sabato 6 febbraio 2016

IL PREZZO DELL’UTOPIA

Uno sprovveduto idealista che ha pagato con la vita la sua incoscienza o la sua ingenuità? Forse!
Il suo impegno civile, l’attenzione ai problemi sociali di un paese dove il dissenso non viene tollerato, sono fuori discussione, anche se qualche sciacallo ha fatto circolare la voce che lo arruola nei servizi segreti italiani, per infangarlo o per giustificare la sua morte.
La sua profonda passione è pienamente testimoniata dal suo ultimo articolo pubblicato ieri sul Manifesto, in cui spiega la difficoltà dei lavoratori del settore pubblico, la mancanza di democrazia nell’organizzazione del sindacato egiziano e la fatica di opporsi al programma di privatizzazioni in un paese ormai martoriato dalla repressione feroce di un regime sanguinario.
Giulio Regeni sarebbe stato fermato il 25 gennaio in un luogo non precisato, insieme ad una quarantina di oppositori dell’attuale governo che si stavano preparando a manifestare in piazza Tahrir, in occasione del quinto anniversario della rivolta.
Per due giorni, nelle mani dei suoi aguzzini sarebbe stato interrogato, picchiato, torturato fino ad ucciderlo. Si parla di 31 ossa rotte, di bruciature di sigaretta, di un orecchio mozzato, di uno o più colpi alla testa che hanno causato emorragie e lesioni fatali.
Secondo alcune fonti, i responsabili andrebbero individuati negli ambienti più oscuri e violenti della polizia politica o dei servizi segreti egiziani, il famigerato Mukhabarat.
Quello che stavano facendo ad un cittadino italiano e quali ripercussioni internazionali avrebbero provocato è ancora da stabilire.

Ma, si è trattato di un’iniziativa di cui la gerarchia era al corrente o il giovane ricercatore è stato vittima di un complotto teso a screditare il presidente Al-Sisi?
Resta anche e soprattutto da spiegare, perché si sono liberati del cadavere, facendolo ritrovare, invece di farlo sparire per sempre?

In attesa che qualcuno risponda a queste drammatiche domande, non ci resta che piangere questo giovane e capace studioso che, come pochi suoi coetanei, aveva speso il suo tempo e il suo impegno politico e giornalistico, per testimoniare e denunciare soprusi, ingiustizie e difficili realtà. 
Una scelta spontanea e volontaria, un raro esempio di dovere morale e di voglia di giustizia, che lo portato al sacrificio.
6 febbraio 2016 (Alfredo Laurano)



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