domenica 8 luglio 2012

RISCHI FATALI - 12 marzo 2011

Non sono certo un grande esperto di economia e finanza ma, da comune cittadino vorrei entrare nel merito della dotta dissertazione tremontiana ad Annozero.
   
Anche perché, come ho più volte scritto, per combattere l'egemonia culturale del neoliberismo - che identifica e individua nel nuovo idolo del libero mercato l'unico fattore di crescita e di sviluppo -  è necessario pensare e agire in direzione altromondista e new-global, rimettendo l'uomo e i suoi bisogni al centro della politica. Riesumando e aggiornando, magari, la vecchia lotta di classe - con nuovi strumenti e diversi bersagli - per modificare e vincere la partita capitale-lavoro, che la nuova economia liberista e la crisi economica globale hanno contribuito a riaprire pesantemente e costretto a rigiocare in campo aperto.

Una nuova sfida per antichi obiettivi che sembravano ormai acquisiti nel tempo, con lotte, sudore e sangue,  e che proprio in questi giorni, in Italia, viene rilanciata dai sindacati di base, con scioperi e mobilitazioni.

Il buon Tremonti (sempre più uguale alla spassosa caricatura di Corrado Guzzanti), pur ricordando di aver scritto nel 1994 che la globalizzazione non avrebbe arricchito tutti, come molti pensavano, ma che anzi avrebbe procurato non pochi problemi,  si è ben guardato dall'affrontare tale argomento nella noiosa lezione accademica, alla lavagna, limitandosi a parlare di mostri e videogames e della rilettura della Bibbia e di Mosè. Ignorando, peraltro, colpe e responsabilità governative.
Né ha accennato a possibili soluzioni o terapie per uscire dalla recessione.


Da tempo, invece, statistica, sociologia e paese reale parlano di nuovi poveri - quelli delle classi già benestanti o almeno senza grossi problemi grazie al lavoro quotidiano - e del continuo aumento di distanze e di numeri tra i sempre più poveri e i sempre più ricchi.


Come è ovvio, la crisi non colpisce tutti allo stesso modo. Anzi, accentua sempre più le differenze di classe e di condizione.
Operai, impiegati, piccoli imprenditori, artigiani, pensionati e reddito fisso in genere, anche quando il lavoro c'è o ce n'è poco, non possono difendersi se non limitando e contenendo spese e consumi. 
Di conseguenza  cala la  produzione e l'occupazione.


E’ un gatto che si morde la coda. Una spirale che si avvita su se stessa.
Quando si riducono i consumi di beni necessari, non si può pensare ad un rilancio dell'economia e a una ripresa della produzione industriale, se non con una adeguata politica di sostegno alla capacità di spesa delle famiglie.
E non con soluzioni tampone che puntano ancora e sempre su precarietà e flessibilità, senza offrire alcuna prospettiva.


Significativa e commovente - a inizio trasmissione (Annozero 10.3.2011) -  la storia di quella famiglia (solo uno dei tanti esempi di cruda attualità) che,  perso il lavoro, non può più avere una vita normale, semplice e dignitosa e deve privarsi di tutto per cercare di
mangiare, elemosinando di qua e di là.  O le quotidiane vicende di tante piccole fabbriche che chiudono o delocalizzano per sopravvivere, o cercano di resistere e di non licenziare, rinunciando al proprio utile.
Una regressione storica e globale che diventa individuale.


Come ha detto Bertinotti (bentornato in video), la crisi non è un incidente inatteso e imprevedibile ma è il naturale prodotto della normalità del capitalismo finanziario globalizzato. Non dell'eccezione, quindi, perchè nasce dalla forte diseguaglianza determinata dal Mercato, lasciato libero da scelte e indirizzi politici  socialmente orientati.
Quindi è crisi di civiltà, di incompatibilità tra capitalismo finanziario e democrazia.
I diritti sociali dipendono dall'andamento economico!
Questo è l'aspetto più perverso e aberrante del liberismo economico. Inaccettabile.
 12.3.2011                                   
                                                                                AlfredoLaurano



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