lunedì 9 luglio 2012


SE ATENE BRUCIA, ANCHE ROMA S’ACCENDE        19 ottobre 2011

Non l’abbiamo creata noi! In mille luoghi della terra, in quasi 90 paesi, si è manifestato il 15 ottobre contro i responsabili della crisi globale. Che è finanziaria, politica, economica, alimentare, ambientale, di civiltà e di cultura.
Dopo decenni di dissennato furore liberista, di immorale speculazione in un sistema impostato e cresciuto su sfruttamento, disuguaglianze e latente discriminazione, sulla continua sottrazione o manipolazione della verità e sul suadente indottrinamento capitalistico ammantato di lustrini e di promesse - opulenza e ricchezza per tutti, miraggi e splendori da giardino dell’Eden - è nata a livello mondiale una voce collettiva che racconta un’altra verità: quel sistema è crollato, è imploso su se stesso, ha sconfessato i suoi falsi miti, le sue certezze  assolute, la sicurezza del benessere. Nulla è e potrà più essere  scontato e garantito.
Recessione in tutto l’occidente, disoccupazione galoppante, precariato e lavoro sottopagato, la povertà che cresce a dismisura, le banche che perdono profitti e appeal, rivolte in Grecia, Spagna, Inghilterra e Stati Uniti. Milioni di persone che protestano nel mondo...e nel nostro Belpaese che succede?
Succede che  poche centinaia di teppisti - lasciati agire indisturbati  dalle sottili strategie delle forze di polizia impegnate a proteggere i palazzi del potere - possano operare da anni, sotto la sconfinata e ospitale bandiera della stupidità, a favore dello status quo, commettendo le peggiori efferatezze  senza che nessuno li fermi, li indaghi e li prevenga, e riescano a sabotare e far fallire una grande manifestazione di massa e a demolirne le forti motivazioni. Riducendo il tutto - agli occhi dei tanti spettatori non paganti, seduti sulle comode poltrone dell’indifferenza e del pregiudizio -  solo a una mera questione di ordine pubblico.
Una ghiotta occasione da prendere al volo per far tacere chi urla il disagio e le proprie ragioni, per scoraggiare la voglia di scendere in piazza, per reprimere il dissenso e la contestazione popolare, per invocare leggi repressive alla “chi cojo cojo”, per spingere alla “necessaria” normalizzazione.
Rivoluzione non è certo sfondare qualche vetrina di banche o sfasciare qualche negozietto a conduzione familiare o bruciare qualche macchina, magari vecchia e pagata in comode rate mensili. O lanciare estintori, molotov e sampietrini come massimo e coraggioso atto rivoluzionario contro altri poveracci in uniforme, a mille euro al mese, rischio vita compreso.
Forse dovremmo ignorare queste nobili imprese che non servono alla causa, ma solo a far vendere foto, giornali e talk show televisivi (con ospiti stantii, di riciclo costante e risse verbali pre-organizzate) e preoccuparci esclusivamente del significato e delle gravi conseguenze sociali e psicologiche che questi atti di premeditata e gratuita  brutalità determinano nella pubblica opinione, alimentando il disgusto e la sempre più crescente distanza dalla politica, il conseguente  qualunquismo, la scontata condanna della violenza e soprattutto l'espropriazione delle sacrosante ragioni della rabbia e della rivolta, portate in piazza da due/trecentomila persone, pacificamente.
Da giorni, infatti, non si parla che di guerriglia urbana, di saccheggio della città, di danni e lacrimogeni, di devastazioni, di statue di madonne distrutte: atto sacrilego per i credenti, ma intollerabile anche  per chi non lo è.  Ogni laico, in quanto tale, non può che rifiutare quel gesto e quella furia iconoclasta, che ripropone la logica della profanazione razzista e nazista, prendendo di mira i simboli religiosi degli "altri", che siano ebrei o musulmani o in questo caso cattolici.
Grazie a queste frange illuminate, votate alla battaglie senza scopo e senza senso, non si discute più dei temi veri dell’indignazione generale  che, fino a poche ore dall'inizio della manifestazione, tantissimi condividevano, semplicemente come cittadini  ingannati, delusi, esasperati  e soprattutto incazzati. Senza essere per questo black bloc, anarco-insurrezionalisti, centri sociali, ultras, cani sciolti o figli di papà che giocano alla “guerra”.
Di fronte a questo squallido e ignobile teatrino delle parti, degli equivoci, degli abusi e strategie, di violenze e prepotenze - già merce-spettacolo al servizio del mercato dei network, dei media e del potere - che cancella, mistifica, o copre e rimanda le colpe gravi e le responsabilità delle banche e della allegra finanza capitalistica nella crisi economica mondiale, non possiamo non riproporci la solita tragica domanda, alla ricerca del movente e del possibile colpevole: cui prodest? 
19 ottobre 2011                                                        
                                                                                                AlfredoLaurano

Nessun commento:

Posta un commento