giovedì 27 giugno 2019

COLPITA E AFFONDATA: LA BATTAGLIA NAVALE

Questa è matta, questa vaneggia, questa ha preso troppo sole.
Con un video pubblicato sul suo profilo Twitter, Giorgia Meloni, venditrice abusiva di cazzate a poco prezzo, commenta - con la consueta grinta, che fa tanta presa sul disorientato italiano medio - il tentativo della comandante della Sea Watch di forzare il blocco ed entrare nel porto di Lampedusa.
"Contro la volontà del governo italiano la Sea Watch vìola i nostri confini ed entra nelle acque territoriali italiane per portare gli immigrati clandestini in Italia contro ogni regola. Mi aspetto che il governo faccia rispettare le regole.
La nave deve essere sequestrata, l'equipaggio arrestato e gli immigrati rimpatriati immediatamente. Poi, la stessa nave deve essere affondata".

Nella fantasiosa battaglia navale, che la Zarina di Salò gioca con Salvini sotto l'ombrellone, cercherà di colpire anche il sommergibile, il cacciatorpediniere, la portaerei e la corazzata Potemkin del nemico comunista?
E se, non sia mai, arrivassero anche i velieri dei pirati e Capitan Uncino, che fa, li prende a cannonate?
Comunque, nel dubbio o nell'attesa, io dichiarerei guerra all'Olanda e bombarderei Berlino.

Intanto, sempre per gioco e per divertimento, leggetevi i tantissimi commenti di approvazione e "da paura" del nutrito esercito razzista e perbenista, che approva e condivide gli effetti nocivi di quel caldo sole e dei suoi deleteri 40 gradi.
Un idiota, per esempio, ha scritto: "Se il governo fosse veramente fascista, l'avrebbe già affondata a cannonate con tutti a bordo".
E un altro: "risposta esatta, basta Ong, basta clandestini, basta scafisti. Siamo in guerra, basta pietismi!"
Basta cazzate. Speriamo nel fresco e nel maltempo. (Alfredo Laurano)



mercoledì 26 giugno 2019

MAGLIETTE DELLA PIETÀ’ E DELLA VERGOGNA


Un’altra tragedia, come quella del piccolo Aylan: il suo corpicino, avvolto da una maglietta rossa, riverso su una spiaggia turca, divenne il triste simbolo dell'immigrazione verso l'Europa e sconvolse, per un po’, solo per un po’, il mondo.
Ora, un’altra immagine shock di un padre con la sua bimba di due anni, morti annegati nel Rio Grande mentre cercavano di attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti, per evitare il muro, indigna di nuovo, per un po’ e solo per un po’, l'America e tutto il mondo.
Un'altra vergogna. 
Un’altra maglietta, stavolta nera, destinata a diventare metafora della tragedia dei migranti dal Centro America. Quella indossata da un padre, il salvadoregno Oscar Alberto Martinez, entro cui era compreso e unito, come in un ultimo, angoscioso abbraccio, il piccolo corpo di una bimba di due anni, che si chiamava Angie Valeria. Probabilmente, quel padre aveva cercato di tenere la piccola stretta a sé, per proteggerla meglio. Il braccio della bimba era ancora attorno al suo collo.
Chiunque abbia visto quell’immagine, cruda e straziante, non ha trovato le parole, non ha trattenuto l’emozione o le lacrime, anche nei commenti TV.
Sono ambedue annegati, trascinati dalla corrente, e trovati, immersi a testa in giù nel fango di quel fiume “boiaccia” e assassino, almeno quanto Trump, vero responsabile di queste e di tante altre morti di disperati in cerca di salvezza e di vita dignitosa. “Una macchia sulla nostra coscienza morale”, ha twittato un parlamentare democratico.

Anche una donna guatemalese, con tre bambini, uno neonato, sono rimasti vittime, forse del caldo e della disidratazione, nel tentativo di varcare quel confine, affrontando sofferenze e rischi che accomunano migliaia di persone che dal Centro America cercano di arrivare negli Stati Uniti, attraversando zone desertiche o guadando i fiumi, spesso per fare domanda di asilo, scappando da violenze, povertà e persecuzioni.
Le principali emittenti Usa e i media sul web ripropongono in continuazione quelle immagini che sono come un pugno nello stomaco. Ma dalle autorità americane solo silenzio, a parte il fragore polemiche politiche.
Soprattutto per la gestione dei campi, al confine del Messico, dove vengono trattenuti i bambini separati dalle famiglie illegali, dopo che un gruppo di avvocati ha testimoniato le condizioni terribili in cui i minori sono costretti a vivere: senza cibo adeguato, con scarsa assistenza medica, i neonati che vengono accuditi da altri minori. Nell'ultimo anno, sono sei i bambini che hanno perso la vita.
Dall'inizio di quest’anno, quasi 500 mila migranti sono stati fermati nel tentativo di attraversare il confine statunitense. Nel 2018 i migranti morti al confine tra Usa e Messico furono 283.
E la strage continua.
Gli Aylan, le Angie e tantissime altre innocenti creature, colpevoli di essere nate nella parte sbagliata del mondo, continuano a morire con le loro magliette, ormai simboliche e distintive, nei mari, nei monti e nei fiumi, come in una sorta di selezione cinica e innaturale della specie. Come vittime designate di un sacrificio tribale e primitivo da far pagare ai miserabili, agli afflitti, agli esclusi ed agli emarginati, nella criminale indifferenza del mondo, negli abusi, immorali e intollerabili, delle divinità padrone della ricchezza e del potere.
 (Alfredo Laurano)


PALLOTTA, VATTENE


Questa era un'altra Roma, un'altra intera squadra che Pallotta e il suo scudiero Monchi hanno venduto in questi ultimi anni per fare soldi. Oltre a Totti e De Rossi messi proditoriamente in liquidazione, perché le bandiere danno fastidio al business.
E ora partiranno anche Zonzi (poco male), Dzeco, El Sharahwi, Kolarov e Manolas, che ha già preso casa 'n coppa a Posillipo.
Speriamo che non mettano all'asta pure Pellegrini, Cristante, Florenzi, Under e Zaniolo.
Ma che ci farete con lo stadio (che, a mio avviso, non si farà), senza una degna squadra che ci giochi? Ristoranti, cinema, boutique e centri commerciali?
Fate ride' e fate piagne.
26 giugno 2019 (Alfredo Laurano)

E VE LO VOJO DI'

E ve lo vojo di’- come cantava l’indimenticato Lando Fiorini - e nun me tengo ‘sto segreto: ho rifatto in buona compagnia un altro intrigante viaggio tra quei Sapori Antichi di Tiziana e Laura, sempre affettuose e disponibili, che onorano la cucina semplice e amorevole di autentica memoria artusiana. Un cammino lungo i sentieri della terra, fra i suoi profumi, i suoi colori e le sue cose buone e stuzzicanti, che per molti coincide con la soglia del peccato di gola. 

Ma, quando si mangia cibo sano, naturale e genuino, ci si tuffa in quel sottil piacere che mai puo’ essere peccato. Anche perché, dopo il godimento, non ti colpisce mai a tradimento, con bruciori postumi, pesantezza e lance di acidità.
E allora vai, tra fettuccine “parlanti”, tirate a mano, con pomodoro fresco e un verde velo di pesto di basilico, spuntature alla “che t’ho dico a fa”, muffin salati alle verdure, ali volanti di zucchine marinate, bottoncini morbidi alla frittata di una volta, bruschette, tartine, bresaola scheggiata al parmigiano, patate al forno, erba di campo e strepitoso cheesecake della casa all’albicocca.
Un trionfo di saperi e di sapori, una meravigliosa sinfonia di gusti - purtroppo, devo confessarlo - macchiata da una solenne stonatura, un reato grave di “lesa fettuccina", che fa sanguinare gli occhi e ferisce l’anima sorpresa: abbandonare nel piatto, come un triste cane in autostrada, quelle deliziose opere manuali, come ha fatto la nostra amica, troppo presto appagata e molto misurata. La prossima volta, per tempo, ce ne approprieremo per non sprecare tanta bontà.
Cosa, comunque, che nulla ha a che fare e a che vedere con la dilagante moda di tendenza ch' “ancor più m’offende”, che premia indegnamente gli chef stellati e la loro insulsa, intollerabile filosofia del “tutto sul conto, niente nel piatto”.
Non ci avrete mai. 
Noi abbiamo già scelto: Tiziana e Laura “Forever”

(Alfredo Laurano)


Antichi Sapori Via Fosso della Cerqueta 00052 Cerveteri
Tel. 334 228 5544 - http://www.antichisapori.info/ Anche su Facebook

ESTATE ROMANA ANNI ''60

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L'APICE DELLA PITTURA

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sabato 22 giugno 2019

L’ELEGANZA DEL DUCE /1798


Un’altra prova (l’ennesima) che in Italia, alla faccia delle leggi vigenti, non esiste di fatto il reato di apologia di fascismo. 
Un manifesto con la foto di Benito Mussolini, elegantemente vestito, con cappotto, cravatta, cilindro in testa, sigaretta tra le labbra, e la scritta “Le radici profonde non gelano mai” (citazione dello scrittore inglese J. R.R. Tolkien, adottato da anni come riferimento letterario dall'area "identitaria” dell’estrema destra.) identifica e sostiene la campagna di Forza Nuova in Calabria per il tesseramento regionale 2019. La prima, nella storia del partito neofascista guidato dall'ex terrorista nero Roberto Fiore, rientrato in Italia dopo una lunga latitanza all'estero.
La scelta di usare l'immagine severa del duce è indiscutibilmente provocatoria e viene utilizzata in modo esplicito, come strumento di marketing per raccogliere iscritti, rivendicando origini, radici profonde, ideali e fiera appartenenza. Tutto esibito, ancora una volta, spavaldamente, con orgoglio e irriverenza.
Sulla formazione, nostalgica e violenta, si sono già espresse due sentenze della Cassazione nel 2010 e 2011, che hanno sottolineato la sua chiara natura "fascista". Nel tempo ha poi collezionato centinaia di denunce (per reati vari, a partire dalla violazione delle leggi Scelba e Mancino) e decine di arrestati per aggressioni varie e azioni violente e intimidatorie portate avanti, soprattutto, nei confronti della stampa “nemica” (cronisti, fotografi e sedi di giornali), come il blitz di alcuni militanti incappucciati, armati di fumogeni e striscioni, sotto la redazione di Repubblica, nel 2017.

Intanto, per non smentirsi e per restare in tema e nella cronaca quotidiana, nera in tutti i sensi, si registrano altre vili aggressioni, intimidazioni e pestaggi - nell'assordante silenzio del ministro dell'Interno, che guarda solo ai migranti e ai porti chiusi - contro alcuni ragazzi del cinema America di Roma - ovvero dell'associazione che ha riportato il cinema in piazza - colpevoli solo di indossare una maglietta, ritenuta antifascista, ad opera, pare, di altri appartenenti a movimenti dell'estrema destra, come Blocco Studentesco e CasaPound, della stessa razza. O della stessa spiaggia, stesso mare, visto che siamo in estate.
Negli ultimi mesi, numerosi politici, costituzionalisti e Anpi si sono espressi nettamente chiedendo lo scioglimento di queste formazioni che fomentano odio e incitano alla violenza e al razzismo.
Convinciamoci che un pezzo di fascismo è realmente tra di noi.
 (Alfredo Laurano)

giovedì 20 giugno 2019

TOGLIETEGLI IL VINO E IL PATENTINO


Ne ha sparata un’altra il vecchio ubriacone della Val Brembana, appena uscito dalla solita osteria, dove, tra un quartino e l’altro, s’illumina e si ricarica di retorica populista e verbo qualunquista.
Ora basta. Toglietegli il vino e il patentino perché ogni sua battuta, ogni suo commento, ogni suo scritto trasuda di razzismo, di omofobia, di xenofobia e di gratuita malignità..
Il Feltri padano si compiace ormai solo di diffondere fango, volgarità e offese al comune senso del pudore intellettuale. Il suo, ma soprattutto il nostro.
Non conosce rispetto e tolleranza, non gli frega niente della deontologia professionale, della misura, del buon senso.
È ormai senza freni, senza vergogna e senza limiti, anche quando ricorre alla spuntata arma della sua becera ironia: dal celebre “Bastardi islamici”, a rozze allusioni come “Più patate, meno mimose” o “patata bollente”, riferita alla Raggi; da “Renzi e Boschi non scopano” a “Comandano i terroni”, fino al recente “vieni avanti Gretina”, dedicato a Greta Thunberg.

Vittorio Feltri sembra essere sempre più una parodia di se stesso, assai più di quella del buon Crozza.
“Mi spiace se Camilleri muore. quando un uomo vecchio muore c’è sempre un certo dolore. Tuttavia, l'unica consolazione per la sua eventuale dipartita è che finalmente non vedremo più in televisione Montalbano, un terrone che ci ha rotto i coglioni.” Lui, nordico di razza, non sa che, nel caso, sarebbe meglio dire cabbasisi.
Poi, per addolcire la pillola, il valligiano aggiunge: “questa comunque è una opinione personale e scherzosa, in me Camilleri suscita ammirazione, è un grande scrittore, e bisogna ricordare che la lingua italiana è nata in Sicilia, solo dopo abbiamo adottato quella Toscana. E i siciliani parlano meglio di qualunque altro italiano. E scrivono meglio degli altri italiani”.
Resta il fatto che il Feltri furioso, ormai, per costume, per congenita arroganza e per l’età, si ritiene immune da ogni umana debolezza, da critiche e obiezioni e al di sopra di tutti e di ciascuno. Si permette di offendere, disprezzare e sbeffeggiare impunemente chiunque non la pensi come lui.

Sarà bene ricordargli, che Andrea Camilleri ha venduto 30 milioni di libri; che la serie televisiva del suo Montalbano ha fatto un miliardo di spettatori in 65 paesi di tutto il mondo; che a Punta Secca hanno messo pure i cartelli turistici "Casa di Montalbano" e la splendida Ragusa Ibla è stata in gran parte riscoperta dal turismo internazionale grazie ai suoi racconti.
E lui, scribacchino del doppio senso da caserma o da osteria, è conosciuto da qualcuno oltre la sua circoscritta valle? Qualcuno sa chi sia o cosa pensi di essere?
Non sa quanto ha rotto i cabbasisi a tanta parte di italiani che trepidano per il magnifico papà di Montalbano?
 (Alfredo Laurano)

mercoledì 19 giugno 2019

DA TOTEM A FIGURINA


Prima, l’hanno costretto ad alzare i tacchetti e a smettere di giocare.
Poi, dopo la comparsata cialtrona e umiliante da virtuale pseudo dirigente - incravattato, ma senza incarico - l’hanno costretto a levare le tende, a togliere il disturbo, in via definitiva. In questa veste, peraltro, lo hanno solo e semplicemente esibito e sfruttato come un sacro trofeo, da portare in giro sugli spalti e nella Storia, per fare selfie e foto ricordo con chiunque.
Ma anche, come ottavo re della città caput mundi e di una squadra mezza gialla e mezza rossa.
Come rappresentate terreno di Eupalla, "divinità benevola che assiste pazientemente alle goffe scarponerie dei bipedi" (G. Brera).
Come simbolo totemico di una storica comunità di fedelissimi calciofili integralisti, privo, però, di salutari effetti taumaturgici.
Come specchietto internazionale di richiamo di folle e sognatori.
Come bandiera e mito popolare.
E per finire, come rara, preziosa e introvabile figurina Panini di uomo immagine, da stadio, da sfilata o da discoteca, senza però, e per fortuna, farlo ballare sul cubo o al palo della lap dance. Solo qualche fugace inquadratura televisiva per far vedere che c’era ed esisteva ancora.
Ma, per il resto, per il ruolo, non è mai contato niente, non ha mai deciso niente, non ha mai potuto scegliere niente. Nessuno lo ha mai interpellato, né gli ha chiesto un minimo parere.

E ieri, in una memorabile conferenza stampa, “il ragazzo di Porta Metronia, che ha segnato un’epoca”, l’ha detto e ribadito, controllando l’evidente emozione, con grandissima sincerità: deciso, chiaro, diretto, determinato, attento e pungente, senza mezze parole, paraventi dietrologici e ridondanze retoriche.
''Mi dimetto non per colpa mia, il club mi ha tenuto fuori da tutto. È stato doveroso prendere questa decisione: non ho mai avuto la possibilità operativa di poter lavorare sull'area tecnica con la Roma, anzi. Sono sempre stato un peso per questa società, sia da calciatore che da dirigente, mi hanno considerato una figura ingombrante.
Ripulire la Roma dai romani è stato fin dall'inizio l’obiettivo della proprietà americana per sradicare la romanità. Con Baldini (suo nemico storico) non c'è mai stato e mai ci sarà un rapporto, Pallotta non l'ho mai sentito in due anni. Il futuro? Ho ricevuto offerte da società italiane.
Era meglio morire che vivere un giorno così "

Un addio veramente amaro, fra ricordi, nostalgia, sentimenti veraci e genuini, alternati a confessioni puntuali e velenose, a momenti di ironia e sarcasmo. Come nella sua indole, come “da Totti” autentico, senza peli sulla lingua.
Il quadro che dipinge è desolante: non esita a definire i dirigenti incompetenti e arroganti, spiegando che in tanti non accettavano più la sua presenza. "Dentro Trigoria ci sono persone che fanno il male della Roma. Pallotta, che non ci sta mai, tante cose non le sa e si fida sempre di questi personaggi.”

La storia d'amore tra Totti e la Roma finisce, dunque, oggi dopo trent'anni di passione, ma ha già scatenato un terremoto che lascerà il segno.
I tifosi, delusi e insoddisfatti dalle scelte societarie e anche di un mercato sempre fallimentare, potrebbero boicottare lo stadio e la campagna abbonamenti.
Quello di Totti non sarà forse un addio ma un arrivederci, perché sembra impossibile vederlo fuori dalla Roma. Certamente con un’altra proprietà, perché la squadra, anche grazie a lui, è amata e stimata anche in tante parti del mondo e molti la vorrebbero prendere.
Intanto, il pupo nostro, il capitano, il genio, il dirigente lascia perché ha capito di non essere apprezzato. Ma non vuol perdere anche la dignità.
Un mito non se lo può permettere.
 18 giugno 2019 (Alfredo Laurano)

SEMBRAVA LA FINE DI UN'EPOCA. INVECE ERA SOLO L'INIZIO


Nella libreria “Scritti e Manoscritti” di Ladispoli, Concita De Gregorio ha raccontato ieri il suo nuovo romanzo sul potere, in cui traccia con lucidità il quadro di un fallimento politico che collide con il criminoso, svelandone le dinamiche e le conseguenze. Senza fare sconti.
"Nella Notte" perché tutto, come spesso accade nei momenti cruciali della nostra storia, avviene tra le undici di sera e le quattro del mattino, quando noi non ci siamo. Ma dove hanno luogo quegli incontri segreti? In quali palazzi? Chi è il regista?
Gli uomini di potere, politici, magistrati, faccendieri e spicciafaccende a vario titolo si incontrano nella notte perché la prima regola del potere è che tutto quello che è rilevante non si deve vedere e tutto quello che si vede non è rilevante.
Dalle otto del mattino alle otto di sera, invece, il gioco della politica è quello di distrarci, di prenderci all’amo con la polemica del giorno, una leva obbligatoria.

Muovendosi tra la cronaca politica, descritta nei suoi retroscena con profonda conoscenza delle persone e delle storie reali, il testo di Concita De Gregorio (il suo libro "più autobiografico"), uscito per Feltrinelli, racconta infatti le manovre del potere dietro la mancata elezione di un presidente della Repubblica. Una conta di voti finita a svantaggio del designato anche per una lotta di fazioni interne al centrosinistra, che coinvolgeva diversi membri del Csm, che si incontravano con i politici, dopo la mezzanotte, per influenzare, tra l'altro, la nomina del Procuratore capo di Roma.
Meccanismi che la scrittrice, direttore dell’Unità per tre anni (2008-2011), ha visto perpetuarsi in trent'anni di cronache politiche. Conosce bene anche alcuni dei protagonisti dello scandalo Csm, compreso Luca Lotti, ex ministro renziano presente nelle notti romane alle cene con i magistrati.

Un romanzo illuminante, “di servizio”, ma anche un thriller teso e ironico, che fa riflettere e svela, senza sensazionalismi, interessanti retroscena del mondo della politica. Che spiega il collaudato meccanismo delle tre Esse - Sesso, Soldi, Segreti - che governa l'informazione politica e i tanti ricatti, minacce e scandali sessuali, che hanno coinvolto personaggi di primo piano e hanno cambiato via via l’Italia e il corso della storia, in una sorta di manuale di istruzioni per capire il gioco delle parti e la fine di una buona parte della Sinistra.

Giornalismo d’inchiesta, indagine sociale e condizione etica in una narrazione intensa ed inquietante, dove l’anatomia del potere e il ricambio delle persone non modifica la sostanza, in uno spaccato della realtà, a tratti, del tutto negativa e priva di speranza. Una storia di potere esemplare: la matrice del presente, la minaccia perpetua sul futuro.
Quella “conta” dei famosi “Centouno”, sembrava la fine di un'epoca. Invece era solo l'inizio.
Ogni riferimento a fatti o persone legati alla recente vita pubblica non è puramente casuale.
 17 giugno 2019 (Alfredo Laurano)



venerdì 14 giugno 2019

CARA ANGELA BI


Qualcuno la ricorda? L'ha conosciuta, l'ha ascoltata? Ne ha notizie? E' ANGELA BI, nome d'arte di Angela Cracchiolo (Palermo 1948); poi Angela Bini e in seguito "Julie" (nel duo "Juli & Julie" degli anni '70). Una voce notevole e un timbro personale e inconfondibile. 


Sul finire degli anni sessanta, era la cantante solista del nostro gruppo "I Rustici" e con lei, timida e giovanissima, realizzammo tournée ed esibizioni varie (Hilton, Civitanova Marche, Castiglione della Pescaia, Milano), con la guida degli impresari fratelli Palumbo.


Questo brano, "Tu non sai"
https://www.youtube.com/watch?v=1HxItB1aOj8), all'epoca famoso e nostro primo e ultimo disco, era la versione italiana della mitica "To love somebody" dei Bee Gees. 
Nel lato B del quarantacinque giri, c'era "Quando la notte", sigla musicale della serie televisiva "La donna di quadri" del tenente Sheridan (Ubaldo Lai) che in quegli anni spopolava e appassionava:
https://www.youtube.com/watch?v=Vy1l5evRj2w

Unico filmato che ho trovato in Internet è
https://www.youtube.com/watch?v=ygvbGj90_V0, forse, registrazione Rai, a Milano, di "Quindici minuti con..."
Se qualcuno (lei stessa, amici, parenti o il fratello "americano" che abbiamo conosciuto), avesse tracce, informazioni e contributi, prego contattarmi.
(Alfredo Laurano)

IO C’ERO, E QUANTO HO PIANTO!


Una sfumata, delicatissima metafora arriva con la straordinaria immagine di una piazza San Giovanni ormai vuota, dopo i funerali di Berlinguer, dove le copie dell’Unità volano sull’erba, quasi danzando, sulle struggenti note del pianoforte di Danilo Rea. 
È la sequenza d’apertura del film di Walter Veltroni, del 2014.

Trentacinque anni fa, l’11 giugno 1984, quando ci lasciava Enrico Berlinguer, leader amatissimo e stimato anche dagli avversari, qualcosa si rompeva nei cuori di milioni di italiani. E lasciava un profondo vuoto. 
Come disse Natalia Ginzburg: “Ognuno ha avuto con Berlinguer un suo rapporto personale, anche se l’ha visto una volta sola nella vita”.

Ai suoi funerali, quel 13 giugno, a Roma, partecipò oltre un milione di persone, in corteo dietro la bara, assiepate lungo il percorso, pigiate in piazza San Giovanni, dove arrivò anche Michail Gorbaciov. 
Io piangevo, col mio amico Tucci, arrampicato a un palo.

Ma c’erano tutti: i suoi compagni, i suoi avversari, i più grandi capi di Stato e di governo. 
Tutti a rendergli omaggio. 
Fu il più grande funerale del Novecento, superato nel 2005 solo da quello di Papa Giovanni Paolo II.
Un giorno assai triste in quella piazza straripante di amore e malinconia, trasformata in un oceano di lacrime e bandiere rosse, di gente commossa e disperata, unita come non mai in un dolore comune e lancinante: l’addio a un uomo semplice, timido, riservato, ma serio, onesto, coraggioso e carismatico, i cui sogni e le cui capacità hanno segnato un’epoca, anche se in tanti hanno provato a disinnescare la sua forza morale e il suo testamento politico.
Di lui, Enzo Biagi disse semplicemente: “Sentivi che credeva a quello che diceva”.

Ma con lui moriva di fatto, anche il Pci, che di lì a poco avrebbe dovuto fare i conti con il crollo di quei regimi autoritari, che proprio Berlinguer aveva cercato di distinguere dalla via dei comunisti italiani.
Da quel momento, quella politica della passione non c’è più. 
Finisce il rigore, l’onestà e l'etica.
Le ideologie praticamente scompaiono e lasciano il posto alla retorica del nuovo, alle volgari gesta di faccendieri e politicanti senza scrupoli, alle recite di statisti improvvisati assetati di potere.

Tuttavia il mito di Berlinguer ogni anno diventa più potente, contro l’immagine di una Sinistra esanime, sbandata e sempre più sbiadita, rappresentata da dirigenti immemori, incapaci e forse indegni di raccogliere la sua eredità.
13 giugno 2019 (Alfredo Laurano)


mercoledì 12 giugno 2019

LA TRINITA’ DEI SUMMI VIRI


Diciamolo subito: ci sono riusciti brillantemente senza “scannarsi”, come ipotizzava (o temeva) il sottotitolo. Anzi, hanno creato un naturale amalgama di intenti e di voleri, un esemplare unicum continuativo e reciprocamente rispettoso, grazie, forse, alla benedetta protezione di una straordinaria triade, Dante, Galileo e Giulio Cesare, ossia, spirito, ragione, astuzia. O poeta, scienziato e imperatore.
Stiamo parlando dei ragazzi della Quinta E del liceo scientifico Mattei, di Cerveteri, che hanno sperimentato la scrittura collettiva nel loro libro “METTI DANTE, GALILEO E GIULIO CESARE – come scrivere un libro in 15 senza scannarsi”.
Tre summi viri liberamente scelti (“Ragà, tocca decide la Trinità”) - senza offesa per Marx o Kant, per Leopardi o Leonardo, per il “vate” Bollella o Che Guevara - dopo un sofferto confronto che, alla fine, ha premiato il padre della letteratura, quello della scienza e del relativo metodo sperimentale e quello della storia, della politica e del potere.

Si, stiamo scoprendo un bel pezzetto - magari minimo, magari infinitesimale - di quella “meglio gioventù” che le cronache e la storia hanno raccontato e rivisitato, nei lontani anni sessanta, settanta e a seguire, in tutta la propria intensità e bellezza: impegnata, attiva, partecipe, sensibile, consapevole, ricca di valori, di sane ideologie e umanità. Una dimensione oggi quasi anacronistica che fa da contraltare a quella che pratica bullismo e indifferenza, apatia e menefreghismo, dipendenza da realtà virtuali e da apparenti perle ipertecnologiche, selfie, mode, musica trap, comportamenti omologati, linguaggi elementari e minimal e immagini spietate, come vuole la prassi del vivere on line, catturando il peggio del web e metabolizzando il vangelo di internet: i nuovi profeti del fancazzismo telematico.

Una certa conferma in tal senso viene anche dalla convinta prefazione del giovane sindaco barricadero di Cerveteri, Alessio Pascucci, per il quale scrivere è un atto di ribellione e libertà e il tentativo di scrittura collettiva di questi ragazzi è un’esperienza fortemente democratica ed estremamente rivoluzionaria, soprattutto nei tristi tempi della discriminazione, della prevaricazione e di prove di forza: è un gesto di altruismo, pur fra mille dubbi, timori e paure.
E viene anche dalla introduzione della appassionata prof. Alessandra Amoruso - che ha coordinato e guidato il lavoro di tutti - quando ricorda che insegnare è un’esperienza meravigliosa, perché dona, ogni giorno, il privilegio di entrare in contatto con tanta bellezza.

Una fatica letteraria, quindi, una scrittura a trenta mani, con l’ambiziosa intenzione di riuscire a cambiare i paletti dell’obbligatoria Alternanza Scuola Lavoro o, quanto meno, di criticarla, sperimentando il lavoro di scrittore, secondo la tecnica narrativa dello “scrivi e passa”: chi ha finito il suo pezzo passa la tastiera al compagno che scrive un altro paragrafo.
Quindici studenti capaci e coraggiosi sugli impervi sentieri dell’avventura bibliografica fai da te, piena di insidie e trabocchetti, di prove difficili e trappole semantiche e retoriche.

Essi stessi ne parlano.
Dal caos iniziale e dal brain storming (tempesta di cervelli)all’aiuto reciproco e dell’editore entusiasta. Dall’ introduzione alla scrittura collettiva (dalla lettera di Don Milani, alla nostra stessa Costituzione, quali esempi illuminanti), a come si scrive un libro a più voci, che è anche un percorso di crescita condivisa e di stima e fiducia reciproche.  
Distruggiamo per costruire un unico, comune obiettivo: scrivere un romanzo tutti insieme, nel quale trattare il tema di come si scrive quel romanzo, usando la tecnica della scrittura collettiva. Un libro nel libro, come le scatole cinesi o le matrioske russe.
Dove la trama è la costruzione del racconto stesso, che via via si sviluppa e cresce, pagina dopo pagina, fra dialoghi, azioni, ricordi, luoghi, riflessioni, atmosfere e gite a Napoli, sotto il diluvio, ma con la “mejo” pizza mai mangiata... Dove i personaggi sono gli autori stessi, che giocano a interpretarsi, a stuzzicarsi e a trovare i giusti e rispettivi ruoli, anche a livello fisico e caratteriale.
Basta lasciarsi andare, farsi prendere dall’entusiasmo della parola e abbandonarsi al fascino lessicale. E tutto si compone, quasi per magia.

Perché, dicono con competenza, la scrittura collettiva è di fatto la sommatoria di micro scritture individuali. “Non è un metodo fisso, ma liquido e si adatta alle nostre esigenze…il libro è frutto di un continuo confronto e non importa il chi e il come scrive, ma solo il risultato del gruppo”
E’ come all’interno di una famiglia allargata, fondata da un carismatico tutor, capace di mediare, armonizzare, ispirare, creare feeling e sedare anche eventuali liti e discussioni: l’insostituibile e “molto più che una prof” di Lettere, Alessandra Amoruso.

Scrivere è comunque “una sfida fra te e te, quindi io sono la mia sfida”
Si scrive per comunicare ogni tipo di sentimento. Per sfogarsi ed eliminare tutti i pensieri negativi”. 
“E’ qualcosa di unico, di cui a volte non ci rendiamo conto, un momento di evasione che libera nostri pensieri e scopre la maschera della eventuale timidezza”. 
“E’ uno spazio intimo di cui siamo assolutamente padroni, che dà un volto e concretizza emozioni, sensazioni, paure, che fluttuerebbero altrimenti nella nostra mente”. 
“Uno dei mezzi che usiamo per esprimere pensieri e stati d’animo”. 
“Nella scrittura c’è qualcosa che va oltre la sua utilità e la sua valenza pratica: è una terapia che rilassa. 
“Il libro è una parte di noi, perché quando prendiamo carta e penna o una tastiera, lasciamo nel testo un po’ di noi”.
“Scrittura amica, nemica, in un rapporto conflittuale fra troppe regole – grammatica, sintassi e ortografia – che limitano le idee”.
In realtà, caro Colonna, sono soltanto i tagli e le cuciture dell’abito elegante e su misura che confeziona le tue idee, le nostre idee.

Dibattito veramente vivace, stimolante, quanto mai dettagliato e circostanziato, che può forse riassumersi così: “Grazie a questo tipo di scrittura riesco ad esprimere meglio il mio pensiero. Questa esperienza ha permesso di tirar fuori tutte le emozioni e i sentimenti del singolo e del collettivo”. Sicuramente, anche quelle legate ai cinque fantastici anni passati insieme.

Come scrive il Lai, “non c’è niente di più bello che scrivere ciò che si pensa e si prova, senza che nessuno ci giudichi”.
Perché la scrittura, ci ricorda Cristiano, è condivisione di noi stessi.
Perché la scrittura è altruismo. Come già diceva in prefazione il sindaco.
12 giugno 2019 (Alfredo Laurano)



LI PECURI

Una vicenda che sembra ricordare quella del pastore abruzzese di “Alto Gradimento”, interpretato da Giorgio Bracardi, che, nei primi anni settanta reclamava le sue pecore, prestate alla Rai per gli spot dell’intervallo, e mai restituite: “Li pecuri!!... Li pecuri!..”, urlava disperato. 
Era l’epoca del cazzeggio radiofonico, paradossale e irriverente, di Arbore e Boncompagni, che lanciarono una serie di slogan e modi di dire che divennero proverbiali nel linguaggio soprattutto giovanile: l'urlo di Achille: «Patroclo, Patroclo dove sei?», o la tiritera di un innamorato abbandonato che chiedeva «Perché non sei venuta? Ting!» 

“Ho usato l’auto perché non sapevo come portarle”. Ha tentato di giustificarsi così l’agricoltore 57enne di Chieri, fermato a Pavarolo (TO), perché ha trasportava sei pecore (vive) in una vecchia Fiat Panda.
Un’azione evidentemente normale per lui ma non per le tante persone che, notando l’insolito “carico” transitare per le strade del paese, hanno lanciato l’allarme. Qualcuno ha anche scattato una foto all’auto e quello scatto, immediatamente condiviso sui social, è arrivato fino ai carabinieri del distaccamento di Chieri.
Una gazzella dell’Arma si è mossa ed ha immediatamente intercettato la Panda dell’agricoltore, fermandola: la scena che si è presentata ai militari aveva dell’incredibile. Gli animali erano infatti letteralmente stipati nell’utilitaria a tal punto che per farli stare nell’abitacolo il portellone del bagagliaio – da cui pendevano le zampe di una pecora – era stato bloccato con una corda.
Questo bizzarro personaggio, che sembra uscito dalla fantasia comica e vintage, appunto, di Bracardi o di Marenco - una cinquantina d’anni dopo - è stato denunciato per maltrattamento di animali. 
E, comunque, purtroppo, non fa più ridere nessuno
10 giugno 2019 (Alfredo Laurano)

giovedì 6 giugno 2019

STALLO & ODIO


Si amano, si odiano, si sopportano, si punzecchiano, si accusano, si fanno la guerra, ogni giorno, poi fanno la pace. Come due amanti litigiosi e innaturali forzati dagli eventi, che stanno insieme per calcolo e necessità. 
Come due separati in casa che fanno pippa e tirano a campare per non perdere il bene comune, l’onore, il prestigio, le conquiste, i reciproci vantaggi e i troppi privilegi. E nessuno molla l’osso quotidiano del potere che, dopo il voto europeo, ha ribaltato e completamente capovolto la consistenza delle parti, i rapporti di forza politica e il peso specifico di ciascuno.

Ma, volendo dar credito al Dago-pensiero, esisterebbe un piano segreto di Matteo Salvini per evitare la finanziaria lacrime e sangue: porterebbe all'esasperazione i Cinquestelle, con una provocazione lenta e continua, stando bene attento, però, a evitare la rottura. Fino a luglio, fino a quando un voto anticipato a settembre non sarà più possibile. A quel punto un ineluttabile governo tecnico farà felice la tecnocrazia europea e incazzare parecchio gli italiani.
Col voto politico rimandato a marzo 2020, l’abile stratega confida di fare il pieno dei voti contro l'Europa.
Quindi, temporeggiare, aspettare, pazientare.
Ha ceduto sul caso Siri, si è mostrato remissivo su Rixi e ha accettato che venissero inglobate solo 3 proposte su 5 della Lega nel decreto “sblocca-cantieri”. Il summit chiarificatore con Di Maio - sempre più vittima sacrificale - è stato rimandato a lunedì, dopo i ballottaggi: meglio arrivare all’incontro con qualche sindaco in più nella bacheca elettorale.
Nel frattempo, il ministro dell’Interno imbastisce la complessa tattica di logoramento verso i Cinquestelle, che si basa su tre presupposti:
-  capitalizzare presto il consenso che gonfia le vele della Lega;
-  il governo, così com’è, non soddisfa più per composizione ed efficacia;
-  la responsabilità della rottura deve essere del M5S.

Il vice premier non vuole pagare lo scotto (di consensi) di staccare la spina al governo per poi ritrovarsi - magari a Palazzo Chigi e con una nuova maggioranza - a varare una manovra economica lacrime e sangue. Ecco perché vuole esasperare i grillini, fino a spingerli a far saltare il tavolo.
A quel punto, Salvini potrebbe indossare l’abito buono del “responsabile” chiedendo a Mattarella di non trascinare subito il Paese al voto. Il “no” alle urne permetterebbe al Colle di imbastire il suddetto governo tecnico - di quelli tanto cari a Bruxelles e alle cancellerie europee - che dovrà confezionare una manovra-supposta per gli italiani. 

Intanto, conta i giorni: deve scavallare giugno e arrivare a metà luglio quando l’ipotesi di elezioni anticipate sarà definitivamente scongiurata vista la necessità di iniziare subito i lavori preparatori per la manovra 2019.

Il piano leghista prevede di lasciare che gli elettori assaggino l’amara purga di un altro esecutivo “alla Monti”, per poter affermare: “Avete visto cosa succede a impedire alla Lega di governare?” 
Solo dopo che la cinghia sui conti pubblici sarà diventata un cappio, Salvini potrà chiedere di andare al voto, a marzo 2020, e stravincere facilmente.


In tutta questa strategia sarà appoggiato e supportato da quella TV generalista che si chiama Raiuno, espugnata a colpi di epurazioni, promozioni di fedelissimi e occupazione militare delle postazioni-chiave, ma che in realtà è TeleSalvini. E, da domani, con la presentazione del palinsesto estivo, prenderà ufficialmente il via.
Ai sovranisti programmi pop e nuovi palinsesti di propaganda. L'obiettivo è trasformare i contenitori a metà tra informazione e intrattenimento, come "Unomattina" (affidato al devotissimo Poletti, ex direttore di Radio Padania e biografo di Salvini) e "La vita in diretta", in potenti megafoni della Lega e del linguaggio secondo Matteo. 

Dove non contano i fatti e neppure i numeri, ma la retorica ridondante e ripetitiva, fino all’ossessione: gli amici, i nemici, i nostri figli, i valori, la patria, le tradizioni, la difesa dei confini, i porti chiusi e lo stop all’immigrazione, usando sempre le stesse formulazioni e gli stessi toni caldi e severi, “da ministro, da papà, da italiano”, con una coerenza estenuante.   
Pochi concetti chiave che fanno presa e consenso, slogan incisivi, esaltanti e penetranti, grondanti di demagogia e populismo, uniti a schemi semplici, da rimandare a memoria. 
Tutto è stato studiato attentamente. Sarà difficile “desalvinizzarci!”  
(Alfredo Laurano)