venerdì 19 febbraio 2021

E OGGI GIURANO I MIGLIORI /2222

Giurano fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione i ventitré nuovi ministri - si fa per dire, visto che sono riapparsi i miracolati Brunetta, Gelmini e Carfagna di Forza Italia - del nascente governo Draghi.

Alcuni riconfermati, come Di Maio, D’Incà, Guerini, Patuanelli, nonché Lamorgese agli Interni e Speranza alla Salute - immediatamente criticati e già disprezzati dall’euforico camaleonte Salvini, geneticamente modificato per l’occasione – e altri che hanno solo cambiato domicilio ministeriale. Tutti di prima nomina i cosiddetti “Tecnici”, fedelissimi del Premier.

Il grande Puffo Giuda-Superbone, autore del “capolavoro” della crisi che ha silurato Conte, è stato “premiato” con il dimezzamento delle sue ministre: da due a una. Ed è pure contento e soddisfatto l’idiota di Rignano: una bella squadra di governo all'altezza della sfida. 

Questo è, comunque la pensiate, il governo dei “migliori”, compilato con il bilancino del Manuale Cencelli, in risposta all'appello del Capo dello Stato che, per fare fronte alla drammatica situazione dell'Italia e all’emergenza nazionale, chiedeva “un alto profilo” caratterizzato dal temporaneo abbandono delle categorie di maggioranza e opposizione e dal sostegno di tutti o quasi, per fini comuni.

“Questo è un esecutivo di compromesso, ostaggio della Sinistra, che rispolvera buona parte dei ministri di Giuseppe Conte”, secondo la sorella d’Italia Giorgia, solitaria barricadera all’unica opposizione. “Questo è un governo osceno, malinconica fotocopia del Conte bis”, per il dissociato ululante Sgarbi, che, poche ore prima, alle consultazioni, aveva paragonato l'ex presidente della Bce ad un quadro di Raffaello.

Le parole “Mai” e “Sempre”, ormai lo sappiamo tutti, non figurano nel volubile e incoerente vocabolario della Politica. Lo strappo si consuma spesso e volentieri, salvo ripensamenti, pentimenti o marce indietro.

Esiste l’arte del compromesso e della convenienza che - dopo l’aberrante scelta giallo-verde del primo governo Conte, che ha visto l’innaturale alleanza con Salvini, conseguente al rifiuto di dialogare col PD - anche in questo governo di coalizione o di unità nazionale, si ripropone in grande stile, all’ennesima potenza, portando i partiti all’insopportabile ma consueta pratica di ingoiare dopo i rospi (oltre a Salvini, pure Berlusconi, cui qualcuno non dava anche la mano), anche i draghi: diventa quasi un obbligo per partecipare alla generosa lotteria di beneficienza, che lascia poco spazio a scelte diverse.

Opportunismo, necessità di negoziazione e, soprattutto, di sopravvivenza, che hanno portato, col tempo, i Cinque Stelle a cambiar pelle, ad adeguarsi, a lacerarsi con il voto quasi fifty-fifty al referendum Draghi si-Draghi no, dei settantaquattromila di Rousseau.

Quel Movimento, incazzato e travolgente che, dieci anni fa, avvertiva il bisogno impellente ed imperioso di dare una spallata formidabile ad un sistema politico cristallizzato e degenerato - fino a contare quasi 12 milioni di elettori nel 2018 - oggi, divenuto forza di maggioranza e di governo, vive, secondo alcuni, una maturità inedita, per adeguarsi alle condizioni che mutano, senza tradire l’identità originaria. Vede cambiare la propria fisionomia, per acquisire un profilo più preciso, per sposare princìpi e ideali riconoscibili. Per diventare finalmente adulto.

Ma Di Battista, rimasto forse bambino, saluta e se ne va.

Sono comunque dubbi e domande che hanno attraversato anche LeU, unico pezzetto rimasto di Sinistra, perché sicuramente sedere accanto alla Lega e a Forza Italia è difficilmente digeribile. Problema che non hanno certo i traditori renziani, visto che è quel che volevano, facendo cadere il Conte due, in una sporca e opaca operazione di potere: governare con i naturali avversari.

Una prospettiva non proprio entusiasmante, anche per il pentito, folgorato e convertito Salvini, che, dismesse felpe e divise d’ogni tipo - compresa quella di No Euro e di estremo antieuropeista - ha deciso di salire sul carro del Draghi vincitore - che, quando era presidente della BCE, accusava di essere complice del “massacro” dell’economia italiana, con una vergognosa e più che interessata giravolta. Arrivano i miliardi da spartire e anche i duri della Lega tengono famiglia e partito. Allora è necessario unirsi all’ammucchiata, per ripulire la propria immagine internazionale e scrollarsi di dosso la reputazione di partito euroscettico.

Come dice quel proverbio africano? Se vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi arrivare lontano, corri insieme a qualcuno. O a tanti, in uno stipato gruppo selvaggio che imbarazza. 

Ma manco tanto.  E, a mezzogiorno, lo giurano contenti. 13 febbraio 2021 (Alfredo Laurano)

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