martedì 23 febbraio 2016

LE BUSTINE DEL CREDENTE LAICO

Ho assistito al funerale di Umberto Eco, tra le note di Corelli, al clavicembalo e alla viola da gamba: una cerimonia laica per un credente laico.
Sentita, partecipata, commossa, come è naturale che sia quando se va un pezzo del patrimonio collettivo del sapere.
Tanta gente sconosciuta, sindaci, ministri, editori, corone e corazzieri, nel Castello Sforzesco di Milano.
E gli amici di sempre, Furio Colombo, Gianni Coscia, avvocato fisarmonicista con cui Eco, anche flautista, spesso suonava, e Moni Ovadia che, ricordandolo anche come grande raccontatore di storielle umoristiche e aneddoti - “abbiamo trascorso notti intere a raccontarci storielle… aveva questa libertà di essere aperto a ogni forma del comunicare” - ha aggiunto che: “Dio ti benedice soprattutto perché non gli credi. Lui sopporta i credenti, ma predilige gli atei".

Tutti hanno sottolineato la fantasia, l’intelligenza, l’immensa cultura di un uomo capace di spaziare con estrema facilità e senza paletti retorici, dalla filosofia ai fumetti, dalla semiotica a Topolino, dalla teologia alla televisione, dal Medioevo a Mike Bongiorno e alla settimana enigmistica, fino alle “bustine di Minerva”, dove riflette sul mondo contemporaneo, sulla società italiana, sulle mode e le manie, sul destino del libro nell'era di Internet.
Una raccolta di appunti occasionali, e spesso stravaganti, che a volte si annotavano nella parte interna di quelle bustine di fiammiferi che si chiamano appunto Minerva.
Pillole di saggezza, chicche letterarie da sfogliare per godibile divertimento intellettuale, in cui diceva, per esempio, “che il cane non ride, perché non sa che deve morire, o che i panni sporchi si lavano in televisione o che Il computer non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide, anzi, è una macchina stupida che funziona solo nelle mani delle persone intelligenti.”
Ironia e umorismo, quali condimenti di sapienza, e 41 lauree honoris causa, sulle spalle.
Ma, nonostante ciò, nonostante l’Eco mondiale, i suoi libri venduti in milioni di copie, il prestigio accademico e internazionale, c’è qualche poveretto che si permette di attaccarlo, ancor oggi, o lo ha duramente contestato, con l’arroganza e la protervia tipiche dei cretini più ignoranti, quando si è permesso di osservare le stesse cose che un po’ tutti noi pensiamo e scriviamo da tempo: internet è una sconfinata palestra internazionale di libertà che favorisce la comunicazione, il dialogo, la conoscenza, la diffusione delle idee, ma “che dà diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima chiacchieravano al bar, dopo due bicchieri rosso, e ora hanno lo stesso diritto di dissertare di un premio nobel. E diventa difficile poi distinguere”.


Nel grande contenitore anarchico della Rete, ognuno scarica i suoi pensieri, le sue riflessioni, le sue emozioni, ma anche malvagità, ossessioni, frustrazioni e limiti. E lo fa con gli strumenti culturali di cui dispone.
Non credo che Eco, come qualcuno banalmente afferma, volesse impedire la libertà di espressione, forse denunciava semplicemente la dilagante corsa al volgare strillo quotidiano, all'ottusità, al colpevole preconcetto, al ruggito afono e stonato del citrullo telematico e segnalava la necessità di individuare ed emarginare il nuovo scemo del villaggio globale, che non è innocuo come il tradizionale, ma fa gravi danni alla comunità.

Tutto questo, ripeto, è sotto i nostri occhi e lo cogliamo ogni momento e ne discutiamo, anche molto vivacemente, frequentando quelle vie informatiche.
Ma i ragli dell’asino non arrivano in cielo.
23 febbraio 2016 (Alfredo Laurano)





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