venerdì 30 settembre 2016

MENO MALE CHE SILVIO C’ERA /913

Tutte le Reti Mediaset gli hanno fatto festa, hanno rievocato le sue gesta, hanno raccontato la sua vita, i suoi amori e le sue avventure. Hanno stravolto i palinsesti con lunghi servizi nei Tg, con speciali e sorprese nei programmi, per festeggiare il fondatore e proprietario.

E’ stato il B-day televisivo, appena appena celebrativo, nei toni e nel linguaggio, sul modello nord-coreano. 
Ne hanno parlato per ore e ore, a canali quasi unificati, lo hanno sommerso di auguri, di fiori, di ricordi e pensierini, fino al regalo della videolettera di quindici minuti “Caro Presidente”.
Fino alla possibile nausea mediatica.
Silvio Berlusconi  - che i suoi ex amici e compari oggi definiscono “corruttore, bugiardo, sadico” - ha ieri compiuto ottant’anni.

E’ vero, forse lo abbiamo già dimenticato, c’era una volta un’Italia in cui si era o pro o contro. 
Silvio si amava o si detestava. O, quanto meno, si doveva scegliere: si saliva sul suo carro o si restava sdegnosamente a terra. Lo si aggrediva, anche con le statuine del Duomo, lo si insultava, lo si spernacchiava anche nel mondo, come lui faceva con gli italiani, con la stampa, con la magistratura: Ruby, le Olgettine, il Bunga bunga, il sistema prostitutivo, la frode fiscale, il rapporto con Dell’Utri, le amicizie ambigue, la compravendita dei senatori, i tanti processi, le condanne, le assoluzioni, le prescrizioni, le leggi ad personam e le leggi vergogna come la Cirielli che, secondo Cantone è “un incentivo alla corruzione”.

Poi, tutto è cambiato, come sempre o spesso accade: gli amici sono diventati nemici, come nel tragico 8 settembre del 1943.
Da Fini a Casini (“un grande inganno”), da Alfano a Verdini, a Pisanu, a Formigoni, a Follini, a Urbani, a Capezzone, a Cicchitto, a Guzzanti, al “fedefissimo” Fede.
Persino il leggendario cantore Sandro Bondi, che poetava le sue gesta e il suo sconfinato amore, ora lo insulta pubblicamente e dice “Berlusconi ci lasciava giocare con la politica e con le idee, fino a che non toccavamo la sostanza dei suoi interessi e del suo potere.
Seducente e abbandonato, quindi: è un bilancio triste, l’impietoso ritratto che gli ex amici e alleati fanno oggi di un leader che ha condizionato un ventennio della vita italiana, che lo hanno ben conosciuto, esaltato e che adesso lo demonizzano e lo sputtanano. Dice ancora Bondi: “sono giunto alla conclusione che non vi è alcuna grandezza tragica in lui”.

Roma, dodici novembre 2011, ore 21.42, palazzo del Quirinale: Silvio Berlusconi non è più il presidente del Consiglio. Ha consegnato le sue dimissioni nelle mani del capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Un atto formale che segna al tempo stesso la fine del berlusconismo e dell’esperienza governativa più longeva dal secondo dopoguerra ad oggi.
Una data storica. La fine di un’era durata 18 anni.
Migliaia di persone hanno atteso la notizia per ore, festeggiando e brindando nelle piazze.

Cosa resta del tanto amore-odio di quei tempi che sembrano lontani, della rivoluzione liberale, della promessa della cuccagna fiscale, della grande comunicazione, del bombardamento delle sue TV, dello stile e del mito del berlusconismo acritico e sfrenato? 
Solo l’analisi dell Storia e della Sociologia.

Tanto lifting, trapianti e la costante tintura per capelli non cancellano l’età: una specie di salma imbalsamata. 
Il recente intervento chirurgico e la convalescenza lo hanno ricondotto nella dimensione umana, sui binari dell’anagrafe e della mediocre normalità.
Adesso, comunque, a capo del governo c'è un altro bugiardo cronico di fronte al quale anche il decadente Silvio appare un dilettante della menzogna.
30 settembre 2016 (Alfredo Laurano)







mercoledì 28 settembre 2016

IL PONTE DEI DESIDERI

Una mancetta di qua, una promessa di là, un risparmietto di sopra, un altro po’ di quattordicesima ai pensionati alla fame. Meno tasse, più flessibilità, giù Ires e Iri: tutto descritto a pennarelli, con un trattino, un disegnino, un numeretto sulla lavagna cartacea di Del Debbio.
Sono le priorità e le nuove promesse del già detto “Patto della Lavagna” renziano, che ripropone in perfetta continuità il berlusconiano Contratto con gli Italiani, di quindici anni fa, nel bianco salottino vespiano.
Torna, quindi, l’annuncite, malattia congenita del Puffo Premier, aggravata dallo spauracchio del referendum, ora che, finalmente, ne è stata fissata la data, la più  lontana possibile: il 4 dicembre prossimo.

Ma la botta di annuncite più imprevista e più eclatante riguarda  l’immaginifico ponte del futuro o, meglio, sul suo futuro.
Nel 2012, diceva: "Gli otto miliardi delPonte sullo Stretto li dessero alle scuole". Mentre il suo amico Silvio Berlusconi prima ancora dichiarava: “prima di morire ho un sogno: attraversare il Ponte sullo Stretto”.
Del resto, già Mussolini prometteva: “Dopo la vittoria in guerra getterò un ponte sullo Stretto di Messina”.

Nel tempo, tutti o tanti, chi più chi meno, si sono detti favorevoli, almeno una volta nella vita. Anche Craxi, anche Andreotti, nel suo ambiguo dubbio democristiano.
Perfino Prodi, presidente dell’Iri, nel 1985, annunciò: “I lavori cominceranno al più presto. L’auto risparmierà 40 minuti, l’autocarro 35 e il treno 92”.
Un anno fa, lo riesumò il partito di Alfano che impegnava il governo a mettere mano alle infrastrutture del Mezzogiorno.  Ai soliti dibattiti su costi, sprechi e possibili corruzioni, seguì un onorevole silenzio.
O è una battuta o ci prende in giro - dice il sindaco di Messina - ma quale Ponte? Qui abbiamo un sistema ferroviario da seconda guerra mondiale, a binario unico, a gasolio. Sulla Messina/Catania è caduta una frana e l’autostrada è ancora interrotta. Le due città non sono più collegate tra loro. 
Messina è stata settimane senz’acqua per i danni all’acquedotto.  
Prima renda la Sicilia un posto civile, poi magari inizi a fare questa chimera chiamata Ponte.”
Renzi, quindi, era contrario.
Ora, in vista del referendum, e per contrastare i sondaggi che al Sud danno favorito il No, riciccia “l’opera da centomila posti di lavoro”. Una di quelle promesse buone per creare aspettative - ricordiamo tutti le sparate del milione di posti sui cartelloni sei per tre di Forza Italia - e per un titolo di giornale.
Senza contare che - secondo i geologi - dove si dovrebbero piazzare i pilastri c’è la faglia sismica più pericolosa del Mediterraneo.

Nell’immaginario collettivo un nuovo ponte è sempre un cosa positiva. Ma quest’opera dai costi enormi, sembra sorpassata dalla storia e anche dall’economia.
Forse non è un caso che nessun privato sia mai arrivato a metterci i quattrini.  (Alfredo Laurano)


E SO' QUARANTA!

In campo, in panchina, in strada, in famiglia: sempre semplice, buono, generoso, ironico e con quell'espressione da bimbo furbetto e dispettoso che scherza sempre e non s'arrabbia mai. 
Il tuo sguardo lo conferma, i tuoi occhi sono buoni e pieni d'amore.

Quando ti ho conosciuto, ne avevi 17 ed eri timido e impacciato, un ragazzino di talento, vergognoso e imbarazzato che parlava solo col pallone. 
Non sei cambiato molto, France', anche a quarant'anni! 
Con due ginocchia rifatte, dieci viti nella caviglia e un pezzo di ferro nella gamba, ancora ci regali la magia. 

27 settembre 2016 (A. La.)

domenica 25 settembre 2016

VIOLENTA FOLLIA METROPOLITANA

Malvagità, prepotenza e imbecillità sono contagiose come tutte le malattie infettive. Dilagano e si diffondono a caso, nel tempo, come e dove capita.
Le immagini del pestaggio sulla Metro B di Roma le hanno ormai viste tutti e hanno provocato un senso di schifo e di disgusto in tanti cittadini e utenti.

Il giovane Maurizio chiede ad altri giovani di smettere di fumare. Poi si allontana. Qualche istante dopo, alla fermata della stazione Bologna, gli aggressori-fumatori scendono dal treno e rientrano dalle porte del vagone dove si trova il ragazzo con la madre accanto.
Un giovane, canotta nera e cappellino, si avvicina, la madre di Maurizio lo spintona per difendere il figlio, ma finisce a terra.
Poi comincia il massacro: quello col cappelino, aiutato da un complice, colpisce ripetutamente a calci e pugni il 37enne e sferra un calcio anche alla madre che da terra cerca di difenderlo ancora. Poi scendono dal vagone.
Durante l'aggressione la metropolitana poco a poco si svuota: nessuno interviene e nessuno aiuta Maurizio e sua madre a rialzarsi dopo la brutale aggressione.
I due teppisti, catturati poi dalla polizia, hanno dichiarato di essere reduci da un Rave party, nei pressi della capitale e quindi ben “fatti” di sostanze.
Altra follia, altro sdegno, misto a incredulità, poco tempo dopo a Fiumicino.
Passeggeri, per quasi un'ora, ostaggio di un altro delinquente pazzo su un autobus della Cotral, che collega Fiumicino ad Ostia. Un adolescente, spalleggiato da una baby gang, ha prima infastidito i passeggeri chiedendo un accendino, poi si è acceso una sigaretta, ha aggredito violentemente l'autista che gli aveva intimato di scendere e infine ha danneggiato l'autobus su cui viaggiava.
“Quel ragazzo era indemoniato - ha dichiarato un testimone - non voleva andarsene. È diventato sempre più minaccioso e prepotente. Una spinta dopo l’altra, fino a puntare le mani al collo del conducente, ormai chiuso in un angolo”.
A sottrarlo alla violenza, sono stati alcuni passeggeri che sono riusciti a far scappare l’autista in strada. Il suo aggressore lo ha rincorso per qualche metro e poi si è scagliato contro l’autobus. La porta di ingresso è andata in frantumi. Gli stanno dando la caccia.

E per chiudere in tristezza, un altro caso di incredibile follia.
Un Tir travolge un'auto ferma al casello di Rondissone (Torino) della A4 Torino-Milano per pagare il pedaggio e fugge, trascinandola per 200 metri: due genitori morti, gravi i tre bambini.
Sulla vettura, una Fiat Idea, c'era un'intera famiglia distrutta.
Il camionista, arrestato, era ubriaco e non ricorda nulla.
 (Alfredo Laurano)


ALI DI FERRI

Non tutti hanno le ali, non tutti le vogliono, non tutti possono indossarle.
Ma si possono scegliere.
In questa sua terza opera, Gian Piero Ferri, compie un terzo viaggio nella spiritualità, ma anche nell’amore, nei misteri del mondo e nei risvolti della vita quotidiana.
In “In Die illa”, il bel viaggio si realizza “ dove nascono le favole che poi prendono la forma delle nuvole e assumono le mille forme dei pensieri”. Riflette sugli affetti, le passioni, i fatti, le scelte e i desideri della propria vita, ripercorrendo i luoghi dell’infanzia, della giovinezza, della maturità e della consapevolezza, tra le brume della nostalgia e di qualche rimpianto.
In “Io sono Matteo” indaga, tra i difficili meandri della teologia, il delicato rapporto tra le cose divine e quelle umane e narra il suo cammino spirituale tra le impervie vie dell’estasi mistica.
E realizza un secondo cammino alla ricerca dell’amore e del mistero, tra dogma e fede, tra ragione e amicizia, tra gioia e dolore, ricordi e paure.
Oggi, sceglie le ali di Malia, che le contiene nel suo stesso nome.
E  l’assonanza, forse, non è casuale.
Quelle ali non sono solo simboli e metafore, sono strumenti di libertà e di rinascita. E si possono usare, dicevo, per viaggiare nel tempo, per volare in alto o all’interno dell’anima, così come si sceglie, in premeditata antitesi, un ruolo ambiguo, una strada perversa, una divisa prepotente, una corazza di cinismo.

Piccola e selvaggia, fiera e libera dalle catene di questa vita, Malia si confronta con Ezebel, il suo spirito guida  - parte istintiva e irrazionale della sua coscienza - per realizzare il suo destino. 
Le sue ali non hanno materia - come quelle di pietra dell’Essere Alato della leggenda, con cui giocava da bambina - e per questo sono libere e leggere.
Con esse, scappa” dalla sua età, danza, studia, prega, sogna, insegna e scrive. 
Il carcere in cui noi viviamo è quello della nostra condizione esistenziale, che ci tiene legati alle nostre radici.
Malia si allontana dal passato, che soppianta il presente, si allontana tanto da poter scrutare il futuro. E così visita il mondo.
Viaggia nel tempo, dall’infanzia alla maternità, alla maturità, rimanendo nella doppia dimensione del presente che ha il senso dell’infinito: spazio irreale, magico e immanente, dove tutto scorre e si trasforma, dove tutto è mutevole come nel fiume di Eraclito.

In cucina, Efre, Tonia, Malia, Ilez e il cane Oppo, l’animale dal volto umano, bevono caffè e latte caldo, come a condividere momenti preziosi dove l’amore sublima l’essenza delle vite nel loro addivenire.
Nel sogno si costruisce l’immaginario spirituale dell’autore, riaffiora la realtà, la trama della vita prende forma e si rinnova nel passaggio dal rumore al silenzio della riflessione. Nel silenzio si compie la creazione, nel silenzio Dio si manifesta agli uomini.

Malia, vera voce del suo pigmalione, ha scelto il bene.
Se l’animo umano riesce ad ospitare tale sentimento, siamo nel segno della speranza e della fiducia. Si dimentica il proprio io, si partecipa a qualcosa di più grande.
Infatti, dice a Ezebel: “Posso vivere ogni rapporto nella consapevolezza che la persona che mi sta dinnanzi con il suo gesto o il suo pensiero mi offra doni di vita per crescere. Anche se la persona è diversa da me, anche se pensa in modo opposto, per assurdo, anche se mi odia, posso vivere quella situazione in modo positivo, se mi affido, cioè se mi apro all’azione di Dio.

Qui, forse,  nell’epilogo, si definisce il messaggio più autentico e significativo che Ferri ci propone: se assumiamo un atteggiamento di fiducia riusciamo a scoprire forme nuove di umanità e di fraternità, prima mai realizzate. Possiamo far fiorire forme di perdono e di misericordia che non immaginiamo neppure: un continuo nascere e morire, una nuova vita da  vivere fino in fondo, con tutte le essenze e i colori.
Trionfa l’ottimismo della volontà (d’amare) sul gramsciano pessimismo della ragione.

Gian Piero Ferri ha scelto le ali della spiritualità per volare nei cieli alti dei sani sentimenti e della fede, in un difficile percorso di catarsi esistenziale, attraverso un racconto fantastico, surreale, onirico, ma pieno di profonda umanità e di poesia che, come i precedenti, si fa storia universale.
Forse tutti dovremmo scrutare o cercare di scoprire sulle spalle quelle vaghe cicatrici di ali nascenti o perdute che sono la misura del tempo e l’essenza della nostra interiorità.
Ma che non siano fragili e precarie come quelle di Icaro.
24 settembre 2016 (Alfredo Laurano)


venerdì 23 settembre 2016

TAMARRI, BURINI E PARVENU

E ci mancava pure lo studio  sulla figura antropologica del ricco. Come nasce, come pensa, come vive, cosa vuole, in cosa crede, come si confronta con il resto misero dell’umanità plebea.
E non poteva pensarci che l’espertissimo Flavio Briatore, uno che di ricchezza se ne intende: “io so bene come ragiona chi ha molti soldi”, ha detto con sicura competenza, e noi di certo non ne dubitiamo.
Secondo il poco studioso manager - bocciato più volte da studente e diplomatosi geometra da privatista - nonché, accademico della scienza del profitto, i ricchi, razza sociale poco diffusa e che non cresce libera in natura, vogliono tutto e subito.
Non amano prati e musei, ma lusso, servizi impeccabili e tanta movida.
Cercano resort e hotel pluristellati, porti comodi e sicuri per i loro yacht e tanto divertimento. Non se ne fanno niente di solo mare, casette, masserie, villaggi turistici, alberghetti a due o tre stelle, tutta roba che va bene per chi vuole spendere poco e che non porta molto denaro. 

Questa, la parabola del Vangelo, secondo Briatore, padre eletto dell’elite dei paperoni, espressa durante la tavola rotonda “Prospettive a mezzogiorno”, organizzata a pochi chilometri da dove, dalla prossima estate,  aprirà il suo Twiga, ennesimo locale di lusso, con stabilimento balneare, discoteca e ristorante, sulla costa a nord di Otranto.

Se esistesse un Sindacato dei Ricchi, osserva con la consueta ironia, Michele Serra, dovrebbe querelare l’imprenditore Flavio per l’ostinazione indefessa con la quale, attraverso i decenni, lavora per equiparare la figura del ricco a quella del burino. Non che manchino i ricchi burini: basta una capatina a Porto Cervo o a Montecarlo per prenderne visione.

I pugliesi, che dei loro musei a cielo aperto - spiagge, angoli di mare, masserie, ulivi, trulli, grotte e praterie - ne fanno orgogliosamente un vanto, non hanno molto gradito questo sfoggio di aristocratico pensiero e di superiorità, finalizzato alle scelte e alle voglie capricciose di chi ragiona in termini di cospicui capitali. E’ una questione culturale che riguarda arte, bellezza e tradizioni per tutti, non di ricchezza e agio per pochi fortunati.
Quelle parole prepotenti cozzano con tutto ciò che la Puglia rappresenta e con tutto quello che i turisti della Puglia apprezzano.
Il modello di ricco tamarro - descritto da Briatore - ignorante e parvenu, arricchitosi con speculazioni e sfruttamento, dedito a ostriche, champagne, festini  e coca, non è molto apprezzato in quella splendida regione, che non ha proprio bisogno di quell’ idea di sviluppo e prosperità.
Anche perché, di recente, da quelle parti, Madonna (la cantante) ballava la popolare pizzica, mica la musica del fastoso Billionaire.

Durante il dibattito, dal pubblico, una signora gli ha gridato: “Ma chi li vuole quei ricchi”.
Forse, Briatore, della Puglia ci ha capito poco o quasi niente.
I suoi comizi su nababbi e miliardari vada a farli a Dubai, non nelle nobili terre del barocco salentino. 
(Alfredo Laurano)





COLEI CHE PER VILTADE FECE IL GRAN RIFIUTO

Non aspettavano altro, non aspettavano che l’ufficialità del NO alla candidatura romana alle Olimpiadi 2024 per scatenare la  demolizione della bambolina “che fa no, no, no e che si difende, come puo’, dietro la vetrina dei suoi no”,  e il conseguente assalto al tutto il Movimento che la sostiene. 
“Sarebbe da irresponsabili dire sì a questa candidatura, significherebbe assumere altri debiti, non ce la sentiamo”.
Questa rinuncia è un duro colpo per gli addetti, per gli sportivi, per il governo renziano, per i professionisti dell’opposizione, per la nazione intera.
Ma dove sono i milioni di italiani e di romani che, a detta di tutti questi delusi, vogliono le Olimpiadi a Roma? 
Quattro anni fa, quando Monti e il suo governo tecnico si schierarono allo stesso modo tutti parlarono, a Destra e Sinistra, stampa compresa, di decisione saggia e ponderata, con buona pace della vecchia partitocrazia abituata a spartirsi torte finanziarie ed appalti golosi.
Una scelta da leggere come segno di responsabilità e non di sfiducia, disse per esempio Bersani. Una decisione saggia dinanzi a troppe incognite e costi poco chiari, dissero altri. Dubbi più che fondati, visti gli esempi del passato - basta pensare all’esperienza di Italia ’90 o a più recenti mondiali di nuoto, aggiunsero altri ancora. Il governo ha preso una decisione meditata, sostennero anche le opposizioni.
Insomma, tutti trasversalmente d’accordo con il no.

E adesso che Roma risparmierà uno spreco di denaro e di cemento, simile a quello delle recenti olimpiadi brasiliane, tutti delusi e incazzati come l’offeso Malagò, che non voleva attendere la bambolina sindaca, in Campidoglio.
Il no alle Olimpiadi è diventato uno schiaffo al futuro della capitale: “i romani perdono opportunità di sviluppo, di crescita, di lavoro”, ribadisce l’altro deluso Orfini.
Anche se, in teoria vogliono dire occupazione, rigenerazione delle periferie, opportunità per il settore turistico e per il commercio, rilancio dell’urbanistica e immagine della città, per interventi diffusi, finanziati dal Comitato olimpico, su impianti sportivi, infrastrutture e trasporti, le Olimpiadi - festa non tanto dello sport, quanto del mattone - non possono diventare pretesto per nuove colate di cemento sulla città e un grande affare per le lobby dei costruttori.

E’ un seducente sogno ad occhi aperti su possibilità e vantaggi, ma chiusi sui risvolti, sulle contro indicazioni e sugli effetti collaterali, un sogno che può trasformarsi in incubo, ha detto la Virginia.
A distanza di così poco tempo, oggi tutti, o quasi, con non poca ipocrisia e malafede, parlano di occasione persa per mancanza di coraggio, per incapacità e paura di gestire un grande evento, con la scusa di evitare fonti di arricchimento illecito, ruberie e corruzione.
Evidentemente, Mafia Capitale non ha insegnato nulla.
 (Alfredo Laurano)



martedì 20 settembre 2016

SCENE DA UN MATRIMONIO

Una lunga limousine, la  classica Roll, la carrozza a cavalli, il corteo con lo strascico e i paggetti? Una volta, forse, nell’antichità dell’etichetta matrimoniale!

Vent’anni fa, con Davide Mengacci, per Canale Cinque, ho girato per tre giorni “Scene da un matrimonio”, a Genova, per raccontare, con giusta discrezione e una certa riservatezza, una storia e un sentimento. Tutto, con misura, con un pizzico d’ironia, con il dovuto garbo e quasi con pudore. Nonostante l’esuberanza della TV:
Oggi, c’è molto di più.
Intanto le megafeste nei mega castelli dei guru napoletani o campani, dove lo sfarzo, i banchetti, l’abbondanza e l’eleganza fanno rima solo con l’esaltante, incontenibile stile del pacchiano spinto di luoghi artificiali e di lustrini da paese dei balocchi.
Poi, i film con musica, canzoni e immagini glamour e strappacuore del prima, del molto prima, del durante e anche del poi, con i parenti, amici e ragazzini rivestiti da stilisti sfortunati o un po’ falliti, con abiti teatrali o da sfilata o catturati dalle fiabe. Mare, barche, scogli, sole, giardini rigogliosi, tramonti e scontati controluce sono le accurate scenografie scelte per queste costose storie, di ambiguo gusto e perduta originalità, costruite ad hoc per la solenne  fiera dei ricordi.

Ma, a voler stupire veramente con qualcosa di ancor più appariscente, si può atterare in elicottero nel centro di Nicotera, in Calabria, per consentire a due ricchi sposi di fare un giro sopra le isole Eolie.
Col beneplacito, o per volontà, del padrino locale e a insaputa del sindaco, che sostiene di non aver mai concesso l’autorizzazione all’atterraggio e di non aver chiuso al traffico e transennato il centro storico della cittadina. Nessuno l’ha informato, nemmeno i vigili o qualche stupito cittadino.
Pensa quanto conta lì, e non solo lì, l’istituzione comunale!
Funerali in pompa magna che a Roma paralizzano un quartiere, aerei che lanciano fiori sul corteo funebre, inchini e contro inchini ai boss di madonne varie in tante processioni, fino ai matrimoni show in terra di Calabria: capricci di potenti, in stile cafone e rutilante, cui tutto è concesso in questo ridicolo Paese.
(Alfredo Laurano)

“STRAPPA” UN CRODINO

Qualcuno - esperto, specialista, romanistologo, calciofilo - dovrebbe forse rispondere, magari dopo approfonditi studi e analisi, ad alcune domande ontologiche sulle qualità dell'esistenza delle cose che vivono e accadono intorno a una squadra di calcio che si chiama A.S. Roma.
E’ normale cadere a Firenze e sciupare l'occasione di scavalcare la Juve e raggiungere in vetta alla classifica il Napoli a sette minuti dalla fine, dopo aver sciupato occasioni e dominato tutto il primo tempo e buona parte del secondo?
E’ normale prendere un gol su evidente fuorigioco monumentale attivo di un avversario che copre la visuale del portiere?  E che né arbitro, né segnalinee, né assistente di porta hanno visto?
E’ normale prendere una ginocchiata da dietro, davanti alla porta avversaria, e non prendere il rigore?
E’  normale che un marcantonio bosniaco di un metro e novantatre centimetri si impegni, corra in campo, faccia pressing, collabori, entri nel vivo del gioco, ma si muova in area con la velocità di un elefante e si divori almeno tre goal a partita?
Ce ne sarebbero tante altre di domande sulla rosa, sulla presidenza, sulla campagna acquisti, sui soldi buttati da Sabatini (Doumbia, Iturbe, Jesus…)  Quel che resta, oggi, è una sconfitta dal sapore beffardo in una partita sprecata come poche e che ha visto Totti giocare solo dieci minuti.

Per chiudere questa amara e certamente inutile riflessione, una nota di carattere cromatico di tendenza.
Ma chi ha concepito quella terza maglia fosforescente, sfumata di rosso Aperol e giallo Crodino - forse ritrovata abbandonata fra i costumi di scarto della pubblicità di spritz o apertivi - che fa male agli occhi, oltre a fare schifo.
Almeno, avidi padroni americani, rispettate e lasciateci i nostri tradizionali colori, il giallo ocra e il rosso pompeiano, che appartengono alla storia capitolina, non alla vostra.
E carcerate lo stilista.
19 settembre 2016 (Alfredo Laurano)


venerdì 16 settembre 2016

QUALUNQUEMENTE, DOVUNQUEMENTE FISCHI

In attesa del referendum costituzionale, che prima o poi, bontà sua, si farà, il puffo premier fiorentino, già contestato in diverse occasioni - a Treviso, Napoli, Taranto, Modena, Catania - si becca tanti altri  fischi anche alla Festa dell’Unità di Bologna, durante il confronto col presidente partigiano dell’ANPI. Anche se riesce con disinvoltura a dire che, con il SI al taumaturgico referendum, caleranno miracolosamente perfino le bollette di luce e gas!!! 
Come il canone Rai, che, di fatto, è aumentato per effetto dell’Iva. Potere della comunicazione!
“Con noi più lavoro e più diritti”. E chiu pilu pe tutti, come comiziava Cetto Laqualunque.
Fischi, pernacchie e tanta faccia tosta: ulteriore prova di quanto sia riuscito a spaccare un grande partito di tradizione e una Sinistra.
Dopo la batosta elettorale al Comune di Roma, la legge elettorale di cui tanto si parla in questi giorni, verrà sicuramente riscritta perché quella attualmente disegnata rischia di far vincere i Cinque Stelle, all’eventuale ballottaggio. Come appunto è già successo nella capitale.
Ma non sarà per iniziativa e volontà di Renzi, che finge di volerla, ma su apparenti richieste di Napolitano e opposizioni di varie provenienze. E lui sarà costretto, suo malgrado, salvando la faccia, o se volete, il culo.
Si arriverà, come per caso, a partorire un sistema che farà governare ancora il centrodestra insieme al centrosinistra, con equa spartizione di poteri e di poltrone. A meno che il M5S non faccia il pieno del 51%, cosa assai  improbabile, soprattutto, dopo la bagarre romana e il gioco sporco dei perdenti e dei tanti avversari.
"A forza di volere più sinistra si finisce come Bertinotti che mise fine al Governo dell'Unione, ha concluso il Puffo da quel palco della Resistenza. 
Giusto, viriamo un po’ più a destra e oltre a Verdini, compriamoci Salvini.
(Alfredo Laurano)


PORN REVENGE /903

Una volta, sembra un secolo fa, c’erano le chiacchiere di paese, le malelingue, le maldicenze, gli untori del pettegolezzo porta a porta. Oggi, c’è un grande, immenso paese globale e virtuale. Lo scrivevo, per l’ennesima volta, solo per  poche ore fa.
La Rete è una sconfinata prateria dove viaggia di tutto: informazione e conoscenza, spazzatura e sentimenti, imbecillità, speculazione e solidarietà.
La Rete non piange, non ride, non giudica, non ha rigurgiti morali.
E’ virtuale nella forma, ma reale negli effetti e in ciò che muove e che racconta. Veicola l’effimero, il successo, l’euforia, la spregiudicatezza. E’ anestetizzata di fronte al dolore e ai sentimenti, pur propagando le emozioni umane.
Ma non uccide, come molti titoli di stampa stanno oggi affermano: sono i tanti mascalzoni che la frequentano che uccidono, con atti di bullismo, di persecuzione, di dileggio, di cinismo, di emarginazione.
Quanto veleno e vigliaccheria virtuale si produce in questa giungla selvaggia, dove i predatori sbranano le prede? Quante vendette e atrocità si consumano in nome di una presunto diritto di offendere e ferire?
E’ il prezzo che paghiamo per salvaguardare la libertà di fare e di dire di tutti, per colpa di alcuni, la cui la malvagità, indotta o naturale, determina l’abuso e la violenza. Anche in Rete l’iper-tecnologica generazione del grande fratello produce odio e rancore, angoscia e depressione, invidia, competizione e nomination.

La legge sul Cyberbullismo arriva oggi in Aula.
Era già prevista la discussione, ma dopo la triste storia della giovane Tiziana di Napoli, morta suicida dopo che alcuni suoi video hard erano diventati virali, si carica di ulteriori significati.
Non riguarderà solo i reati in danno di minorenni. Per cyberbullismo si intendono la realizzazione, la pubblicazione e la diffusione online, di immagini, registrazioni audio o video o altri contenuti multimediali, allo scopo di offendere l’onore, il decoro e la reputazione di una persona, nonché il furto di identità e la manipolazione di dati personali,
Violenze fisiche e psicologiche, minacce e furti, offese relative alla razza, alla religione, all’orientamento sessuale, all’aspetto fisico: sono sempre più frequenti e gravi gli episodi di bullismo che mettono in serio pericolo  l’incolumità psichica e fisica delle persone, fino a portarle anche al rischio del suicidio. 
Come, appunto, nel caso di Tiziana che, al di là delle sue responsabilità, della sua consapevolezza di trentunenne, della sua fragilità e della sua discutibile interpretazione del concetto di libertà sessuale, è stata messa alla gogna mediatica, vittima di un perverso gioco che pensava forse di poter guidare e dominare. Succube di una perversa spirale che da scherzo è diventata incubo, poi calvario di vergogna e infine tragedia. Reale, vera, non virtuale.

Forse non c’è stato ancora il tempo di assorbire nella sua interezza il complesso significato e gli effetti della rivoluzione tecnologica degli ultimi vent’anni.
Dobbiamo imparare ad adeguare i nostri comportamenti, il nostro stile di vita. A studiare, educare, prevenire, usare e rispettare uno strumento eccezionale, ma potente, utile allo sviluppo della conoscenza e alle relazioni umane, privilegiando l’essere e non solo l’apparire.
 15 settembre 2016 (Alfredo Laurano)


mercoledì 14 settembre 2016

MODICA QUANTITÀ /902

Il web è democrazia, è una tribuna a cui tutti - anche i truffatori, i malintenzionati, i cazzari, gli esibizionisti, gli ignoranti, gli odiatori di professione e i cosiddetti "webeti", hanno liberamente accesso. E’ un infinito palcoscenico anche per imbecilli di professione che, intendiamoci, non sono nati coi social network - esistevano anche prima - solo che non avevano gli strumenti per raggiungere la ribalta e sbandierare al mondo la propria miseria intellettuale.
Un tempo gli ignoranti non ignoravano di essere tali e perciò si sforzavano di porci rimedio - studiando, informandosi, documentandosi, con lodevole umiltà - o almeno se ne stavano in silenzio quando la discussione si faceva proibitiva e affrontava argomenti su cui sapevano di non poter dire nulla di sensato.
Adesso, siamo ben oltre l’incredibile, siamo alle soglie del delirio: gli ignoranti ignorano anche di essere ignoranti e pensano che la prima buiaccata che gli viene in mente possa assurgere agli onori del mondo. Senza pudore alcuno.

Gli utenti di Internet oggi, in tutto il mondo, sono quasi 3,5 miliardi di persone, gli utenti di Facebook hanno superato 1,7 miliardi e quelli di Twitter sono oltre 306 milioni.
Tutti possono dire tutto, quindi, dalle più complesse teorie scientifiche o filosofiche alle varie scelte di aberrazione e degrado, dall’istigazione alla violenza, alle minacce e alle pratiche pedofile, fino a ogni tipo di speculazione, manipolazione, mistificazione e, non ultima, alla contemplazione dell’ordinario banale quotidiano.
Il tradizionale e innocuo scemo del villaggio di una volta si è trasformato in citrullo telematico, il cui raglio spesso procura gravi danni non solo alla comunità virtuale: per questo, va individuato ed emarginato come pericoloso nuovo scemo del nuovo villaggio globale, che opera in una dimensione sconfinata.

Qualcuno invoca una qualche regolamentazione, una forma di controllo - cosa che già avviene in alcuni Paesi non proprio votati alla democrazia - ma non è vero che la libertà online non abbia regole.
Intanto, esiste una netiquette, il galateo di internet, cioè di quell’ insieme di regole che disciplinano il comportamento di un utente nel rapportarsi agli altri utenti, attraverso siti, pagine, forum e blog, con rispetto, educazione e non come barbari incivili, anche se, troppo spesso, questa essenziale esigenza di bon ton viene ignorata e quel fantastico strumento di scambio si svilisce e diventa sfogatoio di pulsioni o vetrina di odiosi pregiudizi.
E poi, le regole sono le stesse identiche che limitano ogni altra libertà offline: la libertà di ciascuno, anche in Rete, finisce dove inizia quella dell’altro e le leggi che ci sono già fissano confini chiari e sicuri.
E vale anche per quelli che si illudono di esistere postando gattini e paperelle, melensi slogan d’amore e d’amicizia, aforismi scontati e ritriti, foto di vacanze e di cucina, massime da catechismo elementare, odiosi commenti carichi di odio e rancore, che svelano perverse frustrazioni o bassezze morali.
E’ inevitabile che in tale universo di libera anarchia, spesso prevalgano i peggiori sentimenti della bestia umana. Anche perché schermata e apparentemente protetta dal paravento dell’anonimato. Plotoni di cecchini digitali sparano cazzate a raffica, pensando di essere al riparo e invisibili.
Ed è altrettanto normale che, come da tempo pensiamo in molti, in Rete circoli più spazzatura che informazione, più odio che solidarietà, più ignoranza che intelligenza, più razzisti e nazisti che democratici: il bello o il brutto o il paradossale è che anche uno come Sallusti - che di spazzatura se ne intende assai - lo sostenga.
Ma ci sono, per disgrazia o per fortuna, anche quelli che, con un insopportabile neologismo e con non poco disprezzo, vengono definiti la novella “razza” a parte dei buonisti - termine inventato dalla stampa e dagli intolleranti cattivisti, che ormai lo usano come insulto -che magari provano a ragionare.

La Rete consente che pensieri comuni, falsità e opinioni volgari e impopolari possano viaggiare, senza biglietto e senza pagare pegno, fino alla stazione del dialogo e della ragione, fino al delta della popolarità. Consente a chiunque di mettersi alla guida di una crociata d’odio e integralista. Consente l’orientamento, la diffusione e la propaganda, fino a convincere molte fette di variegata umanità che quel che di virtuale si costruisce e si elabora su Internet, sia altrettanto vero e valga per la l’intera popolazione reale della terra. Una doppia dimensione che poi si sovrappone.
Tutte le opinioni meritano rispetto ma, prima di impugnare il mouse e la tastiera, ognuno dovrebbe domandarsi se e quanto sia legittimo o nocivo il proprio pensiero e quale effetto produrrà sugli altri che, spesso, ne rimangono colpiti.
E’ vero che Internet ci dà un sacco di possibilità di informazione, di conoscenza e di crescita culturale, ma è anche vero che troppo spesso non ne cogliamo nessuna.
Internet sta rimbecillendo le persone: uno scrive una cavolata o condivide una bufala su Facebook - dove a copiose mandrie galoppano assai velocemente - e tutti la ripetono, senza che nessuno ne verifichi la veridicità, i fatti e le fonti.

I social hanno oggettivamente assunto uno strapotere sociale, economico, e culturale. Hanno modificato le nostre abitudini personali, intime, relazionali e commerciali, hanno condizionato le nostre scelte.
Tutti possono sapere cos’ho mangiato oggi, se sono andato al mare, se ho visto un film, se ho mal di pancia o se sono triste, incazzato o innamorato. Hanno cambiato il mondo stesso della comunicazione: siamo arrivati a leggere le notizie, non più sui giornali, ma su Facebook, dove poi diventano virali, in una grande piazza virtuale che vende frutta, verdura e scampoli di pensiero.
Sono molto più della televisione, molto più potenti e pervasivi, ci seguono dappertutto, li portiamo in tasca. Gli argomenti che ci sottopone Facebook sono tagliati su misura per noi, che restiamo succubi di un flusso di notizie non più scelto da noi, bensì da un algoritmo.
Il grave rischio, per adolescenti e per adulti fragili e immaturi, è che tutto questo crei schiavi delle tastiere, crei dipendenze e consenso mainstream, spersonalizzando i rapporti umani, che si annacquano in una falsa socialità virtuale che radicalizza ideologie e pregiudizi, all'interno di recinti sociali incomunicanti e privi di confronti.
Il mondo del virtuale non può e non deve fagocitare o sostituire quello reale.

Più che di limiti, normative o restrizioni, chi lo abita e lo percorre in lungo e in largo ha bisogno di consapevolezza e autoregolamentazione, di reciproco rispetto, di educazione, di equilibrio e di consumo critico e moderato. Di una modica quantità da assumere in opportune dosi, per la crescita e la salute culturale, senza mai arrivare alla dipendenza o all’overdose. 
Persone, cose e sentimenti vivono nell’ altra dimensione.
13 settembre 2016 (Alfredo Laurano)