venerdì 27 marzo 2020

SORGE SPONTANEA LA DOMANDA /2001

Tra le mille domande che tutti ci facciamo, ce ne sono alcune che non possiamo eludere. Che ci inquietano e ci tormentano più di altre, che non trovano risposte certe, ma nemmeno vaghe e approssimative, anche tra insigni esperti, virologi, infettivologi, epidemiologi: nessuno è in grado di esprimere un parere chiaro e certo.
- Perché, a febbraio, dopo i primi casi di infezione a Codugno e nel lodigiano, (ricordiamo che dieci comuni, per una popolazione di 50.000 persone, sono stati posti in totale quarantena, come quelli in Veneto, a Vo Euganeo e ospedale di Schiavonia, dove è stato eseguito il tampone a tutti i 3000 abitanti del paese, con l’isolamento dei soggetti infettati, misura efficacissima che ha fatto scendere drasticamente il numero dei malati, nel giro di 7-10 giorni), l’infezione si è spostata e sviluppata a Milano e soprattutto nel Bergamasco e nel Bresciano, dove l’altissimo numero di contagiati, ricoverati e deceduti hanno collassato le strutture ospedaliere, le terapie intensive e il personale medico infermieristico, all’estremo limite della sopportazione, prima di scoppiare?

Perché il virus colpisce in maniera così diversa e indiscriminata, a prescindere da sesso, età e comorbilità (coesistenza di più patologie in uno stesso individuo, per lo più anziano)?
Perché alcuni sviluppano sintomi evidenti e altri no? Perché alcuni muoiono in quattro giorni (anche giovani e senza altre malattie) e qualcuno nemmeno si accorge di essere infettato?
I malati possono avere nessun disturbo o appena lievi e somiglianti ad un raffreddore. La grande maggioranza delle persone che si infettano - tra il 50 e il 75% - è completamente asintomatica, ma rappresenta comunque una incredibile fonte di contagio, visto che nessuno le teme o le isola.
Questo è particolarmente vero per categorie come i medici e gli infermieri che, essendo esposti al virus, sviluppano frequentemente un’infezione asintomatica, continuando a veicolarla tra loro e ai loro pazienti. Gli ospedali possono diventare zone ad alto rischio, in cui nessun affetto è isolato.
Coloro che invece presentano febbre, tosse e sintomi respiratori dovrebbero comunque essere posti in isolamento (come chi vi è stato in contatto) o portati in ospedale.

Ma tutto ciò non accade. Il modello Vo Euganeo non si può esportare in tutta Italia. Non si possono fare sessanta milioni di tamponi, ci vorrebbe un anno. E le scorte di tamponi e reagenti, per giunta, stanno finendo.
 Sarebbe, invece, assolutamente essenziale estendere i tamponi alla maggior parte della popolazione, in particolare alle categorie a rischio - cioè esposti a contatti multipli - come appunto il personale ospedaliero (da salvaguardare e preservare in primis), le forze di polizia, i trasportatori, i fattorini, gli sportellisti, i cassieri e tutti i lavoratori costretti ad avere molti contatti inter-personali. Nonché a tutti coloro che hanno una elevata probabilità di trasmettere il virus, specialmente se vivono in comunità chiuse e con contatti molteplici e ravvicinati.
Alla prima domanda, forse, una certa risposta c’è o si può ragionevolmente ipotizzare.
Potrebbe essere stata Atalanta-Valencia, la cosiddetta "partita zero" di Champions League, del 19 febbraio scorso a San Siro, a scatenare il contagio, ad innescare l'emergenza in Lombardia e, successivamente, anche in Spagna. 45mila tifosi, tra italiani e iberici, hanno affollato le tribune del Meazza per quella storica partita.
Quella che doveva essere una grande festa per i tifosi orobici si è probabilmente trasformata nell'innesco di una bomba letale.
Tutto è cominciato sulla Metro che ha portato quelle folle a San Siro, tutti accatastati e stretti uno sull'altro. Tra loro, probabilmente, qualcuno contagiato dal Covid-19, che aveva già fatto la sua comparsa nel regione valenciana,
Poi, all'uscita dalla Metro intasata, gli scambi di gagliardetto, le foto ricordo in gruppo, E, soprattutto, molti che si passavano la stessa lattina di birra, accomunati dal brindisi ad una serata storica che, poche settimane più tardi, sarebbe diventata solo un incubo.
Per molte vittime del Coronavirus, come scrive Mariano Maugeri, la partita di ritorno contro il Valencia del 10 marzo vinta 4 a 3 dagli atalantini è stata l’ultima immagine felice della loro vita, prima di consegnare l’anima a Dio.
26 marzo 2001 (Alfredo Laurano)

Nessun commento:

Posta un commento