domenica 8 luglio 2012

NO-FLY ZONE - L’OSSIMORO DELLA GUERRA UMANITARIA - 21 marzo 2011

                                                                                                                                                                                                    Non esistono guerre giuste, guerre legali, guerre umanitarie, guerre preventive.

Esiste la guerra e basta!

Nessun aggettivo ne migliora il significato, né la giustifica. E le motivazioni che si danno alla pubblica opinione, attraverso i media internazionali che le esaltano e le amplificano, sono sempre più che nobili e di obiettiva necessità. Mai casuali o pretestuose.

Non v’è mai, stranamente, una possibile alternativa diplomatica o politica, c’è sempre una più che valida ragione per spiegare una guerra: Saddam aveva le armi di distruzione di massa, in Afghanistan si doveva eliminare il terrorismo, in Kosovo fermare la pulizia etnica. Oggi, in Libia, bisogna proteggere i civili.

Ogni guerra è sempre un’aggressione alla sovranità di un altro Paese: un atto militare eticamente  travestito da intervento umanitario, anche quando si  dichiara al mondo che verranno colpiti, con precisione chirurgica, solo obiettivi sensibili e target mirati. Le stragi di civili, di scuole e di ospedali, che puntualmente si verificano, sono purtroppo ineliminabili effetti collaterali. Certo, molto indesiderati.

Di tale menzogna, ne abbiamo infinite prove in tutte le guerre “supertecnologiche” di questi ultimi anni. In realtà i conflitti armati non sono mai mossi da motivi umanitari, non nascono per esportare la democrazia, per liberare popoli oppressi da tiranni e dittatori. Si fanno per mere ragioni economiche, per il controllo delle risorse petrolifere o di gas naturali, per inseguire ambizioni neo-colonialiste, per dare una mano e rivitalizzare l’industria delle armi, in tempi di crisi economica.  Alla faccia e al di sopra del diritto internazionale e, nel nostro caso, dell’ormai inutile articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Se le potenze occidentali fossero mosse da genuina volontà democratica o da spirito cristiano, non resterebbero inermi di fronte agli attuali massacri nello Yemen e nel Bahrein, nel totale silenzio del mondo arabo e della comunità internazionale, e ai tanti altri che li hanno preceduti (Curdi, Ruanda, Somalia). Quando non c’è nulla da sfruttare, quando non ci sono interessi di bottega nazionale, l’indifferenza regna sovrana, anche di fronte ai genocidi.
Nel caso libico va osservato che la no-fly zone - decisa dalle Nazioni Unite senza alcun rapporto con Gheddafi e senza la verifica del dichiarato, eventuale cessate il fuoco tra le parti - deve essere necessariamente imposta con i bombardamenti, sempre e soltanto chirurgici, e non credo sarà in grado di porre fine al conflitto civile. Anzi, porterà un ulteriore spargimento di sangue e una probabile escalation della battaglia, anche via terra e via mare, come già successo in Iraq.             
Non per niente, Russia e Germania si sono astenute al voto della risoluzione e hanno espresso forte preoccupazione per i pericoli e i rischi connessi a questa operazione di “salvataggio” del popolo libico. O meglio, di una parte, perché metà o non so quanto di quel popolo è col Rais, in quella che, al contrario di Egitto e Tunisia, non è una rivolta popolare ma vera guerra civile tra opposte fazioni tribali. L’esercito è rimasto infatti con Gheddafi.

Va inoltre ricordato che da oltre quarant’anni quel paese è in mano al dittatore e alla sua ricca famiglia; che fino a pochi giorni fa nessuno lo definiva tiranno, despota e sanguinario, tollerandone, peraltro, abusi e feroci  repressioni; che era addestrato e finanziato dai paesi occidentali (come fu per Saddam), con i quali intratteneva importanti relazioni, accordi economici e graditi investimenti finanziari, in particolare con Italia e Francia (Fiat, Unicredit e Sarkozy che gli vendeva aerei e missili).
                                
Va ancora ricordato, che dal nostro premier - suo ex grande amico (di merende e bunga-bunga) che inizialmente non voleva disturbarlo - è stato accolto tra osanna e frecce tricolori, pochi mesi  fa; con tanto di tenda beduina e di cavalli berberi, di belle, fedelissime amazzoni di scorta e di preziose lezioni di Corano al seguito, nel rispetto del  trattato d’amicizia. Sempre grato e riconoscente anche per l’importante ruolo di sentinella di guardia ai porti e alla costa nordafricana che bloccava, con durezza e crudeltà (documentata da  stampa e TV internazionali), i tentativi di migrazione dei tanti disperati di quel continente.
Senza dimenticare, infine, lo scandaloso baciamano!  Alla grande star, al papa della Libia!

Ma tutto ciò era vero fino  a pochi giorni or sono, quando forse si poteva intervenire in altro modo (embargo, sanzioni internazionali, congelamento dei beni).  Quando Gheddafi era isolato e non aveva ancora riconquistato col sangue le zone liberate dagli insorti, nella parte orientale del paese. Magari con i caschi blu dell’ONU come forza di interposizione tra le parti e l’impegno reale per un possibile negoziato, come pare volessero India e Brasile, o con qualsiasi altro mezzo che non fosse la sporca guerra ( hai! Mi è scappato l’aggettivo, ma è l’unico possibile).

Al di là dell’ipocrisia bellica e delle dichiarazioni di facciata, anche in questa scelta armata contano gli interessi occidentali, in particolare di Francia e Gran Bretagna, ma anche della piccola Italia – fresca di anniversario, ma pronta com’è d’uopo al voltafaccia - che teme di perdere la sua parte di sfruttamento commerciale nell’ennesima guerra che puzza solo di petrolio. Anzi, no.
Come la pecunia, anche petroleum non olet!”

21 marzo 2011
                                              AlfredoLaurano


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