C'è
chi prega, chi fa scongiuri o riti e gesti propiziatori, chi si
affida a santi e madonne famose, chi tocca amuleti e talismani o chi espone
crocefissi, come a Brescello. Il Papa, bontà sua, dice la messa ogni mattina da
Santa Marta, in diretta dalla sua TV.
Ognuno cerca di esorcizzare la paura, per sentirsi meno
solo. Per farsi coraggio. Per combattere il maligno come crede e come può, a
seconda della propria formazione culturale.
E allora, città deserte, balconi pieni: flash mob in tutta
Italia con l'Inno di Mameli ed altri brani intrisi di speranza, per distrarsi
un attimo e condividere l’angoscia.
L’invito, lanciato sui social, ha avuto il suo effetto in
una nazione sconvolta. Il
senso della comunità, del destino comune, la voglia di vivere o di sopravvivere
hanno prevalso in un Paese chiuso e spaventato, che canta per non piangere: quelle
note sciolgono o coprono le lacrime che ci portiamo dentro.
Ma, pur comprendendo la evidente funzione apotropaica di
questa iniziativa di canto collettivo cittadino per cacciare magicamente il
male, come vi va di cantare e far teatro da finestre e da balconi?
Ovviamente, ognuno è libero di farlo. Anzi, fatelo anche
per me.
Qualcuno parla di popolo da operetta, “sembriamo l'orchestra del Titanic, che continua a suonare mentre la
nave affonda”.
Altri, presi dal fervore musicale, più per disperazione che
per latente passione, programmano i brani, riferiscono gli effetti e i luoghi
della partecipazione, chiedendo, peraltro, “chissà
se tutte le caserme che abbiamo in zona, potrebbero diffondere l'inno nazionale
con gli altoparlanti?”
Si sfiora il paradosso. Mancano solo i tricolore esposti
dalle case.
Come se fossimo ai Mondiali di calcio, o avessimo vinto una
guerra o conquistato Marte. “Si può riprovare domani sera? Qui solo
zombie e muti”, lamentano altri.
Mentre gli ospedali scoppiano, i medici e gli infermieri
crollano dalla stanchezza e molti si contagiano. E nel bergamasco, i morti li
mettono nelle chiese.
Ma si, cantiamo “Azzurro”. 14 marzo 2020 (A. La.)
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