domenica 30 settembre 2018

L’INSEGNA DEL DOLORE


Cippi, monumenti, targhe, lapidi: parole scritte sul marmo o sulla pietra per ricordare, perché tutti sappiano o possano sapere. Come, in ben più larga misura, accade nei libri e nelle enciclopedie storiche.
La memoria collettiva di un popolo o di una comunità, ha bisogno di modi e di luoghi in cui rimanere viva, lasciando traccia di eventi giudicati importanti per la storia, locale e nazionale, e per la sua stessa identità culturale.
L’intitolazione di strade, la costruzione di monumenti o la collocazione di targhe e lapidi sono sempre state utilizzate, per onorare e ricordare personaggi, fatti o avvenimenti politicamente importanti e, per così dire, segnarli a “imperitura memoria”. simboli
Proprio per questo evidente valore simbolico, spesso, le scelte delle amministrazioni locali o centrali hanno provocato discussioni, sia al loro interno, fra maggioranza e minoranza, sia all’esterno, nell’opinione pubblica, fino a scatenare accese contese sui diritti alla “memoria” stessa.
Incisa nel marmo, una scritta diventa un’importante ancora del ricordo, una testimonianza e un mezzo per raccontare, attraverso i luoghi, un pezzo della propria storia, da tramandare ai posteri: nascite illustri, soggiorni di artisti, poeti e musicisti, fondazioni, sedi letterarie, stragi, attentati, deportazioni, atti eroici e di sacrificio.
Ma anche di fatti di sangue e di misteri.
L'intera città di Ladispoli, per esempio, da oltre tre anni continua a mantenere vivo e forte il ricordo di Marco Vannini, un giovane di appena 20 anni strappato alla vita nella notte 18 maggio del 2015, in via Alcide De Gasperi, mentre si trovava a casa della sua fidanzata, Martina Ciontoli.
E proprio qui, ieri, accogliendo la richiesta della famiglia e il desiderio di tutti i cittadini, l'amministrazione comunale ha autorizzato l'affissione di una targa commemorativa, in ricordo della giovane vittima e della sua tragica scomparsa, che ha segnato profondamente l’intera comunità.
Un atto dovuto, forse, ma soprattutto di altissimo valore morale e di sensibilità sociale.
Chiunque passerà di là saprà, rifletterà, ricorderà.
  (Alfredo Laurano)




sabato 29 settembre 2018

52 SFUMATURE DI SPIRITO


Non so perché - ma forse si, conoscendo un po’ delle regole e delle dinamiche della nuova Comunicazione e dell’editoria moderna, selvaggia e senza freni - quando ho letto il sottotitolo della “Agenda Spirituale”, nuovo testo di Gian Piero Ferri, “migliorare se stessi in 52 settimane” mi sono venuti in mente i tanti manuali, compendi, opuscoli, guide, prontuari e vademecum, di ogni salsa, materia ed argomento, che affollano edicole e librerie.
Ce ne sono di ogni inimmaginabile tipo: per rimodellare il corpo, per la dieta e la cucina, per l’amore, per aver fortuna nel lavoro o con le donne, per le stelle, l’oroscopo e i segni zodiacali, per vivere sani, felici e belli, per vincere al lotto o fare soldi. Il tutto, anche attraverso cinquanta, cento o mille sfumature di grigio e di colori vari ad libitum, a capriccio e piacimento.
Ma non dello Spirito e del suo incontro, come fa Ferri in questo suo breviario, dopo aver già percorso, nel tempo e nella formazione, un sofferto e lungo cammino. E’ in questo nuovo viaggio, attraverso 52 tappe - le 52 settimane dell’anno - che si sviluppa il confronto.
Ogni settimana è introdotta da un verbo, cioè da un’azione, da un movimento del corpo o dello spirito o di entrambi. Nutrire, contemplare, toccare, rinascere, cercare, accogliere, incontrare, dialogare, accettare, fecondare… questi verbi sono, rappresentano e raccontano quasi tutta la nostra vita. L’autore non dà indicazioni di comportamento, ma suggerisce temi di riflessione su cui ciascuno di può confrontarsi, in cerca del proprio equilibrio spirituale.
Come scrive il prefatore, l’autore ha scoperto che quello che conta non è la meta, ma il viaggio, perciò invita il viaggiatore a muoversi spoglio di ogni maschera ed ogni difesa, rivestito soltanto di una completa e totale fiducia nella gioia e nella meraviglia che scaturiranno dall’incontro, che si svolge nella quotidianità, nell’assoluta normalità della vita vissuta così com’è.
E’ come l’essenziale atto del respirare che ci consente di vivere.
Ma chi di noi - anche quando il respiro guida meditazione o ginnastica, aiuta a controllare il dolore o ad attenuare le forti emozioni e le profonde passioni - normalmente ricorda che sta respirando o ne ha coscienza?
Perché lo Spirito non è l’antitesi del corpo, ma il suo respiro.
Non c’è una separazione netta tra due elementi, una rigida dicotomia tra spirito e corpo, tra sentimento e ragione. Non c’è alcun dualismo tra categorie distinte, opposte o contrapposte, che non necessariamente si escludono a vicenda, ma possono essere complementari, perché siamo una sola entità, un’unica realtà di un unico essere, nel quale si armonizzano, generando una sublime sinfonia.
Chi scorge una differenza tra spirito e corpo, non possiede ne’ l’uno ne’ l’altro, sosteneva Oscar Wilde.
Sogni, favole, illusioni, storie, leggende, sensazioni, impressioni, voli di piume, lacrime di luna e soffi d’amore si fanno realtà: creiamo ologrammi con i nostri pensieri che possono influenzare il mondo intorno a noi e li proiettiamo su altre persone.
Sono stati di coscienza, momenti e nuovi modelli di crescita legati a fatti umani, avvolti dallo Spirito, il valore stesso della vita è avvolto nel pensiero dello Spirito, così come quello della morte.
È in questo accordo con lo Spirito che si contemplano i ritmi dell’uomo e del mondo, nella vita, nell’amore, nell’amicizia, nel mutare delle stagioni, nel battito del cuore, nel sorgere dall’aurora, nel calar della sera.
L’autore si chiede come, quando, dove e perché opera lo Spirito, che diventa mediatore del dolore, veicolo di luce, di liberazione o inevitabile attrazione. Un supporto interiore per l’anima, di natura superiore, che riconosce il bene, dove il divino compie le sue scelte.            
Si interroga, anche, su cos'è lo Spirito, su quale sia la sua natura, la sua potenza e la sua dimensione, su come si alimenti dalla stessa vita, nel suo divenire.
Contempla il mistero della creazione, perché ogni sentimento nasce dallo Spirito, che si nutre di amore immortale e universale, che segretamente chiede a sua volta di ricevere, e custodisce nell’ignoto fluire.
Nella sua incorporeità, incapace di errore, lo Spirito è vita, è manifestazione trascendente che non ha bisogno di orpelli o di consensi per abitare ogni luogo della vita, per i credenti, grande palcoscenico del divino.
E il 13 luglio, nella sua Agenda Spirituale, Gian Piero Ferri scrive: “L’amore eterno è la forza straordinaria che spinge l’uomo, in forza dello Spirito, nella direzione del bene.
Vorrei tanto poter condividere questa riflessione per non parlare di utopia o società ideale - da Platone a Marx, passando per Agostino e Tommaso Moro - ma confesso che mi resta assai difficile riconoscere e ritrovare questa chimerica verità nella nostra società, sempre più cattiva, ingiusta, priva di umanità e di gioia condivisa.
Tutto il mondo è diventato, si, un palcoscenico, non già del soffio divino, ma dai demoni dell’indifferenza, dell’egoismo, della violenza.
 (Alfredo Laurano)

mercoledì 26 settembre 2018

QUANDO MIGRAVAMO NOI


Tre quarti de “La Vita Promessa” se ne sono andati ieri sera: resta solo l’ultima puntata che andrà in onda su Raiuno, lunedì prossimo.
È una storia drammatica di migranti italiani, negli anni ’20, che si sviluppa in luoghi e ambientazioni parallele.
Donna Carmela è una siciliana bella e risoluta, ma anche e soprattutto moglie innamorata e madre protettiva. Una "madre coraggio" che, vittima delle attenzioni ossessive di un uomo influente e senza scrupoli che le ha ucciso il marito, dopo aver torturato il figlio Rocco, indotto al suicidio per la vergogna (dal quale si salverà, ma resterà minorato mentale), decide di affrontare un lungo viaggio, per scappare dal suo aguzzino e proteggere la sua famiglia.
Decisa a trovare una nuova terra da amare e dove ricominciare, lascia la sua isola e il suo mondo, per imbarcarsi in un’avventura che la porterà oltreoceano, in un’America che in quegli anni è dominata dal Proibizionismo e schiacciata dalla crisi economica.
Per poter entrare in America, Carmela è costretta a sposarsi per procura con il veneto Matteo Schiavon, da tempo residente a New York. 
Ma un'altra tragedia sembra abbattersi sui Carrizzo quando, poco prima della partenza da Napoli, la figlia Maria sembra morire di colera, riprendendosi tuttavia poco dopo la partenza dei suoi familiari verso New York. Grazie all'aiuto della signora Assunta Moggi (una splendida Lina Sastri), che aveva ospitato momentaneamente la madre e i fratelli prima dell'imbarco, Maria farà poi di tutto per rintracciare la sua famiglia.
È il racconto si fa intenso, forse troppo, ricco di eventi, situazioni e sentimenti: la famiglia italiana in cerca di riscatto e della vita promessa, si muove tra sogni, valori, tradizioni, difficili realtà sociali e inevitabili delusioni.

Questa storia a tinte forti e malinconiche è calata in una scenografia affascinante e curata, come lo sono anche i costumi, le luci, la fotografia e la struggente musica di Amapola (che, lo confesso, amo da sempre alla follia), ma, al di là dell’eccesso di pathos che coinvolge molto il pubblico, il successo de “La Vita Promessa” - diretta da un attento Ricky Tognazzi - lo fanno gli attori, tutti bravi, validissimi, ben sovrapposti ai propri ruoli, e dall’interpretazione naturale e misurata.
Ce ne sono alcuni, come Thomas Trabacchi (un compostissimo mister Ferri che produce bene e coltiva bontà), come la già citata Sastri, come Tony Sperandeo, come Francesco Arca, nei panni del cattivo tormentato, e il sorprendente Emilio Fallarino, che impersona lo sfortunato Rocco (che ha perso la ragione), che danno un forte contributo di qualità alla fiction. Anche gli altri fratelli e gli altri personaggi sono credibilissimi e ben caratterizzati nella loro specifica diversità.
Su tutti, la meravigliosa protagonista Luisa Ranieri, un personaggio femminile incredibile per quell’epoca: attraverso i suoi occhi, i suoi ideali, le sue prese di coscienza, passa un bel pezzo di storia e società, di violenza ed emarginazione, di passioni e di rinunce, ma anche un po’ della timida evoluzione femminile di quegli anni. 
Ma i fantasmi del passato, da cui Carmela ha tentato di scappare, torneranno forse a farsi sentire e per lei l’incubo potrebbe ricominciare…

Intanto, in attesa dell’epilogo, registriamo che la terza puntata dell’opera ha richiamato oltre cinque milioni e mezzo di spettatori, un milione in più della concorrenza dell’indecente Grande Fratello, prova che la televisione di qualità ha ancora una marcia in più rispetto alla esecrabile riproposizione di stereotipati, abominevoli reality.
25 settembre 2018 (Alfredo Laurano)




martedì 25 settembre 2018

FRATELLO O CARDINALE?


C’è chi giocava alla Ruota della Fortuna (Matteo Renzi, diventato poi premier) e chi al Grande Fratello (Rocco Caslino, oggi portavoce assoluto e indiscusso dei Cinque Stelle): la televisione porta bene a chi la fa. O a chi la crea e la gestisce, come Silvio Berlusconi, che su essa ha fondato per decenni il suo impero e le sue fortune. 
È un trampolino, una vetrina illimitata e illuminata, una rampa di lancio per chi la sa sfruttare per andare in orbita, per chi intraprende il mestiere di politico (non la missione, com’era un tempo), perché parla a milioni di persone affascinate, che persuade e che seduce.
Dice Fratello Rocco, oggi nell’occhio del ciclone per le sue minacce audio al ministero dell’Economia: “guadagno poco più di 6 mila euro netti al mese, è il giusto riconoscimento. Sono portavoce e capo ufficio stampa, dirigo una trentina di persone, sono reperibile giorno e notte, sette giorni su sette, lavoro 13-14 ore al giorno. Sempre. Ho responsabilità enormi, nelle mie mani c'è la comunicazione di Palazzo Chigi". 
Me cojoni! Dicono a Roma.
Pur sprovvisto di santo cordone, la sua scalata al potere è stata rapida, indolore e fortunata: guadagna più del premier Conte - che guida, istruisce e indirizza, anche nei tempi e nei modi - e regge le fila della comunicazione dell'intero Movimento Cinque Stelle. Per molti critici, è il vero gran burattinaio.
È lui che indica, scrive, dirige, pensa, coordina, elabora, dietro le quinte, come un novello Richelieu, pur senza arrivare a imbrigliare, per ora, anche il crociato Salvini, il cui staff è altrettanto dominante. 
Ministri e sottosegretari del Movimento prima di parlare a microfono aperto con un giornalista, o prima di pubblicare un post sui social, sono tenuti a chiedere il suo benestare, pena l'emarginazione, l'isolamento, l’abiura.

Insomma, non si muove foglia che fra’ Casalino non voglia.
Dalla casetta di sfigati segregati di Cinecittà, spiati notte giorno da cento telecamere, anche nella più volgare intimità, è salito al palazzo del potere, dove nessuno ti controlla, ma ti consente di spiare e condizionare gli altri a tuo vantaggio: il suo futuro sarà di certo ancor più radioso, agli onori della cronaca politica, nella sterminata prateria dell’ambizione. (Alfredo Laurano)

GRANDE FRATELLO Vip

Grande Fratello Vip, stasera lunedì 24 settembre, in prima serata su Canale 5. Non prendete impegni!

domenica 23 settembre 2018

MARA E MARINA


Lacrime, tristezza e vera commozione.
Non avevo alcuna intenzione di tornare ancora sulla tragica storia di Marco Vannini, visto che ne ho scritto parecchio, anche in questi giorni e in queste ore.
Ma la straziante ricostruzione della mamma Marina, a Domenica In di poco fa, il suo misurato e sofferto racconto della notte in cui è morto Marco, la sua compostezza, il suo tangibile dolore e quegli occhi lucidi, che a stento contenevano le lacrime, hanno davvero commosso tutto il pubblico e gli spettatori di mezza Italia.
Una forte carica di empatia si è levata da quello studio televisivo, normalmente prodigo di giochi, gossip, frizzi, lazzi e cotillons, fino a coinvolgere chiunque abbia ancora un po’ di umanità e sani sentimenti. Molti hanno pianto e sofferto con quella donna dignitosa, così provata nella sua intimità e nel suo ruolo di madre, cui hanno strappato l’unico figlio, senza un perché, senza una ragione.

Sono 40 mesi e 5 giorni oggi, ha detto, tra l’altro, che Marco non è più con noi e che ci manca.
Ha ripercorso quelle ore, ha rivissuto gli attimi drammatici di quella notte: dall’arrivo al Pit, alla rivelazione tardiva dei fatti e dello sparo, al sentire Marco freddo, all’inutile corsa al Gemelli di Roma, per poi scoprire che Marco non c’era più: il suo cuore si era fermato sull’elicottero che avrebbe dovuto portarlo all’ospedale romano.
E poi, in un delicato video, le parole ed i pensieri degli amici, che hanno ricordato l’affetto e la stima per quel ragazzo ucciso per “gioco o per errore”.
“Chi conosceva mio figlio non poteva non amarlo, ha aggiunto Marina, mio figlio grida giustizia e con lui grida tutta la comunità. Ovunque vada ci sono persone che mi sono vicine e che chiedono giustizia con me”.

Non resta che sottolineare la correttezza di Mara Venier, che ha lasciato parlare quella madre ferita, senza interromperla - come accade quasi sempre - e per il garbo, la sensibilità e la delicatezza dimostrate nei suoi confronti.
Il suo abbraccio era autentico, come la sua stessa, e la nostra, commozione.
 (Alfredo Laurano)

NOTTE MAGICA A POMPEI


Una pagina di grande televisione, ma non solo.
Dopo “Stanotte a Firenze, a San Pietro” e a Venezia”, documentari magnifici che ci hanno consentito di scoprire meravigliosi luoghi del patrimonio storico e culturale dell’Italia, stavolta è toccato a Pompei, uno dei siti archeologici più famosi al mondo.
Arte, curiosità, archeologia e storia: Alberto Angela, divulgatore e paleontologo di razza (figlio di tanto padre), è tornato a farci viaggiare nel tempo e nella bellezza, raccontando, minuto per minuto, cosa è accaduto nell’ultima notte a Pompei - reazioni, emozioni e fuga dalla città distrutta - in una dettagliata descrizione degli ultimi istanti prima dell’eruzione che sommerse la città di cenere e lapilli.
Sono servite cinque settimane di riprese notturne, centinaia di ore di girato, scene registrate a Cinecittà e negli studi virtuali della Rai - tutto arricchito da spettacolari riprese con elicotteri, droni, effetti speciali e minifiction - per realizzare questo entusiasmante viaggio nelle città sepolte dalla lava del Vesuvio, nel 79 dopo Cristo.
Un percorso magnifico. 
Lo splendore di quella città, in forme e luoghi mai visti dal pubblico, fra strade in basolato, ville affrescate, lupanari, botteghe e natura. Ma anche Ercolano, con le sue terme e i favolosi gioielli ritrovati sugli scheletri dei fuggiaschi. Stabia, Oplonti e le loro faraoniche ville con piscine e vedute sul golfo di Napoli), in un racconto avvincente, fatto di storie di donne, uomini, usi, costumi e vita quotidiana, all’ombra della montagna che cancellerà tutto.

Ad accompagnare Alberto,  la cui capacità narrativa è ormai nota e indiscutibile, tra le rovine pompeiane, avvolte dal buio, in un’atmosfera più intima rispetto a quella diurna, una serie di ospiti illustri.
Giancarlo Giannini che ha dato il volto e la voce al testimone della tragedia, Plinio il Giovane. L’attore Marco D’Amore ha rivelato gli sconcertanti intrecci tra affari, malaffare e politica dell’epoca che agitavano i “molti pompeiani ricchi, i traffichini chiacchierati, gli sfruttatori di cameriere prostitute dette “Lupe” (da cui lupanare) e Faustilla che prestava “soldi a strozzo”, al 40%”.
Il tre volte premio Oscar Vittorio Storaro, nella Villa dei Misteri ci ha fatto ammirare i colori che abbiamo dimenticato, nei quali vivevano immersi gli antichi romani (“dal matrimonio fra luce e ombra nascono dei figli che si chiamano colore”).
La storica Eva Cantarella ci ha guidato nell’antica villa di Poppea e ci ha incuriosito su cosa c’è di vero nelle tante leggende che circondano la dissoluta moglie di Nerone.
Delicatamente, arriva un suono: “Sentite anche voi questa musica, sembra quella di un violino...”. 
Angela entra in un vicolo, percorre una scalinata, accede dall’alto al Teatro Piccolo, l’anfiteatro, dove c’è Uto Ughi che suona Mozart e ricorda che Amadeus era stato a Napoli e Pompei, a quattordici anni, e dopo aver visitato il Tempio di Iside fu ispirato per il suo Flauto magico: “un’overdose di
bellezza”

Nell’ultima notte di Pompei, Angela ci conduce all’interno di una immensa domus “da ricchi” (quella di Menandro, 1800 metri di casa), e mostra dove, e facendo cosa, di lì a breve gli ospiti della casa sarebbero stati travolti dalla catastrofe.
C’è il racconto drammatico dell’esplosione e dell’eruzione, i lapilli come bombe, la fuga di un’intera popolazione, la tempesta di cenere che tutto ha ricoperto.
La cronaca della tragedia si concentra sulle vite perdute. Come quelle dei corpi raccolti nell’Orto dei fuggiaschi, una specie di carovana che cercava forse di raggiungere il porto.
Camminavano vicini nel silenzio, intorno l’inferno. Cercavano di andare verso la salvezza, ma la corrente di cenere e vapore li ha avvolti e sepolti vivi. Queste - conclude il conduttore - non sono statue, sono persone.
“Il sole è tramontato, i turisti sono andati via, Pompei è tutta per noi”.
Così aveva sussurrato Alberto Angela in apertura di programma. Ma anche alla fine, in verità, insieme all’emozione, resta un momento di autentica magia: finalmente, su RaiUno, qualcosa per cui valga la pena pagare il canone e stare davanti alla tv”. (Alfredo Laurano)




PRONTO, CHI SPARLA?


L’acceso confronto telefonico di qualche giorno fa, fra Marina, mamma di Marco Vannini, e Federico Ciontoli, a "Quarto Grado", ha qualcosa di incredibile e surreale, nello stesso tempo.
Non solo per l’assurda accusa rivolta da Federico a Marina di non aver voluto il dialogo e di aver tenuto un comportamento di chiusura nei confronti dei condannati, ma, soprattutto perché ribalta lo stato delle cose e dei rapporti.
In tre anni e quattro mesi (dalla morte di Marco), nessun esponente di quella famiglia, riconosciuta in primo grado colpevole di omicidio, ha in realtà cercato umilmente quei genitori disperati, non ha mai rivolto loro un pensiero, una parola, un gesto di scuse e pentimento. Non ha mai visitato la tomba di Marco, né la casa dei suoi genitori.
E non l’ha fatto, in particolare, nemmeno “l’amatissima” fidanzata Martina, che, presa da suo futuro, dagli studi da infermiera e dal suo successivo lavoro, ha immediatamente dimenticato quel giovane biondo che diceva di amare alla follia. E ha reagito con la dovuta resilienza, ha riorganizzato positivamente la propria vita, si è lasciata scivolare addosso e ha rimosso una tragedia che, a suo dire, era inevitabile (intercettazioni ambientali della sede dei Carabinieri). Chissà poi perché.

Strappato il telefono dalle mani della giornalista che aveva chiamato il giovane e dimagrito Ciontoli, per chiarimenti, Marina gli ha urlato con tutta la forza e la rabbia, a lungo covata: “Federico, mi fai pena, mi fai pena. Sono la mamma di Marco e mi stai facendo veramente pena. Ti voglio dire soltanto questo, hai avuto più di tre anni per poter parlare con me e non l’hai mai fatto. Hai detto solo menzogne e continui a dire menzogne e ad arrampicarti sugli specchi”.
Mamma Marina inizia così a riportare «il mare di menzogne» che gli sono state dette, intercalando con «vi dovete vergognare». «Non siete venuti mai al cimitero a trovarlo, tua sorella si deve vergognare» insiste Marina. 
«Mi dispiace veramente – risponde Federico – Ti ho detto quello che sapevo. Vediamoci, parliamone, ma non con i giornalisti. Marina ti prego, ascoltami», insiste, cercando di bloccare la foga di quella donna, provata dal dolore e dall’indifferenza.
«La cosa che mi dà più fastidio è che voi non avete mai usato una parola per mio figlio. E soprattutto, tu Federico, ti devi rendere conto che Marco si poteva salvare. E ce lo avrai per sempre sulla coscienza. Tu, tua madre, tua sorella e tuo padre non avete fatto niente per salvarlo», sbotta ancora mamma Marina, che non lascia spazio alle risposte del ragazzo. Che cerca di giustificarsi dicendo: «Marina siamo stati schiacciati da qualcosa di grande». A quel punto, Marina va su tutte le furie: «Di grande! Ma ti rendi conto quando parli di Marco cosa dici? Di grande è solo per me e mio marito Valerio». 
Federico sembra disponibile ad un incontro con Marina. «Ti spiegherò ogni minimo dettaglio, tutto quello che vorrai sapere. Tutto quello che vorrai sapere» ripete più volte.  «Potrei avere l’opportunità di spiegarti qualcosa che ti fa capire che forse non è come pensi».
Questa telefonata ha avuto luogo dopo che, qualche giorno prima, Federico e Viola erano stati intercettati per strada dalla inviata della stessa trasmissione Quarto Grado, accusata di aver raccontato bugie, falsità e solo piccoli tasselli di verità. Cioè, tutte “cavolate”, come le ha definite il furente Federico.
In realtà, Federico non dice assolutamente nulla e, probabilmente, continuerà a non dire nulla. Dubito che vorrà veramente incontrare la mamma di Marco per raccontare una sua verità.

L’avvocato Celestino Gnazi, legale dei Vannini, commenta così, dopo la messa in onda del video: «Mi ha stupito la loro arroganza. Se c’è uno che dice ‘’cavolate’’ è proprio questo ragazzo che forse è il regista di tutto. Nell’appello del pubblico ministero si elencano le ‘’cavolate’’ di Federico che addirittura, come un esperto regista, induce i familiari a mentire lo stesso giorno. Non pensano a Marco che è morto. Pensano a concertare una versione». 
Ma qual è la verità? Non la sapremo forse mai, perché sepolta da una arroganza intellettuale, da un cinismo senza limiti e da una inaudita cattiveria nei confronti di quella madre che soffre, senza darsi pace.
21 settembre 2018 (Alfredo Laurano)

http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/caso-vannini-confronto-esclusivo-tra-la-mamma-di-marco-e-federico-ciontoli-mi-fai-pena-_3163421-201802a.shtml

giovedì 20 settembre 2018

IN VIAGGIO TRA MIRACOLI E MAGIA


Come ci ricorda Valentino Salvatore: cercare di essere ragionevoli mica è una cosa facile e non si può essere tali a giorni alterni. Si tratta di acquisire un criterio di buonsenso da applicare anche nella vita quotidiana. Spesso accade che molti di quelli che si (auto)proclamano tali, in sostanza, abbandonino formalmente pratiche religiose ordinarie solo per cercare risposte “alternative” e più rispettabili, apparentemente più moderne e aperte, che conservano però lo stesso fondo di irrazionalismo. Moltissime persone, per compensazione, cercano nuovi punti di riferimento di questo tipo, riadattati però in maniera più soft al mondo moderno.
È per questo che pullulano ovunque storie di spiritismo, di parapsicologia, di fenomeni apparentemente inspiegabili, di miracoli, di capacità sovrannaturali.

VIAGGIO NEL MONDO DEL PARANORMALE di Piero Angela, pubblicato quarant’anni fa (1978), è tornato alla ribalta al CICAP fest dei giorni scorsi, a Padova, dedicato a tutti coloro che amano la scienza e sono affascinati dall’insolito e dal misterioso, ma non vogliono farsi prendere per il naso.

Il testo è un punto di riferimento indispensabile per chiunque voglia farsi un’idea più precisa sul mondo dei fenomeni paranormali e orientarsi tra verità e bugie del vivere quotidiano.
Nonostante sia passato ormai molto tempo dalla sua stesura, rimangono intatti la freschezza della passione nella ricerca e l’acutezza rigorosa nelle analisi, il tutto miscelato con la consueta chiarezza del divulgatore. Un testo quindi ancora necessario, perché la cultura di massa non aiuta molto nell’analisi critica di certi fenomeni: i telegiornali e vari programmi – spacciati per approfondimento scientifico – ci danno resoconti sensazionalistici e imprecisi di fenomeni “sovrannaturali”, mentre le nicchie scientifiche sono poche e viste con sospetto – complice il clima culturale italiano generale tendenzialmente (spesso fieramente) antiscientifico e egemonizzato dalla religione.

“Questo non è un libro per coloro che vogliono credere. Ma per coloro che vogliono capire”, ammonisce Angela.
Così comincia questo viaggio appassionante, che rivela un quadro piuttosto impietoso, ben diverso da quello generalmente dipinto: si parla di medium, di telepatia, psicocinesi, di personaggi storici come Uri Geller o Rol, di spiritismo, della famigerata fotografia Krilian capace di captare “l’aura”, delle guarigioni “miracolose” e di altre pratiche che si ritengono curative, di yogi e fachirismo, fenomeni particolari che possono accadere anche a noi tutti i giorni e possono farci credere di possedere poteri specifici o di subire influenze altrui (coincidenze, presentimenti, sogni premonitori), senza tralasciare un must come l’astrologia.
Gli argomenti sono tanti e coinvolgenti, si snodano per centinaia di pagine, mentre Angela intervista esperti di tutte le risme, spiega in maniera semplice e didascalica come non sia raro prendere cantonate (cosa che accade anche a illustrissimi premi Nobel, magari dei genî, ma sostanzialmente sprovveduti di fronte a trovate anche marchiane) e come si possa dare un’interpretazione scientifica a certi fatti apparentemente strani, svela i vari trucchi del mestiere utilizzati da “professionisti” come medium, prestigiatori, maghi, cartomanti e pseudo-scienziati.

Ma la spiegazione e la confutazione di tanti fenomeni giudicati paranormali, benché a tratti spassosa e avvincente, non basta e l’autore ne è perfettamente consapevole: è quindi indispensabile cercare di rispondere alla classica domanda – Perché si crede? – cui Angela dedica l’ultimo capitolo, tirando le somme e dando alcune risposte lucidissime. Fondamentale, afferma, è il ruolo dell’informazione, una delle prime cause di condizionamento ambientale che predispone le persone a credere a certi fenomeni.
I media tendono a presentare o a gonfiare in modo acritico certe notizie, per esigenze commerciali e sensazionalistiche: “questo atteggiamento contribuisce non solo a disinformare il pubblico, ma anche a creare un clima di credulità e, in senso più largo, di irrazionalità”. Il fatto che il mondo scientifico il più delle volte ignori certe questioni, o si dedichi solo occasionalmente alla divulgazione della critica, senza riuscire ad avere una diffusione di massa, fa il resto.
Non a caso, Piero Angela saluta positivamente la nascita nel 1976 dello statunitense Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal, che farà da modello per il CICAP italiano – fondato anni dopo dallo stesso Angela e da altri studiosi.

Uno dei miti più diffusi dalla propaganda anti-scientifica è che ci sia un bisogno innato di credere in un qualcosa di trascendente o metafisico, cosa che Angela pacatamente, ma decisamente smonta con una constatazione molto semplice: “il mondo è pieno di gente che non ha assolutamente bisogno di credere nel trascendente. Se fosse una necessità connaturata all’uomo dovrebbe essere comune a tutti (così come è comune a tutti gli uomini il bisogno di aria, cibo, sonno, ecc.), invece non lo è: e questo costituirebbe già la prova che non si tratta di una necessità “interna”, ma di un bisogno creato dall’ambiente, cioè dall’educazione e dall’informazione».
Quello di cui la maggior parte della gente sente il bisogno è casomai un «contesto», un sistema coerente di significati: «si potrebbe piuttosto individuare un bisogno che è davvero fondamentale per tutti gli uomini, un bisogno collegato agli stessi meccanismi di sopravvivenza del sistema nervoso, quello di conoscere».

Per soddisfare questo bisogno, l’uomo ha cercato di darsi delle risposte, come quelle religiose o paranormali: apparentemente complete, soddisfacenti e coerenti, danno speranza e un “senso” alla vita, proiettano l’uomo in dimensioni meravigliose e alternative. Invece la strada dell’analisi offre continuamente dubbi, nuovi problemi da affrontare e costringe a stare coi piedi per terra.
Angela, col suo consueto tono pacato e signorile, auspica che credenze paranormali e irrazionali, da un lato, e cognizioni scientifiche, dall’altro, rimangano ognuna nel proprio ambito, nel rispetto dell’approccio razionale e laico, visto che religioni e pseudoscienze pretendono proprio di piegare ai loro canoni anche le conoscenze scientifiche.
L’autore è cosciente del vuoto che può lasciare la demolizione di certe credenze paranormali e ammette che l’ampliamento delle conoscenze non è detto «che porti alla felicità, anzi è più probabile il contrario, proprio perché genera dubbi e toglie sicurezza».
Ma quella spinta irresistibile alla conoscenza e alla ricerca, è forse il dono più prezioso dell’uomo, anche a costo di rinunciare ai miti, alle illusioni e a tutto ciò che apparentemente ci conforta. (Alfredo Laurano)

lunedì 17 settembre 2018

SOLO CAVOLATE

Lo abbiamo detto e scritto più volte, tutti, tante volte, fin quasi alla nausea.
Tutti abbiamo sottolineato, da oltre tre anni, quanta questa gente sia brutta e cattiva, arrogante e sfrontata, maleducata, cinica e insensibile! Sul piano della logica, dell’obiettività, del confronto dialettico, ma anche giuridico e psicologico. 
Ora, siamo tutti in attesa del processo di appello richiesto dal Pubblico Ministero, ma anche dagli avvocati dei Ciontoli condannati. Ovviamente, per opposti motivi.
Federico e Viola, intercettati dall’inviata di “Quarto Grado”, hanno dato l’ennesima prova della loro inconsistenza umana, della loro indifferenza e strafottenza, di fronte a un popolo ferito e avvilito, per non parlare della famiglia della vittima, da una tragedia assurda, incredibile, quasi unica nel suo genere.
Un ragazzo di vent’anni, Marco Vannini, è stato fatto a lungo agonizzare, e poi morire, nella casa di quella che credeva essere la sua seconda famiglia: per incuria, per negligenza, per incapacità, per insostenibile leggerezza e non sappiamo, e non sapremo mai, se ci siano o se ci fossero altri motivi e inviolabili segreti, dietro questo intrigo familiare di provincia. Roba da film di Germi o Pupi Avati.
Ci vuole una gran bella faccia tosta, come quella dei due diabolici fidanzatini - manovrati e indirizzati quanto basta dal boss capofamiglia - uniti nella loro grottesca e ridicola reazione, per sostenere che le ragioni di chi pone legittime domande, di chi vuol sapere, capire, approfondire, non solo a livello giornalistico,  le incongruenze, le contraddizioni, le trame concordate, i mille dubbi e perché di certi comportamenti, sono tutte cavolate, semplici cavolate, cioè banalità immotivate!
E tutto questo, registrato da microfoni e telecamere, a fronte di parole vuote, inutili, senza senso e semanticamente prive di significato alcuno, pronunciate a viso aperto dai due giovani, che si ritengono mediaticamente “perseguitati”.
Tra le cose più sconvolgenti che, nel mare dell’assoluto niente e del vuoto profondo espresso dai due “perseguitati, c’è la bizzarra tesi che Federico Ciontoli ha avuto il coraggio di affermare, cioè l’atteggiamento di chiusura avuto da mamma Marina nei loro confronti, nei confronti di tutta la sua famiglia (di assassini): ricordo che sono stati già condannati, pur lievemente, in primo grado, per omicidio volontario (il padre Ciontoli) e colposo (gli altri, Viola esclusa).
Atteggiamento di chiusura? Che si aspettavano un caldo abbraccio e il fantomatico perdono da una madre e da un padre, cui hanno ucciso un figlio, inspiegabilmente?
Hanno già dimenticato ciò che hanno fatto e come l’hanno fatto?
O hanno una loro inedita verità dei fatti, che non hanno ancora dichiarato, che confuterebbe tutto il castello accusatorio nei loro confronti? Un coupe de theatre, a sorpresa? L’appello ci conforterà.
Grande è stata la motivatissima e lucida reazione di una straordinaria Marina nei confronti del Ciontoli jr, al quale, afferrato il telefono dell’inviata, ha manifestato tutto il dolore, la rabbia, l'amarezza, la delusione, ma non la rassegnazione, per quel misfatto che le ha spezzato il cuore, di cui lui e tutto il ciontolame sono responsabili.

La conclusione illogica di quell’intervista in strada, comunque, sarebbe questa: un gruppo di famiglia in un interno spara e uccide un ragazzo, per sbaglio, per caso o chissà per quale altra ragione e il reato sarebbe quello di chi vuol sapere, indagare, capire cosa è veramente successo quella notte. Questa è la vera e unica “cavolata”
Per non subire la gogna mediatica, basterebbe confessare, dire esattamente quello che è successo e liberarsi la coscienza.
16 settembre 2018 (Alfredo Laurano)