venerdì 13 marzo 2020

ITALIA AL VUOTO /1986


L’Italia è chiusa, ma non per ferie. O, se preferite per ferie forzate, da virus dilagante. Come in un ferragosto atipico, ma non di festa o di riposo, senza traffico, senza turisti e con le vie deserte e silenziose.
Ma non tranquille, come nei dì di festa, anzi colme di ansia e di paura e di concreto senso di inquietudine, ad ogni angolo.
Le città sono senza popolo, senza gente che le anima, che le vive, che le scopre, magari anche con disagio e con fastidio
Una situazione incredibile, paradossale e del tutto sconosciuta, mai vissuta fino ad oggi, nemmeno ai tempi dell’Asiatica, della Sars, dell’Aviaria, di Chernobyl, della Mucca Pazza e del Colera a Napoli. Che ci ha sorpreso a tradimento, che ci sta sconvolgendo e terrorizzando e alla quale non potevamo certo essere preparati.
Troppi hanno pensato che l’epidemia Corona riguardasse solo il popolo cinese, che mangia cani e zuppe di pipistrello. Che, al massimo, sarebbe rimasta circoscritta all’Asia. Ma nel mondo globalizzato, anche i virus viaggiano dappertutto e si riproducono assai velocemente, scavalcano i muri di Trump, di Erdogan, del Medio Oriente e tutti gli altri; non conoscono frontiere e fili spinati, fanno mercato e diventano Pandemia.

Comunque, quel popolo d’Italia, cosciente e sano nella testa, sta giustamente e forzatamente casa, senza sentirsi prigioniero, ma nel segno dell’isolamento, per schivare lo spettro del contagio, anche quando è costretto, per necessità, a uscire e a mettersi in coda fuori dalla farmacia, alle poste o al supermercato.
E tra le proprie quattro mura, quel popolo segregato e stanco, afflitto e prigioniero, trova conforto e distrazione, cucinando, leggendo un libro, guardando un film, oltre ai TG e agli speciali, navigando sul Web o chattando sui Social e su WhatsApp, per farsi reciprocamente coraggio, per sfogare l’ansia e la paura, per trovare una qualche rassicurazione, per raccontarsi la giornata, i giochi di bimbi e nipotini, o chiedere pareri, consigli o ascoltare una parola amica.

Meno, come sempre, la folta tribù degli imbecilli, che salgono agli onori della cronaca, proprio nei momenti più collettivamente tragici. Come gli sciacalli o i monatti e gli untori manzoniani.
E allora, a Sciacca, c’è chi esce e va a fare la spesa nonostante sia positivo al Coronavirus: viene scoperto, denunciato e ora rischia fino a dodici anni; oppure, ci sono i cinque che da Napoli vanno in macchina a Zocca, per vedere la casa di Vasco: denunciati; o gli otto che mangiano in una trattoria aperta al pubblico, fuori orario o che a Savona giocano in sedici a calcetto: o, ancora, il giovane fenomeno di 23 anni che, a Roma, alla richiesta di esibire l’autocertificazione prevista, ne mostra una dove attesta di andare a cena dagli amici.
Ma il caso più folle e sconcertante arriva da Napoli, dove, all'ospedale Cotugno, un uomo, che presentava sintomi febbrili ed era in attesa di fare il tampone, si è spazientito e ha dato in escandescenze, sputando contro dottoressa e infermiere che cercavano di calmarlo. Il risultato è che i due sanitari sono stati posti in quarantena e sottratti alle già carenti forze operative dell’ospedale.

Tutti costoro, contro i principi base di Ippocrate e della medicina, non meriterebbero di essere curati da chi si sta prodigando, allo stremo e senza sosta, per salvare vite umane.
Soprattutto quegli ottusi dissennati che non capiscono, che ignorano l’emergenza e la moltiplicazione dei contagi e, che, in nome di una inquietante e disperata filosofia egoista e nichilista, sostengono che per paura di morire, non possono rinunciare a vivere.
12 marzo 2020 (Alfredo Laurano)


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