sabato 20 febbraio 2016

IL PENDOLO, LA ROSA, L’ISOLA E BAUDOLINO

Quando al mattino, anche molto presto, apro la finestra sul mondo, accendendo il computer, non so mai quello che vedrò all’orizzonte, o da vicino, quale sarà, cioè, la notizia in prima pagina. E ne ho un certo timore, oltre che curiosità.
Da una parte, la solita politica, alla quale, bene o male, siamo assuefatti, dall’altra, cronaca, fatti sociali, vicende umane e tragedie.
Oggi, tutto il mondo ha preso atto che se n’è andato Umberto Eco.
Così, senza preavviso, a ottantaquattro anni, ieri sera a casa sua.
E quello stesso mondo, che stamattina ha aperto quella mia stessa finestra, si è reso conto di aver perso uno dei suoi più importanti uomini di cultura contemporanei. E ci è rimasto male, come me.
Semiologo, saggista, docente (libido docendi), filosofo e scrittore.
"Il nome della rosa", il suo primo romanzo capolavoro, uscito nel 1980 e diventato un best-seller, è stato tradotto in 47 lingue e ha venduto trenta milioni di copie.
Sulla stessa scia i suoi romanzi successivi, da "Il pendolo di Foucault" a "Numero Zero", tutti hanno raggiunto il successo internazionale.
Non avrei mai voluto aprire, oggi, quella finestra, ma ormai l’ho fatto e voglio salutarlo con le parole di Roberto Saviano che lo ha voluto ricordare, citando l'ultima frase de “Il Nome della Rosa”: “stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" (la rosa che era, ora esiste solo nel nome, noi possediamo solo nudi nomi), un verso del monaco benedettino del XII secolo, Bernardo Cluniacense.
Addio Umberto, la tua Eco non si spegnerà.
20 febbraio 2016 (Alfredo Laurano)

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