Mai,
come ieri, la giornata dell’otto marzo, non è stata la solita festa della
retorica coniugata al femminile, che si ricorda delle donne una volta l’anno e
le autorizza ad andare in gruppo in pizzeria, senza compagni o mariti
carcerieri al seguito. O a vivere qualche “peccaminoso” momento di follia o
trasgressione, alzando un calice di frizzanti bollicine.
In
tempi di Coronavirus, è stata una riflessione “in quarantena” sulla rivendicazione internazionale di diritti, recuperando il senso originario di questa
ricorrenza.
Non
un momento, quindi, di banale rito commerciale in rosa, contornato da smisurate
praterie di maleodoranti fiorellini gialli, ma una denuncia collettiva della
mancanza di diritti e di una parità di genere, ancora lontana dall'essere
raggiunta, motivi per i quali fu indetta, appunto, la Giornata Internazionale
della donna.
Tra
le prime violazioni dei diritti umani delle donne c'è sicuramente la violenza
che ha come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o
psicologica, incluse minacce, coercizione o privazione arbitraria della libertà
nella vita pubblica o privata. Senza dimenticare i tanti, troppi femminicidi,
quasi tutti di origine familiare, per possesso e gelosia.
Una
manifestazione, pur sotto tono, contro la brutalità e la prepotenza e quindi
anche contro tutte le forme di discriminazione che si verificano ancora nel
mondo del lavoro.
9
marzo 2020 (Alfredo Laurano)
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