Tutti ai domiciliari. Che fare, oltre a
sentire le notizie dei Tg, a seguire i talk e gli Speciali a tutte le ore, a
sconvolgerci quotidianamente con i bollettini macabri della Protezione Civile,
che ci aggiornano sui troppi morti e feriti della guerra?
Intanto,
tutti speriamo di non essere, prima o poi, fra quei numeri spaventosi, che ci
danno ansia e ci gettano nel panico.
Poi
pensiamo con terrore che il già scarso personale sanitario (medici,
rianimatori, infermieri, tecnici, autisti d’ambulanza e altri) possa
ulteriormente contaminarsi, essere isolato - se non peggio, come già purtroppo
successo – ed essere sottratto, non per propria volontà, al duro sacrificio, al
fronte. Sono l’unica speranza di un intero popolo, anzi, ormai, di tutti i
popoli infettati.
Immaginiamo
cosa ciò significherebbe? Meglio non pensarci.
Vanno
e vengono tutti gli altri pensieri, ricorrenti e tristi, che scriviamo,
scambiamo o interpretiamo, dialogando virtualmente con qualcuno, al telefono,
sui Social, su Skype o su Whatsapp. E ci danno un altro po’ di depressione,
insieme a un calcio all’ottimismo.
Molti
hanno la fortuna o il privilegio dello Smart Working, che aiuta a dare un senso
alla giornata. Mia figlia, per esempio, lavora più di prima, facendo lezione in
tele conferenza, sia all’Università statale La Sapienza, sia a quella privata,
sia a un’altra azienda che si occupa di merci.
Molti
si sentono in gabbia, costretti ed annoiati, smaniano e cercano qualsiasi
tentativo di pur fittizia evasione: e allora la spesa alimentare in lunghe
file, il cane, il giro del palazzo. Intorno, le città e i luoghi ormai deserti, privi di
traffico, con pochi passanti che si aggirano dubbiosi e spauriti, spesso con
una mascherina di fortuna. C’è un che di spettrale e postatomico, in una Italia
chiusa per coronavirus. E’ assordante quell’innaturale silenzio, da coprifuoco
in tempi di guerra.
C’è
chi (e sono tanti), ha il problema dei bambini piccoli che chiedono di uscire e
di giocare fuori, con compagni ed amichetti. Difficile spiegare perché no,
distrarli, rimandare, coinvolgerli in storie e attività manuali (disegni,
costruzioni e cartoni animati alla TV). Soprattutto quando gli spazi sono
esigui, senza un balcone o un minuscolo giardino. Sono tantissime le famiglie
numerose che vivono in case di pochi metri quadri. Quante mamme e padri, già
provati, scoppiano di fronte al pianto o a un capriccio, che si fa sempre più
insistente, estenuante, che non si sa come calmare? E’ facile perdere
l’equilibrio, perdere il controllo, dare di testa.
E
a tutti i nonni mancano i nipoti. I loro affetti sono congelati e accrescono la
solitudine e il disagio esistenziale.
Anche
la convivenza è messa a dura prova, tra nevrosi, ansia e nervi a fior di pelle.
Alcuni
si rifugiano in cucina, preparano da mangiare, secondo ricette semplici e con
ingredienti razionati, per non finire presto le minime scorte in dispensa e
frigo.
Altri
sono maledettamente soli. Soffrono da soli. Non possono condividere
inquietudine e paure. E non parlano nemmeno con se stessi.
E
siamo solo a 10-12 giorni dall’inizio della clausura. Quanto potremo resistere
o rispondere con adeguata resilienza?
Dopo,
non oso immaginare cosa accadrà. Chissà perché gli americani fanno la fila
davanti alle armerie, più che agli ingressi dei supermercati!
Ah!
Oggi è domenica, ma è come lunedì o martedì. Nemmeno i giorni hanno più senso e
distinzione. Non sono più feriali o più festivi.
Anche
se ho appeno udito suonare le campane.
22
marzo 2020 (Alfredo Laurano)
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