martedì 28 aprile 2015

LA MILANO DA BERE O DA MANGIARE

Con un pensiero alla catastrofe del Nepal, fra un paio di giorni, cancelli aperti e riflettori accesi sulla città del duomo: il primo maggio, la festa del lavoro che non c’è, quest’anno coincide con l’inaugurazione di Expo Milano. Dove si spera che un poco ce ne sia.

Una grande sfida per tutto il Paese. 
Un'occasione di crescita, una possibilità di sviluppo per l’economia. 
Una luccicante vetrina internazionale nella quale esporre il meglio del made in Italy: idee, prodotti, creazioni, competenze, ma non solo.
Al di là dell’orgoglio nazionale, delle dichiarazioni formali, della retorica istituzionale e mediatica che da tempo ricama sull’atteso appuntamento universale, Expo 2015 si muove fra molte speranze, poche certezze e tanti dubbi, anche sul completamento delle opere e dei lavori di allestimento. 
Milano come città sede dell'Esposizione Universale, sarà pronta?
Le strutture, l’organizzazione, gli impianti, i trasporti, la sicurezza saranno in grado di trasformare la Milano da bere, di pochi o di qualcuno, in quella da mangiare di tutti?

E’ una grande opportunità, da non fallire, per mostrare al mondo la volontà di cooperare a un tema fondamentale e impegnativo per il prossimo futuro: l’urgenza di preservare e distribuire equamente le risorse alimentari necessarie, senza danneggiare l’ambiente e il pianeta. Anche, e soprattutto, attraverso i saperi, i sapori, le tipicità, lo stile e le eccellenze che ci hanno reso famosi nel mondo.

Il cibo protagonista, quindi, nelle sue varie sfaccettature: come bene primario, come tradizione, come gusto, come abitudine, come simbolo di vita.
Ogni Paese partecipante (più 130, oltre a organizzazioni internazionali, aziende e associazioni no profit), è chiamato a proporre soluzioni per nutrire il pianeta e creare “energia per la vita”, ognuno con il proprio contributo di tradizioni e innovazioni.

Enormi spazi, architetture imponenti, due strade ortogonali - chiamate Cardo e Decumano, in onore delle due vie perpendicolari che attraversavano un tempo gli accampamenti romani - capienti siti espositivi, nove cluster per aree tematiche (riso, caffè, frutta, mare ecc.), ristoranti, parchi, strutture avveniristiche, aree relax, giochi d’acqua e di luce: nel grande parco divertimenti di 110 ettari fra Milano e Rho, creatività e tecnologia si fonderanno per offrire esperienze e suggestioni ai visitatori, per educare, sensibilizzare e stupire.
Il complesso e fondamentale tema dell’alimentazione sarà al centro di appuntamenti, convegni, percorsi gastronomici.

All’interno dei padiglioni - in quello Italia sono  rappresentati con quadri e installazioni i suoi quattro punti di forza: creatività e innovazione; turismo, qualità della vita e paesaggio;  alimenti e tradizione; biodiversità e futuro - si potranno conoscere le fasi della catena di produzione del cibo, i sistemi per riciclare i rifiuti e ridurre gli sprechi, idee, progetti e tecniche per affrontare il vergognoso squilibrio fra i Paesi che soffrono la fame e quelli che sprecano migliaia di tonnellate di cibo e stanno a dieta.
Un viaggio anche nella storia dell’uomo e del suo legame intimo, ma instabile e spesso violento, con la natura e i suoi cambiamenti. Nel precario equilibrio del suo habitat, nel degrado, nell’eccessivo disboscamento e sfruttamento agricolo che hanno causato l’erosione del suolo e la desertificazione che interessa le savane.

In due suggestivi spazi, un ampio teatro all'aperto che può ospitare 11.000 persone, tra gradinate e prato, e un’arena lago, con al centro il simbolico ”albero della vita” ospiteranno spettacoli, concerti, esibizioni. Come farà anche l’Expo-center con il suo Auditorium.
Dalla Collina Mediterranea, circondata da varie specie di vegetazione, si potrà avere una vista panoramica di tutta la zona.

Aree tematiche ipertecnologiche, supermercati all'avanguardia, guideranno gli ospiti alla consapevolezza nella scelta dei cibi nel parco della biodiversità, cioè l’insieme di specie vegetali e animali, microrganismi, acqua e sementi che compongono l’universo agricolo.
Anche ai bambini è dedicato un ampio spazio, ricco di spunti didattici, giochi e situazioni stimolanti, per trasmettere loro la percezione della bellezza del pianeta e la necessità di proteggerlo.

Tante buone, ottime intenzioni. Lodevoli programmi che vogliono far crescere l’ingegno, il confronto e la presa di coscienza. Ma “Nutrire il pianeta” non deve essere un alibi per scatenare ulteriori scandali, mafie e illegalità varie.
La corruzione, le infiltrazioni, le colpe di pochi delinquenti sono questioni aperte ma non possono e non devono cancellare la volontà dei molti di portare a buon fine l'evento degli eventi. Perché il mondo ci guarda e ci giudica, ma anche per le languide casse della nostra economia.
Che questa esposizione universale non sia agro-business, che non sia ostentazione del potere delle grandi multinazionali, capaci di determinare come e cosa si mangia.
Che riconosca la biodiversità e non gli OGM, la sovranità alimentare e non lo sfruttamento e il lavoro volontario non retribuito o lanci vaghe promesse sul futuro.
Alcuni sponsor come Mc Donald, Nestlé e Coca Cola sono in verità imbarazzanti: parleranno di ecologia quando, per esempio, la S. Pellegrino (Nestlé) era favorevole alla privatizzazione dell’acqua.
Manca, per fortuna, la Monsanto, detta la Microsoft del transgenico.
Ma non era l’evento che doveva promuovere la sana alimentazione?
Nutrire il pianeta non deve essere un alibi per operazioni di dubbio significato e di inaccettabili compromessi e per far “giocare”, decidere e promuoversi le multinazionali.
28 aprile 2015              (Alfredo Laurano)





lunedì 27 aprile 2015

FATATO PIGLIO


Anche i miei amici DIV, ieri, per festeggiare la Liberazione - nel nostro caso più dalla fame e dalla temuta anoressia (perdonate l'irriguardosa blasfemia) - hanno avuto la gioia di scoprire quel vicoletto nascosto e scosceso dove, quasi per magia, si apre un luogo antico di sapori e profumi dimenticati.

Un luogo veramente fatato e suggestivo che riesce a raccontare con i suoi piatti la storia di una cucina semplice e genuina, ma mai banale. Dove trionfano le erbe, gli accostamenti, la ricerca attenta delle materie prime, i vini e la fantasia che ogni giorno si rinnova.

Il nome del locale è già evocativo dell’atmosfera che lì si respira.
All'Osteria del Vicolo Fatato del Piglio il tempo sembra essersi fermato: la cucina si fa poesia e ogni pasto, ogni portata è un’esperienza culturale che esalta i sensi, magnifica la mente e inebria le papille.
Quella sobria tavola, di Nadia e di Pompeo, ti coccola e ti abbraccia con cortesia e rispetto, senza mai essere invadente. Ti accende e ti delizia, con garbo e con misura.
Come una volta, quell'osteria fatata, celebra la convivialità e lusinga l'amicizia, in un viaggio riflessivo nella terra del gusto e del piacere che conduce all'estasi del timido gourmet.

26 aprile 2015    (Alfredo Laurano)




ERA D’APRILE

Settant’anni dalla Liberazione: è la prima volta che Rai Uno festeggia la ricorrenza.
Ieri sera, in diretta dalla piazza del Quirinale, è andato in onda lo speciale “Viva il 25 aprile”. Perché le vere feste si fanno in piazza.
Anche se quelli de “il Giornale” ironizzano scioccamente che “Raiuno si traveste da Raitre o, se preferite, Raitre trasloca su Raiuno, perché che il momento è solenne, bisogna ammetterlo. La celebrazione è “officiata” da Fabio Fazio: una grande serata a rischio retorica”.
Ma sono rimasti delusi, non è andata così.

E’ stata una vera festa popolare, un quaderno elementare e asciutto di ricordi che da personali diventano collettivi, un articolato racconto per dire grazie a chi ha combattuto e ci ha liberato e l’occasione per riparlare di tante persone sconosciute alle pagine di Storia: la Resistenza fu un fenomeno soprattutto di popolo che si manifestò in varie forme, dalla lotta armata, alla resistenza passiva di molti civili che non accettarono l’occupazione tedesca.
La possibile retorica, con buona pace degli spiritosi “giornalivendoli” è stata sormontata dall’emozione vera, dalla autentica commozione
Storie di eccidi e di sacrifici, documenti, letture, testimonianze, canti, ricordi dolorosi: alla luce della ritrovata libertà, si sono ripercorse simbolicamente alcune tappe della tragedia italiana. Ma ce ne sarebbero tante, troppe altre.

Marco Paolini da Sant’Anna di Stazzema ha rievocato con toccante partecipazione l’orribile strage di quegli innocenti. Roberto Saviano da Montecassino ha ricordato gli eroici combattenti polacchi. 
E ancora, Margherita Bui, De Sica, Beppe Fiorello, Toni Servillo, la staffetta partigiana Teresa Vergalli e tanti altri attori che hanno omaggiato alcune targhe, spesso trascurate, che commemorano i caduti della Resistenza. Sul palco anche Francesco De Gregori, Ligabue e Carmen Consoli.

Finalmente, una bella serata da servizio pubblico, ricca di temi significativi e di momenti di riflessione. Dove la cruda realtà dei fatti e dei sentimenti non può e non deve lasciare spazio a fantasie e a vili speculazioni.
26 aprile   (Alfredo Laurano)


sabato 25 aprile 2015

STORIE DI QUOTIDIANO EROISMO

A settant’anni dalla Liberazione del 25 aprile, la Resistenza non è ancora diventata patrimonio comune, una data storica di tutti gli italiani da celebrare, con spirito di pace e gratitudine, per ricordare chi seppe combattere e resistere, sacrificare la propria vita e versare il proprio sangue.
Resta un tema fortemente strumentalizzato e capace ancora di dividere.

 Forse perché siamo abituati all'iconografia di una lotta armata e ideologicamente strutturata. All’ immagine, mitica e romantica, dei ribelli, con i mitra in pugno, un nome di battaglia, i fazzoletti al collo e Bella Ciao.
Ma la Resistenza non è stato solo questo.

Soldati, studenti, preti, suore, operai, intellettuali, ragazzi, anziani, casalinghe, contadini: sono tanti e diversi i protagonisti e le storie: la Resistenza è il drammatico racconto della vita di una comunità intera, non l’epopea di un’esigua minoranza o dei soli partigiani.
Di migliaia di italiani che, anche se non sono saliti in montagna, anche se non hanno sparato al nemico nazista o fascista, hanno compiuto atti di valore, di sacrificio, hanno contribuito con la loro azione umile, ma decisiva, al riscatto di un’intera comunità nazionale. 

È la ribellione di uomini e donne comuni, di classe sociale, idee politiche e religiose diverse, uniti dalla comune volontà di lottare per la liberazione. 
Non un’antologia di eroi, ma di tante storie di piccoli e grandi atti di eroismo, che hanno costituito la tragedia di una nazione chiamata a reagire, spontaneamente, nel momento più difficile della sua storia.

Oltre ai nostri padri e ai nostri nonni, ce l’hanno ben raccontato la letteratura e il cinema di Rossellini e del neorealismo, che hanno fedelmente rappresentato e ricostruito quegli eventi e, superbamente, anche la musica e la pittura (Guttuso). 
Tutte queste forme d’arte hanno icasticamente interpretato quel sentimento spontaneo e popolare che cementava l’appartenenza nazionale e il riscatto della ragione e della volontà, sulle macerie di una dittatura che aveva umiliato e devastato l’Italia.
Per cogliere lo spirito autentico della Resistenza, bisogna uscire dallo schema rigido di quell'immaginario retorico, di parte e di tradizione, che ha accreditato l’idea di un movimento partigiano totalmente egemonizzato dai comunisti e dalla guerriglia, per ascoltare voci diverse, quelle più acute e quelle più sommesse, che alla fine compongono un unico canto corale da tutti intonato.

Lo fa bene, Aldo Cazzullo nel suo ultimo libro “Possa il mio sangue servire”, che raccoglie fatti, storie e vicende di uomini e donne che "hanno resistito", per l'appunto, al nazifascismo, come testimonianza di un’Italia che, anche nel massimo dolore e nell’attesa della fine, sa reagire con dignità e fierezza.
C’è la voce dei condannati a morte. C’è la voce dei soldati di Cefalonia. C’è la storia delle migliaia di internati in Germania, delle condizioni terribili dei campi di concentramento, del rifiuto dei diktat tedeschi. Ci sono i trecento preti uccisi dai nazisti e dai fascisti, che si accanivano contro chi, con l’abito talare, si era schierato dalla parte dei partigiani. C’è il coraggio delle suore che nascondevano i fuggiaschi nei conventi e davano asilo agli ebrei braccati, confortando i prigionieri torturati dai nazisti. La generosità dei contadini che, rischiando la vita, aprirono le porte dei casali, dei fienili e delle stalle ai giovani patrioti.

Sono tanti i gesti carichi di significato, sono tanti gli episodi di un intero popolo che reagisce all’oppressione e alla follia.
Senza santificarla e senza reticenze sulle pagine oscure che pure l’hanno macchiata, la Resistenza è stato il grande romanzo dell’esistenza precaria, della solidarietà, del coraggio, della speranza sulla disperazione.

Dalla storia degli studenti di Montesacro a Roma, ai trucidati alle Fosse Ardeatine. Dalla terribile vicenda delle donne catturate, torturate e violentate a Salvo D’Acquisto. 
Dai fratelli Cervi a Gino Bartali, che trasportava dentro il telaio della sua bicicletta le carte necessarie per fabbricare documenti falsi agli ebrei.
Tutto ciò, se osservato con onestà e schiettezza, rende più vivido e realistico il concetto di lotta di liberazione: la sfida dell’altr’Italia unita. 
La sola rappresentazione che possa finalmente sanare conflitti e rancori e depurare la nostra memoria da veleni antichi.
A settant’anni di distanza, la possibilità di riconoscersi in una storia comune non dovrebbe, in teoria, essere difficile. Se non altro per rispetto e gratitudine verso i tanti piccoli e umili eroi che si sono sacrificati per noi e per la libertà.

La Resistenza non è il patrimonio di una fazione: è un patrimonio della nazione. Anche di coloro che non lo sanno o non l’hanno ancora capito.

25 aprile 2015  (Alfredo Laurano)        









                                                                                                 






venerdì 24 aprile 2015

TULULU!

Guerriere in prima linea nella guerra contro l’Isis.
Sono le valorose Peshmerga, combattenti curde, che hanno liberato Kobane, la città più disputata, che è stata riconquistata con il loro intervento decisivo: gli Yazidi assediati, affamati, decimati nei villaggi sulle montagne, sono stati salvati e l'Isis messo in fuga.

Peshmerga significa “coloro che sono pronti a fronteggiare la morte”: uomini e le donne che hanno combattuto per uno Stato curdo libero tra Iran, Iraq, Siria, Turchia
Per la popolazione curda, i Peshmerga non rappresentano solo i militari che combattono, ma sono anche gli angeli che proteggono i loro confini e le loro libertà.

Dopo la recente strage degli yazidi cristiani, molte curde siriane hanno scelto di combattere in prima linea. Sono giovani, belle, coraggiose, decise, dalle lunghe trecce nere. Lasciano figli e famiglie per combattere. Molte sono studentesse.
Mentre le mogli dei guerriglieri dell’Isis sono islamicamente velate dalla testa ai piedi e vivono rinchiuse tra le quattro mura di casa per dare il loro contributo al jihad con la completa sottomissione, a pochi chilometri da loro, nella provincia curda di Jazira, altre donne imbracciano i fucili, accanto agli uomini, per difendere la loro terra.

I tagliateste sanguinari, capaci di eccidi di massa e di trasformare bambini in kamikaze, le temono e sono intimoriti dalla sola vista di una donna in divisa.
Forse è il possibile tallone d’Achille dei miliziani jihadisti dello Stato Islamico: non vogliono essere uccisi da una donna perché il loro credo promette 72 vergini in paradiso, se verranno sacrificati in guerra come martiri di Allah, ma se muoiono per mano femminile, è scritto che non potranno entrare in paradiso.

Perciò hanno paura del “Tululu”: si chiama così in curdo, l'urlo di guerra di quelle partigiane, la voce del disprezzo, che le guerriere di notte lanciano come animali da preda verso gli uomini dell'Isis, nei villaggi fra la Siria e l'Iraq dove i terroristi hanno ucciso, decapitato e infilzato sulle picche le teste dei bambini.
E’ il grido di liberazione di mogli, madri e figlie che combattono accanto ai loro mariti, padri e figli, senza sconti o favoritismi, per l’indipendenza del loro Paese, ma anche di assicurare un futuro e uno status a tutte le donne curde.
Anche per loro festeggiamo il 25 aprile.
 24 aprile 2015       (Alfredo Laurano)

giovedì 23 aprile 2015

CRIMINI DI GUERRA: MARZABOTTO

Per tener viva la memoria, per tramandarla ai giovani, 
per non dimenticare.



Dopo il massacro di civili compiuto un mese prima a Sant'Anna di Stazzema, la mattina del 29 settembre 1944 ebbe inizio quella che verrà ricordata come la "strage di Marzabotto", anche se in realtà i comuni interessati furono molti.

Le SS accerchiano numerosi paesi e in località Caviglia, irrompono in una chiesa durante la recita del rosario e sterminano tutti i presenti (195 persone, tra cui 50 bambini) a colpi di mitraglia e bombe a mano. A Castellano uccidono una donna e i suoi sette figli, a Tagliadazza vengono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara le persone uccise sono 108.
Le truppe naziste si avvicinano ai centri abitati più grandi, Marzabotto, Grizzano e Vado di Monzuno e sulla strada ogni casolare, ogni frazione, ogni località vengono rastrellate, nessuno viene risparmiato.
Lo sterminio continua senza sosta: sono distrutti ottocento abitazioni, una cartiera, un risificio, strade, ponti, scuole, cimiteri, chiese, oratori, e tutti coloro che sono rastrellati vengono messi in gruppo, spesso legati, e bersagliati da raffiche di mitra, che vengono sparate in basso per avere la certezza di colpire anche i bambini.
L'azione procede per sei giorni, fino al 5 ottobre. 
I partigiani della Stella Rossa tentano invano di contrastare la ferocia nazista, ma perdono il proprio comandante durante uno dei primi combattimenti, e comunque non dispongono delle armi e dei mezzi necessari per far fronte alle attrezzatissime truppe dei nazisti.

Al termine dell’eccidio si contano, in tutta la zona del Monte Sole, circa 1830 morti, mentre pochissimi sono i sopravvissuti, che sono riusciti a nascondersi, o che sono rimasti per giorni sepolti sotto i corpi dei propri vicini, dei propri familiari.

Oggi, Renzi ha visitato quei luoghi per “inginocchiarsi davanti alla Storia” e per farsi un po’ di utile propaganda elettorale.
Su quei monti e in quel sacrario, ci sono stato anch’io, qualche anno fa, con una mia cara amica prof, con i suoi studenti e altri docenti, in una significativa gita scolastica di liceo, che fa pensare, capire e riflettere più di mille parole.
Dovrebbero farlo tutte le scuole e tutti gli insegnanti.
Una giornata della memoria, emozionante e preziosa, nel ricordo commosso dei valori, che quei luoghi ancora custodiscono e trasmettono, e delle tante vittime dell’orrore, morte perché noi fossimo liberi.
22 aprile 2015   (Alfredo Laurano)

Guttuso

FISCHIAVA IL VENTO


Quest’uomo fiero di 89 anni è Umberto Lorenzoni, il partigiano Eros.
A Ballarò, ieri sera, sono stati intervistati numerosi giovani, in età da voto, ben curati, scolarizzati, fichetti e tecnologici e molti, sicuramente universitari, sul 25 aprile, la Liberazione, la Resistenza. Nessuno, o quasi, ha saputo fornire uno straccio di risposta sensata. “Mi cogli impreparato…non me lo ricordo…la festa del Lavoro…la festa della nonna…in storia non andavo bene, meglio in geografia…Liberazione da chi? ...Siamo nel…1969!
E' semplicemente vergognoso! E’ sconvolgente!

Eppure, tutti sono andati a scuola, hanno studiato, superato esami, avranno letto qualche pagina di Storia: ma che cosa hanno imparato?
E le famiglie, la TV, la stampa, Internet non hanno mai comunicato niente, non li hanno informati di cosa accadeva in questo Paese e in Europa, oltre settant’anni fa?
Non ne hanno mai parlato, o sentito dire per sbaglio, di stragi, di rappresaglie, di Fosse Ardeatine, anche di fronte a fatti attuali di cronaca politica e sociale?
Targhe, monumenti, musei, sacrari della memoria, sequenze di nomi di martiri incisi nel marmo non esistono o non contano e non li hanno mai visti, in tutt’Italia?

La loro ignoranza è penosa, insopportabile e ingiustificata!
Se avessi dei figli come questi – ma è solo, per fortuna, un’ipotesi dialettica – li rinnegherei o li manderei a scuola serale obbligatoria e li costringerei a mangiare pane e storia tutti i giorni.
Mia figlia, docente precaria da quindici anni all’Università di Roma, mi conferma assai spesso la dilagante ignoranza che riscontra e le bestialità che ascolta, con rassegnato stupore, dai suoi studenti, ad ogni esame. Risposte incredibili e comiche, quasi quanto quelle di molti politici, altrettanto incolti e impreparati, intervistati dalle “Iene”, che non sanno nemmeno quando ci fu l’unità d’Italia o Porta Pia, chi sia Vittorio Emanuele II o Mandela o Gorbaciov, che affermano che nel Regno di Sicilia c’erano i Savoia. Che ignorano cosa sia l’Isis o dove siano Gaza o l’Ucraina.

Probabilmente, anche il vecchio partigiano Eros - che, all’età di quegli ignoranti giovani intervistati, ha vissuto sul campo la drammatica realtà della Resistenza - lo farebbe con i suoi nipoti e pronipoti.
Anche se ha avuto la forza e la lucidità di osservare, nonostante le delusione che gli si leggeva negli occhi lucidi, che non è colpa di loro, ma di quello che imparano dalla comunità, dal loro mondo giovanile, dalla famiglia, dalle istituzioni.
Non ha un grande futuro quella società che non ricorda una parte fondamentale della sua storia ed è grave che una scuola, di qualunque ordine e grado, non sottolinei adeguatamente una data, un fatto, un avvenimento così importante e fondamentale, da cui nasce la nostra libertà.
Cari giovani pretendete di sapere e imparate le cose fondamentali per la vostra vita e per la vostra formazione culturale, perché da certe dimenticanze del passato può sempre rinascere un infausto avvenire.  
Ogni tanto, abbandonate smartphone e messaggini e “informatevi, istruitevi, agitatevi, organizzatevi", citando le parole di Gramsci.
Sempre che sappiate chi era costui!
22 aprile 2015     (Alfredo Laurano)


Vedere per credere, vai al link;


E IO TI CAMBIO

Come previsto, il puffetto-ducetto fiorentino ha deciso: i dieci dissidenti della minoranza del suo partito (suo, nel senso di proprietà) in commissione Affari Costituzionali per l’esame dell’Italicum -  Bersani, Cuperlo, Bindi ecc. - sono stati destituiti, purgati e sostituiti con altri fedelissimi ed allineati. Era già accaduto con Mineo per le riforme costituzionali del Senato. Gli stessi esclusi non sono stati nemmeno invitati alla Festa commemorativa dell’Unità, di Bologna.
La notizia, annunciata da giorni, conferma come, sulla riforma delle legge elettorale, ma non solo, il premier Renzi sia più che mai convinto a non concedere nulla al dissenso PD. “Non ci faremo fermare da nessuno”, ha scritto su Facebook.
La decisione ha determinato anche la scelta delle opposizioni di abbandonare i lavori, in forte polemica anche contro l'ipotesi del voto di fiducia alla Camera, sempre più probabile.

Quello che sta accadendo è di una gravità inaudita. C’è un governo arrogante e autoritario, che se ne fotte della legalità costituzionale, più di quanto fosse quello di Berlusconi.
Bisogna tirare le conseguenze e farlo cadere in qualche modo o affittare, o mettere all’asta, il superfluo Parlamento. Ne vedremo delle belle, in Aula, almeno lo speriamo.
O dobbiamo prepararci al regime, a un altro ventennio?
22 aprile 2015    (Alfredo Laurano)