giovedì 31 agosto 2017

ANTICA LA POSTA, PIU’ ANTICA LA VILLA

Nella buona stagione, grazie all’Associazione Gruppo Archeologico del territorio Cerite, è possibile visitare la “Villa Romana della Posta Vecchia”.

La Posta Vecchia, in prossimità del Castello di Palo (ritratta in un celebre dipinto dei Vanvitelli del XVIII secolo, visibile all'interno), sorge infatti sui resti di una grande villa marittima romana, possedimento imperiale del secondo secolo a. C., costruita nelle immediate vicinanze dell'antica città, etrusca prima e poi (247 a.C.), colonia romana, di Alsium, con impianto urbano e con annesso importante porto. Nel medioevo, la villa non fu quasi più frequentata, perché la vita si svolgeva essenzialmente nel vicino castello di Palo.

Nel piano interrato e nella zona circostante l’edificio seicentesco - antica stazione doganale di posta pontificia e di ristoro, voluta dagli Odescalchi e oggi trasformata in albergo di lusso - si conservano preziosi reperti archeologici e i resti di numerosi ambienti e strutture di quella villa romana, scoperta casualmente in occasione dei lavori di ristrutturazione del complesso (che era stato distrutto nel 1918 da un incendio e del tutto abbandonato), voluti, negli anni sessanta, dal miliardario Paul Getty, che lì risiedeva. 


Vennero alla luce marmi e materiali ceramici, posti a ridosso delle pareti; muri, vasche, pavimenti, cisterne, vasi, anfore e suppellettili.

Di particolare pregio gli stupendi mosaici policromi, con ricche decorazioni geometriche e floreali di epoca tardo antica. Gli scavi e i restauri iniziati per opera della sovrintendenza sono proseguiti fino al 1970
Dal 1990, la società svizzera che è attualmente proprietaria della Posta Vecchia, situata nella cittadina costiera di Ladispoli, a pochi minuti da Roma, ha deciso di restituirla alle antiche funzioni di albergo, molto esclusivo, entrando a far parte dell'Associazione Relais & Chateaux. 

Lo splendido edificio che racchiude in sé diversi secoli di storia, circondato da un curatissimo giardino all’italiana per tre lati e, per il quarto, dal mare che ne lambisce le fondamenta, offre tennis, piscina coperta, centro benessere, eliporto, ristorante gourmet con spettacolare terrazza sul mare e 19 camere e suite, tutte impreziosite con mobili d’antiquariato rinascimentali e dotate dei più moderni comfort. 

Gli arredi antichi, gli arazzi, i dipinti, le opere d’arte e pezzi unici appartenuti alla collezione di Getty, rendono gli ambienti quasi unici al mondo. 
In questa cornice, quasi fiabesca, qualcuno vi organizza eventi privati o matrimoni.
E sotto, a pochi metri, in quello storico ipogeo, fra i non pochi resti di un edificio di oltre duemila anni fa, alcuni stravaganti ospiti amano farsi apparecchiare per consumare un originale pasto, respirando Storia, arte e romanità, a prezzi non proprio popolari. (Alfredo Laurano)


sabato 26 agosto 2017

VERGOGNA MINNITI


Eppure, non erano clandestini, né, tanto meno, criminali o terroristi.
Erano e sono rifugiati regolari, famiglie di somali ed eritrei,sopravvissute a guerre, persecuzioni o torture, con regolare permesso di soggiorno, a cui la prefettura ha tolto il palazzo che occupavano da anni, con bambini iscritti alle scuole del quartiere.
Ieri, all’alba - quasi tutti dormivano - la polizia ha sgomberato con violenza oltre mille rifugiati, da uno stabile di piazza Indipendenza a Roma, senza aver in mano credibili alternative.
Manganelli e idranti, cariche ingiustificate, donne e bambini terrorizzati, le loro cose sparse sulla strada, molti feriti, al grido di “spezzategli le braccia, se tirano qualcosa”.

Ennesimo, pessimo segnale nel nostro bel paese, funestato, ogni giorno da violenza gratuita, indifferenza e discriminazione, in un clima di ostilità, alimentato da mesi: dalla “politica dei respingimenti” del ministro degli Interni verso le Ong, ai troppi episodi di ordinario razzismo quotidiano, che si registrano ogni giorno ovunque, dove regnano leghisti o piddini, senza alcuna differenza.
Ci sono quelli che bastonano gli ambulanti sulle spiagge e c’è il prete di Pistoia che sta passando i guai e deve rispondere a pesanti minacce di razzisti e neo fascisti, per aver osato portare un gruppo di giovani migranti a fare un bagno in piscina, a spese sue. I neri non possono e non devono avere caldo, per definizione.
Le solite maniere forti con i più deboli, con i più poveri, con gli emarginati.

Il ministro di polizia Minniti non c’era, era alla messa per le vittime del terremoto, a Pescara del Tronto.
Ma le responsabilità non vanno in trasferta, né in missione per commemorare disgrazie e altre calamità. Come questa.
 (Alfredo Laurano)





giovedì 24 agosto 2017

SAPEURS-POMPIERS


Un anno fa, il terribile terremoto che ha distrutto Amatrice, Accumuli, Pescara del Tronto e tanti altri tanti paesi, frazioni e comuni del centro Italia, che ha ucciso persone ed animali, devastato la vita di intere famiglie, che ha creato migliaia di sfollati che in un momento hanno perso tutto: casa, lavoro, affetti, attività. 
Tutto crollato, tutto cancellato dalla terra e dalla Storia, in pochi istanti, sotto tonnellate di macerie. Che, peraltro, sono ancora lì.

Oggi, giornali, radio, TV, istituzioni e apparati vari ricorderanno la tragedia, con speciali e collegamenti, con commemorazioni e incontri ufficiali. 
Tutti avranno parole di cordoglio e di speranza, celebreranno le iniziative e le parziali ricostruzioni, anche se nei centri più piccoli, disintegrati, non s’è fatto assolutamente nulla e sono stati abbandonati e dimenticati sotto pietre e detriti, mai rimossi. 
Tutti quantificheranno i numeri delle nuove casette costruite e assegnate a sorte, delle scuole, dei negozi e di una certa economia che si cerca di far ripartire. 
Ci saranno veglie e fiaccolate, ma gli originali di quei paesi non ci sono e non ci saranno più: quei palazzetti, quei balconi, quelle piazze, quelle chiese e campanili sono solo polvere e ricordo, o polverose fotografie dell’album della memoria.
Nulla sarà mai più come prima, ma di certo rimane e rimarrà la solidarietà, la vicinanza e l’impegno di privati e cittadini, di volontari e corpi dello stato, che in quelle ore e giorni si sono sacrificati e prodigati per salvare vite, per scavare a mani nude sotto il sole caldo, respirando polvere, per aiutare, estrarre corpi, dare conforto ai sopravvissuti. 


Come, per esempio, i Vigili del Fuoco: tutti li amano, tutti li lodano, tutti li apprezzano e sono loro grati e riconoscenti. Li chiamano anche in TV, li chiamano eroi.
Ma, passata l’emergenza - si fa per dire, visto che ce è sempre una, da qualche parte - di loro non si parla. Non si dice che sono sotto organico, che sono 28.000 anziché 40.000, che guadagnano 1.300 euro al mese per rischiare la vita, per intervenire nelle situazioni più a rischio e più pericolose, sotto il sole o l’acqua o in mezzo alle fiamme. 
Tanta propaganda, quando serve, e poca sostanza e riconoscimenti, se non la considerazione, le congratulazioni, l’abbraccio virtuale di comunità e cittadini. 
Nelle cerimonie ufficiali al Quirinale o nelle altre sedi deputate, questi “eroi” dovrebbero sedere in prima fila, al posto di tanti inutili generali e cardinali.
Ma loro servono solo per il pronto intervento. Sono come tante squadre di fabbri, idraulici, falegnami, meccanici, ingegneri messi insieme, che arrivano, risolvono e salutano, senza nemmeno presentare il conto o la fattura.

In quest’anno, dal sisma di Amatrice a quello di Norcia, passando per la valanga di Rigopiano, fino all’attuale vero dramma nazionale degli incendi, ogni volta lo stesso iter, la stessa, ricorrente ipocrisia. Ogni volta l’impegno oltre il protocollo, fino agli straordinari degli straordinari, fino alla commozione per aver salvato tre bambini, appena estratti dalle macerie a Ischia. 
Lavorano ininterrottamente da mesi e da sempre, urgenza dopo urgenza, in ragione di eventi e disgrazie che colpiscono il nostro Paese, registrando però soltanto chiacchiere, complimenti e pochi fatti. 
Non sarà arrivato il momento di dimostrare finalmente quanto valgano gli amici pompieri, quanto siano necessari, quanto debba esser loro effettivamente riconosciuto? 
(Alfredo Laurano)

mercoledì 23 agosto 2017

LA DISFIDA DEL BRODETTO

Zuppa, brodetto, guazzetto, caciucco, ciuppin, broeto: ogni regione o località marinara d’Italia ha la sua zuppa di pesce, più o meno ricca e pregiata, più o meno povera, ma sempre gustosa e saporita.
Dall’Adriatico al Tirreno, da Caorle e Torcello, da Pesaro a Vasto, passando per Fano, San Benedetto del Tronto, Pescara e Francavilla. Dalla Puglia allo Ionio e alla Sicilia, dal Mar Ligure a Livorno, da Sestri Levante alla costa amalfitana.
Protagonista, sempre il mare, i suoi miti e le tradizioni locali, i suoi pescatori, le barche, i pescherecci e i mitici trabocchi.
Brodetto sull’Adriatico, zuppa nel Tirreno.
Con i suoi pesci e i suoi profumi, col pomodoro e il pan tostato, col peperone verde, col soffritto o con il vino, con l’aceto o il piccantino, con le patate, i carciofi e le verdure, col pesce prima fritto a Trieste, in bianco o con lo zafferano a Porto Recanati. Ogni regione, ogni paese, ogni famiglia ha il suo coccio prelibato e preferito.
Perché tutto fa brodo, tutto fa zuppa: seppie, calamari, cozze, vongole, razze, palombi, mazzole, coda di rospo, gattucci, gamberi, scampi, scorfani, triglie, gallinelle, sogliole, merluzzi, sampietro, canocchie. Tutto da aggiungere man mano, secondo le consistenze e i tempi di cottura.


Poi, finiti i pescetti, nel sugo rimasto del gaio brodetto, quasi “ovunquemente”, si cala con gusto il sacro spaghetto.
Massimizzare la resa con quello che c’è, o con quello che c’era.

Una volta, il brodetto era roba da poveri, perché il pesce grosso e pregiato era destinato ai signori e tutto il resto faceva buon brodo solo per gli appetiti plebei, anche gli scarti, le lische e le teste.  
Ancora oggi, nel livornese, esiste infatti il Caciucco povero, fatto con questo e col pesce azzurro.
Contano i colori, i sapori, la freschezza e i profumi, perché ogni zuppa, ogni brodetto porta il mare nel piatto e la gioia al palato. (Alfredo Laurano)



martedì 22 agosto 2017

CRUCIVERBA: PAROLE INFROCIATE


Malattia che colpisce albero natale:                           DIABETE
Piatto preferito dai magazzinieri:                                TIMBALLO
Località sciistica preferita da alcolizzati:                   CERVINO
Piante che traforano le case:                                       BOUGANVILLE
Insalata precocemente invecchiata:                            RUGHETTA
Città con record di furti:                                                ALATRI
Località balneare piena di asiatici:                              TERRA CINA
Donne che chiacchierano sui tetti:                               PETTEGOLE
Morì per la sorella di mamma:                                       PERIPEZIA
Dita dei piedi in movimento:                                          ALLUCINAZIONE
Cannocchiali che si usano con le donne:                    TELESCOPI
Città della permanente:                                                   ARICCIA
Corsa in ospedale per parto prematuro:                       FORSENNATA
La nazione più lunga:                                                      L’UNGHERIA
La nazione che vi tutela di più:                                       PARAGUAY
Calciatore che usa solo l’accendino:                             NOCERINO
Calciatore che fa tutto da solo:                                       TRESEQUET
Famoso premio, solo per i brutti:                                    NOBEL
Ferro riconoscente:                                                           GRATA

DOMANDE

Perché ci sono persone CONTORTE, altre con PASTARELLE?
Può un daltonico andare in vacanza in COLORADO?
Vecchioni, da ragazzo, si chiamava JOVANOTTI?
Prima di un arresto cardiaco c’è un AVVISO DI GARANZIA?
Se muore il titolare di un negozio di strumenti musicali, la moglie dona gli ORGANI?
Quando muore un Pasticcere viene CREMATO?
Perché Riccardo FOGLI e Marco CARTA non fanno UN ALBUM INSIEME?




ARTISTA DI STRADA

Top model, top manager, top player, top star...
C'è pure chi, bella e brava, si guadagna da vivere così. 
E non finisce in copertina

DELIRI DI TERRORE

"Chissà perché - si interroga Diego Fusaro, come tanti altri dubbiosi cittadini - questi orrendi attentati si abbattono sempre nei luoghi pubblici facendo strage di povera gente, di presone comuni, lavoratori e disoccupati, ragazzi e studenti. Mai una volta che l'ira delirante dei terroristi si abbatta nei luoghi del potere e della finanza. Mai. Mai un signore della finanza colpito, mai uno statista, mai un 'pezzo grosso' dell'Occidente. Strano, davvero, che i pazzi alfieri del terrorismo, che in teoria avrebbero dichiarato guerra all'Occidente non prendano di mira chi l'Occidente davvero lo governa".


Una domanda quanto meno spontanea e possibile, un dubbio legittimo che assale molti, contro una verità, asserita e senza prove, che non spiega dinamiche e occulte e strategie. Senza, per questo, essere complottisti.
Un clamoroso delirio, invece, secondo il dogmatico, incontrovertibile e pieno di certezze quotidiano “Libero”: “Fusaro lascia intendere che dietro agli attacchi, insomma, potrebbe esserci ben altro. Qualcuno spieghi a Fusaro che è più semplice fare decine di morti "qualunque" che uccidere un singolo governante. Negli attentati, i complottisti ci sguazzano. Ma tra tutti i deliri, quello del filosofo comunista, forse, è il più sorprendente.” 

Tutto qui? Tutta qui la rigogliosissima, logica ed esauriente risposta del foglio para-razzista, para-sciovinista, para-xenofobo di Vittorio Feltri, a qualsiasi forma di scetticismo, di sospetto o diffidenza? 
Proprio quel giornaletto, che vive costantemente di insulti e di provocazioni, che tutti giorni fomenta anche gli animi più tranquilli e fa crescere la piaga del razzismo - anche in chi ancora si interroga sullo stragismo di mafia, di stato e di terrore - predica, ammonisce e parla di delirio e assurdità?
E forse meglio l’estremismo parolaio e ingannevolmente affabulatorio dello stesso Vittorio Feltri, che spara a zero sugli invasori neri, applaudito e osannato dalla sua nutrita ciurma di razzisti ignoranti e qualunquisti?

“Adesso basta - dice alla pancia dei suoi sudditi compari - è arrivato il momento di uscire dalla ipocrisia e di dire le cose che pensiamo davvero. Dei migranti non ce ne importa un fico secco. Vadano dove vogliono, ma la smettano di puntare all'Italia quale meta. 
Non ce ne frega nulla delle Ong né, tanto meno, dei loro scopi umanitari. Non crediamo alle fanfaluche dei piagnoni che sostengono la necessità di salvare in mare i migranti. I quali - è nostra convinzione - non scappano da zone di guerra e neppure di miseria, ma emigrano pagando prezzi salati agli scafisti per giungere qui e farsi mantenere da un Paese che si è costruito volontariamente la fama di grande sacrestia, disposta a ricevere chiunque.
Chi salpa dalla Libia, non è un disperato ma un opportunista con la faccia di bronzo che intende sfruttare la greppia onde mangiare gratis. Se è vero che il cinismo è una succursale dell'intelligenza dobbiamo cessare di farci impietosire e rifiutarci di soccorrere gli accattoni, destinati a pesare sulle nostre spalle. 
In altri termini, ne abbiamo piena l'anima di recitare il ruolo dei buoni samaritani al servizio di madame Boldrini. Coloro che si avventurano nel Mediterraneo per approdare nel Bengodi della Penisola si arrangino, rinunciamo a ripescare uomini e donne che poi ci restano in gobba per anni.
Non abbiamo i mezzi per nutrire orde di neri ignoranti e desiderosi di vivere a sbafo, quindi blocchiamo gli sbarchi senza fare tante storie, a costo di irritare il Papa, i parroci e i progressisti che amano i popoli stranieri, magari islamici, e detestano il nostro.
I partiti predicatori dell'accoglienza non prenderanno più un voto, ma molti calci nel deretano. Sarà una festa”. 

Che poetico, acutissimo sermone! 
Sic loquitur l’esperto mestierante Vittorio Feltri, capace come pochi di cavalcare il malcontento e le paure, per trovare facile consenso e per vendere due copie in più del suo padano giornaletto: Libero nella testata ma, di fatto, libero di sparare assurde minchionate. 
Ma, per carità, il suo non è delirio, come quello di Fusaro, né incitamento all’odio. 
E’ il dramma vero di un ricco, elegantissimo borghese, anziano scribacchino, che ha paura del diverso e di perdere il suo status.
Che “abita in collina se ne frega”.
21 agosto 2017 (Alfredo Laurano)

domenica 20 agosto 2017

SIRENE, SIRENETTE E CHIAPPE DI MARE

Il "Monumento alla Bagnante", meglio noto come la Sirenetta Vastese, è il simbolo di Vasto Marina, come la Sirenetta è quello di Copenaghen. Forse, sono cugine per parte di mare.

Impropriamente detta anche "sirenella", rappresenta una figura femminile esile, in posizione eretta sullo scoglio - forse un tratto dei resti dell'antico porto - in procinto di tuffarsi in mare. Lo stile è asciutto e longilineo, la bagnante guarda in basso, come se controllasse il suo costume. 


Il monumento si erge, imponente, a pochi metri dal lungomare, in omaggio a tutte le donne, per le loro qualità. 



Non so per quale strana associazione di idee, osservandola, mi è venuta in mente la brutta, sproporzionata, insignificante, incomprensibile e pacchiana statua di Manuela Arcuri - posta, rimossa e poi riposta - sul lungomare di Porto Cesareo, sulla cui epigrafe gli operatori turistici hanno fatto incidere la dedica: “A Manuela Arcuri, simbolo di bellezza e prosperità.” Che ci azzecca in quel contesto l’attrice, peraltro di Latina, ce lo spiegherà Di Pietro o il sindaco della cittadina jonica.

Non molto apprezzata dalle donne del luogo, che avrebbero preferito forse un monumento a una Madonna del Mare, ingelosite anche dal fatto chi i loro uomini marinai, prima di partire per pescare, avevano preso l’abitudine di augurarsi la fortuna, toccando le chiappe della marmorea Arcuri, la statua è stata al centro di varie polemiche e scaramucce mediatiche e locali, diventando un simbolo divisivo e di rigetto popolare.

Le chiacchiere e le leggende sulla scultura si sono poi moltiplicate.
Qualcuno è convinto che un vincitore del Superenalotto sia stato baciato dalla fortuna, dopo aver toccato l'abbondante fondoschiena di Manuela. 
Un pasticciere della zona ha realizzato un dolce dedicato, appunto, al suo "lato b", assaggiato con gusto e assai gradito dalla formosa ispiratrice, durante una sua visita nel leccese.
Siamo alle soglie del ridicolo, alle baruffe comiche e farsesche all’italiana. Facciamo un referendum!
Ma la nuova dea della fortuna non poteva essere raffigurata dal volto e dalle forme di una donna prosperosa della storia o della tradizione, come i grandi pittori e scultori rinascimentali facevano, prendendo spunto dalla vita civile e religiosa, o privilegiando la pura fantasia?
Ma c’è di più.
La venere callipigia (dalle belle natiche) di Latina ormai spopola, non solo al cinema, sulle riviste patinate, nei salotti e alla TV. Quale madrina d’eccezione - novella Gioconda nuda, a figura intera - la chiamano a inaugurare manifestazioni, eventi e sagre di ogni tipo, anche quella della patata o della bufala nostrana.
Una sua riproduzione statuaria e sensuale, con un lungo tralcio d'uva tra le gambe,  è stata posta pure all’ingresso di una nota azienda vinicola sull’Aurelia, a pochi chilometri da Cerveteri, forse perché si è sparsa la voce delle sue aristocratiche e taumaturgiche chiappe.
E anche il vino, bontà sua, viene meglio.
 (Alfredo Laurano)



UN FERRAGOSTO TRA GLI ULIVI

A Vasto, in località Montevecchio, tra gli ulivi baciati dal sole d’agosto, siamo ospiti di   parenti di alcuni nostri amici e familiari, in un magnifico casolare in pietra, che guarda, un po’ dall’alto, l’azzurro mare e il golfo. Panorama esaltante a largo raggio, angoli preziosi e manufatti, tra pietre, piante e mattoncini.
La costruzione, oggi gestita dai figli, fu pensata e realizzata dal compianto capo famiglia, soprattutto, se non esclusivamente, per gli amici, per ospitarli in pranzi, cene e merendine, da consumare in compagnia e in allegria. Una scelta conviviale non comune, esaltante e assai significativa, che esprime tutto lo spirito e la socialità dell’ideatore.
Una scelta che oggi si è rinnovata, grazie ai suoi eredi, magnifiche persone, che ne continuano in parte la tradizione, e che ci hanno accolto con spontaneità e squisita cortesia, per un lauto pranzo ferragostano, piacevole e stimolante come pochi.
Una grandissima tavola imbandita, in un ampio salone con quattro finestre a illuminarlo. Intorno, il silenzio tra gli ulivi.
Ottima la qualità e la realizzazione di piatti locali, pieni di gusto e di bontà, e scenografici quanto basta: 
cestini misti con verdure, grande ciambella rustica, affettata, con ventricina, formaggio e insalata, morbide pallotte cacio e ovo al sugo, caponatina con pizzelle, candele al forno e gnocchetti alla ventricina - preparati dalla mia solerte e premurosissima consuocera - pollo alla cacciatora, insalata dell’orto appena colta, con pomodori, cipolle e peperoni verdi dolci e deliziosi, trionfo di cocomero e frutta mista in piramide, dolci vari tipici locali.
Il tutto, innaffiato da un buon Trebbiano d’Abruzzo e da un piacevolissimo Pecorino locale.

Compagnia assai gradevole, tra racconti, ricordi e attualità, che ha creato fin da subito condivisione di pensieri e affinità. Siamo a nostro agio, come se ci conoscessimo da tempi antichi, colpiti da tanta disponibilità e gentilezza. 
Amabile, gioviale e generosa gente dell’ospitale Abruzzo!

Grazie alla brillante chef Anna Pia, grazie all’ingegnere “insalataro” e grande esperto gastronomico Nazzareno, al bonario, pacioso e affabile Emilio e grazie a tutti gli altri che ci hanno “apparecchiato” e regalato un diverso, fantastico, indimenticabile Ferragosto.
 (Alfredo Laurano)





sabato 19 agosto 2017

GRAVIDANZA NERA

Mentre, anche a ferragosto, si continuano ad ammazzare donne e a farle a pezzi, differenziandole poi nei cassonetti dei rifiuti, come l’ultima di Roma, a Rimini, terra di pace e di vacanza, si assegna la palma al miglior episodio di schifosissimo razzismo.
Una giovane coppia di italiani di 19 e 22 anni (rispettivamente di Ancona e Caserta), precocemente malata di xenofobia diffusa e odio razziale, perché nutrita quotidianamente da certa stampa e da certa politica, si è esibita in uno show estemporaneo, abominevole, quanto incredibile.
Su un autobus di linea, hanno aggredito, colpito e insultato, una giovane donna incinta al sesto mese, solo perché nera e non per l’abbronzatura.
Le hanno rubato il cellulare, l’hanno spintonata, facendola cadere a terra, presa a calci e pugni, mentre la poveretta cercava d'istinto di proteggere la pancia. Per condire la violenza, con sottile e italica eleganza, le urlavano pure "ti faccio abortire negra di merda".
Alla successiva fermata dell'autobus, i due giustizieri bianchi hanno trovato gli agenti che li hanno ingabbiati mentre, ancora in preda al raptus dei “giovani razzisti crescono”, continuavano ad insultare la donna, anche davanti agli stessi poliziotti, con frasi originali e mai udite prima, come "negri di merda tornate a casa vostra".

Discriminazione, ostilità e intolleranza sono ormai mali quasi endemici e quotidiani nella nostra bella società degli egoisti e dei garantiti. Sono principi attivi ed elementi di cure e terapie intensive di odio e di razzismo, diffuse a piene mani e sempre più dilaganti, da chi nel prossimo e nel diverso vede solo un nemico da combattere.
Non importa se sia profugo, migrante, incinta o terrorista.
(Alfredo Laurano)

CRONACHE BAROCCHE

A Lecce, tra i tesori del barocco salentino, riappare la Madonna, la Ciccone, quella che canta e fa la pizzica per i suoi 59 anni.
A spasso come una comune mortale, fa un bagnetto di folla, fra stupore e incredulità: occhialoni, panama sulla testa e abitino frutto-floreale.
Più che una passeggiata, è una lenta processione nelle strade della città barocca - come si addice, appunto, a una madonna - tra ali di gente, capannelli di curiosi e, soprattutto, di devoti a questa santa laica e commerciale.
E’ riuscita ad arrivare al Duomo, dove, dicono le cronache gossipare, ha dedicato un pensiero alle vittime dell'attentato di Barcellona.
Foto, selfie, autografi e video a non finire: "Ciao Madonna", "Non ci credo, è Madonna veramente!"
Madonna stregata dal Salento, salentini stregati da Madonna.

A Borgo Egnazia, una esclusiva struttura di lusso nella frazione di Fasano (Brindisi), eletta la più bella del mondo, la pop star è ormai di casa, ci va in vacanza, festeggia i compleanni e fa il bagno nelle foglie di basilico - praticamente nel pesto brindisino - con bicchiere di rosato di Puglia in mano.
(Alfredo Laurano)

venerdì 18 agosto 2017

TRABOCCANDO

Conoscevo abbastanza bene la costa adriatica da Ravenna a Francavilla, passando per Cesenatico, Rimini, Riccione, Gabicce, Pesaro, Fano, Senigallia, il verde Conero con Sirolo, Numana e Porto Recanati e le meravigliose cittadine di Civitanova e S. Benedetto, ma molto meno quella abruzzese, da Ortona fino a Vasto, e devo francamente confessare che non poco mi ha stupito. 
Ho scoperto ampie e dorate spiagge libere o attrezzate e calette incastonate fra rocce, scogliere e promontori. Ma anche palazzi antichi, centri storici d'eccezione, vecchi castelli, porti, vicoli e pezzi di Storia, che si possono ammirare fra scenari e angoli incredibilmente suggestivi. 
L’Abruzzo è conosciuto soprattutto come regione montuosa e dei parchi nazionali, per le sue vette che sono le più alte dell’Appennino. Però è anche una regione di mare, con chilometri di litorale ricchi di straordinari paesaggi, assai diversi e irregolari tra di loro.
La Costa Abruzzese è un palcoscenico perfetto per una vacanza di mare, di cultura, di folclore e tradizione, che appaga ogni gusto ed esigenza, non ultima quella enogastronomica. 
Ristoranti, trattorie, deliziose rosticcerie e mille sagre di ogni ben di dio, di mare e di terra, che esaltano e diffondono le bontà del territorio, che esprimono sapori e profumi quasi dimenticati: frutta, pomodori, peperoni e verdure varie riacquistano qui il diritto al proprio nome e alla propria identità, il diritto a ritrovare e restituire sapidità e profumo. 
Mille vini, dal raffinato e intenso bouquet, che nascono dal felicissimo connubio di correnti d’aria marina e di mezza collina, dove la viticultura diventa protagonista dell’economia e del gusto. 
La terra è generosa in questa parte d’Italia, ha radici antiche e gode di condizioni microclimatiche straordinarie per la coltura della vite, con terreni vocati e grappoli baciati dalla salsedine e da quell’intreccio di soffi benefici, prodotti dall’ escursione termica tra giorno e notte, tra mare e monti. 
Ho scoperto che il verde Abruzzo si tinge e si confonde anche d’azzurro e di turchese. In una tavolozza di colori saturi e brillanti, con toni e sfumature vivide, si unisce e si confonde cielo, terra e mare, in un miscuglio di sapienti pennellate, dosate con maestria, a suscitar l’incanto, lo stupore e l’emozione,  
Ho scoperto, in particolare, la seducente e unica Costa dei Trabocchi, in provincia di Chieti, che comprende varie località di interesse storico, artistico e turistico, che si affacciano su quel mare. 
I trabocchi sono originali piattaforme in legno, che si ergono sul mare come palafitte, agganciate alle rocce. Sono macchine da pesca, costituite da una piattaforma collegata alla terra da un ponticello e sospesa su travi erette e fissate con straordinaria perizia a ridosso di scogli e punte rocciose, là dove il mare presenta profondità e correnti favorevoli alla pesca. 
Dalla piattaforma si protendono verso il mare aperto bracci di legno (antenne) che sostengono la grande rete (bilancia) che viene calata e issata con l’aiuto di un grande argano fissato al centro della stessa piattaforma. “Proteso dagli scogli, simile a un mostro in agguato, con i suoi cento arti il trabocco aveva un aspetto formidabile”. Così lo descrive D’Annunzio.
I trabocchi segnano la costa da Francavilla al Mare fino a San Salvo, passando per Ortona, le marine di San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Fossacesia, Casalbordino, Vasto e Punta Aderci.
In quest'area, tra le zone più belle di tutto il litorale adriatico, e in particolare a San Vito Chietino, conosciuto come "il paese delle ginestre", Gabriele D'Annunzio scrisse appunto i versi del celebre "Trionfo della Morte", nel suo eremo, il trabocco Turchino. “O desiata solitudine, lungi al rumor degli uomini, o dolce speco d’incanto…” 

Oggi, non si usano quasi più e molti sono diventati sofisticati e lussuosi ristoranti. 
Ma la loro storia resta, legata a quella di tanti pescatori che su quegli strani “mostri”, protesi sul mare, hanno trascorso la loro vita e loro fatiche. Lì cucinavano e mangiavano ciò che pescavano, mischiando pesci, acqua e poco altro, inventando così zuppe e brodetti.
 
Ringrazio il mio amico Attila, “traboccante o traboccaiolo” originario di quell’area e biologo marino, per i suoi preziosi racconti, per la storie personali e per le tante curiosità di cui mi ha fatto parte. 
Lui, che dà del tu ai pesci, fra onde, trabocchi ed immersioni, danza leggero in ogni mare, come un novello Poseidone. Mi ha fatto vivere la passione di luoghi, spazi e affascinanti panorami, accompagnandomi per mano e con sapienza, tra i magici giardini di quell'Eden, fra quei mostri amici, fra quei legni sparsi e stravaganti su quel mare, che raccontano di epoche lontane, che accendono la fantasia e stimolano la curiosità di quel misterioso mondo.
Che ti commuovono, ti conquistano all'istante, ti catturano i sensi e soprattutto l’anima. 
(Alfredo Laurano)