sabato 30 maggio 2020

I CAN'T BREATHE bis /2051


E' già successo troppe volte e ancora succederà, perché per i poliziotti americani, ancora oggi, la vita dei neri non ha valore, almeno non quanto quella dei bianchi.
L'uccisione di George Floyd a Minneapolis, da parte di un agente, l'ultima di una lunga lista di persone disarmate, ha risvegliato la rabbia della comunità afroamericana negli Stati Uniti, e non solo, che chiede giustizia.
Centri commerciali devastati, auto in fiamme, strade invase dai lacrimogeni, collegamenti pubblici sospesi. Gli scontri tra manifestanti e polizia sono continuati per due giorni consecutivi e si sono allargati ad altre due città, Los Angeles e Memphis, al canto di “I Can’t Breath” - cioè le parole rivolte da Floyd al suo assassino mentre lo stava soffocando.

Allo stesso modo, pochi anni fa, tutto il mondo aveva visto la breve, sconvolgente sequenza dell’uccisione a New York del 43 enne afroamericano Eric Garner, padre di sei figli, fermato per contrabbando di sigarette, non per stupro o strage.
Il povero Eric era obeso e soffriva d’asma. Quattro poliziotti gli si scagliano addosso, lo sbattono per terra, lo schiacciano coi loro corpi, fino a farlo soffocare con una presa di chokehold, utilizzata nelle arti marziali, combattimento militare, autodifesa.
La morte avviene subito perché la micidiale tecnica impedisce all’aria di passare e quindi alla vittima di respirare.
“I can't breathe” (non posso respirare) furono infatti le ultime parole del povero Garner - e di tanti altri soffocati dopo di lui - le stesse di George Floyd, che si sentono nel video, prima di essere ucciso senza motivo.
Sono le stesse che sono diventate, sempre più, il grido collettivo dell'indignazione popolare, mentre dilaga la protesta e la disubbidienza civile contro il razzismo istituzionale, che continua a mietere vittime.
 29 maggio 2020 (Alfredo Laurano)


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