa forte crescita ha portato autorevoli testate internazionali, come il New York Times e il Time, a definire Roma "la capitale europea della street art".
Una forma d’arte che non è relegata nelle gallerie, ma fatta per essere vissuta, per raccontare il passato e il presente dei luoghi che la ospitano.

La rinascita della street art a Roma è iniziata dai quartieri popolari, come il Quadraro, fino ad estendersi a quelli centrali come Testaccio e a quelli periferici come San Basilio, Tor Bella Monaca, Otiense, San Lorenzo, Trullo, Pigneto, Tor Sapienza.
Adesso, Roma conta più di 300 opere in 150 strade della città, al  punto che il Comune ha creato una dettagliata mappa delle relative aree, ridisegnate.
Questi lavori, considerati fino a non molto tempo fa un fenomeno underground e alternativo alla cultura ufficiale, si sono trasformati in opere monumentali d'arte pubblica e, da simbolo di degrado, sono diventati modello di riqualificazione delle periferie.

In questi giorni tranquilli di agosto, ho visitato i murales di Tor Marancia, che un tempo chiamavano Shanghai.
Era un agglomerato di casupole basse, di una stanza, in cui vivevano famiglie numerose. A Shanghai, le abitazioni avevano i servizi in comune, i pavimenti in terra battuta che si allagavano d’inverno, quando il fosso di Tor Carbone era in piena.
La borgata, le cui prime case furono costruite nel 1933 su una zona paludosa in piena campagna, vicino alla Garbatella, per i continui allagamenti e la densità abitativa, si guadagnò il nome della più grande città cinese, Shanghai, la metropoli del mondo più vulnerabile alle alluvioni.
Nel quartiere, tirato su in cinquanta giorni, furono trasferiti gli abitanti del centro storico di Roma, quando le loro case furono abbattute dal regime fascista per costruire via dei Fori Imperiali e anche famiglie di emigranti che arrivavano dal sud dell’Italia.
Noto per l’alto tasso di criminalità e di spaccio, il quartiere è considerato difficile: con un alto tasso di abbandono scolastico, disoccupazione e presenza della criminalità organizzata.
L’eroe della borgata, tuttavia, fu il calciatore capitano della Roma Agostino Di Bartolomei, nato a Tor Marancia e cresciuto calcisticamente nel campo della chiesa di quartiere, la san Filippo Neri, conosciuta come la “chiesoletta”.

La street art nasce come forma d’arte spontanea, contestuale e il più delle volte gratuita. Si trovava un posto adatto, spesso in maniera illegale, e si realizzava la propria opera. Ma negli ultimi anni si è affermato il muralismo, la realizzazione di grandi murales su commissione, in spazi che non sono scelti dall’artista, ma che gli sono assegnati. Oggi, tutte queste opere hanno un perché, un titolo, un significato, una legittimazione.
Oltre al fascino della Roma classica, storica, medioevale, rinascimentale, barocca; oltre alla città dei papi, degli imperatori e dei grandi artisti, ora c’è anche un’altra Roma, vivace e contemporanea, quella dei grandi murales, dei colori, della fantasia, delle allegorie che inaugura una nuova stagione di partecipazione e fruizione libera e popolare.
Un progetto di realizzazione pittorica che offre una nuova identità a tante aree urbane degradate, fino a renderle irriconoscibili e suggestive. 
Una trasformazione di altissimo valore sociale e culturale, apprezzata dai romani e dai turisti.
(Alfredo Laurano)




venerdì 19 agosto 2016

BURKINI DA MARE

Il burkini è un capo d'abbigliamento che, come il burqa e il niqab, è una gabbia per le donne e umilia pesantemente il loro corpo. 
“Non è un costume, ma è l’espressione di un’ideologia basata sull'asservimento della donna”, ha detto Valls in Francia.
Quindi, se il medium è il messaggio come affermava Mc Luhan, anche l'abito assume un forte significato nella comunicazione non verbale e può diventare strumento di provocazione e sfida nel villaggio globale. 
Immaginiamo, per esempio, i padani vestiti da barbari con le corna sull'elmetto o i naz con le svastiche e le camicie nere passeggiare sul bagnasciuga o sul lungomare. Anche costoro esprimerebbero la loro discutibilissima cultura.
Il burkini è un simbolo religioso, usato per affermare un’appartenenza culturale, sociale e politica: indossarlo non è frutto di una libera scelta femminile, ma di una costrizione fondamentalista e non aiuta certo la liberazione e l'emancipazione delle donne musulmane, né favorisce l'integrazione nei Paesi laici in cui vivono, prigioniere della propria cultura coranica integralista. 
Offende i diritti di tutte le donne, tanto faticosamente conquistati. Diritti di cui possono godere, in teoria, anche le donne dell'Islam.
(Alfredo Laurano)

IN RISPOSTA A COMMENTI VARI
Il problema, infatti, è proprio questo: ogni donna dovrebbe avere la libertà di gestirsi, di poter scegliere il proprio credo, il proprio modo di vivere e pensare, il proprio abbigliamento, senza essere frustata, lapidata, emarginata.
Per le donne islamiche questa opzione non esiste affatto: sono vittime e schiave, più o meno consapevoli, di una legge divina e teocratica che non rispetta la vita su questa terra, dove la sovranità è esercitata direttamente da un dio, storicamente identificato, attraverso il governo di uomini (profeti e sacerdoti), considerati interpreti, devoti e attendibili, della stessa volontà divina. Fino alla repressione, alla lotta e allo sterminio  degli infedeli, con ogni mezzo e modo (terrorismo), allo sfruttamento e alla sottomissione delle donne, al proprio martirio per fini escatologici.

Scrive un amico: “noi occidentali non capiamo quanto conti la tradizione e la religione per gli islamici, non abbiamo nessun valore così forte e radicato che non possa essere "estirpato" facilmente. Per noi la religione conta meno di niente. Capirai che fatica non aderire alle regole cristiane.”

E per fortuna siamo così! Per fortuna non veneriamo idoli e falsi miti!
Lo capiamo bene proprio perché, pur provenendo da una tradizione cristiana e papalina, siamo un Paese libero e laico, dove la religione resta una scelta e una libera opzione e occupa un suo spazio autonomo - anche se spesso assai politicamente invadente - e, oggi, non impone dogmi e comandamenti a chicchessia.
Siamo frutto dell’Illuminismo e del trionfo della ragione sulla barbarie, della liberazione dal fascismo e dal pensiero unico, della concezione materialistica e dialettica della Storia, dove l’uomo non è la rappresentazione di se stesso, ma lotta e si evolve per la sopravvivenza, realizzando un percorso di vita fondato sulla socialità , sui bisogni e sul loro soddisfacimento.
Prima o poi - forse fra molti decenni e molte generazioni e anche grazie alla potenza della tecnologia e delle rivoluzioni mediatico-culturali - anche gli islamici avranno un loro “secolo dei lumi” e le donne potranno praticare liberamente il naturismo. (A. La.) 19/8

Qualcuno dice: "sono fatti loro!"
Non sono per niente fatti loro, perché da tempo il mondo è diventato il villaggio globale. Non a caso si dice che "il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo”.
Ogni nostra azione corrisponde a una conseguenza futura. Ogni decisione che prendiamo può determinare un’infinità di possibili avvenimenti che possiamo prevedere solo in parte. Ogni piccolo gesto che compiamo può condizionare la nostra vita, ma anche la società in cui viviamo.
Basti pensare quanto l’economia mondiale sia fortemente influenzata da qualsiasi piccola variazione intervenga nella situazione di ogni Stato. L'aumento del costo del petrolio, per esempio, influenza i prodotti finali intaccando i consumi della popolazione. Gli effetti e le conseguenze di una guerra - come ben sappiamo - si ripercuotono su altri popoli e Paesi (esodi, accoglienza, migrazioni e terrorismo).
La crescente globalizzazione amplifica questo effetto farfalla. (A. La.) 19/8