lunedì 31 luglio 2017

PASTASCIUTTA E LIBERTA’ /1140

L’Italia è anche il Paese delle Sagre. 
Da nord a sud, è quasi impossibile sapere quante siano, perché spunta sempre, dietro l’angolo di qualche borghetto, una bancarella con una porchetta, un formaggio o un cuoppo fritto, esibito come prodotto tipico.
Qualcuno parla di almeno duemila: da quella della trippa a quella del baccalà, da quella del tortello a quella del pollo ruspante, da quella del peperone a quella del pesce, del carciofo o della tellina. Fino a quella della romagnola Pera cocomerina.
Presto qualcuno si inventerà pure la sagra del sushi, non propriamente tipica delle nostre lande, ma pur sempre un buon affare.
Le sagre ormai proliferano e si moltiplicano di estate in estate, promuovendo tra residenti e turisti la cultura gastronomica del territorio e della tradizione, creando anche non pochi problemi alla ristorazione. Sono sempre affollatissime, tra cucine, pentoloni, fumi e profumi.

Ma esiste, per chi non lo sapesse, anche la Sagra della Pastasciutta antifascista, che si tiene dall'indomani dell'arresto di Mussolini, avvenuto il 25 luglio del 1943, in ricordo della grande pastasciutta collettiva che la famiglia Cervi offrì a tutto il paese, distribuendola in piazza a Campegine per l’occasione. Seguirono molti mesi di ulteriori sofferenze per il popolo italiano, ma in quelle ore si festeggiò in tutta Italia la destituzione del Duce.
Da moltissimi anni, nei giorni di fine luglio, questa festa, popolare e genuina, rivive nell’aia del Museo Cervi di Gattatico (RE), mantenendo intatto lo spirito di quei giorni di effimera speranza.
Le Pastasciutte Antifasciste hanno poi conquistato altri territori e altre comunità, si sono estese in tutta Italia e sono diventate una rete di oltre settanta manifestazioni, idealmente collegate ai fratelli Cervi, unendo migliaia di cittadini di ogni età, in un comune sentimento di libertà.

Nel cimitero di Campegine riposano le spoglie dei sette fratelli Cervi: Agostino, Aldo, Antenore, Ettore, Ferdinando, Gelindo ed Ovidio, contadini innovatori, strenui oppositori del regime fascista, che li fucilò, il 28 dicembre del 1943, al Poligono di tiro di Reggio Emilia. I loro corpi furono rinvenuti nel cimitero di Villa Ospizio (RE) l’anno successivo, a seguito di un bombardamento. La storia della famiglia Cervi è poi assurta a simbolo del coraggio, della generosità dei contadini reggiani e della loro caparbia volontà di non piegarsi ad un regime totalitario e violento.
Anche una sagra “esportata”, di origine storica e politica e nata quasi spontaneamente, può servire a riproporre il ricordo di un vile fatto storico, di una assurda strage familiare, con gli stessi ingredienti di quella serata di Casa Cervi: una rievocazione della caduta del fascismo, tramite una semplice pastasciutta, a burro e parmigiano (altro non c’era), per tramandare la memoria dei valori della Resistenza e dell’Italia antifascista.

Soprattutto oggi, fra raduni di nostalgici del Ventennio, teste rasate, canti, saluti romani e una sfilza di negozi di souvenir, da Predappio allo stabilimento balneare di Chioggia - dedicato a Mussolini, dove si esaltano pure le camere a gas - che tirano a lucido le proprie ignobili vetrine con felpe, cappelli, tazze, bicchieri, coltelli, poster, bandiere, bandane, foto, cartoline, spille e calamite inneggianti al duce. 
Il folclore del disgusto. (Alfredo Laurano)

venerdì 28 luglio 2017

BENEFIT IN BARRIQUE

Dopo tre lunghi anni di invecchiamento e opportuno affinamento in un prezioso cassetto di rovere della Slavonia - quello delle barriques - è finalmente arrivata in aula di Montecitorio l’attesa legge sull’abolizione e la revisione dei vitalizi dei parlamentari (firma Richetti PD) ed è stata approvata a larghissima maggioranza, pur fra polemiche e attacchi pungenti e velenosi.
Festa, giubilo e tric ballac: nello stanco e avvilito Paese, tutti gli italiani, lavoratori, pensionati, studenti, casalinghe emarginate e disoccupati dimenticati - trasversalmente imbufaliti da quegli odiosi privilegi - sono commossi e felici per questo gradito venticello, che sembra spirare, era ora, in direzione di un atteso atto di giustizia sociale.

Ma non facciamoci illusioni.
Abbiamo avuto intanto il contentino, la soddisfazione di vedere riconosciuto un nostro legittimo desiderio di uguaglianza, una concessione ingiusta e non dovuta, un non diritto della Casta a fruire di un beneficio usurpato e discriminante, ma nessuno ci risarcirà della condizione di dover lavorare fino alla vecchiaia per andare a riposo, con quattro soldi di pensione.
Anche perché, e soprattutto, quando il provvedimento approderà al Senato e, quasi certamente, non sarà approvato (maggioranza risicata, assenze in aula, improvvise malattie), tra emendamenti ed eccezioni che lo rinvieranno alla Camera, in un piacevole, graditissimo viavai.
Per non parlare del possibile vizio di incostituzionalità per la parte retroattiva e dell’applicazione del nuovo calcolo contributivo.

Nessuno si priva di gustare un vino pregiato e barricato, nessuno è così folle da tagliare il ramo su cui sta comodamente seduto, anche se - comunque la pensiamo - non possiamo non prendere atto che i pentastellati hanno rinunciato a 42 milioni di euro di risarcimenti elettorali (già noti come finanziamento ai partiti) e a 22 milioni di diarie personali, vini compresi.
(Alfredo Laurano)

giovedì 27 luglio 2017

ZIO PAPERONE E LA FERILLA NIPOTINA

Forse arrivo un po’ in ritardo, ma volevo far sapere che anche a me - come a milioni di altre persone - la liquidazione di 25 milioni del signor Ferilli, alias Flavio Cattaneo, AD di TIM, (marito della “compagna Sabrina” (Poltrone & Sofà…chi po’, so’ o fa!), fa molto schifo.
Una così scandalosa buonuscita per poco più di un anno di sudatissimo lavoro!
Non mi pare che sia normale, che sia logico o morale.
Come, ovviamente, non lo è per i super calciatori, per i super piloti di Formula Uno, per i super cantanti, i super attori e le star da copertina.

Certe cifre che noi comuni mortali nemmeno riusciamo a immaginare o quantificare, sono un insulto al mondo del lavoro, a chi butta il sangue tutti i giorni, per una vita intera, in una fabbrica, in un ufficio, in un ospedale, in mezzo a una strada o a chi si prodiga per aiutare gli altri, per difendere e proteggere una comunità, per salvare vite umane. Magari per 1000 euro al mese!
E non venitemi a parlare di logica sovversiva o leninista, di facile populismo, di banale qualunquismo, di retorica ideologica o sessantottina!
È un ennesimo attentato all’idea di giustizia, di uguaglianza e di equità sociale che non appartiene a questo mondo, spietatamente liberista.

Qualcuno osserva, con pietà cristiana, che un bravo manager rilancia l’economia, salva un’azienda, difende l’occupazione, le famiglie e i posti lavoro. Merita di essere ben ricompensato.
E allora, chi studia per un’intera vita, chi promuove la ricerca scientifica, chi scopre una cura in medicina, chi contribuisce al progresso dell’umanità dovrebbe fare il bagno nell’oro e vivere di rendita come lo zio di Paperino?

Si, è vero, il più delle volte basta aumentare tariffe e bollette, ridurre le spese, spostare voci di bilancio o annunciare un vigoroso piano industriale, quasi sempre confezionato sulla pelle dei lavoratori - penalizzando, cioè, i loro diritti, imponendo nuove regole (orari, pause, straordinari, malattia, delocalizzazioni) - che preveda esuberi, mobilità o licenziamenti, perché le Borse premino il relativo titolo, perché aumentino ordini e commesse, perché crescano i profitti.
A tal proposito, va osservato che le altre categorie di nababbi di cui ho detto (sportivi, artisti e cantastorie) almeno non licenziano, non ricattano e non sfruttano nessuno, anzi creano una multiforme economia di riflesso e generano lavoro e guadagni, derivati o di ritorno, non proprio indifferenti.
Per fare solo un esempio, l’ultimo costosissimo film di James Bond, Spectre, determinò un indotto collaterale di sedici milioni di euro, riferito alle persone assunte, alle diarie, ai ristoranti, agli alberghi, ai noleggi, ai costumi, ai trasporti e a tutte le altre spese sul territorio, per le sole poche scene girate a Roma.

Tuttavia, va anche ricordato, che il capacissimo Cattaneo, già DG della RAI, già A.D. di Terna spa, già presidente di Fiera Milano, già tanto altro ancora, non è certo il solo Paperone della Disneylandia italica della vergogna.
Prima di lui, tanti altri “salvatori” di destini ed economie aziendali, pubbliche e private (Eni, Enel, Ferrovie, Alitalia, Monte Paschi), a trazione milionaria, si sono ben guadagnato il loro pane quotidiano.
Qualche esempio?
Cesare Romiti, con 106 milioni di euro e con 24 anni di lavoro. Alessandro Profumo, all’uscita da Unicredit ha avuto oltre 40 milioni, per 12 anni di attività. Matteo Arpe lasciò Capitalia con 37 milioni di liquidazione, per sette anni di attività. Luca Cordero di Montezemolo, uscito da Ferrari con 27 milioni dopo 13 anni.  Roberto Colaninno (Olivetti) con 17 milioni per 15 anni. Cesare Geronzi (Generali) con 16,7 milioni, per un solo anno di lavoro.
Magari qualcuno lo fanno senatore a vita e si becca pure il vitalizio.
Marchionne, che ha rifondato la Fiat, che vive a Toronto, a Detroit e in Svizzera, dove paga le sue tasse, per qualcun’altro (Berlusconi), dovrebbe fare il Presidente del Consiglio.

In ogni caso, quando i “salvatori” non riescono proprio a salvare, c’è sempre lo Stato pronto a intervenire col pubblico denaro e a soccorrere banche e aziende in decomposizione. 
Per questo, i mercenari del capitale e del mercato, senza cuore, senza politica, senza brividi o rigurgiti etici, buoni e pronti per chiunque e per tutte le stagioni, possono provare, sperimentare, scommettere, con cinismo e senza rischi.
Sono l’altra faccia del potere, che si rinnova e si confronta nelle sue proposte autoreferenziali.
Sono una razza a parte, quella dei nuovi padroni, quella della nuova aristocrazia, illuminata e lungimirante, che sostituisce quella che una volta veniva definita nobiltà.
(Alfredo Laurano)

martedì 25 luglio 2017

SON TUTTE BELLE LE MAMME DEL MONDO

In effetti, da Berlusconi, soprattutto prima maniera - ma anche ultima, fa poca differenza - ce lo saremmo aspettato e lo avremmo giudicato in linea con il personaggio e con la sua stravaganza populista.
Ma dal pupillo Renzi, tutto sommato, pure, viste le sue spericolate manovre e le sue scelte da funambolo politico, ispirate al suo amato predecessore che, spesso ha addirittura superato.
La creazione del “dipartimento mamme” è qualcosa che sa di nobile e di antico, ma anche di settario, di corporazione che profuma di ventennio, che punta al cuore fragile delle donne e al trionfo dei buoni sentimenti.
Una trovata pubblicitaria che offre una visione arcaica e moralista di un’idea di nucleo familiare superato e poco veritiero. Che ricorda e imprigiona la donna nel suo ruolo fondamentale di madre, anche se la donna non è solo questo.
Questa dimensione tradizionalista e per molti versi in evidente contrasto con la realtà contemporanea, riduce la donna al suo ruolo riproduttivo, tra padelle, ricamo e pannolini: l’angelo del focolare, che pulisce, lava, cucina, cresce e cura i figli. E anche il marito, quando c’è. E quando svolge, magari con il suo permesso, la funzione di padre. Ma è una variabile eventuale, di poco conto e poco necessaria.
“Non c’è alcuna equiparazione fra il concetto di donna e quello di mamma”, dice l’incaricata del progetto Titti Di Salvo che, dopo il fidanzamento con Eva Grimaldi, si è molto ammorbidita e che, con Gennaro Migliore, segue ormai la novella via del renzismo di ritorno.
“Questo è pregiudizio - prosegue la fondatrice di ArciLesbica e promotrice del World Pride nazionale - si crede che dietro a quell’etichetta scelta per la nuova struttura non ci sia un pensiero maturo sul ruolo della donna. Per noi la maternità non deve essere né un destino né una rinuncia, ma una libera scelta.”
E allora, di che si occuperà, il neo “dipartimento mamme”?
Presumibilmente, di politiche della famiglia, di conciliazione con i tempi del lavoro per entrambi i genitori, di interventi di carattere economico, della possibilità di avere bonus e sostegni pubblici all’infanzia o l’abolizione dei costi per gli asili nido, per il tempo pieno a scuola, per la cura degli anziani o della scelta delle donne se avere o meno un figlio, senza dover rinunciare al lavoro o alla stessa maternità.

Ma perché, allora, non valorizzare e prevedere, pariteticamente, apposite sezioni anche per i padri separati (sempre più poveri, senza casa o senza lavoro) o per le infide suocere, sempre nell’occhio del ciclone? O per i diritti civili dei diversi e nelle unioni civili?
Già, perché la polemica è proprio questa, ed è puramente semantica.
Visto che esiste pure un dipartimento “pari opportunità”, perché non chiamarlo dipartimento genitori o dipartimento famiglie?
Sui social network, dilagano le critiche e i commenti, conditi con sarcasmo e scetticismo. Per molti: “è una bieca operazione di marketing politico”.
“Renzi crede davvero che usare la “mamma” lo aiuterà a vincere le prossime elezioni?” “E il Comitato suocere che ne pensa?"
Qualcuno ipotizza iniziative promosse dal neonato dipartimento, quali organizzazione di corsi di cucina, di taglio e cucito o di come far felice il partner, con l’obbedienza e la fedeltà.

Demagogia spicciola, fumo agli occhi preelettorale, sottile strategia di mercato, mossa di astuta propaganda mediatica?
Renzi vuol fare il populista e nulla è più nazionalpopolare della mamma. Che ha un valore pesantissimo. Non a caso, Berlusconi (mamma Rosa) la citava spesso.
Perché, allora, non cambiare anche il nome del partito?
FORZA MAMMA, sarebbe perfetto. Anche perché ce n’è una sola, ma ce l’hanno tutti.

(Alfredo Laurano)

lunedì 24 luglio 2017

SUDATA MUSICA

Si è concluso ieri il 3° Summer Music Camp di Ladispoli - partito il primo luglio - con il bel concerto finale dell’Orchestra giovanile Massimo Freccia, diretta dal maestro Massimo Bacci: un progetto fortemente innovativo che permette a giovani artisti di crescere e di condividere esperienze sinfoniche della grande musica.
Nella prima parte, pomeridiana, sono state eseguite musiche di Vivaldi, Schubert e Saint-Saens, soliste la violista Clara Costa e la violoncellista Rebecca Ciogli.
Nella seconda, alle ventuno, il celebre concerto in Mi minore per violino e orchestra di Mendelssohn, solista Chiara Ascenzo, il concerto n. 5 in La magg. di Mozart, solista Clara Mariotti, il concerto in La min. per violino e archi di Bach, solista Beatrice Di Marziantonio, il concerto di Sibelius op. 47 e quello per flauto di Reinecke op. 287, solisti, rispettivamente, Giorgio Galli e Michele Forese.
Tutti brani impegnativi che i giovani concertisti hanno interpretato con professionalità, unita ad una fresca e solida musicalità che non smette mai di sorprendere.
L’intenso impegno quotidiano, lo studio continuo e la passione di ciascuno - che porta anche a trascrivere, in proprio (come ha fatto in pochissimo tempo il giovanissimo flautista Forese), tante irreperibili pagine di bella musica - non poteva aver risultati più sorprendenti, in repertori quanto mai difficili.

Resta il successo di una grande operazione culturale che dà lustro alla città di Ladispoli e appaga il sogno del maestro Freccia, cui è ispirata l’Associazione, e di sua moglie Nena, che è sempre stato quello di rendere fruibile a tutti, ed in particolar modo alle giovani generazioni, il messaggio universale della musica, ambasciatrice ineguagliabile delle più belle pagine sentimentali dell’uomo, come ha sottolineato, in più occasioni, il maestro Bacci.
Nonostante il caldo opprimente, un pubblico attento e interessato, ha riempito la Sala Polifunzionale di via De Begnac, accompagnando le varie esecuzioni con scroscianti applausi.
Questi giovani musicisti li meritano tutti.
Anche se non richiamano centinaia di migliaia di persone negli stadi.
 (Alfredo Laurano)


FUOCO, FIAMME E SICCITA’

Come spesso accade in stagione, l'Italia meteo si spacca in due: forti temporali al Nord, aria bollente - fino a 40 gradi - al Sud e sulle isole.
Correnti instabili dalla Francia portano pioggia su Piemonte, Lombardia, Trentino e Veneto, mentre l’anticiclone Caronte traghetta sole e caldo afoso, infuocando il resto del Paese.
Ma da oggi, arriva anche un po' di tregua, torna aria più mite.
Intensi nubifragi e grandinate, soprattutto sulle aree centro-orientali, e un calo termico (-7/8°) pronto a diffondersi sul resto d'Italia.
Intanto, continuano gli incendi: dopo alcune ore è stato spento quello che ha interessato un ampio tratto dell'A1 tra Roma e Orte.
L'autostrada, in presenza di denso fumo, è stata chiusa però per consentire le operazioni di bonifica. E per spegnere le fiamme, oltre alle squadre dei vigili del fuoco, sono stati impiegati anche due elicotteri e un canadair.

“E a Roma l’acqua sta finendo, si rischia la catastrofe ambientale”, dice Il governatore del Lazio Zingaretti, che lancia l’allarme e blocca i prelievi dalla riserva idrica del lago di Bracciano, a livelli sempre più bassi.
Nella capitale erogazione limitata.
Sott’accusa l’Acea per gli impianti colabrodo: siamo allo stato di calamità per siccità e incendi e ci sarà un piano di razionamento dell'acqua.

Ma, a completare l’opera e il disagio di milioni di italiani, scopriamo pure, con dolore, che D'Alessio e la Tatangelo sono in crisi, come lo stesso padano Salvini e la sua Isoardi.
Dove andremo a finire e qui, intanto, ancora non piove e ci chiudono i “nasoni”.
Improvvisiamo la danza degli indiani.
(Alfredo Laurano)

sabato 22 luglio 2017

QUELLA PROTESI SUL VISO

È noto che la maggior parte degli incidenti stradali è provocata dalla velocità e dalla distrazione alla guida, quella che, in qualche caso, fa dimenticare anche i bambini in macchina, come fossero pacchi o borse della spesa.
Ora, dopo aver infierito a lungo sugli automobilisti che andavano a 55 all’ora, con gli autovelox starati o più o meno segnalati, per fare rapidamente cassa, sembra arrivare il giusto pugno di ferro contro l’uso di telefonini in macchina, contro la guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, contro il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza e del casco.

Tolleranza zero, quindi e finalmente, per chi parla al telefono mentre guida, per chi fa manovre e retro marce col telefono incollato all’orecchio e una mano sul volante, per chi legge o scrive messaggini di urgentissime cazzate, per chi si fa i selfie allo specchietto, per chi si realizza e sopravvive con quella protesi sul viso.
Per questi imbecilli, pericolosi per sé e per gli altri e malati di smartphonite acuta e compulsiva, è prevista l’immediata sospensione della patente, per sei mesi, alla prima infrazione e il raddoppio delle multe.
Dovranno subire anche una decurtazione di 5 punti, oltre ad una sanzione pecuniaria che va da 160 a 640 euro. Per chi viene sorpreso al telefonino la seconda volta, la sanzione passerà da 320 a 1300 euro circa. Anche il taglio dei punti raddoppierà in caso di recidiva.

Tutti speriamo che questo inasprimento di pene costituisca un vero deterrente a un’abitudine assai diffusa e pericolosissima, anche se, almeno fino ad oggi, sono stati abbastanza rari i casi di controlli a tappeto e di interventi mirati a reprimere il dilagante fenomeno. (Alfredo Laurano)

venerdì 21 luglio 2017

MA NON CHIAMATELI MAFIOSI

Ladri, corrotti, delinquenti e criminali: ma non chiamateli mafiosi, potrebbero offendersi e, magari, querelarvi.
Buzzi, Carminati e una folta schiera (46 imputati) di mezzi politici, intrallazzatori e amministratori vari (del PD, del PDL, dell’Ama) sono stati condannati, rispettivamente a 19 e 20 anni, per un totale di oltre 500.
Ma è crollata l’accusa di associazione di mafia. Lo hanno stabilito i giudici della X sezione penale di Roma, a conclusione del processo a Mafia Capitale.
Dunque, esclusa quella di stampo mafioso, è stata riconosciuta quella semplice, quella a delinquere, quella semplicemente criminale: ah, beh, vuoi mettere, è tutta un’altra cosa… moralmente fa molta differenza.

Nell'aula bunker di Rebibbia, si è ribadito quindi che il sodalizio criminale che faceva capo a Massimo Carminati e a Salvatore Buzzi non aveva saldi legami con esponenti della 'ndrangheta, della camorra o della mafia classica, ma solo con i cosiddetti “mondi”: quello di sopra (quelli che contano, la politica, il Potere), quello di sotto (i disperati, i poveracci e la manovalanza) e quello di mezzo, che sta fra i due.
“Ci sono i vivi sopra, i morti sotto e noi in mezzo - aveva detto, intercettato, Carminati tre anni fa - tra il mondo di sopra (quello della politica) e quello di sotto (quello della criminalità), c'è un mondo in cui tutti si incontrano, quello di mezzo, dove siamo noi, dove è anche possibile che io mi trovi a cena con Berlusconi”.

Affaristi, faccendieri, alta finanza, istituzioni, tutti a inseguire lo stesso obiettivo: la conquista del tesoro, del bottino da spartire. Con la “corruzione capitale” e, preferibilmente, non con la violenza, perché la prima non fa rumore e passa quasi sempre inosservata.
Me li sto a comprà tutti!” - diceva ancora il boss, tra una mazzetta e l’altra.

È l’evoluzione della politica che si mette al servizio della criminalità.
Ma senza indossare gli abiti mafiosi, quelli che avrebbero portato forse al carcere duro, al 41 bis, alla esclusione dei benefici di legge che, invece, in questo caso daranno sicuramente ai condannati la possibilità di sconti di pena, di libertà anticipata, di lasciare le sbarre molto prima del previsto. 
Senza considerare, poi Appello e Cassazione.
(Alfredo Laurano)




giovedì 20 luglio 2017

E' D'OBBLIGO

A nome della corporazione dei “professori, dei giuristi e degli intellettualoidi falliti”, chiamati in causa da soggetti arroganti e presuntuosi che, su queste pagine di pubblico dibattito (Verità e Giustizia per Marco Vannini), sparano granate di ignoranza e maleducazione, offendendo chi si permette di avere un’idea diversa dalla loro, vorrei precisare che:
fermo l’insopprimibile diritto di pensare ed esprimersi in assoluta libertà, come e quando lo si voglia, nessuno, e tanto meno lo scrivente, intende dimostrare di conoscere la lingua italiana, né sforna parole “forbite” per creare effetti speciali. Semplicemente, usa il proprio linguaggio per comunicare, come chi invece usa disegnini, geroglifici o suoni gutturali. Non siamo in accademia, a un esame o a un telequiz. E nemmeno nell’era primitiva.

Non spetta a me sciogliere i dubbi sulla dinamica dei fatti che hanno portato alla morte di Marco: per questo esistono i Tribunali ed i processi. La Giustizia deve fare il suo corso e arrivare alle giuste condanne.
Non ha senso, ribadisco (e questo, per chi non l’avesse compreso, era lo spirito vero e unico della mia riflessione), accostare e confrontare casi diversi, ognuno nella sua specificità, per sottolineare che Bossetti, Bonincontri, Parolisi, Sorgato e tutti gli altri stanno in galera e i Ciontoli ancora no. È un obbrobrio giuridico e, prima ancora della logica e della razionalità.

Come pretestuosa e ricorrente è l’affermazione banale e qualunquistica di chi ancora si compiace di ricordare, ritenendo di suscitare presunte crisi di coscienza, “vorrei vedere se fosse stato tuo figlio!” Tutti siamo genitori, tutti ci identifichiamo, tutti vogliamo bene a Marco e alla sua famiglia, ma la legge prescinde dai ruoli sociali di ciascuno.

In conclusione, invocando ancora l’inalienabile diritto alla pacifica convivenza delle idee e il dovuto rispetto della civiltà umana e giuridica, vorrei rassicurare qualche saccente sconosciuto che qui nessun amico (né Andrea, né Rosy Bindi, né altri) intende “fare il fenomeno” sulla pelle di una innocente vittima, sacrificata sull’altare della stoltezza e della malvagia pochezza umana.

Nessuno si abbasserebbe a forme di speculazioni così grette e meschine. Marco avrà comunque giustizia. (A. La.)

mercoledì 19 luglio 2017

CERCANDO GIUSTIZIA

Mi domando e vi domando: oltre a pubblicare una pletorica antologia di figurine, madonne, santini, fiori, mari, stelline e cuoricini luminosi, perché mai questo nutrito e stravagante gruppo (Giustizia e Verità per Marco Vannini) che insegue la verità vera, che vuole, cerca e pretende giustizia per il vile omicidio di Marco, che sostiene la sua provatissima famiglia, non riesce - in generale o in molti casi - ad esprimere pareri, pensieri e considerazioni oggettive, logiche e rispettose di tutti gli altri fatti di cronaca e di attualità che la vita e la società delle contraddizioni ci riservano o ci pongono all’attenzione quotidiana?

Perché mai ogni caso, ogni episodio di pubblico interesse - ultimo quello di Bossetti e con la conferma in appello della sua condanna - debba fare da contraltare alla vicenda tragica di Marco? Debba costituire un costante e imprescindibile termine di paragone con qualsiasi altra situazione giudiziaria?
Perché giudici e tribunali, che applicano le condizioni di garanzia di legge, devono vergognarsi delle loro decisioni impopolari?
Perché alcuni avvocati non dovrebbero difendere presunti assassini?
Perché “gli altri” vengono condannati e il clan dei Ciontoli è ancora in libertà?
Tutto ciò è veramente assurdo e singolare, per non dire patetico e infantile.

Come se l’amministrazione della giustizia fosse una scelta occasionale o umorale, un fatto di sport, di tifo cittadino, una disputa familiare o da osteria, una cosa da decidere al televoto o a colpi di sondaggio.
Come Cristo o Barabba libero, come la legge del taglione, come la forca del Far West.
Come l’insostenibile fascino della superficialità.
(Alfredo Laurano)

martedì 18 luglio 2017

ABITO IN COLLINA E ME NE FREGO

Mentre ancora si discute sul "Aiutiamoli a casa loro", di Renzi nelle vesti improvvisate di Salvini, continuano gli arrivi nel Sud Italia.
La nave di Medici senza Frontiere, con 935 migranti a bordo, è attraccata a Salerno: 793 uomini. 125 donne (di cui sette in gravidanza e una in travaglio e 16 minori, di cui due neonati). Durante lo sbarco una donna nigeriana ha intonato un canto di preghiera del suo Paese che ha suscitato l'emozione dei presenti, con l'applauso dei migranti, dei soccorritori e di tutti i presenti sul molo.

850 persone sono state salvate nel Canale di Sicilia del guardapesca Acquarius, della Sos Mediterranee. 
Sull'imbarcazione, durante il trasporto, è nato un bimbo, il piccolo Cristo. 
La nave ha poi attraccato al porto di Brindisi.
A Catania è arrivata la nave della Guardia Costiera, con a bordo 1.428 profughi, salvati in diverse operazioni nel mare davanti alla Libia.
A Vibo Valentia è attraccata la nave di Save the Children con 550 persone.
Al porto di Crotone, una nave con bandiera norvegese, con a bordo 1.200 persone.
Domani sono già previsti altri arrivi: 620 migranti a Bari, 900 a Corigliano Calabro.
Effettuate le operazioni di sbarco, di identificazione e assistenza, i migranti dovranno poi essere smistati in varie parti d’Italia.

Intanto, secondo fonti Ue, nonostante le questioni sollevate dall'Italia su dove portare i migranti salvati in mare, i ministri degli Esteri dell'Unione europea nella loro riunione di lunedì non dovrebbero modificare le relative regole. Come dire: aiutateli a casa vostra!
Cioè, ancora una volta, se ne fotteranno alla grande.

Quasi come lo spregiudicato Vittorio Feltri che, senza vergogna alcuna dichiara in TV: “io personalmente me ne frego degli immigrati. Abito in collina a Bergamo, in mezzo al verde: a me che mi frega dei migranti?
Però quelli che stanno a Quarto Oggiaro e hanno a che fare con questi signori di colore, magari se ne fregano meno di me.
Io me ne sbatto proprio dei migranti, ne arrivino quanti ne vogliono. Ho 74 anni, tra qualche anno sarò morto, ma che cazzo me ne fotte a me degli immigrati?"

Una posizione politicamente discutibile e moralmente volgare che, pur squarciando il velo di tanta ipocrisia, avvilisce soprattutto lo sforzo e il coraggio di tanti volontari, offende chi si impegna a soccorrere, assistere e curare, insulta chi si prodiga per salvare vite umane.
Razzismo, strafottenza e fiero menefreghismo di mezza collina bergamasca: continuiamo a diffonderlo in TV, a piene mani.
Anche se lo stesso personaggio ha aggiunto: Non invitatemi più, questi discorsi politici mi hanno rotto i coglioni in un modo pazzesco e io devo andare a cena".
 15 luglio 2017 (Alfredo Laurano)


BASTA UNA CICCA E UN PO’ DI VENTO

Mezza Italia brucia, da nord a sud. I suoi boschi e le sue valli sono in fiamme. 
Per caso, per il troppo caldo, per auto combustione, per volontà di malati e capriccio di piromani o per dolo scientifico e premeditato?
E poi scopri che i Canadair e gli elicotteri antincendio sono gestiti da privati!  E ti rendi conto che gli incendi fanno girare tanti, ma proprio tanti soldi!

Lo scrive Gherardo Chirici, professore associato di Inventari forestali e telerilevamento presso l'Università di Firenze.
I Canadair che in questi giorni sorvolano l’Italia e, in particolare, la Sicilia, il Mezzogiorno e il Centro (Roma e litorale laziale), per spegnere gli incendi al costo di 14 mila euro l’ora, sono gestiti da privati. La stessa cosa riguarda gli elicotteri per il salvataggio e la lotta agli incendi.
Poi ci sono anche i poveri pompieri che si fanno in quattro e in mille per salvare ambiente, case, uomini e animali.

“Non tutti forse sanno – scrive il docente universitario – che questi servizi di soccorso dal cielo (la nostra famosa flotta di 19 Canadair, così come la maggior parte di quella degli elicotteri) è data in appalto, ogni anno, dai Vigili del Fuoco, dalla Protezione Civile e da altri enti. I contratti se li aggiudicano sempre le stesse ditte”.
Tant’è, che dopo aver osservato un campione di 18 gare d’appalto, è intervenuta l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Ma, se non ci fossero più roghi, queste ditte che vendono i loro servizi di antincendio otterrebbero ancora i loro appalti milionari?

Sono decenni che molte di queste fiamme sono provocate da addetti ai lavori di spegnimento.
Prima c’era la speculazione di chi cercava spazi nuovi per costruire, si moltiplicavano i singoli piromani, gli imbecilli criminali che si divertivano al barbecue della natura o gli stagionali che cercavano la riconferma del posto di lavoro e provocavano gli incendi per poterli spegnere. Poi sono arrivati gli elicotteri e gli aerei.
E il business si è fatto assai più interessante.
Basta una cicca già fumata per incassar milioni.
(Alfredo Laurano)

AL DI LA’ DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO

Quello che sarebbe il più grande errore giudiziario del secolo - secondo Bossetti - si è dunque consumato. In appello, la condanna all’ergastolo del muratore di Mapello è stata confermata, pur dopo quindici ore di camera di consiglio. 
Giudici, togati e non, presumibilmente spaccati e non del tutto completamente convinti della sua colpevolezza. Come, peraltro, la stessa pubblica opinione, diversamente schierata, come sempre e come è naturale che sia, in questi casi eclatanti e coinvolgenti. Anche se ciò non conta, ai fini di giustizia.
O forse si, almeno in parte, in qualche caso e per qualcuno.

È innegabile che lo strapotere mediatico, le sue luci della ribalta, il variegato circo degli opinionisti, i pareri delle criminologhe disponibili e piacenti, le meticolose trasmissioni TV, i giornaletti di gossip che scavano nei segreti familiari, tra le pieghe dei sentimenti e dei pregiudizi, non possono non avere un certo ruolo e un certo peso nella formazione di un giudizio, sia pure inconsciamente.
E ciò vale per tutti, per chi ne discute al bar, con gli amici o in famiglia, ma anche per chi è chiamato a decidere della sorte e della vita di un uomo, accusato di un efferatissimo delitto.

Anch’io, ovviamente, non so se Bossetti sia colpevole o innocente: non conosco gli atti e le carte processuali, le posizioni convinte dell’accusa e della difesa, le reali prove regine del Dna - apparentemente incompleto o parziale - dei passaggi del furgone bianco, dei residui di fibra dei sedili. Né il quadro psicologico reale dell’imputato, le dinamiche familiari e ambientali di una storia assurda, quanto incredibile, che, attraverso un complesso sistema di ricerca genetica e di indagine fra vivi (la madre Ester, con la sua avventura extra coniugale) e defunti (il suo presunto padre biologico Guerinoni) ha portato alla scoperta di “ignoto uno”, fra migliaia di possibili individui. Naturalmente, grazie alle sofisticate tecniche investigative dei Ris, dei Ros, di genetisti di fama e consulenti specialisti, spesso, però, in antitesi e in disaccordo tra loro.
Di conseguenza nascono o restano dubbi, domande lecite e perplessità che creano ansia, soprattutto, in chi deve giudicare e condannare, “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Per questo, anche alla luce delle continue dichiarazioni di innocenza, di estraneità al delitto e al racconto, pur suggestivo, di sé stesso, pronunciato con inaudito impeto dal condannato, mi permetto di pensare che, forse, la super perizia, ripetutamente richiesta dal collegio difensivo di Bossetti, avrebbe potuto essere accolta, proprio per fugare ogni possibile incertezza.
Si sarebbe perso o impiegato solo un altro po’ di tempo che, di fronte a un ergastolo poco, comunque, avrebbe significato.
Ma la pubblica opinione non può e non deve aspettare, deve aver subito fra le mani e fra i pensieri il suo mostro da punire e detestare, da rinchiudere dietro le sbarre della propria immacolata moralità.
 (Alfredo Laurano)

venerdì 7 luglio 2017

TIMBUKTU, PER CAPIRE DI PIU’

Da una parte, la tranquilla vita quotidiana della popolazione nella città di Timbuktu, in Mali, dall’altra il folle regime degli jihadisti, che impongono la sharia, attraverso una serie di divieti.
L’Islam normale, pacifico e moderato da una parte, il fondamentalismo religioso e ottuso dall’altra.
Tutto è proibito. Non si può fumare, non si può cantare, suonare o ascoltare musica, non ci si può sedere davanti l’uscio delle case, né giocare al calcio. Le donne devono indossare il velo e i guanti (anche nel lavoro e per pulire il pesce).
Frustate a volontà per tutti. 
L’adulterio è punito con la lapidazione: una coppia di fedifraghi viene interrata fino al collo e colpita nella faccia e nella testa, che fuoriesce, da continue sassate, fino alla morte. 
È la civiltà e la volontà del loro Dio.

Questo il contrasto stridente che il regista africano, Abdurrahman Sissako, racconta e mette in evidenza nel suo bel film Timbuktu, girato nel 2014 (nelle sale, nel 2015), messo in onda ieri sera da Raitre.
Un dualismo incomprensibile e sconvolgente, non solo agli occhi del mondo laico e occidentale, che convive in anime diverse, pur dello stesso credo.
Ma lo fa con garbo, con delicatezza e quasi con rispetto, senza rabbia, né clamore spettacolare. Non sceglie il sensazionalismo, la crudeltà delle immagini e delle situazioni, il resoconto della violenza: sarebbe la strada più semplice, più immediata, più diretta alla pancia dello spettatore
È, invece, un invito a prendere coscienza, a capire a fondo il dramma delle popolazioni musulmane vessate e represse da altri islamici, in nome di un Allah, prepotente, vendicativo e intollerante.

Ogni sequenza è comunque pervasa da una forte intensità emotiva, dove l’orrore è sempre presente sullo sfondo o in posizione defilata. Ogni scena è carica di tensione, ogni fotogramma racchiude i piccoli gesti delle attività umane, regolate dal tempo naturale, dall’alternanza del giorno e della notte.

Come la drammatica storia di Kidane e della sua semplice famiglia, che vive fra le dune del deserto in una tenda, con i suoi buoi e con i suoi sani sentimenti, non lontano dalla città, invasa e controllata dagli usurpatori integralisti.
Come la straordinaria partita di pallone, su un campo sabbioso, dove i giovani calciatori corrono, scattano, dribblano, colpiscono di piede e di testa, tirano in porta, segnano, parano in tuffo, esultano…immaginando di giocare.
Ma il pallone non c’è, è nella loro fantasia.

Quella vita in armonia con la natura, con il paesaggio e con altri esseri viventi, che si scontra ripetutamente con il dogma che diventa legge, rappresenta il dramma di intere popolazioni di fronte alla barbarie di un potere perverso che giudica, pregiudica e punisce e di una visione religiosa, ferocemente intollerante e ipocrita, imposta dal suono dei kalashnikov.
Che consente agli stessi suoi interpreti e aguzzini di fumare, di danzare sui tetti, di parlare di calcio, di ridere, cantare e di abusare di donne e fare sesso mercenario.
Fra proclami e devozione, fra telefonini, motociclette e pick-up che scorrazzano nel deserto.
(Alfredo Laurano)


lunedì 3 luglio 2017

FANTOZZI DA CAPANNA

Tutti ricordano Paolo Villaggio, che si è spento oggi in una clinica romana, come attore, comico, sceneggiatore e scrittore. In pochi, come politico.
È stato iscritto al PCI e a Democrazia proletaria, di cui fu candidato nel 1987; poi lo fu con Pannella nel 1994.  Nel 2103 annunciò il suo voto a favore del Movimento 5 Stelle, motivando il fatto che il suo amico Beppe Grillo fosse l’unico a rappresentare un cambiamento vero per una classe politica.

Voglio raccontare il mio incontro con lui.
Era, appunto, il 1987, credo una sera di maggio, quando ci ritrovammo presso un noto bar-ristorante-dancing (forse il “Boomerang”), sulla via Aurelia, per promuovere la campagna elettorale di Democrazia Proletaria, guidata da Mario Capanna.
Il papà del ragionier Fantozzi, candidato nel collegio del Lazio, fece una semiseria introduzione, parlando di politica a modo suo, di partiti che si dicono cattolici e di quello strano gruppo di proto-cristiani di DP, “una piccola setta illuminata da uno spirito che, da molti anni, in Italia manca. Un partito che ispira simpatia e fiducia. Il più debole, il più povero, l’unico partito però davvero cristiano in un paese che convive con la Chiesa da duemila anni”.

Poi, indicandomi col dito, disse: “tu, compagno amico con la barba, venghi, venghi qui, che ti devo parlare…”
Il mio amico Mimmo, che mi sedeva accanto in prima fila, mi diede una spintarella, dicendo “vadi, vadi!”
- “Secondo te, mi chiese con inconsueta solennità il Paolo, perché mi sono candidato proprio con DP?”
- “Perché sei di Sinistra, perché te l’hanno chiesto e per portare un po’ di voti a questo povero partito”, risposi titubante.
- “Bravo, risposta esatta, anche perché, se avessi voluto far parlare di me e di promuovermi come clown, avrei scelto forse partiti di potere. Ciao, e non ti dimentichi di votarmi,” disse abbracciandomi.

Subito dopo, rivolto a tutti, aggiunse
se sceglievo il PCI, mi garantivo un funerale alla Guttuso, “invece ho scelto DP perché quell’anima francescana che abita con me ha deciso di venire allo scoperto. E con questo vi abbraccio tutti, cristianamente anche”.
Prese 8.000 preferenze, cinque in meno del primo eletto.
Il funerale, non credo glielo faranno a S. Pietro, come avrebbe desiderato e come spesso aveva ironicamente dichiarato.
(Alfredo Laurano)