sabato 31 dicembre 2016

EFFETTO BARNUM

Torna come sempre, come ogni fine anno, come una periodica cambiale da pagare all’oscurantismo, l'appuntamento con l'oroscopo: segno per segno, le previsioni per il 2017. Poco o nulla è cambiato dall'era di aruspici e indovini e delle invincibili forze dell’occulto.
Presagi e prodigi, amuleti e talismani ancora condizionano la vita di milioni di persone!
“Il nuovo anno - scrive l’immarcescibile Branko - ci porterà fortuna grazie alla Luna in Acquario e a una Venere in bellissimo aspetto con Giove. Mercurio aiuterà per il lavoro. Ma dobbiamo ripartire da noi stessi per migliorare il mondo.”

Che incredibile scoperta, che felicissima intuizione!
C’è poco da fare: la forza suadente e suggestiva della magia bilancia e nutre quella delle illusioni che accompagnano l’uomo nella sua immensa fragilità: il fascino della speranza, la voglia di miracolo, tra fatture, scongiuri e malocchio. E’ solo l’attesa di un futuro migliore che ci fa vivere volentieri la nostra vita, che alimenta sogni e desideri, che vince paure e debolezze, che coltiva chimere e tentazioni.
Su questo, si basa la ricca industria dei segni zodiacali, delle divinazioni e degli sciamani analfabeti, delle previsioni fondate su astri, ascendenti, pendolini, tarocchi e sfere di cristallo, vendute a basso costo da sibille e ciarlatani, nell'ingannevole fiera dell’incanto e della facile lusinga. Viene addirittura spacciata come neo-scienza, enfatizzata e colpevolmente amplificata da libretti, riviste e osceni giornaletti, nonché da radio e televisioni che la propongono a iosa in autentici programmi spazzatura.
Stando ai sondaggi, più della metà degli italiani dà credito all’astrologia. Pensa, cioè, che esista qualche influenza degli astri sulla nostra vita.
Ma almeno due terzi dei nostri connazionali leggono con regolarità l’oroscopo. 
Una decina di milioni si rivolgono almeno una volta l’anno a sedicenti maghi e fattucchiere.
Insomma, sono più quelli che consultano l’astrologia di quelli che ci credono.
Gli oroscopi non servono a niente. L’astrologia può essere considerata al massimo un divertente genere letterario, sicuramente non una scienza”. Ne è convinto il fisico Stefano Bagnasco, dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare a Torino. Sarà poco poetico, ma le stelle non hanno nulla da dirci. Tantomeno lo zodiaco.
“Ma qualche previsione sarà anche azzeccata!”, dice qualche impenitente sostenitore.
Innanzitutto, spesso, è difficile verificare. La maggior parte degli astrologi non fa vere e proprie previsioni. Di solito si affidano a frasi generiche, ambigue, volutamente vaghe. “Sarà un anno difficile, con vari problemi, ma alla fine ce la farete” …
Altre volte gli indovini azzardano previsioni puntuali. E regolarmente le sbagliano. Come quando hanno provato a chiedere alle stelle il nome del nuovo presidente della Repubblica: tutti hanno puntato su personaggi di primo piano e tutti hanno toppato, Mattarella, non l’aveva previsto nessuno.
E’ il cosiddetto effetto Barnum. Qualcosa per tutti e per ciascuno, come avviene nel Circo: fra i tanti numeri proposti, c’è sempre quello che piacerà ad qualcuno.
Negli anni ’40 lo psicologo americano Bertram Forer fece un interessante esperimento. Dopo aver fatto compilare ai suoi studenti un questionario, distribuì una descrizione personalizzata del carattere di ciascuno.
In realtà erano tutte uguali. Usò frasi vaghe, estremamente scontate, volutamente astratte. Frasi che affermavano una cosa e il suo contrario. Inutile dire che ogni studente rimase entusiasta per l’accuratezza della propria descrizione.
Ed è proprio così che funzionano gli oroscopi e le consultazioni: nel cielo nebuloso di una generica e approssimativa previsione, è facile trovare qualcosa di adattabile per chiunque, che poi, turbato o assai stupito, confesserà agli altri e a se stesso: “ci ha proprio preso, che fenomeno!”
Si, proprio un fenomeno da circo o da baraccone.
Fine anno 2016 (Alfredo Laurano)


giovedì 29 dicembre 2016

VIETATO VIETARE

Sparate pure, spappolatevi le mani, cecatevi un occhio, bruciatevi la pelle, giocate alla raffigurazione allegorica della guerra: il Tar del Lazio ha deciso che potete farlo perché ha sospeso con un decreto cautelare urgente l'ordinanza del sindaco di Roma, Virginia Raggi, che vietava i botti di Capodanno e ha fissato inoltre una camera di consiglio per il 25 gennaio per discutere nel merito la questione. 
Il tribunale ha accolto quindi il ricorso presentato dai produttori e i distributori di fuochi d’artificio di Roma e dintorni, che sono pronti a chiedere anche un risarcimento per i danni subiti, perché l’atto della prima cittadina - la cui concentrica delegittimazione da stampa e opposizioni continua ormai da settimane - ha bloccato un mercato che viaggia tra i 2 e i 3 milioni di euro.
Il provvedimento avrebbe, peraltro, un vizio di forma perché non sarebbe stato inoltrato alla Prefettura prima di essere pubblicato nell’albo pretorio del Campidoglio. 
Va ricordato che ordinanze analoghe sono state emesse, o esistono da anni, in oltre seicento Comuni italiani.
Pur trattandosi di incolumità pubblica, di sicurezza urbana e di protezione degli animali, grazie al Tar del Lazio anche quest'anno potremo per fortuna rispettare la tradizione: avremo morti, feriti, mutilati e milioni di animali traumatizzati...
La battaglia di Capodanno s’ha da fare! Come rito e business comandano. 
E voi, amanti dei botti e dei petardi, alzate pure il gonfalone della inciviltà, uno dei tanti che raccontano le varie forme di stupidità.
Ma perché non fate una visitina in Siria o ad Aleppo? Lì è capodanno tutti i giorni!
29 dicembre 2016 (Alfredo Laurano)





OMAGGIO AL CORO DELL'ARMATA ROSSA

64 membri del Coro sono morti nell'incidente aereo sul Mar Caspio, nel giorno di Natale.

Una leggenda lunga 90 anni. 
Fondato nel 1928 con la missione di sollevare il morale delle truppe, il Coro dell'Armata Rossa, noto anche come Alexandrov Ensemble, è forse il più famoso dei gruppi musicali del suo genere e un'autentica "leggenda" dell'ex Unione Sovietica. 
Composto esclusivamente da voci maschili il coro ha inoltre un'orchestra e un gruppo di ballo.
Nel suo repertorio ci sono canzoni legate all’ideologia comunista, figlie dell’era del regime sovietico ma anche canti popolari e pezzi del folclore russo, come il famoso "Battellieri del Volga", adattamento di una melodia popolare con testi che evocano il duro sforzo dei lavoratori. 
Il coro dell’Armata Rossa fin dalla sua nascita ha avuto una significativa presenza internazionale e fu utilizzato spesso come ambasciatore degli ideali e dei valori dell'Unione Sovietica. 
Nel 1937 i suoi artisti si sono esibiti al Salone Internazionale di Parigi, dove hanno guadagnato enorme prestigio. Ma è stato durante la seconda guerra mondiale che il gruppo è diventato un baluardo della resistenza e della lotta contro l'occupazione della Germania nazista.

ELOGIO DEL PASSATELLO

Noi, che ce ne fottiamo dei Cracco, dei Barbieri, dei Vissani, dei Cannavacciuolo, dei Beck, dei Bottura e di tutti gli altri chef stellati che dilagano e pontificano saccenti, nel caleidoscopico mondo della gastronomia contemporanea, amiamo la cucina semplice della tradizione. 
Quella verace e popolare, sana e genuina che non ha bisogno di sfumature di fresco, punte di acido, vene sgrassanti, retrogusti amari e note croccanti e di colore. Manco fosse un affresco di Giotto o Michelangelo, di Guttuso o di Picasso o un elaborato piatto dove luci, ombre e chiaroscuri si accavallano con l’inconsapevole consenso del Merisi.
Che non è una gastronomia “cerebrale e di cuore”, ma solo un atto d’amore e di piacere, basato sul rispetto per il cibo che, nel suo costante richiamo alla natura e alla sapienza contadina, rilascia sempre emozioni gustative.

E’ proprio nel settore vitale e ineludibile dell’alimentazione che la nostra storia individuale e collettiva sposa la forza irrinunciabile della tradizione, del costume, degli usi, del folclore ed esprime la cultura di un popolo.
Da questo punto di vista, il nostro è un Paese veramente fortunato: vanta una incredibile cucina che non è solo nazionale, come quella di francese, tedesca o slava ma, addirittura regionale, per non dire provinciale. Ogni luogo, ogni comune, ogni spicchio d’Italia ha del suo. Una ricetta, un piatto, un formaggio, un dolce tipico, un prodotto di stagione che si perdono in una varietà infinita di riti, leggende, ricordi e liturgie, che si tramandano nel tempo. C’è sempre qualcosa da scoprire, da gustare, da apprezzare.

Quanti, non autoctoni, conoscono, per esempio, i passatelli?
I passatelli in brodo sono una delle più classiche minestre dell'Emilia-Romagna, della provincia di Pesaro e Urbino e sono diffusi anche nel resto delle Marche.
Tra i tanti piatti tipici di quelle zone, è la più caratteristica, più originaria, più romagnola. Sicuramente una delizia per il palato che vale la pena provare e imparare a cucinare.
Questa particolare bontà nasce da un impasto di uova, parmigiano, pane raffermo grattugiato, noce moscata, scorza di limone, eseguiti con l'apposito “ferro da passatelli”, difficilmente reperibile al di fuori della Romagna. In alternativa, è però possibile utilizzare con buonissimi risultati uno schiacciapatate a fori grossi.
I passatelli in brodo sono squisiti anche asciutti, conditi con formaggio di fossa e scaglie di tartufo.
Ottenuta la palla dell’impasto e portato il brodo a ebollizione, si lasciano cadere sotto forma di piccoli cilindretti profumati. Quando vengono a galla sono cotti.
Dopo un minuto di riposo, a fuoco spento, si ammantano di ulteriore sapore e si fanno sedurre dal palato più felice, in un’estasi voluttuosa di gourmet.

27 dicembre 2016 (Alfredo Laurano)

domenica 25 dicembre 2016

NON PUOI PIANGERE VIRGINIA!

Ieri sera, vigilia, la sindaca di Roma, Virginia Raggi, ha partecipato a una messa di Natale all’ostello della Caritas della città. 
Durante la cerimonia, che ha poi definito intensa, toccante, in un luogo simbolico, la Raggi si è commossa due volte: la prima mentre un violino suonava “Tu scendi dalle stelle”, la seconda quando ha parlato ai presenti, al termine della funzione, riferendosi al momento un po’ complesso della sua amministrazione, in questi primi mesi di governo di Roma. Turbata e visibilmente coinvolta, ha stentato a lungo prima di potere prendere la parola.
Ma a lei non è consentito provare un’emozione, versare una lacrima, esprimere sentimenti umani, come accade a tutte le persone, perché anche quella commozione, per vili e volgari detrattori, deve apparire finta e diventare occasione di attacco e presa in giro, di accuse di falsità. Centinaia di post hanno cercato di ridicolizzarla...”nun fa la sceneggiata, facce Tarzan…!”
Tutto questo è ignobile, non è leale scontro politico, non è legittimo confronto. 
Si può avere scarsa considerazione, una bassa opinione, nessun apprezzamento per il suo operato, ma il rispetto per la persona, pur nella diversità, deve essere garantito.
Al di là delle sue colpe, degli errori, delle capacità e delle competenze, la stanno massacrando, sfinendo, infangando come essere umano, con illazioni, menzogne e laide insinuazioni. 
La si vuol diffamare a prescindere, farla cadere insieme al suo Movimento, per “ripulire” il campo elettorale. Tutto questo è vergognoso.
Natale 2016 (Alfredo Laurano)



sabato 24 dicembre 2016

A TE E FAMIGLIA!

E’ il momento di “a te e famiglia”, di “tanta gioia, serenità e pace”, di “buona fine e buon principio”.
E’ il momento dell’eterna illusione che si rinnova per alimentare la speranza di vita, di futuro e di felicità, che nel contempo, come un spirale, la sostiene e la riproduce sempre uguale, secondo tradizione, dai protomartiri cristiani. 
Nella fede o nella laicità, nella spiritualità o nel materialismo, in nome di Dio, di Allah o della ragione. 
Facciamo finta, come sempre, che il mondo sia sano e bello, sia giusto e viva nella pace e nella prosperità. 
Dove tutti si amano, si aiutano, si rispettano e uniti combattono ogni male e ogni violenza. Dove il denaro e il fanatismo non vengano adorati sull’altare della più perversa religione.
In ogni caso, e a prescindere da inganni, lusinghe e desideri e dal pessimismo della lucida ragione, a tutti gli amici vicini, lontani e virtuali giunga il mio augurio. 
E a chi non c'è più, il mio pensiero. 
Alfredo

SE QUESTO E' UN PAPA

Era ora di cambiare le vecchie scarpe nere con le quali era partito da Buenos Aires, che ancora indossava anche da papa, invece di calzare quelle rosse, simbolo del pontificato.
Shopping natalizio anche per Papa Francesco che, l’altro giorno, di ritorno da una visita al Consiglio Pontificio, ha chiesto all’autista di fare una deviazione sulla via del ritorno verso Santa Marta: una puntatina via dei Gelsomini, sulla Gregorio VII, dove c’è una sanitaria piuttosto ampia e fornita di calzature ortopediche.
Voleva farsi un regalino di Natale, comprare un paio di scarpe nuove.
Una cosa normale per qualunque cittadino, un po’ meno per chi fa il papa: sorpresa, clamore, inevitabile scompiglio in quel negozio. Provate, misurate, pagate e tanti abbracci.
Esattamente come quando fece visita all’ottico di via del Babuino, due anni fa, per cambiare la montatura degli occhiali da vista che si era rotta.
Questo papa imprevedibile, che poi ha anche chiamato “Uno Mattina”, sorprendendo i basiti conduttori di Raiuno, aveva già pranzato con un gruppo di senzatetto per il suo recente compleanno.
Continua a dialogare con laici e cristiani, predica la carità e manifesta in mille modi la sua attenzione agli ultimi e agli emarginati e sta cercando di portare un nuovo vento di trasparenza nell’apparato della Chiesa.
Anche se, per alcuni, sa come parlare alla pancia della gente e la liscia per il verso giusto, secondo le regole di un moderno mix di marketing e religione.
In ogni caso, ci sta provando, come nessuno prima, e trasmette fiducia e autenticità.
Il suo continuo richiamo a una Chiesa francescana e all’orrore del denaro divinizzato e della guerra che tutto sporca, producendo sfruttamento e sofferenza, è la prova vera della sua profonda umanità.
No all’odio e alla paura, al fondamentalismo del Mercato, alla disuguaglianza, alla schiavitù economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza, in una spirale che sembra non finire mai.
Parla la nostra e la mia lingua.
Auguri a te, Francesco, ne hai bisogno!
 (Alfredo Laurano)


venerdì 23 dicembre 2016

TERRORE VIAGGIANTE

Da Berlino, dopo la strage, il terrorista Anis Amri, ricercatissimo - una taglia di centomila euro e con le sue foto dappertutto - era arrivato in Francia.
Poi, in treno aveva viaggiato fino a Torino, dove si era fermato per circa tre ore. Sempre in treno aveva raggiunto, intorno all'una di notte, la stazione Centrale di Milano.
Da qui è ripartito per spostarsi a Sesto S. Giovanni, dove intorno alle tre di notte ha incrociato gli agenti in pattuglia del commissariato locale che hanno messo fine alla sua fuga.
Stavolta, però, nello zainetto non aveva - stranamente - i documenti, ma aveva dichiarato a voce di essere calabrese!
Sembra uno scalcinato film amatoriale che racconta di viaggi ed avventure.
Chi sarà il regista, chi ha scritto la sceneggiatura?
I tedeschi, comunque, ringraziano imbarazzati.
(Alfredo Laurano)

NO BOTTI, NO PARTY

Per garantire l’incolumità pubblica, la sicurezza urbana, la protezione degli animali e assicurare le necessarie attività di prevenzione attraverso la limitazione all’uso dei botti, petardi, razzi e dei fuochi d’artificio sul territorio comunale, la sindaca Virginia Raggi ha firmato un’ordinanza che ne vieta l’uso dal 29 dicembre 2016 alle 24 del 1 gennaio 2017 nella Capitale, in occasione dei festeggiamenti per la fine dell’anno. 
L’ordinanza dispone il divieto assoluto di usare materiale esplodente, anche “declassificato”, ossia potenzialmente non pericoloso, a meno di 200 metri dai centri abitati, dalle persone e dagli animali. 
Sono previste sanzioni tra i 25 e i 500 euro per l’inosservanza degli obblighi e dei divieti disposti dal provvedimento, oltre al sequestro amministrativo. 
Era ora! Anche il mondo animale ringrazia. (A. La.)




giovedì 22 dicembre 2016

FACCIA ‘NGIALLUTA

Stavolta, il 16 dicembre scorso, il sangue di San Gennaro non si è sciolto e sono cominciati subito gli scongiuri. Perché la vocazione verso questo santo, un mix di sacro e profano, prevede che se il suo sangue non si scioglie, secondo la tradizione, per Napoli è un cattivo presagio.
Che succederà? Erutterà il Vesuvio, si romperà l’uovo nascosto da Virgilio che tiene in piedi il Castel dell’Ovo, il Napoli andrà in serie B?

Nel Duomo di Napoli sono conservate le sue ossa e due antichissime ampolle contenenti il suo presunto sangue, raccolto da una donna subito dopo il martirio, avvenuto a Pozzuoli nel 305. Queste ampolle vengono esposte alla venerazione dei fedeli tre volte l'anno: il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre, giorno dell’onomastico di Gennaro ed il 16 dicembre. 
Le celebrazioni più lunghe, tuttavia, non avvengono a Napoli ma a New York, dove dal 1926, grazie alla presenza di molti immigrati partenopei, è stata istituita la Festa di San Gennaro che dura 11 giorni.

In molti credono che il destino della città sia legato a questo fenomeno. 
Tutte le volte che il miracolo non si è compiuto perché il sangue non si è sciolto, sono accaduti tristi avvenimenti: nel 1980, c’è stato il devastante terremoto dell'Irpinia, nel settembre del 1973, la diffusione del colera a Napoli e, andando indietro nel tempo, nel 1943, l’occupazione nazista, nel settembre del 1940, l’entrata nel conflitto mondiale dell’Italia. Queste sventure, solo per ricordare le disgrazie del Novecento.
La devozione verso questo santo è radicata da sempre. 
Per questo motivo, nobili e non hanno fatto ricchi doni nei secoli arricchendo il Tesoro di S. Gennaro sino a farlo diventare più cospicuo di quello della Regina d'Inghilterra. 
Per i napoletani, il santo è detto “Faccia gialla”, perché il busto raffigurante il volto di Gennaro che viene portato in processione per le strade della città, al grido di preghiera “Faccia ‘ngialluta, accurre e stuta ‘sta vampa de lo ‘nfierno”, è d’oro, quindi giallo.

E’ il patrono principale della città proprio perché ritenuto in grado di fermare la lava del Vesuvio. 
Le ville settecentesche presenti nell'area del Vesuviano, infatti, nella facciata rivolta verso il vulcano, hanno tutte una statua di San Gennaro con la mano rivolta verso l'alto, a protezione dell'abitazione. 
Tra miracoli e scongiuri, tutti a Napoli stan sicuri.
 (Alfredo Laurano)



martedì 20 dicembre 2016

FLASH FLOP

So bene che ieri ci sono stati fatti ben più gravi che hanno seminato morte e riempito pagine di giornali, dalla strage di Natale di Berlino, alla difficile evacuazione di Aleppo, all’uccisione in diretta dell’ambasciatore russo ad Ankara.
Il nostro mondo, ormai, convive con l’orrore della guerra e di ogni altra forma di violenza e terrorismo.
Ma, quasi per un' incredibile legge di compensazione, si affacciano quotidianamente anche notizie di alto spessore comico, con sbandamento scivoloso sul piano del ridicolo.
Come quella che, nella testa di tale Pierluigi Diaco, di professione, si fa per dire, opinionista parolaio in cerca d’autore, voleva essere un'azione pacifica contro la sindaca Virginia Raggi, al centro di velenosissime polemiche da giorni, mesi e settimane. Un flash mob, organizzato sul Web, che chiamava a raccolta i romani, per chiederne le dimissioni: appuntamento spontaneo, senza uova, vessilli e bandiere, alle 10 di ieri, sotto la statua di Marco Aurelio in Campidoglio. 

Ma questo novello trascinatore di popoli e di masse, che studia alla scuola serale di Sgarbi o di Ferrara e a tal maestri si ispira fiducioso, è rimasto un po’ deluso: accanto al cavallo della michelangiolesca piazza si è presentato un solo contestatore, per la cronaca e per i suoi parenti, di nome Giovanni. Manco mezzo pullman, una smart, nemmeno un carrettino!

Si sono presentati, ringraziati, saranno andati a prendersi un caffè e poi il coglionazzo Diaco, in attesa e nella speranza di essere invitato ancora dalla D’Urso e da Costanzo, è andato a conteggiare le migliaia di insulti sulle sue pagine, che gli hanno indirizzato tutti quelli che non hanno accettato il suo cortese invito. 
Dopo tale flash che si è trasformato in flop, avrà capito che anziché cercare qualche difficile momento di gloria, è il caso di provare ad andare a lavorare? 
I vasti campi del Campidanese lo aspettano frementi.
 (Alfredo Laurano)



domenica 18 dicembre 2016

LUPA CAPITOLINA

Siamo da tempo un popolo di indagati e la media è alta e impressionante: almeno uno al giorno, in tutt’Italia, isole comprese. Per non dire dei sospettati, degli arrestati, degli imputati, dei salvati dall’immunità e dei condannati. 
A Milano, stavolta tocca al sindaco Sala per fatti d’Expo, a cose abbondantemente fatte, concluse e demolite. E lui, udite, udite, si sospende da se stesso! 
A Napoli, il padrino De Luca è indagato per scambio di fritture: di calamari e gamberi con quelle di paranza. Non erano fresche, non erano croccanti! 
A Roma, dopo la telenovela e le recenti dimissioni della assessora Muraro, indagata per reati ambientali, hanno arrestato Marra, capo del personale del Comune e uomo per tutte le stagioni, voluto e strenuamente difeso dalla sindaca Virginia Raggi, ad oggi non ancora indagata, ma forse manca poco. 
E questo colpisce molto. 

In questi pochi mesi di stellati al governo della città eterna, sono accadute poche cose sul piano gestionale e amministrativo, ma tantissime su quello dei ruoli e delle competenze. 
Se ne sono andati giorni, notti e lunghe settimane fra scelte, nomine, chiacchiere, rinunce e “aspetta un attimo”, senza praticamente fare una mazza o una mazzetta, o risolvere un problema uno.
Assessori e consiglieri che hanno abbandonato e rimesso il proprio mandato (come il capo di gabinetto, l’assessore al Bilancio, il Ragioniere generale): per inadeguatezza, per timore, per incapacità, per non essere coinvolti o perché ci hanno ripensato? Vertici e presidenti di grandi aziende municipalizzate (Ama, Atac) che hanno passato la mano, tante rinunce a incarichi prestigiosi. Tutti per non esser contaminati dal valore dell’onestà e dalla voglia di cambiare? 

Una Giunta che ha perso e perde pezzi di continuo. Forse è arrivato il momento di chiarire le priorità e gli obiettivi che intende perseguire in una città devastata e incattivita, ma resiliente come Roma. E’ il momento della logica e della buona amministrazione, delle competenze e delle aspettative politiche e sociali, se si vuole uscire dal buio tunnel dell’approssimazione e della corruzione, in cui l’hanno infilata le amministrazioni precedenti e gli interessi dominanti. Occorre discontinuità, coraggio e scelte conseguenti. 

Viene da chiedersi, ma è tutta colpa di un ineluttabile destino? 
Sul Campidoglio incombe una sorta di maledizione o di vendetta di mafia capitale o la Virginia è solo incompetente o tanto sfortunata? O pensava che governare una città come Roma fosse una passeggiata di salute o come amministrare un grosso condominio popolare? 
Dà l’impressione di essere una specie di Alice nel paese delle meraviglie che prende tempo per guardarsi intorno, per stupirsi e per stupire, per capire e scoprire a fondo, per studiare da sindaco, prima di fare, decidere e programmare. E, ogni mattina che arriva davanti al Foro Romano e al Marcaurelio, non sa mai chi troverà negli uffici, nel Consiglio o nella sua segreteria, chi si è defilato, chi s’è messo in malattia…chi è finito al gabbio o è inquisito. 

Siamo al paradosso della stellata lupa capitolina. Vive ormai di auspici e di speranza e fa pure una certa tenerezza. Per la cronaca e per i più giovani, fino al 1970, una lupa vera, incerta, titubante, nonché simbolo della città, è stata esposta per decenni in una gabbia, sotto il Campidoglio, ed era un’attrattiva per romani e pellegrini, che la visitavano regolarmente. Da bambino, l’ho vista molte volte. 

Ma, intanto, i problemi della città restano, crescono e la gente che l’ha scelta e votata con fiducia si incazza, fra rabbia e delusione. E ne soffre tutto il movimento che, in qualche modo, dovrà intervenire prima di perdere consensi e appeal. Forse, a cose fatte, l’ingenua, esitante e poco concreta Virginia - che si affanna a difendere sempre le persone sbagliate, (forse perché fa l’avvocato) - non era molto adatta alla difficile funzione, al di là dell’inesperienza e della giovane età. Anche perché onestà non fa sempre rima con capacità.

Magari uno come il riflessivo Fico o come il guascone Dibba, nonostante le sue spesso noiose litanie, i suoi toni da piazza del candore e le predicazioni alla luna del rigore e della trasparenza, ormai scontate e ripetitive, avrebbero fatto meglio, almeno sul piano della grinta e della determinazione. 
Magari, un’altra volta. (Alfredo Laurano)

CHIAMATE IL MARESCIALLO!

“Sol la pazzia qui resta né se ne parte mai!" (Ariosto)

Ma che razza di Paese è diventato questo: a due passi da Montecitorio, sulla pubblica via battuta di continuo da politici che lì hanno gli uffici, davanti a un drappello di Carabinieri con auto che lì fanno servizio, abbiamo assistito all’ennesima farsa all’italiana, a un “pezzo di teatrino della follia”.
Al grido di “ai sensi degli articoli…in nome del popolo italiano procediamo al suo arresto”, alcuni aderenti al movimento dei Forconi hanno circondato e aggredito Osvaldo Napoli, consigliere di Torino ed ex deputato di Forza Italia. 
Tutti i presenti, carabinieri compresi, all’inizio hanno pensato a uno scherzo: lo stesso Napoli ha risposto ironizzando alle domande di quei “giudici di piazza”, ma la situazione è subito degenerata. Mentre l’ex parlamentare cercava di liberarsi, i manifestanti lo hanno infatti strattonato più volte e immobilizzato. Solo l’intervento dei carabinieri, dopo aver invano gridato “chiamate il maresciallo, è riuscito a liberarlo, accompagnandolo in un bar. 
Una comica, un episodio di “Scherzi a parte”, uno spot per la TV, una candid camera? 
Quei quattro idioti da passeggio non avevano i “forconi”, né abiti di scena, ma giocavano all’antico “guardia e ladri”, per farsi un po’ di pubblicità.
Alcuni parlano di “azione squadrista”, di odio, insulti e aggressioni prodotti dall’antipolitica. 
Forse è solo una pagliacciata a base di spintoni, urla, proclami elementari e tribunali del popolo, anche se è indubbio che il clima che si respira nel Paese, diviso e lacerato, è più che tragicomico. E’ un clima di tensione e di contrapposizione frontale, alimentato dai media e dal Web che, oltre a rabbia, frustrazione e malcontento, amplifica ogni forma di odio e di istigazione alla violenza. 
I cittadini, i lavoratori, i pensionati, i disoccupati e i senzacasa sono stanchi di una classe politica inetta, strafottente e menefreghista, che pensa ai propri interessi e intrallazzi e continua a prendere in giro il popolo, ad ignorare i messaggi chiari e le risposte che gli invia. Basti pensare all’ultimo referendum.
Ma non è detto che sarà sempre solo una burla o un giochetto per adulti scemi, come quello di ieri davanti al Parlamento.
In ogni caso, non siamo di fronte alla degenerazione in forma comica del populismo, ma a quella dell’intelletto e del buon senso. 
 (Alfredo Laurano)



giovedì 15 dicembre 2016

LAUREA ROSSA

Vorrei tanto fare una domanda a tutti quelli che in queste ore hanno aperto un dibattito infinito on line sui titoli di studio di Valeria Fedeli, appena nominata ministro della Cultura: ma che ve ne strafotte se la senatrice ha o non ha una laurea, se ha studiato poco o assai? Se era brava a scuola o la marinava?
Adinolfi, Lega e Fratelli coltelli hanno perso l'appetito nel dilemma.
Perché non provate a giudicare la persona e non il pezzo di carta? 
Il problema di cui dovreste occuparvi è il governo fatto al volo, il suo significato, la sua durata, la mancata risposta data al 60% di italiani che hanno bocciato riforma, Renzi ed esecutivo, il sapere quando si andrà a votare. 
La Fedeli, vice presidente del Senato, ex femminista e sindacalista CGIL, è stata messa lì ad occupare una casella. Dovrà dimostrare di essere capace o inetta, a prescindere dalla pagella, dal curriculum e dai suoi capelli rosso menopausa. 
Per favore, fate i seri, attacchiamo dove serve e dove merita.
(Alfredo Laurano)


martedì 13 dicembre 2016

TASSATIVO, RESTATE CON NOI

Era una volta un aggettivo che significava obbligatorio, perentorio, che non ammette eccezioni, discussioni o deroghe. 
Oggi è soprattutto un ridicolo obbligo pubblicitario che il conduttore di turno di un qualsiasi talk deve rispettare, appunto “tassativamente”. E quindi, ogni manciata di minuti, interrompe un ragionamento, blocca l’ospite di turno, toglie la parola a chiunque stia parlando. Anche se sta annunciando una catastrofe o il suicidio in diretta TV.
Sono le regole assurde e demenziali dei nuovi media che ormai tutti hanno assorbito, pur con qualche residua punta di ironia e insofferenza. 
Puntano all’uniformità e alla contemporaneità di lanci e orari con altre Reti per non perdere spettatori durante gli intervalli: “restate con noi…”. Che, tradotto, significa, rassegnatevi, tanto anche di là c’è un altro tassativo di sana pubblicità!
Tutto è ridotto a spot, tutto è propaganda violenta, cinica e odiosa. Tutto invita a scoprire la bontà di qualsiasi prodotto e ti ricorda che devi comprare e consumare.
Anche quando - e questo è l’aspetto più aberrante - stai per vedere agghiaccianti immagini di un attentato, di un terremoto devastante, di un omicidio brutale, di un atto di violenza su minori e anziani. 
Prima che parta il filmato, sei costretto a subire musichette da giostra, slogan scemi e ripetitivi, immagini gioiose di festa, finte realtà di case felici e linde, con cani e bambini, solo belli e sorridenti, condite di tormentoni di caffè, gelati, auto, scarpe, abiti e croccantini. 
A seguire, come se niente fosse, arrivano stragi, città bombardate, gole tagliate, migranti affogati, agguati e revolverate di camorra, Aleppo distrutta, madri e bimbi morti tra le macerie.
Ma ha un senso tutto questo? Esiste una parvenza d’etica della comunicazione, una dignità dell’informazione? 
Evidentemente, No.
E’ una forma di follia collettiva universale, su larga scala, che crea assuefazione e dipendenza. Come i tranquillanti e le benzodiazepine. Vita, morte, dolore o malattia: tutto si trasforma in valore commerciale e diventa asettico strumento della più bieca speculazione. 
Viva il Globalismo, viva il Mercato, viva il Liberismo! 
Lo grida il tassativo. Ma non stiamo con voi.
(Alfredo Laurano)

EVERSIONE E PREGIUDIZIO


Ieri era il 12 dicembre, un giorno, una data che significa Piazza Fontana - la madre di tutte le stragi che diede il via allo stragismo -, Valpreda, l'omicidio Pinelli, le bombe, le trame neofasciste e le presunte colpe degli anarchici.
47 anni fa, l’Italia tutta restò attonita e sconvolta, incapace di capire i prodromi della mala pianta del terrorismo e dell’eversione.

Quella della Banca d’Agricoltura a Milano fu la prima delle tanti stragi di stato impunite, o mai arrivate a condanne definitive, che per anni hanno alimentato la strategia della tensione, ossia del condizionamento della vita sociale del paese. Una spietata tecnica volta a creare in Italia uno stato di preoccupazione, di incertezza e una paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo repressivo.
L'Italicus, la stazione di Bologna, piazzale della Loggia a Brescia, le bombe in Calabria, a Roma e tanti altri attentati e eccidi dovevano in qualche modo contribuire a riequilibrare i poteri dello stato e il principio autoritario, messi in crisi proprio dalle tematiche del '68.
Quegli "anni formidabili" - cosi definiti, se non sbaglio, da Mario Capanna - facevano paura perché per la prima volta mettevano in discussione lo status quo, il potere costituito, le gerarchie e i privilegi sul piano culturale, sociale e del lavoro. Si voleva e si predicava il rinnovamento, un'aria nuova, pulita e libera, una partecipazione più attiva e democratica, una consapevolezza dei propri diritti, una più diffusa presa di coscienza.
Un effetto di ciò, fu proprio la L.300, ossia, lo statuto dei lavoratori del '70.

Con depistaggi e coperture per opera dei Servizi (Sid, Sismi, Sisde) e forse dalla CIA (lo pensava anche Clinton), gli apparati dello Stato cercarono di limitare e impedire quella deriva "eccessivamente" democratica, fino ad arrivare alle collusioni, alle stragi di mafia e agli attentati a Falcone e Borsellino, uomini delle istituzioni abbandonati a se stessi e non protetti.
Tutto questo, a distanza di decenni, è ancora, vergognosamente, coperto da misteri e da bugie. E non dimentichiamo che pure Silvio, nonostante “Mani pulite” aveva lo stalliere Mangano, mafioso!
(Alfredo Laurano)

lunedì 12 dicembre 2016

IL SUPPLENTE

Credo stia andando tutto come previsto e voluto dal dimissionario premier: Mattarella, dopo rapidissime consultazioni, ha messo il testimone in mano a Paolo Gentiloni. 
In quei pochi stessi giorni, però, anche il Matteo addolorato per aver scoperto, all’improvviso, di essere poco amato nel Paese - “non capisco perché mi odiate tanto” (ma non li legge i social?) - ha organizzato le sue consultazioni parallele, ha trattato con la maggioranza del PD e con i suoi alleati per la formazione del nuovo governo. Ha fatto conoscere il suo pensiero e le sue intenzioni al presidente della Repubblica, ha sicuramente suggerito modifiche al toto ministri, ha fatto sapere di non essere disponibile a un reincarico (lo brucerebbe o lo farebbe passare ancor più per bugiardo, ma di convenire, forse proprio consigliandolo, sulla scelta del suo ex ministro degli Esteri. 
E’ renziano, obbediente, fidato, misurato, non gli fa ombra e potrebbe assorbire in vece sua gli strali delle opposizioni, senza scalfire la sua immagine, già troppo degradata. 
Dopo la disfatta al referendum e dopo il discorso della sconfitta, con l’annuncio delle dimissioni, ora deve volare basso, far passare il clamore, rifarsi un’immagine più sobria, agire, vigilare e controllare il campo, senza apparire, senza fare annunci o mostrare sete di rivincita. 
Resta l’urgenza della ricostruzione delle zone terremotate, c’è da rifare subito la legge elettorale, i vicini impegni internazionali: se ne prenda meriti e demeriti il suo transitorio successore. 

Lui, intanto, deluso e amareggiato, ha scritto su Facebook di scatoloni, libri, vestiti, appunti, coperte da rimboccare, “non ho paracadute, non ho un seggio parlamentare, non ho uno stipendio, non ho un vitalizio, non ho l'immunità...” e deve pure fare i conti col partito, prima che si arrivi al congresso, perché molti vorrebbero che lasciasse anche la sua guida.
Ma non è chiaramente un messaggio di addio: “L'esperienza scout ti insegna che non si arriva se non per ripartire e noi non ci stancheremo di riprovare”. 
Quando saranno maturi i tempi e si andrà a votare (presto), tornerà forte e spietato come il conte di Rignano Montecristo e si getterà di nuovo nella mischia. 
E’ un annuncio di momentanea tregua ma, soprattutto, una promessa e il nuovo premier Gentiloni ben lo sa. Sarà una specie di supplente che gli terrà calda la cattedra, finché non si riprenda dal mal di referendum.
12 dicembre 2016 (Alfredo Laurano)



ODOR DI MUSCHIO

L’irresistibile magia del Presepe. Con i suoi simboli e le sue rappresentazioni religiose e sociali.
Una tradizione che inizia a Greccio, un paesino della valle reatina, la notte di Natale del 1223, per desiderio di San Francesco di far rivivere in uno scenario naturale la nascita di Gesù a Betlemme. 
Da lì in poi, 
la rappresentazione dell’evento si diffuse in tutta l’Italia, in forme stilistiche e con l’uso di materiali diversi a seconda della provenienza geografica e delle tradizioni locali e popolari. 
La fantasia ingrediente fondamentale per le ambientazioni, per ricostruire luoghi e paesaggi, sfondi, luci, prospettive e cura dei dettagli.
Da allora, quel rito si perpetua ogni anno.
Più o meno tutti, da bambini, insieme ai genitori, aprivamo il grande scatolone, tiravamo fuori la grotta e le casette, scartavano le statuine, montavano le luci, i fiumi e le montagne, cercavamo il muschio vero e profumato e davamo inizio alla gran festa. Una liturgia collettiva, un gioco appassionante e libero che diventava un cerimoniale assai sentito e creava quel clima di festa e di autentica magia.

Fedele alla consolidata usanza, si è inaugurata ieri, 10 dicembre, la XIX Mostra dei presepi e dei diorami a Monte Porzio, curata dal Gruppo Amici del Presepe e dalla Confraternita del SS. Sacramento.
La mostra, diffusa, si snoda per le vie del Centro Storico, in tipici locali adatti a presentare al meglio le opere, nella giusta atmosfera, particolare e suggestiva.
Nella piazza, è stato collocato il Villaggio di Babbo Natale, con canti, musiche, giochi e intrattenimento.
Poi, passeggiando tra le bancarelle di dolci e di prodotti d’artigianato, tutti alla scoperta dei tanti magnifici presepi, a cominciare da quello scenografico permanente, tanti diorami, tanta arte che rinnova e crea sempre un’emozione, che fa rivivere ricordi e ci fa tornare un po’ bambini.
11 dicembre 2016 (Alfredo Laurano)



RICCANZA E POVERANZA

Non bastava l’ennesima lectio magistralis del vate Briatore sul concetto di ricchezza e sul come assecondarla e replicarla a fini di lucro e, quindi, di produzione di altra ricchezza.
Non bastavano i relativi superbi reportage che ne indagavano i dettagli e le misure, tra le realtà discriminanti dell’oggi e del sempre. Né i racconti delle gesta volgari di alcuni prototipi paperoni del settore. 
Si avvertiva l’impellente bisogno anche di ostentarla quella ricchezza, di spiarla da dentro e da vicino, non per capirla meglio, ma, forse, per mitizzarla come modello, come stile e come fine.

Ed ecco, allora, il docureality “Giovani e Ricchi”, esempio inutile della vita quotidiana di alcuni rampolli di famiglie milionarie che si raccontano su RAIDUE, dove si è mostrato il lusso, sfrenato e fine a se stesso, a un Paese che ha un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti d'Europa. 
Un viaggio osceno e irritante nello spicchio di mondo dell’eleganza e dell’ipocrisia cafona, dove l’imbecillità fa rima con vuoto cerebrale, senza, peraltro, scatenare alcuna invidia sociale, anzi, solo moti di schifo e di rigetto. Dove l’esibizionismo più volgare di precoci milionari, privo di un solo grammo di buon gusto, offende e propone un modello di quotidianità giovanile che, non solo è distante anni luce dalla stragrande maggioranza delle nuove generazioni, ma stride fastidiosamente con la realtà socioeconomica del Paese: ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri. 
Non si capisce lo scopo di questa operazione televisiva, anche perché non aveva un taglio critico o sociologico, né didattico, né ironico - alla Lucci iena, per capirci - né tanto meno divertente. Ha solo descritto una specie di zoo umano, fatto di animali anomali e gabbie dorate. Una fiera dell’effimero e del superfluo.

A breve distanza di tempo, però, il filone della ricchezza ha partorito un’altra perla mediatica, a buon prezzo: è nata RICCANZA, un serial su MTV che è un vero insulto a chi lavora e tira la cinghia tutti i giorni. 
Anche in questo caso, non c’è l’intento documentaristico, tantomeno quello giornalistico, nella narrazione delle agiate vite di sette “nati ricchi”, selezionati tra figli di papà veri e qualche aspirante tale.
È solenne cazzeggio allo stato puro: la super-leggerezza dell’essere contro l’esaltante forza dell’avere, interpretati egregiamente da un cast di sballati, montati e finti. Un esempio di gioventù privilegiata e superficiale che, nel migliore dei casi, vive e vegeta, tra agi, lussi e sperperi, per divertirsi e spendere denaro, ignorando problemi e contraddizioni sociali. 
È una fauna di minus habens, a dispetto proprio di quel troppo avere, che, più che indignare, fa pena e fa ridere, per non piangere. 
Il registro informativo scelto rappresenta i rich kids come un fenomeno globale, ma normale: giovane età, esperienze, formazione e, magari pure, qualche rara riflessione. Un pianeta di ricchi, cafoni e tamarri che rilascia e libera nel cosmo del disgusto repellenti immagini di tracotante opulenza.

Mentre domenica scorsa gli italiani normali votavano al referendum, Maria Carmela D’Urso, che non si fa mai mancare niente, ospitava nel suo futile salotto delle chiacchiere perdute questi giovani ricchi paperini del terzo millennio, che hanno fatto della bella vita il loro stile di vita.
Come Riccanza vuole, vivono in case principesche, frequentano locali esclusivi, hanno cani che mangiano solo sushi.
C’è chi ha confessato che nel frigorifero ha solo gelato e champagne, che si sposta con l’autista o, se ha fretta, in elicottero. Che si coccola comprando Rolex o abiti e accessori a quattro o cinque zeri.
Tutti hanno intonato l’inno al lusso sfrenato e agli sperperi nel circo delle meraviglie che oltraggia il buongusto, il buonsenso e la sobrietà. “Una specie di pornografia della ricchezza e dell’indignazione”, ha detto qualcuno, “la vita di questi Rich Kids è un piacere proibito per tutti”.
Sono ricchi, giovani, belli, viziati, famosi, sfrenati, fieri e provocatori.
Come Anna e Kristel che abitano a Verona, a Venezia, a Milano e dappertutto, perché hanno case in giro per il mondo. Che si fanno portare la colazione a letto, che hanno la passione per la moda, che possono decidere quando andare in vacanza, che si compiacciono di comandare altre persone, di rilassarsi in una spa, al golf, a cavallo o guidare una Ferrari. 

In tale schiamazzante gallinaio, non poteva mancare, ovviamente, Elettra Miura Lamborghini, nipotina deviata e scema del leggendario Ferruccio, che svergogna il nome di famiglia, del marchio e della vettura di cui porta indegnamente il nome.
La discendente diretta della nota casa automobilistica del “Toro” ci ha regalato una patetica esibizione, scarburata, a tre cilindri e forse fusa. 
(S)Vestita come un mammifero da raccordo anulare, con seni collinari sull’attenti e 42 piercing di brillantini sotto pelle, è incapace di parlare dando un senso a ciò che prova a dire, senza riuscire nemmeno a sillabare. Ha emesso suoni indefiniti, mostrato tutti i lati fronte-retro della sua leopardata carrozzeria postribolare e gesticolato di continuo, senza motivo, in un replicato tic, come una svitata marionetta. 
Tra un verso e un’intuizione, si è capito che ha una sfrenata passione per l’equitazione, per i social network e per la vita notturna; ama mostrare le sue forme tonde e il suo esagerato stile di vita. 
Ha più di 58.000 seguaci su Facebook e Instagram. Vive nel lusso e se ne vanta!
Tale Karina Cascella, manifestando con estremo disprezzo il suo pensiero, e certamente quello di tanti telecittadini, le ha detto in faccia: “Esibire la propria ricchezza è volgare e tamarro, poi, tra il piercing e il tuo pessimo italiano, non si capisce niente di quello che dici, tu puoi giusto fare la cubista. Hai un diamante sulla lingua, forse se quei soldi li spendi per studiare è meglio. 
La sexy Miura, incurante di tale offesa - forse non l’ha nemmeno capita - e ricalcando il suo bizzarro e reiterato ticchio da cavallo, ha salutato quello squallido teatrino, biascicando: “Domani faccio colazione col latte alle ginocchia che mi hanno fatto venire”
Confesso che questi programmi che rendono legittime le invocazioni al ritorno della censura, ti tolgono gli schiaffi dalle mani e, dai piedi, tanti calcinculo: quelli veri, non quelli delle giostre.
10 dicembre 2016 (Alfredo Laurano)