mercoledì 10 febbraio 2016

GRAZIE DEI FIOR

E’ finalmente ripartita l’ennesima kermesse della canzone, nel luogo sacro dove è nato il mito, caro agli italiani, che ogni anno si rinnova e, come per inerzia, si traduce in rito.
La sessantaseiesima sagra popolare delle leggere note e dei fiori di riviera, che fu di “Volare”, di Tenco, di Mina, di Bobby Solo e Celentano per cinque pieni giorni concentrerà l’interesse dei media e dei giornali, bombardando di chiacchiere, immagini e pettegolezzi tanti teleutenti rassegnati.
Ma quei fiori, da tempo, non ci sono più, non dipingono, né compongono la scena, troppo semplice e banale. 
Il vecchio palco, rivoluzionato e rimodellato, sopravvive a stento alla nuove tecniche di regia, alle infinite inquadrature e movimenti di tante telecamere che scavano nei volti e nei dettagli, ai suoni e alle luci digitali.
Come sempre accade, ormai da anni, ci son voluti mesi e settimane di voci e di smentite, prima di conoscere, scelte, programmi e importanti decisioni per il destino della nazione, con annunci solenni alla popolazione.
Ci saranno i big, le giovani promesse, i talent e gli ospiti d’onore che più noti non si può? Forse. Né, mancheranno brave vallette e aitanti valletti, ad affiancare l’abbronzato conduttore.
Poi, dopo tanti calcoli e previsioni, affanni ed incertezze, solo emozioni su quel celeste palco che tutti dicono faccia tremar le gambe.
E che emozioni e quante trepidanti attese, ansie infinite, paure e speranze dietro quella scena, dove l’antico e il moderno si annullano e si fondono in un tempo nuovo, mentre tutto si trasforma.
La tecnologia attenta anche alla tradizione della canzone all’italiana: non più quinte e sipari, né fiori e scenografie tipiche da riviera. Solo immancabili scale e giochi incredibili di luci a led che ridisegnano un fittizio palco, che creano percorsi, fasci e fontane luminose. Effetti laser che incrociano e disegnano profondità inesistenti, che si aprono, si chiudono, si scompongono. Come fuochi d’artificio.

Intanto fuori, all'esterno del celebre teatro, per giorni e notti si rincorrono gli artisti e le star internazionali, per un selfie, per toccarli e abbracciarli da vicino, fra finti segreti e improbabili sorprese, preannunciate. 
Tutti fan appassionati di qualcuno o di chiunque, ma che importa, so’ tutti Vip.

Ogni spazio è transennato e vigilato.
Impazza il gossip sugli abiti, sulle acconciature, sui look e i “sentito dire”, alimentato dai microfoni sprecati di mille inviati e dalle continue dirette con gli studi TV.
Imbarazzanti e assai toccanti le interviste: “cosa hai provato in quel momento…com’è il palco di Sanremo? ...
Incalza, ovviamente, la tabella dei numeri, degli ascolti e degli inevitabili confronti, con le edizioni precedenti: è quello conta, per la carissima pubblicità. E, per finire, il solito televoto e il totovincitore…!
La gara conta poco e il festival, che ha perso anche i fiori e l’antico appeal, è diventato, nel tempo, una ricorrenza obbligatoria e nemmeno molto ambita, una vetrina a sensazione degli effetti, una rampa di lancio per intese commerciali. Un salotto classico un po’ sdrucito, ma rilucidato, che il tempo ha logorato, ma ancora buono per riempire i palinsesti.
Basta afferrarne il senso, quello giusto.

"Cari amici vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate!", diceva Annunziato Filogamo, primo presentatore del Festival, poi allontanato dalla Rai perché omosessuale.
Era una volta il tempo di Nilla Pizzi, Togliani, Gino Latilla e il Duo Fasano e di un solo direttore d’orchestra, senza cuffie - per esempio il Cinico Angelini - che, dalla gracchiante radio a valvole, raccontavano belle canzoni e struggenti melodie che, io, piccolo bambino, ascoltavo la sera, con mia madre che spicciava la cucina.
 10 febbraio 2016 (Alfredo Laurano)

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