giovedì 31 gennaio 2013

UMANITA' STUPRATA


Sarà che con l’età ci si emoziona più facilmente e ci si commuove davanti al sorriso di un bambino, allo sguardo languido di un cane o a una vecchia foto dei bei tempi andati! 
Sarà che la sensibilità, più o meno innata o acquisita nel tempo, incalza e rimuove il cinismo giovanile. 
Sarà che l’esperienza, la saggezza e il disincanto inducono a una maggiore comprensione degli altri, alla tolleranza e a una più forte   solidarietà. 
Sarà il crescente bisogno di partecipazione per non sentirsi esclusi, soli e abbandonati. O sarà l’ansia della vita e la paura di lasciarla…!
Comunque la mettiamo, basta poco a creare un turbamento, a far bagnare gli occhi. In certi casi, poi, il pathos è ancor più giustificato.

Ci sono dei film che, per genere e significato, hanno in me un violento impatto rabbioso, la cui reazione stento a trattenere. Sono quelli che raccontano la vergogna dell’umanità: l’orrore dell’olocausto, delle persecuzioni razziali, delle deportazioni e dello sterminio, ad opera delle belve naziste.
In questi giorni, in occasione della giornata della memoria, ho rivisto o ricordato alcuni grandi film come Schindler’s List, come Train de vie, come Fuga da Sobibor o Vento di primavera, senza dimenticare La vita è bella di Benigni.

La tensione, lo schiaffo lancinante, il disgusto sono stati ancora e sempre atroci e dirompenti,  come la cattiveria di chi, abusando della forza e del potere, distrugge sentimenti, sogni e dignità, strappa i figli alle proprie madri e si arroga il diritto di  decidere come e quando toglier la vita a milioni di persone, a bambini innocenti ed indifesi.

La rappresentazione del male, della violenza, della crudeltà, della ferocia è molto spesso più efficace, più acuta,  straziante e sconvolgente della stessa realtà che icasticamente racconta, che descrive o raffigura.
Nel cinema, la cui forza evocativa è ancora straordinaria, la narrazione attraverso  immagini, suoni, montaggio e inquadrature suscita potenti emozioni e coinvolge, in un tutt’uno, la mente e tutti i sensi di chi guarda.  Fino a svolgere, come il teatro, anche un effetto catartico, determinato da un rapporto osmotico di proiezione, di identificazione e di profonda empatia.  Questa spontanea capacità di compartecipazione, di condivisione degli stati d’animo, di immedesimazione in persone e situazioni, fino a coglierne reazioni e  sofferenza, crea un forte dolore dello spirito e, nel mio caso (ma non solo), anche del corpo e dei neuroni.
Di fronte  a tanto orrore e brutalità, sento salire, progressivamente,  un furore e una rabbia repressa che si trasformano subito in autentico malessere fisico: affanno, fitte, batticuore, alterazione e irrequietezza. Sento nascere l’angoscia, la pena e una voglia irrefrenabile di fare qualcosa, di menar le mani, di intervenire, di proteggere, di salvare, di cancellare quel tormento, di uccidere il mostro criminale. È un impulso che scuote forte la coscienza e porta a rispondere con violenza alla violenza cieca, a reagire con la forza in quello scenario brutale e  sanguinoso che annuncia al mondo la tragedia dell’umanità stuprata.
Questa conflittualità rimette in discussione le ragioni della civile convivenza, dei principi del pacifismo e della non violenza, del rispetto della vita di chiunque, fino a giustificare, per ineluttabile necessità, una reazione giusta di legittima difesa dei popoli e della libertà contro l’atrocità di ogni forma di nazifascismo, di barbarie, di  ogni totalitarismo, di ogni  guerra o genocidio, di ogni crimine contro l’umanità.
Del resto, anche Gandhi affermò che “uccidere può essere un dovere…!
30 gennaio 2013                                                                     AlfredoLaurano


UNA CURIOSA TEORIA ECONOMICA

Nel giugno 2008, quando l'amministrazione Bush ha studiato un progetto per aiutare a rilanciare l'economia americana, Marc Faber - analista di borsa, uomo d'affari e imprenditore di successo - ha scritto nel suo bollettino mensile un commento con molto umorismo:

"Il governo federale sta valutando di dare a ciascuno di noi una somma di 600,00 USD. Miei cari connanzionali americani: 

Se noi spendiamo quei soldi al Walt-Mart, il denaro va in Cina. 
Se noi spendiamo i soldi per la benzina, va agli arabi.
Se acquistiamo un computer, il denaro va in l'India.
Se acquistiamo frutta, i soldi vanno in Messico, Honduras e Guatemala.
Se compriamo una buona macchina, i soldi andranno a finire in Germania o in Giappone.
Se compriamo regalini, vanno a Taiwan, e nessun centesimo di questo denaro aiuterà l'economia americana.

L'unico modo per mantenere quel denaro negli Stati Uniti è di spenderlo con puttane o birra, già che sono gli unici due beni che producono ancora qui. Io sto già facendo la mia parte...."

Risposta di un economista italiano, anche lui di buon umore:
"Carissimo Marc, La situazione degli americani diventa realmente sempre peggiore. Inoltre mi dispiace informarla, che la fabbrica di birra Budweiser recentemente è stata acquistata dalla multinazionale brasiliana AmBev.
Pertanto, Vi restano solo le puttane. 
Ora, se queste (le puttane) decidessero di inviare i loro guadagni ai loro figli, questi soldi arriverebbero direttamente al CONGRESSO DEI DEPUTATI ITALIANI qui a Roma, già che qui esiste la maggior concentrazione di figli di puttana del mondo."
Ma quanto schifo c'è in questo paese?
E' un oltraggio alla storia, alla memoria, al dolore di tanti.
Ma, soprattutto, alla coscienza di ogni essere umano che prova vergogna e ribrezzo per questi rifiuti viventi della natura che sono e rappresentano la continuità in decomposizione di quei mostri dell'orrore che li hanno preceduti nello sterminio e nell'abominio della ragione.  
A. La.
 TORINO, SVASTICA NERA SU LAPIDE PARTIGIANI

Una svastica, di vernice nera, è stata realizzata a Torino su una lapide dedicata a quattro partigiani. Accanto, con la stessa vernice, alcuni insulti. L'oltraggio risalirebbe a ieri pomeriggio, nel Giorno della Memoria. Sul caso indaga la Digos. La lapide è quella tra via Ala di Stura e via Reiss Romoli, nel parco Rubbertex. Ricorda i nomi dei partigiani uccisi nelle stragi del maggio 1944 e dell'aprile 1945.
                                                                                              ANSA


domenica 27 gennaio 2013

IL PANE QUOTIDIANO


Siamo in piena campagna elettorale. O, meglio, lo sono partiti, movimenti, liste improvvisate, candidati, portaborse e galoppini, sostenuti e guidati da carismatici guru del marketing e da carestosi maghi della comunicazione. Che analizzano linguaggi e comportamenti, disegnano strategie e studiano sottili tecniche di persuasione e propaganda per catturare quelli (tanti) della nutrita fronda di agnostici e indecisi. Che commissionano sondaggi tutti i giorni, prima e dopo ogni promessa, ogni starnuto qualunquista o trovata populista acchiappa voti.

I pretendenti al seggio in parlamento - come prescritto da questi epistemologi del voto sui prontuari e vademecum del bravo candidato - si accusano e si insultano a vicenda nelle piazze mediatiche, si sfidano sul Web e in noiose risse televisive tra presentabili e impresentabili, tra imputati  e condannati, tra facce vecchie, facce nuove e facce fatte fuori e scandidate, per le  supreme ragioni di partito.
Poi, c’è chi fugge con le liste, chi giura vendetta e minaccia rappresaglie, chi sputtana, chi rinnega, chi tradisce, chi si vende sottobanco. Come prima e come sempre: il solito mercato delle vacche, l’antica fiera delle falsità e dell’ipocrisia.

A questo hanno di fatto ridotto la politica: da nobile arte di governare la società per il bene di tutti, a sfrenata rincorsa per conquistare, esercitare e mantenere il potere a tutti i costi. Ovviamente, “nell’interesse del popolo italiano!”

Da qui, nasce e prolifera l’antipolitica: un diffuso sentimento di avversione dei comuni cittadini nei confronti delle bassezze e dei troppi privilegi della classe “onorevole” (corruzione, sprechi, stipendi e vitalizi, auto blu e infinite gratuità assicurative, sanitarie e di servizi). Un rancore e un dissenso contro il sistema che conduce all’astensionismo elettorale, alla delegittimazione della totale classe politica e al crescente successo dei movimenti di protesta e neopopulisti che cavalcano l’onda dell’indignazione popolare e accentuano il senso di estraneità e di rifiuto della politica tradizionale.

Tale ostilità nei confronti dei partiti iniziò a diffondersi all’epoca di “mani pulite”, più di vent’anni fa, fino a dilagare in breve tempo nell’ assoluto  disprezzo per la “casta”  e nello schifo profondo per la politica come professione. Il forte disgusto, oggi, è ancor più amplificato da  alcune evidenti e innegabili ragioni:

-le continue ruberie, gli abusi, la corruzione e la sottrazione di denaro pubblico;
-la crisi economica e quindi del lavoro, dei salari, del welfare e dei consumi;
-la disoccupazione, lo sfruttamento, la precarietà e il potere d’acquisto dimezzato;
-l’insopportabile tassazione che spreme imprese e cittadini, ma non colpisce    speculatori, evasori e patrimoni occulti.
-l’aumento delle disuguaglianze e la mancata redistribuzione del reddito;
-le politiche di austerità e rigore che minano alla base ogni possibilità di crescita e ripresa.

La gente è ormai esasperata e gonfia di furore. Incalza l’odio sociale e incombe una rinnovata lotta di classe, ma non solo di quella proletaria di una volta.

Aumenta sempre più il divario tra ricchi e poveri e  la ricchezza si concentra in nelle mani fortunate di pochi eletti per casato o per lignaggio, o di avventurieri, senza scrupoli e bandiere, con residenza all’estero e capitali protetti in felici paradisi fiscali.

Per tutti gli altri sulla barricata, non coperti e garantiti, la disoccupazione spinge alla fuga o a soluzioni ancor più estreme; le piccole imprese chiudono ogni giorno soffocate dai debiti e da banche che non danno credito, le famiglie quasi rinunciano a mangiare, le pensioni sono bloccate e non si adeguano al costo della vita, il ceto medio scivola progressivamente verso la nuova povertà.

E i partiti cosa fanno?
Fanno la campagna elettorale! E come tutte le campagne di guerra provocano  “morti e feriti”, dispersi e disertori ma, soprattutto, comportano un indecente spreco di denaro pubblico e di finanziamenti equivoci o assai sospetti.
Milioni e milioni di euro buttati e sperperati dalla stragrande maggioranza dei contendenti alla poltrona che, per farsi votare, promettono l’abolizione dell’Imu, la riduzione delle tasse, una soluzione per gli esodati, l’ennesima riforma delle pensioni, nel disinteresse totale ai reali problemi del paese.

In questi giorni di chiacchiere, di numeri e promesse seducenti, fra le tante storie di ordinaria indigenza che raccontano di persone alla continua caccia di sconti, che comprano il pane del giorno prima e  prodotti in scadenza a metà prezzo, che dividono la casa, le spese e le bollette o di laureati che fanno il cameriere nei pub a 400 euro al mese, due vicende mi hanno particolarmente colpito.

Nel self-service di un ipermercato di Mestre, un distinto signore ha atteso che una famiglia finisse di pranzare per avvicinarsi, sedersi a quello stesso tavolo e mangiare gli avanzi dei piatti nei vassoi.

A Roma, da diversi mesi, davanti al Verano, alcuni cittadini vivono nelle roulotte, con assoluta discrezione. La mattina vanno al lavoro. La sera si rintanano lì, al freddo, a custodire la propria dignità. Usano i bagni del cimitero, l'acqua delle fontanelle, silenziosi e abbandonati. Sperano di non essere riconosciuti. 
Hanno uno stipendio o una pensione, ma non bastano per pagare una casa.

Due soli tristi esempi, fra i tantissimi che ognuno può testimoniare, di situazioni vergognose sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno nota più, o vede con distacco e indifferenza. A cominciare dalle istituzioni, assenti e prese dai giochi di potere.

Ci stiamo abituando al peggio nel paese degli scandali, degli sprechi, dei privilegi e della corruzione. Ma miseria, precarietà, insicurezza, rabbia, disagio e delusione in qualche mare dovranno pur sfociare! 
L'assalto ai forni di memoria manzoniana?

Siamo tornati poveri, dicono i dati Istat. Ma non ancora di mente.
Ricordiamolo quando andiamo a votare.
 26 gennaio 2013
                                        AlfredoLaurano   

      

GIORNATA DELLA MEMORIA



venerdì 11 gennaio 2013

"SO’ SEMPE PAROLE D’AMMORE”



Ebbene si, sono stato veramente ingenuo a pensare, insieme a tantissimi altri però, che Silvio, prima o poi, avrebbe abbandonato l’arena di Santoro. Avevo scritto: “…ferito nell'orgoglio e nel carisma, s'alzerà e se ne andrà....da martire, da vittima e da eterno perseguitato!” Si sono fatte migliaia di scommesse sulla stampa e nell’opinione pubblica sul come e sul quando ciò sarebbe avvenuto.

Ma abbiamo sbagliato tutti perché non abbiamo semplicemente considerato che non sarebbe convenuto a nessuno: a Santoro in termini di audience e nel goloso ruolo super partes e garantista e di affidabilità democratica; a Berlusconi per dar prova di rinnovato vigore,  presenza e ritrovato coraggio nella pericolosa disfida, in campo avverso.
E così si sono reciprocamente contenuti e autolimitati, evitando eccessi, polemiche sterili e intollerabili provocazioni.

Non se ne è andato per niente, anzi, dopo un inizio prudente e guardingo - fase di studio dell’ambiente e dell’avversario - un po’ teso e accigliato nei tratti del viso, ha ostentato via via sicurezza e disinvoltura, fino ad essere a suo agio e a conquistare abilmente la scena, con l’accorto e dosato uso dei sorrisi, delle battute, della mimica facciale.

Da consumato attore e grande comunicatore ha addirittura ribaltato i ruoli quando - a scopo di vendetta e di sputtanamento - ha occupato la postazione di Travaglio. Da eterno imputato, si è trasformato in accusatore-pubblico ministero, elencando in una letterina preparata dal suo staff e con non poca faccia tosta, le numerose condanne per diffamazione a carico del “provocatore professionista” Travaglio che, su di lui e grazie a lui, ha scritto una Summa sistematica e completa. Sanzioni rivelate e snocciolate come se scaturissero da gravissimi reati penali: omicidi, rapine, stragi, mafia. Ma, per il grande pubblico, secondo le sue convinzioni, ciò non fa la differenza e infanga a sufficienza l’avversario. Metodi che ben conosciamo (Boffo docet).

Presa la scena con fare sornione e furbesco, il confronto politico è diventato uno show nel quale il rivitalizzato cavaliere ha condotto le danze, districandosi in slalom tra insinuazioni e domande imbarazzanti e recitando il solito spartito del paese ingovernabile, delle riforme che non mi hanno lasciato fare, dell’Imu che non ho potuto evitare, dell’assoluta mancanza di colpe e responsabilità. Evitando accuratamente di parlare della crisi, delle misure da adottare, della crescente povertà, della sofferenza delle famiglie e dei disagi dei lavoratori e di quelli che - delusi e incazzati - non lo voteranno più.

Eppure, il povero “diffamatore”, pur con toni più misurati, non sprezzanti e caustici come al solito, ci aveva provato a recapitare al presidente un bel ritratto, puntuale e documentato come sempre, di impresentabili “amici di famiglia” come Previti, Dell’Utri, Squillante, Tarantini, Lavitola, Lele Mora, Ruby, Minetti, Cuffaro e tanti altri, senza peraltro entrare nel gossip, negli scandali, nelle attività ricreative del bunga-bunga, ormai dimenticato, e nel merito dei processi e delle prescrizioni. Una lunga serie di personaggi ambigui, indagati o condannati che da sempre orbitano intorno a lui.
Sfortunato nelle amicizie? Porta sfiga ai suoi amici? O certe figure discutibili le attira come carta moschicida perché gli somigliano?
La vera e unica  risposta è stata l’inelegante gesto di Berlusconi di pulire e sventolare la sedia su cui era stato provvisoriamente seduto Marco Travaglio.

Comunque, nel tanto atteso gioco del conflitto televisivo, che ha avuto nove milioni di spettatori, ha prevalso il cavaliere con le sue macchiette. O, quanto meno, se l’è cavata bene nell’arena dello storico nemico.
Mai così in palla e lucido, né incerto e titubante come in moltissime esibizioni precedenti, pur giocate in casa o in campo neutro: da Vespa alla D’Urso, da Raiuno a Canale 5, da Giletti alla Gruber. Va anche detto e riconosciuto che non ha usato i consueti trucchetti demagogici, né esagerato con le citazioni strappacuore di famiglia o di bottega, con i soliti  slogan lisi e consunti e il drammatico repertorio di barzellette che propina ai suoi cortigiani. Si è adeguato all’ambiente, a quel tipo di pubblico, “informato e intelligente”, che non lo ama certo e lo deride, ed è perfino, a tratti, apparso quasi serio, credibile e in buona fede.
Tutto ben dosato e in equilibrio come mai, preparato e studiato con cura a tavolino da un’equipe di esperti e da strateghi.

Diciamo pure che è stato molto agevolato da quanto chiaramente concordato su regole, argomenti e colpi bassi, prima della trasmissione.
Mai incalzato più di tanto dalla Innocenzi e dalla Costamagna, anch’esse molto miti e contenute nell’aggressività verbale - forse per ordini di scuderia - anche Santoro, per apparire più imparziale di un codice di legge o dell’estrazione della lotteria, gli ha dato una buona mano, senza metterlo mai in vera difficoltà con i tempi e le interruzioni. Nessun monologo consentito e molta ironia nelle domande per stemperare il clima da battaglia.
Accondiscendente e bendisposto ha accettato il gioco delle parti, i siparietti del teatrino, lo scambio vivace di battute, allusioni e sottintesi.
Salvo irrigidirsi e inalberarsi per il rosario denigratorio sgranato e recitato come un mantra, con tutta la cattiveria e il disprezzo possibili, da Silvio contro Travaglio e predisposto dai suoi scriba a libro paga.

Più che un talk show politico, è stata una serata di spettacolo, la vivace rappresentazione di una commedia all’italiana che si poteva intuire già dall’editoriale del padrone di casa, pronunciato nell’anteprima, fra le note di Granada:
“…Non assisterete a una corrida, non vedrete Granada, città dei toreri, ma una piazza, un confronto che 100.000 persone hanno creato per tutti… anche per Berlusconi….
Perché chist'è 'o paese d' 'o sole, 'o paese d' 'o mare, 'o paese addó tutt' 'e pparole,
so' doce o so' amare, ma so' sempe parole d'ammore! 
11 gennaio 2013
                                                                                                  AlfredoLaurano                                             
                                       

giovedì 10 gennaio 2013

NELLA TANA DEL LUPO


L'invasione continua massiccia. Dalla Gruber, a Uno Mattina, passando ancora per Rete 4 e Canale 5 e stasera di nuovo da Vespa, il maggiordomo. Ma domani, udite, udite...anche nella tana del lupo: Silvio mostra tutto il suo coraggio, sfidando Santoro, Vauro e il "genio del male" Travaglio. Fuori casa e, apparentemente, senza rete.
Confesso che non capisco la strategia. Vuol dimostrare di non aver paura, di non aver nulla da temere. Ma cosa pensa di poter guadagnare in quella fossa di crudeli bolscevichi e cani sciolti o dai milioni di famelici spettatori al seguito se non pernacchie, lazzi e qualche nobile sberleffo. Spera, forse, di spostare o pescare qualche voto fra chi ammira il suo coraggio??
Perso, per perso...ci prova comunque.
Penso, però, che non finirà la trasmissione perché "qualcuno non lo farà parlare" o "completare il suo pensiero" e i suoi incessanti e triti ragionamenti, senza fine e senza filo.

E lui, ferito nell'orgoglio e nel carisma, s'alzerà e se ne andrà....da martire, da vittima e da eterno perseguitato!

9 gennaio 2013                                         AlfredoLaurano

mercoledì 2 gennaio 2013

CAPODANNO tra Gramsci e Neruda


         ODIO IL CAPODANNO 

Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.

Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati cosí invadenti e cosí fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Cosí la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.

Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.


(Antonio Gramsci, 1° Gennaio 1916 su l’Avanti!, edizione torinese, rubrica “Sotto la Mole”)
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“….Eppure
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire,
a sperare….”        


       
Ode al primo giorno dell'anno di Pablo Neruda